NICOLA Pisano
Scultore. Nacque forse intorno al 1220, morì tra il 1278 e il 1287. Nelle epigrafi delle sue opere amò dirsi pisano, ma in alcuni documenti è chiamato "N. Pietri de Apulia" o semplicemente "de Apulia": e rimane tuttora controverso se così s'indicasse il suo nome di famiglia oppure la sua provenienza dalle Puglie. Invero, poco più dell'origine pisana l'origine pugliese potrebbe chiarire il primo formarsi di lui, poiché gli elementi su cui egli elevò la sua arte erano assai diffusi per tutto: sia lo studio della scultura classica, che nell'Italia meridionale ha precedenti più immediati alla maniera di N. P. nelle sculture di Castel del Monte e in quelle della "porta di Capua" (Capua, museo), ma altri ne ha pure a Pisa; sia la conoscenza dei modi gotici, irrompenti già nella prima metà del sec. XIII. Nel costituirsi l'artista sorpassò la cerchia così della scultura romanica meridionale come della pisana; alla quale il Vasari (che pur accennò a opere d'architettura di N. nell'Italia meridionale, ma più tardive) lo collegò affermandolo avviato dagli scultori "greci", cioè bizantini - ch'erano invece nell'orbita di Guido da Como - del battistero di Pisa e mosso al suo grande innovamento nella plastica dallo studio dei sarcofagi antichi della sua città. Per certo, N. riguardò intentamente sculture classiche: ne derivò un suo intimo classicismo ben diverso da quello imitativo ed esteriore dei precedenti romanici. Ma rilevante nella sua formazione, né allora in contrasto con la classica, fu l'influenza dell'arte gotica. Si può accertare assoluta nell'architettura; parziale nell'iconografia delle sue opere; compenetrante in molti modi la sua plastica. Il maestro, forse con il solo ma sufficiente tramite di opere delle arti minori - avorî, bronzi -, conobbe già nei suoi inizî la scultura francese, non ancora avvolta negl'incipienti convenzionalismi del più inoltrato stile gotico, e tale da rammentare l'arte classica a cui anch'essa aveva riguardato; né più tardi tralasciò di osservarne il mutarsi.
Ma nulla è noto con precisione degli esordî di N. La sua prima opera, finora certa, è un capolavoro: il pergamo del battistero di Pisa, finito nel 1259-1260. Il maestro vi apparisce circondato da discepoli come chi già a lungo abbia operato nell'arte; ma bisogna credere che l'opera appartenga soltanto alla prima sua maturità, tanto largo sviluppo ebbe ancora la sua arte poco dopo (1265) nel pergamo del duomo di Siena. Nel pergamo pisano è nuova anche la struttura, quantunque derivi dai precedenti pergami di Toscana e del Mezzogiorno i leoni stilofori. Le linee architettoniche vi risaltano agili e forti; le accompagna la scultura, con figure sui capitelli, con i cinque altorilievi fortemente incorniciati dai fasci tristili dell'arca. Se nelle membrature architettoniche è pura l'arte gotica, intieramente posseduta e piegata a nuova composizione, nelle sculture più si spiegano l'originalità e il genio del maestro. Semplice è il concetto iconografico: figurazioni da bestiarî a terra, di santi e di figure allegoriche sui capitelli, di profeti e di evangelisti nelle riquadrature degli archi; intorno all'arca del pergamo la redenzione e la fine dell'umanità (la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione, la Crocifissione, il Giudizio Universale); ed era facile ricalcare le tradizioni: ma N. P. tutto rinnovò, nell'insieme delle composizioni e nella forma, rivelando un nuovo ordine ai sensi e all'animo. Il marmo, lavorato con illimitata esperienza tecnica, così da ricavarne lustri, trasparenze, scabrosità, e quasi colore, esprime senza scorie un senso plastico raffinato, ma potente. Poderosa pienezza è nella folta composizione dei rilievi, colmi di forme corporee accalcate in breve spazio, poco concedendo il maestro a effetti pittorici e di profondità: e mentre questo egli deriva dal modo di comporre di sarcofagi antichi, tralascia invece la fattura sommaria che in quelli è frequente, e riesce ad assoluta coerenza tra il comporre concentrato e l'espressione plastica definendo ogni cosa con insistente modellazione, che risponde al suo sereno sentire. Dei cinque grandi rilievi del pergamo i tre primi, Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione, mostrano più alte le qualità d'arte proprie in vario grado a tutte le parti del pergamo, come eseguiti dalla mano stessa del maestro, "tam bene docta manus", soggiunge l'epigrafe. Vi è ben manifesto quale sia il "classicismo" di N. P. Esso impronta ben altro che le evidenti derivazioni da esemplari antichi come la Madonna della Natività, simile a un'Era, quella dell'Adorazione dei Magi, ispirata alla figura di Fedra di un sarcofago del Camposanto pisano, il profeta sostenuto da un fanciullo nella Presentazione, tratto dalla figura di Dioniso barbato sostenuto da un satiro, replicata anche in un cantaro marmoreo ora nello stesso Camposanto; tipi faciali, e qualche particolarità di tecnica, quali sono i profondi segni di trapano. È nell'intimo dell'artista, nella sua coscienza serena, nel vedere il mondo fisico e morale fuori delle astrazioni medievali e nel ricomporlo in armonie che più non furono ritrovate prima del Rinascimento. Anziché limitarla nell'imitazione, esso libera a nuovi ardimenti l'individualità di N. P.: a trasfigurare in sé la leggenda sacra e lo stesso sentimento religioso, conformandoli al proprio sentimento plastico e alla coscienza rinnovati dalle rivelazioni dell'arte classica. La Presentazione al tempio, a voler rivolgere l'attenzione più ad essa che agli altri rilievi, manifesta i diversi elementi formativi dell'arte di N. P. e quanto egli li riplasmi in un suo originale creare. L'arte gotica vi appare nelle architetture dello sfondo, in manierismi dei panni e dei riccioli, nell'accento patetico del vecchio Simeone, pure ispirato all'antico; l'arte classica vi è per tutto: ma fu atto di creazione, più ancora del trasporre classicamente la leggenda sacra, l'avere impresso in ogni parte e nel tutto uno spirito severo e profondo, in ogni atto nobiltà, ritegno e vita interiore, con una forma plasticamente ferma e insieme animata di luci e di piani, precisa e pur dentro commossa.
Anche in altre parti del pergamo di Pisa si riconosce così pura l'arte di N. P., come nel Battista e in una figura allegorica di donna con putto e frutti; in altre, invece, i diversi esecutori diminuirono in vario modo i concetti del maestro: nella Crocifissione, in cui pur sono abilmente composti elementi bizantini e gotici, d'iconografia e di stile; nel Giudizio, dove genialmente il maestro avvolse in vortice le figure intorno al Cristo, ma un esecutore mediocre, forse fra Guglielmo (v.), degradò in parte il suo modello con forme inerti, di espressione mancata o incerta.
Nella bottega di N. P. vi erano con altri, accanto ad Arnolfo di Cambio (v.), i fiorentini Donato e Lapo di Ricevuto, e fra Guglielmo; cresceva, allora nella prima età, il figlio del maestro, Giovanni Pisano (v.): ed è ovvio supporre che spesso il maestro abbia soltanto ideato e diretto i lavori che vi erano condotti, come quell'altare che nel 1273 egli s'impegnò di riattare per la cattedrale di Pistoia. Sembrano disegnate da lui, ma non eseguite di sua propria mano, le sculture del portale di sinistra nella facciata del duomo di Lucca, e posteriori un po' al pergamo perché, nell'architrave istoriato, ne condensano le composizioni. Nella Deposizione dalla croce N. P. compose sapientemente le figure entro l'angusta lunetta, trovando dolore e nobiltà nell'atto del Cristo e di colui che lo sorregge (vi è nel tutto un accento gotico più forte che nel pergamo, ed è indizio anch'esso di tempo susseguente), ma l'esecutore diede ai panni fratture più aspre e ai volti un'opaca gravità. Con certezza anche maggiore nell'arca di S. Domenico (Bologna, S. Domenico), che sembra fosse già compiuta nel 1267, si ritrova l'opera degli aiuti più che del maestro, e in particolare di fra Guglielmo (ch'è anche rammentato socio in quel lavoro a N.), non soltanto nella fattura, ma anche nelle composizioni.
Per il pergamo della cattedrale di Siena la collaborazione dei discepoli fu stipulata nel contratto: si obbligava N. a lavorqre di persona, a non allontanarsi per Pisa più che due mesi dell'anno e a tenere seco al lavoro suoi discepoli, Arnolfo, Donato, Lapo e il proprio figlio Giovanni, pattuendo a questo un compenso assai minore che agli altri, più anziani. Pure, il pergamo senese, intrapreso nel 1265, compiuto nel 1269, ha tanta unità d'arte che a stento vi si può intravvedere quella collaborazione; né si riesce ad accertarvi nemmeno la parte dei discepoli che poco dopo operarono da sé, in modo altamente personale: Arnolfo e Giovanni Pisano. Uno stesso carattere è in tutto il pergamo senese, e lo differenzia dal pergamo pisano, così nella struttura come nelle sculture. Al confronto del pergamo di Pisa, in quello di Siena la stabilità architettonica è attenuata, il movimento è maggiore, in ogni parte: nella struttura - consimile, ma ottagona - dove ai fasci di colonnine intorno all'arca son sostituite grandi figure; nelle composizioni dei sette grandi rilievi - storie dell'infanzia e della morte del Redentore il Giudizio, diviso in due riquadri - sviluppate non soltanto nella narrazione ma nello spazio con altra ampiezza che nel pergamo di Pisa; nella forma plastica, pur sempre connessa ai modi pisani, ma intenta più a finezze che a forza per esprimere affetti ora altrimenti tenui e commossi. In modo coerente alla forma si muta anche il tono della narrazione: alla semplicità severa e alla maestà delle rappresentazioni del pergamo pisano sottentra un raccontare vario, pittoresco, e modifica a fondo anche i temi che ripete dai rilievi di Pisa (lo si vede a confrontare le due Natività), oppure sviluppa in modo aneddotico i soggetti come nell'Adorazione dei Magi.
Nei pochi anni trascorsi fra i lavori del pergamo di Pisa e l'andata a Siena, N. P. aveva ampliato la sua conoscenza della scultura classica e dell'arte gotica; ma il mutarsi della sua arte, che pur sempre mantiene le sue fondamentali qualità di calma e insistente espressione plastica, si spiega soprattutto con lo sviluppo della sua individualità; né ad esso poterono contribuire i discepoli, poiché i maggiori di loro seguirono poi vie in tutto diverse da quelle segnate dal maestro: Arnolfo, volgendosi a una semplificazione quasi geometrica delle forme; Giovanni, a un fare impetuoso e sommario in pieno contrasto con la natura paterna.
Se una è l'impronta profonda, e tutta dovuta al maestro, nel pergamo di Siena si dànno nondimeno differenze afferrabili di fattura e di effetto, anche fuori delle parti secondarie dovute ai collaboratori minori: riquadrature, capitelli (ve n'è uno con volti dal sorriso indicato nel modo rapido che poi fu di Giovanni Pisano), leoni e leonesse mirabili per semplicità quasi romanica nel levigato prezioso marmo, "arti liberali" di un attardato seguace della precedente maniera di N. (è di questo stesso discepolo una statuetta di Madonna nella collezione Ford, a Detroit). Nel Giudizio finale che nel pergamo senese ha nuova ampiezza di composizione, spartito in due riquadri, il rilievo è pieno, accurato nei trapassi, senza alcuna abbreviazione pittorica che possa far prevedere la maniera di Giovanni Pisano; il modellato dei nudi è condotto da artista che ne costruisce saldamente la struttura interna e ne carezza la superficie; né altri che N. trovò i tormentatti dei reprobi, definì l'intimo nei volti, che si colorano di vita individuale, compose le schiere dei beati in crescente commozione di atti, riuscendo a sensi di così alta umanità quali non riapparvero prima della scultura toscana del Quattrocento, della quale sembra ch'egli già possieda spirito e forme. Nelle altre parti del pergamo di Siena, dove i diversi collaboratori di N. P. intrecciarono la loro opera traducendo nel marmo i modelli del maestro, si potrebbe distinguere lo scultore dei due primi rilievi, ai quali è affine la Presentazione, tutto rivolto alla maniera nuova di N., e a cercare nella modellazione fin le ultime sfumature, forse autore di alcune delle Virtù e dell'Annunziata, tanto commossa e individuale che si crederebbe dello stesso N. P.; il grossolano della gotica Crocifissione; il violento della Strage degl'innocenti, che per alcune parti più trite, come nelle figure intorno al vicino Cristo apocalittico, fa supporre l'esordiente Giovanni.
Più tardi (circa 1278) nella Fonte di piazza di Perugia l'arte di N. P. risalta meno per la soverchiante collaborazione del figlio (v. giovanni pisano), dalla quale è ora arduo distinguerla chiaramente; né ad essa, piuttosto che a Giaranni Pisano, si può attribuire lo stelo figurato dell'acquasantiera di S. Giovanni Forcivitas a Pistoia. Quanto poi N. P. abbia operato nell'architettura, oltre che nella struttura dei suoi pergami è ancora incerto.
Dai capolavori di Pisa e di Siena sorge alta la figura di N. P. e, prima di Dante, e prima di Giotto, segna un'epoca nuova non soltanto nell'arte, ma nella cultura italiana. Possente nel costituirsi da sé anche con elementi che lo mostrano in contatto con la vasta arte occidentale, come poi nel modificarsi per intima sua forza, liberatasi da ogni formula impersonale, innanzi che il nuovo convenzionalismo gotico invadesse la nostra scoltura, N. P. ritrovò regioni di profonda umanità e di elevazione ideale; vi spaziò, col proprio potere creativo, ricongiungendo vitalmente, nella forma e nell'ispirazione, all'arte classica l'arte italiana, come nella Rinascita.
V. tavv. CXXIIl-CXXVIII.
Bibl.: Larga bibl. in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII (1933), pp. 102-103. Fra le trattazioni generali, v. specialmente: A. Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano, III (1904), pp. 985-1014; IV (1906), pp. 1-33; H. Gräber, Beiträge zu N. P., Strasburgo 1921; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, pp. 863-881; G. Swarzenski, Nicolo P., Francoforte 1926. Per documenti: F. von Rumohr, Italienische Forschungen, Berlino 1827, p. 321; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1854, I, pp. 145, 153; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, p. 389; K. Frey, in G. Vasari, Le Vite, Monaco 1911, I, p. 642. Sulleorigini pugliesi di N. P.: Cavalcaselle e Crowe, Storia della pittura in Italia, Firenze 1886, I, p. 199; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Parigi 1904, pp. 787, 805; A. Venturi, loc. cit., e in L'Arte, 1906, p. 127; e in contrario: G. Milanesi, in G. Vasari, Le vite, I, p. 321 segg.; I.B. Supino, in Memorie della R. Accademia delle scienze di Bologna, cl. mor., 1916-17; U. Formentini, in Il marmo, 1926, p. 209.