VICENTINO, Nicola
VICENTINO (di Vicentini), Nicola. – Nacque presumibilmente a Vicenza nel 1510, figlio di Giovanni (non si conoscono altri familiari). Vicentino dichiarò di avere «anni quaranta» nell’anno santo 1550 e sessanta il 25 marzo 1570 (Daolmi, 1999, p. 1). Il ritratto del compositore, pubblicato in apertura della sua principale opera teorica, L’antica musica ridotta alla moderna prattica (Roma, Barré, 1555), lo effigia «Ætatis suæ XXXXIII», con il numerale poi corretto in «XXXXIIII», il che ha fatto ritenere che la nascita risalisse al 1511; ma l’indicazione dell’età andrà riferita all’anno in cui fu eseguita la xilografia, al netto delle eventuali more della stampa del volume (datato 22 maggio). Il luogo di nascita si lega all’appellativo «clericus vicentinus» riportato nell’atto di assunzione a maestro di cappella nel duomo di Vicenza (1563; Mantese, 1942).
Sul frontespizio e nella dedica del suo libro primo di Madrigali a cinque voci per theorica et pratica (Venezia, Scotto, 1546; cfr. Bernstein, 1985-1986) Vicentino si dichiara allievo di Adrian Willaert, compositore attivo alla corte estense di Ferrara fino al 1527, gli ultimi due anni protetto dal cardinale Ippolito II, indi a Venezia come maestro di cappella in S. Marco. Anche Vicentino si legò poi a Ippolito II.
L’interesse per la teoria musicale greca dovette sbocciare a ventiquattro anni. In una richiesta di privilegio di stampa del 1549 (Agee, 1982) si legge che sono «già anni 15» che il compositore «ha restituito [...] li dui generi [...] enarmonico et cromatico da Ptolomeo». All’epoca vi era la sola traduzione latina degli Harmonica di Claudio Tolomeo, realizzata da Niccolò da Lonigo (Leoniceno) per Franchino Gaffurio nel 1499 (Pantarotto, 2017). La copia del traduttore, morto nel 1524, venne in possesso di Gian Giorgio Trissino (già allievo del Leoniceno a Ferrara), che la regalò poi a papa Paolo III nel 1541 (Morsolin, 1878). Fu probabilmente Trissino, di origini vicentine, anch’egli legato alla corte estense, a mostrarla al compositore. Anche Ghiselin Danckerts riferisce che Vicentino datava al 1534 la propria scoperta dei generi greci (Kaufmann, 1966, p. 18).
Vicentino è ricordato soprattutto per il tentativo di mettere in pratica nuove teorie armoniche, forgiate su nozioni attinte dalla teoria antica. Suggestionato dai microtoni di alcune scale greche, volle perfezionare l’intonazione mesotonica praticata all’epoca e concepì un «archicembalo» che, aumentando il numero di divisioni dell’ottava, ottenesse lo stesso tipo di quinta su ciascun grado della scala (Barbieri, 1983). La descrizione dell’archicembalo apparve per la prima volta nel trattato del 1555; ma Francisco de Salinas (1577) ne fa risalire l’invenzione alla fine degli anni Trenta. Questo potrebbe spiegare come mai Vicentino descriva un’ottava divisa in 31 porzioni (con due accordature alternative), mentre l’archicembalo riprodotto nella Moderna prattica presenta ottave di 36 tasti su due manuali (con cinque tasti per intonazioni sostitutive): il lungo periodo di gestazione deve aver raffinato l’idea originale.
La prima testimonianza dello stato ecclesiastico di Vicentino risale ai citati Madrigali del 1546, in cui il nome è preceduto dal predicato «don». Il libro è dedicato a Lucrezia, moglie del vicentino Girolamo Chiericati (per «osservanza [...] della casa sua»), che nel 1550 avrebbe commissionato ad Andrea Palladio uno dei più bei palazzi della città. Il primo brano della raccolta (La pastorella mia che m’inamora) figura nell’Intabolatura di lautto libro secondo di Giulio Abondante (Venezia, Scotto, 1548) con la dicitura «Pre Nicola Vicentino». Tra i poeti selezionati per questo libro spiccano Iacopo Sannazzaro (con un madrigale tutto in endecasillabi, una canzone in testa e un capitolo spirituale in coda), sparse rime di Francesco Petrarca e Giovanni Guidiccioni, e soprattutto una decina di testi di Luigi Cassola, pioniere nel 1544 del madrigale epigrammatico.
Il citato privilegio del 1549 dovette riferirsi alla pubblicazione della Moderna prattica (Cattin, 1976, pp. 39 s.), che tuttavia attese altri sei anni per vedere la luce. Nel frattempo Vicentino, a Roma al seguito di Ippolito II, poté insegnare le sue teorie ai famigli del cardinale Niccolò Ridolfi (Kaufmann, 1966, p. 22). In un’accademia in casa di Bernardo Acciaioli (2 giugno 1551) si scontrò con il cantore pontificio Vicente Lusitano su una «differentia musicale», come riferì Danckerts, giudice nella disputa assieme a Bartolomeo Escobedo, entrambi musici del papa. Vicentino fu messo in minoranza sia per ragioni di parte, sia per punire la protervia del «cappellano» di Ippolito, assai meno per i contenuti, capziosi e in realtà fondati su una conoscenza ancora incerta della teoria greca (McKinney, 2005). L’episodio, testimoniato nelle carte di Danckerts rimaste inedite (Lockwood, 1965; Maniates, 1996, pp. XIV-XXI), indusse Vicentino ad aggiungere un’appendice alla quarta parte del trattato per ribadire le proprie ragioni. Gli spostamenti nei due anni successivi tra Ferrara e Siena (città sotto assedio) rallentarono ulteriormente la pubblicazione, apparsa infine nel 1555 con un’ulteriore quinta parte, recante la dettagliata descrizione dell’archicembalo.
All’indomani dell’uscita della Moderna prattica, l’elezione di Paolo IV (23 maggio 1555), papa ostile all’Este, indusse Vicentino a cercare altri protettori. Inviò così il suo libro e «10 madrigali a 5 voci» al duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga, con l’implicita richiesta di un incarico, inesitata (Canal, 1879). Continuò dunque nel ruolo di cappellano d’Ippolito secondo gli usi dell’epoca, ovvero gestendone le pratiche amministrative. Il porporato aveva abbandonato il titolo di arcivescovo di Milano (a parte otto mesi nel 1555), ma conservava un terzo delle entrate. Dal 1554 al 1557 Vicentino fu intestatario (nominale) di una dozzina di benefici ecclesiastici nel Milanese, probabilmente al fine d’incamerare rendite altrimenti vacanti fra il passaggio dal vecchio al nuovo titolare residente (Daolmi, 1999). In parallelo i pagamenti di Ippolito a «Don Nicola cromatico capellano» sono testimoniati in modo continuativo dal 1551 al 1555, e contatti fra i due si ebbero ancora nel 1559 (Gallagher, 2010). Forse riferendosi a questi anni Vincenzo Galilei dichiarò che Vicentino girava per le corti a scopo di autopromozione, con «alquanti suoi scolari che, in quel mentre ch’egli sonava l’enarmonio in particolare, cantavano quella tal sorte di musica, dal medesimo composta», aggiungendo che mai «era cantata cotal musica senza lo stromento nominato, et se per mala fortuna in cantando uno de’ cantanti usciva, era impossibile il rimetterlo» (Discorso intorno all’uso dell’enarmonio, 1591, Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo galileiano, ms. Gal. 3, c. 9rv, in Rempp, 1980).
Stando a una lettera di Vicentino del 14 settembre 1560 al cardinale Antoine de Perrenot Granvelle, vescovo di Arras e consigliere di Filippo II, il compositore lavorava allora in S. Pantaleone a Venezia; e in una lettera del 4 gennaio seguente si dichiarava maestro di cappella della stessa chiesa (Gallagher, 2010). Il 25 ottobre 1561, a Venezia, per Bevilacqua, fece stampare un foglio volante anepigrafo, noto come ‘descrizione dell’arciorgano’: risulta che si era fatto costruire dal veneziano Vincenzo Colombo un organo a un solo registro, ma con l’ottava microtonale simile a quella dell’archicembalo.
Per due anni, dal gennaio del 1563 al gennaio del 1565, fu maestro di cappella a Vicenza (Mantese, 1956; Gallo - Mantese, 1964), e prima del settembre del 1565 gli venne assegnato il titolo di rettore (curato) d’una delle due porzioni della chiesa di S. Tomaso in Terramara di Milano, con licenza d’insegnare «canto fermo e figurato» (Daolmi, 1999, p. 83, n. 107). Già a fine marzo l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, s’era informato se anche «don Nicola della musica cromatica» non volesse comporre una messa che rispondesse ai dettami tridentini, «perché dal paragone di molti musici eccellenti meglio si potrà far giudicio» (Lockwood, 1957). Una visita pastorale del 1569 descrive la vivacità del quartiere dov’egli abitava e allude al difficile rapporto con il secondo curato di S. Tomaso. Risulta che il compositore ospitava in casa una tal Nicolosa di Brescia (la perpetua?) e una nipote di questa (Daolmi, 1999, p. 83). Da quell’anno Vicentino assunse l’incarico, già dell’altro curato, di celebrare matrimoni e battesimi (si conservano alcuni registri autografi fino al 1572). Vicentino s’integrò subito nella Milano intellettuale. In particolare, ebbe rapporti diretti con i Facchini della Val di Blenio, un’accademia di spiriti liberi guidata dal pittore Giovanni Paolo Lomazzo e protetta dal nobile Prospero Visconti. Fu forse costui, in stretti rapporti con il principe Guglielmo, figlio del duca di Baviera, a suggerire a Vicentino di mandare alcune sue musiche a Monaco.
Un’annotazione manoscritta di Ercole Bottrigari sulla sua copia della Moderna prattica (Bologna, Museo della musica, C.31, c. 61v) informa che fra il 1570 e il 1571 tre discepoli di Vicentino – gli ignoti Di Villa e Negri, con il più noto Ottavio Bariola, detto «organista del Domo di Milano» – avevano fatto stampare a Milano presso Paolo Gottardo Ponzio altrettanti suoi libri di musica a quattro voci numerati dal «primo» al «terzo» (evidentemente trascurando la stampa veneziana), tutti perduti (Gallagher, 2010). I primi due raccoglievano madrigali (nel 1602 ne menziona un paio Bottrigari: Melone secondo, pp. 4, 7, 32), il secondo libro avendo intestazione identica al trattato (Antica musica ridotta alla moderna pratica). Il terzo era invece intitolato Le vergini e conteneva mottetti e inni. Potrebbe derivare da questi libri la copia milanese del madrigale a quattro Era sereno il ciel (Barblan - Zecca Laterza, 1974; ma cfr. Milan, Biblioteca del Conservatorio..., 1986).
La lettera in cui Vicentino sembra donare o più probabilmente dedicare al principe Guglielmo il primo dei suoi libri milanesi è datata 25 marzo 1570 (Wallner, 1925). Una seconda lettera, del dicembre successivo (Simonsfeld, 1902), riferisce di un pagamento della corte bavarese a lui e a Giuseppe Caimo, organista milanese e membro attivo della citata accademia della Val di Blenio. Il rapporto con la corte bavarese, dove Orlando di Lasso era maestro di cappella, spiega forse la presenza di un suo Heu mihi Domine a sei voci, annotato in un’appendice manoscritta ai Magnificat octo tonorum di Lasso (Nürnberg, Gerlach, 1567) nell’esemplare oggi conservato a Breslavia (descritto in Kuhn, 1897).
Il «quarto libro» di Vicentino raccoglie i Moteta (1571), dedicati al nobile milanese Lodovico Galerato, già protettore di Caimo, mentre il «quinto» è di nuovo un volume di Madrigali (1572), raccolti dall’allievo Ottavio Resino (la presenza di curatori si lega forse al genere profano delle pubblicazioni; il libro si chiude con una «canzone da sonare»). Entrambi i libri sono a cinque voci, stampati sempre a Milano da Ponzio, editore anche dei tre libri precedenti. Del quarto non resta che un libro parte, e un mottetto parzialmente manoscritto a Modena (Biblioteca Estense, Mus. C.313). Le scelte poetiche dei madrigali, meno profilate che nel libro del 1546, attingono, oltre che da Petrarca, da collettanee poetiche di metà secolo (madrigali e sonetti di Pietro Barignano, Antonio Terminio, Veronica Gambara e Ludovico Ariosto).
La visita pastorale del 1572, oltre a rilevare certe trascuratezze nel ruolo di curato e segnalare di nuovo la presenza di una donna in casa «con certi figliolini», registra fra le masserizie notevoli un organo detto «compìto» (Daolmi, 1999, pp. 86-89), probabilmente sempre quello che Vicentino si era fatto costruire a Venezia; ma Bottrigari (1594) riferisce che un secondo arciorgano era stato realizzato a Roma, strumento forse ancora esistente a metà Ottocento (La musica accomodata..., 1858).
I suoi madrigali ebbero qualche eco anche in Francia. Il petrarchesco Passa la nave mia colma d’oblio a sei voci fu incluso in un Mellange de chansons di autori soprattutto fiamminghi (Paris, Le Roy & Ballard, 1572). Sembra che nel 1574 anche Carlo IX re di Francia avesse mostrato attenzione per Vicentino (Lesure - Thibault, 1955). Le sue teorie armoniche suscitarono interesse in Antoine de Bertrand, che pubblicò due libri di canzoni a quattro intitolati Les amours, su versi di Pierre de Ronsard (1578; il tributo al musicista italiano è dichiarato nella prefazione).
Morì a Milano l’11 aprile 1577 (Daolmi, 1999, pp. 102 s.), forse in conseguenza della peste scoppiata in città l’anno precedente. Poco prima, si era fatto disegnare e fondere la propria effigie su una medaglia con al verso un archicembalo e un arciorgano e il motto «Perfectæ musicæ divisionisque inventor» (pp. 193-216). L’«organo cromatico de don Nicola» fu poi ritrovato nel palazzo di Prospero Visconti (Della Torre - Schofield, 1994), ed era ancora conservato intorno al 1630 (Federico Borromeo..., 2012).
A Vicentino, noto soprattutto come teorico, va riconosciuto il merito di aver tentato di risolvere in termini pragmatici le lacune del temperamento antico. La sua soluzione, pur precisa nell’intonazione, ma troppo complessa nella realizzazione, pose le basi di un problema che si assestò, infine, un secolo e mezzo più tardi, con l’adozione del moderno sistema equabile. Diversamente da Gioseffo Zarlino, il metodo di Vicentino non è matematico, bensì si affida all’orecchio. Sull’onda lunga della tradizione umanistica che fin da Gaffurio aveva creduto di rinvenire nella classicità verità musicali sommerse (Palisca, 1985), il riferimento ai greci fu soprattutto un pretesto per offrire argomenti a intuizioni che andavano in tutt’altra direzione (i microtoni di Vicentino non hanno rapporto con le scale enarmoniche greche); molto attento all’uso della voce (Careri, 1984), Vicentino non sembrò però voler sfruttare a fini espressivi le arditezze armoniche (che furono semmai sviluppate da Luca Marenzio), né parve voler davvero rompere con la tradizione (come in seguito provarono a fare, con strategie diverse, Carlo Gesualdo e Claudio Monteverdi).
Pur ricordato fra le glorie locali (Bugati, 1587), Vicentino ebbe in vita e in morte molti detrattori (Gandolfo Sigonio, Vincenzo Galilei, Giovanni Maria Artusi, Giovanni Battista Doni, Apostolo Zeno, Estéban Arteaga, Girolamo Tiraboschi, Giuseppe Baini) e più o meno convinte attestazioni di stima (Ercole Bottrigari, Fabio Paolini, Athanasius Kircher, Lemme Rossi, Giambattista Martini, Pietro Lichtenthal); ma la sua proposta d’intonazione rimase un punto di riferimento per divisioni alternative dell’ottava ed ebbe qualche seguito a Ferrara per interessamento di Luzzasco Luzzaschi – il cembalo costruito da Vito Trasuntino nel 1606, oggi al Museo della musica di Bologna, usa anch’esso trentuno divisioni per ottava – e in seguito anche a Napoli nella cerchia del principe Gesualdo: Scipione Stella e Fabio Colonna produssero strumenti simili, poi sviluppati da Francesco Nigetti a Firenze e da Domenico Zampieri detto il Domenichino a Roma (Barbieri, 1983). Modernamente sono state tentate con successo ricostruzioni dell’archicembalo (Tiella, 1975) e dell’arciorgano (Kirnbauer, 2015).
Fonti e Bibl.: Le musiche superstiti di Vicentino sono edite in Opera omnia, a cura di H.W. Kaufmann, Rome 1963 (Corpus mensurabilis musicae, 26). Per i dettagli sulle fonti e una bibliografia più completa cfr. www.examenapium.it/vicentino (28 aprile 2020). F. Salinas, De musica libri septem, Salamanca, Gastius, 1577, p. 164; G. Bugati, L’aggiunta dell’historia universale et delle cose di Milano, Milano, Tini, 1587, p. 166; E. Bottrigari, Il desiderio, overo De’ concerti di varii strumenti musicali, Venezia, Amadino, 1594, p. 41; Id., Il Melone. Discorso armonico [...] et Il Melone secondo: considerationi musicali [...] sopra un discorso di M. Gandolfo Sigonio intorno a’ madrigali et a’ libri dell’Antica musica ridutta alla moderna prattica di D. N. V., e nel fine esso discorso del Sigonio, Ferrara 1602; La musica accomodata alla intelligenza di tutti di F.G. Fétis, a cura di E. Predari, I, Torino 1858, p. 379; B. Morsolin, Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato nel secolo XVI, Vicenza 1878, p. 285; P. Canal, Della musica in Mantova, in Memorie del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, XXI (1879), pp. 730 s.; F. Kuhn, Beschreibendes Verzeichnis der alten Musikalien, Handschriften und Druckwerke des Königlichen Gymnasiums zu Brieg, in Monatshefte für Musikgeschichte, XXIX (1897), suppl., p. 26; H. Simonsfeld, Mailänder Briefe zur bayerischen und allgemeinen Geschichte des 16. Jahrhunderts, in Abhandlungen der historischen Klasse der königlich bayerischen Akademie der Wissenschaften, XXII (1902), p. 263; B.A. Wallner, Urkunden zu den Musikbestrebungen Herzog Wilhelms V. von Bayern, in Gedenkboek aangeboden aan Dr. D.F. Scheurleer op zijn 70sten verjaardag, ’s-Gravenhage 1925, p. 370; G. Mantese, La cappella musicale del duomo di Vicenza, in Note d’archivio per la storia musicale, XIX (1942), p. 180; F. Lesure - G. Thibault, Bibliographie des éditions d’Adrian Le Roy et Robert Ballard (1551-1598), Paris 1955, p. 37; G. Mantese, Storia musicale vicentina, Vicenza 1956, pp. 46-48; L.H. Lockwood, Vincenzo Ruffo and musical reform after the Council of Trent, in Musical Quarterly, XLIII (1957), p. 350; A. Gallo - G. Mantese, Ricerche sulle origini della cappella musicale del duomo di Vicenza, Venezia-Roma 1964, pp. 48 s.; L. Lockwood, A dispute on accidentals in sixteenth-century Rome, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte II, a cura di H. Hucke, Köln-Graz 1965, pp. 24-40; H.W. Kaufmann, The life and works of N. V. (1511 - c. 1576), Rome 1966; G. Barblan - A. Zecca Laterza, The Tarasconi codex in the library of the Milan conservatory, in Musical Quarterly, LX (1974), pp. 203 s., n. 47; M. Tiella, The archicembalo of N. V., in The English harpsichord magazine and early keyboard instrument review, I (1975), pp. 134-144; G. Cattin, Nel quarto centenario di N. V. teorico e compositore, in Studi musicali, V (1976), pp. 29-57; F. Rempp, Die Kontrapunkttraktate Vincenzo Galileis, Köln 1980, pp. 165 s.; R.J. Agee, The privilege and Venetian music printing in the sixteenth century, PhD diss., Princeton University, 1982, p. 222; P. Barbieri, I temperamenti ciclici da V. (1555) a Buliowski (1699): teoria e pratica ‘archicembalistica’, in L’organo, XXI (1983), pp. 129-208; E. Careri, Le tecniche vocali del canto italiano d’arte tra il XVI e il XVII secolo, in Nuova rivista musicale italiana, XVIII (1984), pp. 359-375; C.V. Palisca, Humanism in Italian renaissance musical thought, New Haven (Conn.) 1985; J.A. Bernstein, The burning salamander: assigning a printer to some sixteenth- century music prints, in Notes, XLII (1985-1986), p. 499; Milan, Biblioteca del Conservatorio di musica Giuseppe Verdi. The Tarasconi Codex, ed. facsimile a cura di J.A. Owens, New York 1986, pp. VI s., n. 48; S. Della Torre - R. Schofield, Pellegrino Tibaldi architetto e il S. Fedele di Milano, Como 1994, p. 37; M.R. Maniates, Introduction, in N. Vicentino, Ancient music adapted to modern practice, a cura di C.V. Palisca, New Haven (Conn.) 1996, pp. XI-LXIII; D. Daolmi, Don N.V. arcimusico in Milano. Il beneficio ecclesiastico quale risorsa economica prima e dopo il Concilio di Trento: un caso emblematico, Lucca 1999; T.R. McKinney, Point/counterpoint: V.’s musical rebuttal to Lusitano, in Early music, XXXIII (2005), pp. 393-411; P. Barbieri, Enharmonic instruments and music 1470-1900, Latina 2008, ad ind.; D. Gallagher, The arch musician, documentario della BBC Radio 3 (27 marzo 2010); Federico Borromeo e la musica: scritti e carteggi, a cura di M. Bizzarini, Roma 2012, p. 178; M. Kirnbauer, N. V. (1511-1577): ein biographischer Abriss, 2015, https://www.projektstudio31.com/blog/nicola-vicentino-1511-1577-ein-biographischer-abriss (28 aprile 2020); M. Pantarotto, Franchino Gaffurio e i suoi libri, in Ritratto di Gaffurio, a cura di D. Daolmi, Lucca 2017, pp. 55 s., 62 s., nn. 6, 19.