CARANDINI, Nicolò
Nacque il 6 dic. 1895 a Como, da Francesco, marchese di Sarzano, allora nella carriera prefettizia, e da Amalia Callery Cigna Santi.
Il padre, Francesco (1858-1946), fu poi prefetto a Verona nel 1920. Entrato in contrasto col governo Mussolini nel novembre 1922, fu retrocesso a Udine e nel maggio del 1923 dava le dimissioni ritirandosi a vita privata. I suoi studi di storia canavesana, in particolare il volume Vecchia Ivrea (Ivrea 1914; rist. 1927 e 1963), e le Memorie canavesane (ibid. 1963) costituiscono a tutt'oggi un valido repertorio di ricerche erudite per la storia locale.
Compiuti a Biella gli studi classici, il C., come ufficiale degli alpini, prese parte a tutta la grande guerra, poi nel '18 fu mandato in Libia. Congedato nel '19, si iscrisse alla facoltà di legge di Torino, impiegandosi intanto nella Filatura di Tollegno in Biella. Nel 1926 sposava Elena Albertini, figlia del senatore Luigi Albertini, e si trasferiva a Roma. Qui il C. si trovò in intimo contatto con L. Albertini, che lo ebbe confidente di idee e attese politiche, come pure attivo partecipe, assieme al cognato Leonardo Albertini, della bonifica di Torre in Pietra.
La misera zona dell'Agro Romano che costeggia la via Aurelia, paludosa, malarica, pressoché disabitata, divenne grazie al lavoro di venti anni un'azienda modello, altamente industrializzata, punto di riferimento dell'allevamento italiano per i rivoluzionari criteri zootecnici (raggiunse, per es., nella produzione delle lattifere frisone, livelli tra i più alti del mondo). I notevoli investimenti, assistiti dalle leggi di bonifica, consentirono di dar dimora ed occupazione a centinaia di salariati, sia del Lazio sia provenienti da zone depresse della Lombardia e del Veneto, ai quali era inoltre assicurata una gamma di servizi sociali (scuola, ambulatorio, ecc.). Per la sua struttura integrata e l'alta produttività, l'azienda di Torre in Pietra fu tra le poche esentate dallo scorporo previsto dalla legge-stralcio di riforma fondiaria del 1950.
Tramite gli Albertini, e altri amici, il C. ebbe in quel tempo i più amichevoli incontri con l'antifascismo liberale e democratico: dai Ruffini a Croce, a Sforza, Casati, Gallarati Scotti, Visconti Venosta, Ruini, Bonomi, Donati, De Gasperi. Furono suoi stretti amici V. Torraca, M. Ferrara, N. Papafava, L. Bracci, F. Burzio. Incontrò diplomatici e giornalisti stranieri, quand'essi, prima della guerra, cominciarono ad accostarsi agli antifascisti, e fu specialmente amico dell'ambasciatore C. U. von Hassell (che sarà giustiziato nel 1944 per la sua partecipazione nella congiura antihitleriana di quell'anno).
Da tali contatti e stimoli presero forma i due interessi dominanti del C.: il liberalismo con i suoi moderni problemi e la politica internazionale. Intense erano le sue letture storiche, politiche, diplomatiche, economiche. Nacquero così nel '43 due opuscoli con i quali egli si poneva, con atto di spontanea presa di coscienza, nel solco del movimento di ripresa del liberalismo: Primi chiarimenti e Realtà, diffusi dapprima dattiloscritti, stampati nell'agosto del '43 e poi distribuiti clandestinamente.
Caduto il fascismo, il C. si trovò a far parte di quel gruppo di liberali come M. Pannunzio, F. Libonati, D. Bartoli, L. Cattani, che con lui dettero vita al quotidiano Risorgimento liberale, in seguito organo ufficiale del ricostituito Partito liberale italiano. Nei mesi dell'occupazione tedesca di Roma, fu attivo nell'organizzazione politica clandestina, e dal 18 marzo '44 rappresentò ufficialmente il PLI nel Comitato di liberazione romano. Qui il C. rivelò le sue solide doti di buon senso e pragmatismo, conducendo una politica di distinzione dalle sinistre e dalla D.C., ma sostenendo, come anche dopo la Liberazione, una linea di collaborazione antifascista, in nome dei problemi da lui sempre ritenuti essenziali: la ricostruzione civile, materiale e morale del paese, e il prestigio italiano agli occhi degli alleati vittoriosi.
Chiara era la sua convinzione, confortata dall'esempio di esperienze pratiche e teoriche anglosassoni, che il nuovo liberalismo non potesse continuare direttamente la tradizione prefascista, ma pur collegandosi ad essa per i valori etici, filosofici, politici, economici (massimi maestri, il Croce, l'Einaudi, il Ruffini, l'Albertini) e per la fede nella coscienza e iniziativa individuale, dovesse, questo "neoliberalismo", fortemente aprirsi alle esigenze sociali del mondo contemporaneo tanto più in un'Italia che usciva devastata dall'esperienza fascista e bellica.
Da questa consapevolezza della necessità d'una rottura politica con la vecchia Italia, nacque, di fronte al maturare del problema istituzionale, la scelta repubblicana. Il C. si trovò così ad assumere un ruolo di leader tra le forze liberali più coincidenti, per motivi di generazione o d'idee, col suo liberalismo di sinistra. Tuttavia egli in quel momento, e poi sempre, benché non fosse alieno da scelte drastiche quando ogni compromesso apparisse inutile, riluttò a farsi partigiano e portatore di scelte troppo rigide. Ciò gli valse, col riconoscimento d'un ruolo primario da parte delle varie componenti liberali, in quel momento critico, la designazione a ministro senza portafoglio in rappresentanza del PLI succedendo a B. Croce (e da questo stesso richiesto). Il C. prestò giuramento il 28 giugno 1944.
La posizione del nuovo PLI veniva definita dal C., ufficialmente in un discorso tenuto a Roma, nel teatro Brancaccio, il 3 sett. 1944. Il nucleo politico-ideologico del documento sta nel tentativo di definire il Partito liberale come partito progressista ed insieme "di centro": di dare, cioè, concretezza alla teoria crociana della politica liberale come sintesi, nella libertà, di conservazione e progresso. Sulla questione istituzionale, il C., pur non celando la sua preferenza repubblicana, assumeva la posizione ufficiale del partito, che lasciava libera la scelta secondo coscienza.
Nel novembre 1944 veniva inviato a Londra come "rappresentante del governo italiano presso il governo britannico", con rango di ambasciatore.
La situazione che il C. doveva affrontare era difficilissima, politicamente e psicologicamente (la missione diplomatica è ricostruibile quasi giorno per giorno, grazie al diario personale del C., custodito presso la famiglia). L'opinione pubblica, gli ambienti ufficiali, la stampa erano tutt'ora assai ostili all'Italia, e del resto non informati o indifferenti riguardo agli sforzi di ricostruzione democratica in corso in Italia, e al contributo materiale e morale italiano alla guerra contro i Tedeschi. Prima d'intraprendere l'azione propriamente diplomatica, occorreva dunque stabilire le condizioni elementari di dialogo e d'informazione. A ciò il C. si dedicò in maniera particolare, facendo appello ai punti di riferimento di cui disponeva nella società politica, economica e intellettuale inglese. Intanto assolveva altri doveri inerenti alla sua missione, come la visita accurata e ripetuta ai campi di concentramento dei prigionieri italiani in Scozia e Inghilterra.
Quando, nel '46, si venne alle faticose e deludenti trattative per il trattato di pace, si dimostrò l'efficacia del lungo lavoro del C. che, se non era sempre riuscito ad assicurare la cordialità politica dei governanti e diplomatici alleati, almeno aveva garantito quella personale. Sul trattato stesso, la tesi del C. fu che esso dovesse, senza esitazioni, essere firmato e ratificato. Per questo giudizio egli si distingueva sia dal governo italiano, sia, soprattutto, dal suo partito, che sul trattato di pace s'espresse negativamente.
Del resto, al compimento della propria missione diplomatica il C. aveva sacrificato senza esitare notevoli possibilità di carriera politica. Eletto deputato alla Costituente (2 giugno '46), già il 9 luglio si dimetteva, appunto per non lasciare Londra; e quando De Gasperi, all'atto di costituire il primo suo ministero, gli offrì il portafogli degli Esteri, rifiutò. In effetti, egli non si sentì mai un politico "di professione".
Il bilancio dell'opera londinese del C. può essere considerato senz'altro positivo. La conferenza di Lancaster House e quella di Parigi lo videro attivissimo presso le principali delegazioni, nel preparare il terreno al difficile approccio alla pace. Va pure ricordata la sua azione di ricognizione per gli scottanti problemi dell'Alto Adige e di Trieste. Nel primo campo, il C. ebbe notevole successo nella preparazione di quelli che poi furono gli "accordi De Gasperi-Grueber"; quanto al secondo, l'esperienza da lui acquisita in quel periodo gli valse, nel '54, la nomina a capo della delegazione italiana che trattò con la Jugoslavia, l'Austria, la Cecoslovacchia e l'Ungheria i problemi del porto di Trieste e del suo retroterra.
La missione diplomatica ebbe fine con la partenza da Londra, il 15 ott. 1947. Il C. prese quindi ad interessarsi attivamente al movimento per l'unificazione europea; fu, tra l'altro, delegato alla conferenza dell'Aja nel 1949. Ma intanto si trovò alle prese con la crisi del PLI. Nel dicembre '47 il IV congresso liberale vide lo scontro tra l'ala destra e l'ala progressista, cui egli faceva capo, e ne seguì la scissione di quest'ultima. L'azione del C. fu ora volta a conservare il massimo di possibilità d'esistenza e incisività al nuovo liberalismo, contribuendo al mantenimento d'una rete di rapporti tra esponenti e gruppi d'eguale sentire. Decisiva, a questo riguardo, fu la fondazione del settimanale Il Mondo (diretto, dal suo inizio nel '49 alla fine della prima serie, nel '67, da Mario Pannunzio), del quale il C. fu tra i principali collaboratori e poi, dal '56 assieme ad Arrigo Olivetti, proprietario (50% pro capite).
Quando però nel '51, in seguito a una nuova evoluzione interna, il PLI tornò su posizioni centriste, il C. fu tra i promotori della riunificazione tra il partito e il gruppo che ora s'intitolava a Il Mondo. Nel '51, il PLI riunificato affrontava le elezioni, e il C. fu candidato nel Lazio per la Camera, ma, nonostante l'impegno, riuscì soltanto primo dei non eletti.
Poco dopo, con l'avvento alla segreteria di G. F. Malagodi, nacque una nuova incompatibilità. Si giunse a un decisivo contrasto circa la nuova linea di centrodestra (si affacciava già all'orizzonte, sia pur alla lontana, la prospettiva del centrosinistra), e con ciò una nuova scissione. Ora il C. e i suoi amici del Mondo, dopo molte esitazioni e discussioni, assieme ad altri elementi democratici, fondarono un nuovo partito, il Partito radicale (1955). Tuttavia, anche questa esperienza, cui il C. si dedicò con passione, in vista non di successi elettorali (ormai giudicati impossibili) ma di una efficace azione ideologica e politica per il rinnovamento civile del Paese, ebbe conclusione negativa. Nel '62 il C., insieme con la componente più strettamente liberale de Il Mondo, usciva dal Partito radicale.
Si raccolse ora sempre più nel suo lavoro di agricoltore e negli impegni di responsabilità direttiva assunti da anni. Già dal giugno '48 era presidente dell'Istituto di Credito fondiario (fino al '68; poi, presidente onorario). Ma il suo contributo principale fu quello dato come presidente dell'Alitalia (1948-1968; poi, presidente onorario). In esso, non si limitò a esercitare funzioni di rappresentanza, anzi mise a frutto le sue capacità imprenditoriali ed esperienze diplomatiche. Un particolare successo della sua politica aerea nazionale fu d'ottenere dagli USA la reciprocità dei diritti di traffico; fallì invece la sua iniziativa europeistica di costituire una Air Union tra le compagnie di bandiera dei paesi aderenti al MEC, per l'opposizione del presidente della Repubblica francese generale De Gaulle. Dal 1964 fu anche presidente della IATA (International Air Transport Association).
Gli ultimi anni di vita del C. videro il ritorno ad una passione intellettuale coltivata fin dalla giovinezza: gli studi umanistici. Frutto di queste meditazioni fu la traduzione d'una scelta delle Lettere a Lucilio di Seneca con il titolo Incontro con Seneca, Padova 1971; un testo a lui, antico lettore di Marco Aurelio e spirito religiosamente laico, assai congeniale.
Il C. morì, dopo una breve malattia, a Roma il 18 marzo 1972.
Fonti e Bibl.: necr. di G. Ghirotti, in La Stampa, 19 marzo 1972; di M. Missiroli, in Il Messaggero, 19 marzo 1972; in L'Unità, 20 marzo 1972; nel Times, 22 e 27 marzo 1972; nel New York Times, 19marzo 1972; F. Gabrieli, Amore di Seneca. Una scelta delle "Lettere a Lucilio" nella limpida e chiara trad. di N. C., in Corriere della Sera, 2 genn. 1972; L. Firpo, La versione di C., Fuga di Seneca, in La Stampa, 15 apr. 1972; G. Ferrara, L'amico del Marchi, in Il Mondo, 31 marzo 1972; F. Gabrieli, Ricordo di N. C., in La Nuova Antologia, aprile 1972, pp. 535 s.; H. Nicolson, Diaries and Letters 1939-1945, London 1967-68, I, pp. 416-468; II, pp. 73 s.; Lettere dall'America di G. Salvemini 1947-49, a cura di A. Merola. Bari 1968, ad Indicem; De Gasperi scrive..., a cura di F. R. De Gasperi, I, Brescia 1975, ad Indicem; P. Bonetti, Il Mondo 1949-1966. Ragione e illusione borghese, Bari 1975, ad Indicem; M. Missori, Governi,alte cariche... e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad Indicem (anche per Francesco).