NICOLO
NICOLÒ (Niccolò, Nicolao, Nicholaus). – Non si conosce l’area geografica di provenienza di questo scultore attivo nella prima metà del XII secolo, considerato in genere come appartenente alla cosiddetta Scuola emiliana. La sua opera si svolse soprattutto nell’Italia settentrionale in un arco cronologico e geografico piuttosto ampio.
L’eccezionalità della figura, rispetto ad altre coeve, si deve principalmente alla possibilità di seguire buona parte del suo percorso sulla base di indicazioni cronologiche piuttosto precise relative a diversi complessi architettonici, oltre che di testimonianze epigrafiche dirette. Il suo nome è riportato da almeno quattro iscrizioni monumentali dislocate tra Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. In altri contesti sono ancora le iscrizioni, sebbene prive del nome, ad attestare per via di notevoli affinità grafiche la presenza dell’artista, la cui biografia è in tal modo ricostruibile attraverso un excursus sulle opere a lui assegnate su base sia documentaria sia critica.
Il primo tentativo di ricostruzione filologica di una seriazione delle opere, e dunque di un curriculum professionale di Nicolò, fu proposto da David Robb (1930) e risulta sostanzialmente ancora plausibile, sebbene in precedenza e ancora in tempi più recenti (Zimmermann, 1897; Crichton, 1954; W. Sauerländer, in Nicholaus..., 1985, pp. 53-95) non siano mancate ipotesi di una diversa sequenza.
Dato fondamentale per la comprensione della biografia è l’attività in diversi edifici, iniziata con un certo scalamento cronologico, ma, visto l’impegno in cantieri di lunga durata, proseguita in contemporanea; ciò implica la nozione di un’attività itinerante, con il continuo spostamento tra le varie imprese sotto la sua responsabilità. Già dalle fasi precoci, pertanto, dovette essere affiancato da un numero non esiguo di collaboratori, che ne replicarono fedelmente lo stile, il quale resta assai ben caratterizzato, conservando inoltre un notevole eclettismo formale e al tempo stesso la più ampia apertura a progressivi accrescimenti del repertorio.
Per parte della critica del Novecento la sua formazione sarebbe avvenuta nel cantiere della cattedrale di Modena con lo scultore Wiligelmo (Venturi, 1904, p. 170), ma sulla base di un equivoco prodotto dall’attestazione di un artista di nome Guglielmo a fianco di Nicolò nelle sculture della facciata di S. Zeno a Verona. Si è anche pensato che fosse allievo diretto di Wiligelmo (Jullian, 1945; Quintavalle, 2003) e anche che fosse di provenienza transalpina (Jullian, 1945); altri studi negano contatti tra i due scultori (Vitzthum-Volbach, 1924; Toesca, 1927); è stata altresì ipotizzata una formazione clericale in ambiente cluniacense (Quintavalle, 1984). Certamente l’impiego insistito di iscrizioni nelle sue sculture è indice quantomeno di cultura grafica, ovvero di cultura letteraria in senso stretto.
La più precoce attività di Nicolò è oggi pressoché concordemente riconosciuta nel cantiere della cattedrale di Piacenza, fondata nel 1122. Qui l’artista collaborò con una maestranza di cultura wiligelmica, secondo una suddivisione dei compiti organizzata tra parte sinistra e parte destra dell’edificio e che coinvolgeva, oltre ad alcuni dei capitelli dei muri perimetrali interni, i portali della facciata: quello settentrionale riferibile agli scultori wiligelmici e quello meridionale a Nicolò e collaboratori. Il portale centrale, molto restaurato, conserva negli elementi superstiti i segni della collaborazione delle due maestranze. Nel prosieguo tuttavia Nicolò prese probabilmente la guida del cantiere, come provano le sculture della testata est (capitelli della cripta e del presbiterio, finestra absidale), fornendo agli scultori modelli che sarebbero stati utilizzati, con varie rielaborazioni, anche nelle fasi tarde del cantiere (dopo la metà del secolo), dando luogo a quella che è stata definita Scuola di Piacenza (Krautheimer-Hess, 1928). Parallelamente ai lavori alla cattedrale la maestranza guidata da Nicolò operò anche nell’atrio della chiesa di S. Eufemia (Verzár Bornstein, 1974).
In un tempo forse non molto distante dall’avvio degli impegni piacentini si colloca, all’interno di un programma di ricostruzione che si mostra debitore al cantiere della città emiliana, l’esecuzione di un portale per la chiesa abbaziale di S. Michele della Chiusa, in Val di Susa, detto Porta dello Zodiaco per la presenza di figurazioni astronomiche sulla fronte degli stipiti, che nei lati interni riprendono invece fedelmente il prototipo wiligelmico a tralcio abitato dei portali del duomo di Modena (Verzár, 1968; Lomartire, 1988).
Tra le numerose iscrizioni in esametri riportate sugli stipiti e su due capitelli figurati compare per la prima volta il nome dell’artista: «Vos legite versus quos descripsit Nicholaus», da riferire all’insieme coordinato di testo e immagine (ibid.). Il portale, incompiuto, fu collocato in opera nel cosiddetto ‘scalone dei morti’ forse alla metà del XII secolo. Un’altra iscrizione presente nella Porta dello Zodiaco, «Hoc opus intendat quisquis bonus exit et intrat», compare anche sull’architrave del portale sud della facciata del duomo di Piacenza, permettendo così di corroborare, non solo su base stilistica, l’attribuzione delle sculture piacentine a Nicolò (Robb, 1930). La connessione è accertata anche dall’ assoluta affinità grafica delle iscrizioni; un dato questo che si mantiene costante nelle altre opere riferibili a Nicolò, nelle quali l’elemento epigrafico è sempre presente.
Se la supposta attività di Nicolò nel cantiere della cattedrale di Parma (Quintavalle, 1984, p. 116; Vescovi, 2006, pp. 709-711) tende oggi giustamente a essere esclusa da buona parte della critica, gli studi più recenti individuano, sulla base dell’analisi stilistica e formale, la sua presenza diretta nel cantiere della cattedrale di Cremona, iniziato nel 1107 e riavviato a partire dal 1129 dopo le distruzioni causate dal sisma del 1117. È stata anche avanzata l’ipotesi che proprio Cremona sia il cantiere in cui ebbe inizio l’attività di Nicolò, quale collaboratore di Wiligelmo e della sua bottega (Quintavalle, 2003, p. 221).
L’intervento dell’artista è riconoscibile innanzitutto in numerosi elementi scultorei: sporadicamente nell’interno (capitelli fogliacei), e, all’esterno, nella zona absidale, nel portale del transetto settentrionale e soprattutto in quello della facciata (Lomartire, 2007B), che, insieme ai portali della cattedrale di Piacenza (in particolare quello centrale), costituisce il prototipo per i più tardi portali a Ferrara e a Verona. In questo genere di portale si osserva l’unione del tipo a strombature multiple di tradizione lombarda al protiro di ascendenza modenese; negli esempi più tardi si osserverà anche la precoce introduzione di lunette istoriate.
La cattedrale di Ferrara, fondata nel 1135, la cui costruzione verosimilmente iniziò l’anno successivo (Gandolfo, 1987), rappresenta la più compiuta realizzazione dell’artista, tanto che per taluni studiosi essa segnerebbe l’inizio della sua carriera (Zimmermann, 1897; Crichton, 1954); qui egli appose in forma altisonante la sua firma nel portale maggiore, preponendo al proprio nome la locuzione «artifex gnarus», a indicare le grande perizia riconosciutagli; si è invece rivelata una falsificazione la firma in volgare «mea fo l’opra Nicolao scolptore» che secondo gli eruditi locali (Baruffaldi, 1713, p. n.n. [ma 3]) si sarebbe letta un tempo nell’arco trionfale del duomo (Monteverdi, 1959). La straordinaria affinità che lega tra loro le diverse componenti dell’apparato scultoreo in quelle parti ancor oggi conservate dell’edificio originario ha suggerito giustamente l’ipotesi di un ruolo di Nicolò come architetto (De Francovich, 1952, pp. 305 s.; A. Peroni, in Nicholaus ..., 1985, pp. 259-270; A.C. Quintavalle, ibid., pp.169-231).
La struttura originaria, piuttosto ben conservata all’esterno e ricostruibile per l’assetto interno sulla base di disegni e incisioni (XVI-XVIII sec.), costituisce una vera e propria copia della cattedrale modenese, riproposta in scala assai maggiore e a cinque navate (Peroni, ibid., pp. 259-270). Perduta la nozione del tipo e della qualità delle sculture dell’interno, restano le partiture esterne a dare testimonianza del linguaggio peculiare dell’artista, che porta a maturazione le esperienze fino ad allora compiute, e che ha come elemento caratteristico la varietas dei temi e dei motivi decorativi, attinti alle fonti più diverse, dall’antico (Valenzano, 2006), alla decorazione eburnea bizantina (F. Zuliani, in Nicholaus...,1985, pp. 491-513), alla miniatura, ai repertori wiligelmici del tralcio abitato; a ciò si aggiungono numerose ‘invenzioni’ tanto nel lessico strutturale quanto in quello formale, che costituiscono una sorta di marchio caratteristico dell’officina.
Nel portale maggiore (riecheggiato in forme meno esuberanti dalla distrutta porta dei Pellegrini, o dei Mesi, sul lato sud) trovano espressione al massimo grado i vari elementi del repertorio di Nicolò, disposti sul protiro – dove compaiono, coma già a Piacenza, i due S. Giovanni – e sui ricchi profili a cordonature multiple già sperimentati in nuce a Piacenza e in forme più distese a Cremona e sui quali trovano ora posto statue-colonna (Profeti e Annunciazione) che sono state considerate il primo esempio italiano di tale tipologia e sono anche state poste, poco convincentemente, in relazione con analoghi esempi a Tolosa o a Chartres. A questi elementi di indubbia novità si aggiunge la lunetta scolpita con S. Giorgio, che contiene la firma dell’artista in due esametri. Il tipo del portale con statue-colonna sarà riproposto dall’artista e dalla sua bottega in opere più tarde. Persino i versi con il nome dell’artefice saranno ripresi pressoché identici nelle opere veronesi.
Quanto al ruolo invocato per Nicolò nella chiesa dell’abbazia imperiale di Königslutter, in Bassa Sassonia, l’indubbia alta qualità soprattutto del fregio di caccia collocato a metà altezza dell’abside maggiore e inoltre di due telamoni, di alcune colonne e relativi capitelli del chiostro, e infine di alcuni capitelli all’interno del presbiterio ha fatto pensare alla presenza diretta del maestro (Gosebruch, 1980; Id., in Königslutter und Oberitalien, 1980, e in Nicholaus ..., 1985, pp. 115-149), anche con ipotesi di una sua firma criptica (Weigel, 1985).
Certamente le opere mostrano una conoscenza diretta delle coeve realizzazioni nicoliane, a tal punto che è inevitabile ricondurle a un piccolo gruppo di gruppo di scultori capeggiato forse dal maestro stesso, o comunque da uno dei suoi più stretti e validi collaboratori. Le realizzazioni nicoliane di Königslutter rappresenteranno poi dei modelli per una serie cospicua di sculture in Bassa Sassonia (Königslutter und Oberitalien, 1980, pp. 84-162).
L’eco del lungo e imponente cantiere ferrarese non mancò di mostrarsi, possibilmente tramite l’intervento diretto del maestro e del suo atelier, in altri edifici e contesti, a partire dalla lunetta della contigua chiesa di S. Romano (Tigler, 2010, ma va detto che questa denuncia l’assonanza con le contemporanee opere veronesi di Nicolò), fino a Pomposa (sostegni dell’antico chiostro: Gandolfo, 1987), e poi a Carpi (pulpito della ‘Sagra’, intorno al 1141: Quintavalle, 1969) e a Modena (colonna davanti all’abbaziale di S. Pietro: Lomartire, 2008); invece non possono essere riferiti, come è stato sostenuto (Quintavalle, 2006B), allo stesso atelier i rilievi provenienti dall’antica cattedrale di Bologna.
L’esempio del sistema protiro-portale di Ferrara, con il suo peculiare lessico decorativo, fu riproposto entro breve tempo in forme amplificate nel duomo di Verona (1139), dove al complesso delle statue-colonna Nicolò aggiunse due grandi figure di paladini (Orlando e Olivieri) sugli stipiti esterni. Se per questo edificio l’intervento nicoliano, limitato al portale, dovette far parte della campagna edilizia conclusiva, quello per la chiesa abbaziale di S. Zeno (1138) fu più articolato (Valenzano, 1993). A fronte dell’abbandono del tipo di portale a strombature con statue-colonna (connesso alle proporzioni del ricco portale bronzeo), il sistema dell’accesso rimane però immutato: il protiro – con i due S. Giovanni (che compaiono pure nel duomo veronese) e gli Evangelisti, e sulle mensole piccoli telamoni e le raffigurazioni dei Mesi – che inquadra una lunetta scolpita e un architrave istoriato.
Ai lati del portale si collocano, come su due valve di un dittico eburneo, pannelli istoriati che portano a destra Scene del Genesi e storie del re Teodorico, firmate da Nicolò, e a sinistra Scene neotestamentarie e di combattimento che portano la firma di Guglielmo (Kain, 1981), che talora è stato visto come discepolo presente a fianco del maestro già a Piacenza (Quintavalle, 2003, p. 221). I capitelli dell’interno della chiesa ripetono, con alterno livello di qualità, modelli nicoliani, testimoniando un impegno più articolato di Nicolò nel cantiere (Valenzano, 1993).
Può apparire singolare che, a fronte di diverse celebrazioni epigrafiche, per colui che dovette essere l’artista-impresario considerato di più alto livello e probabilmente il più richiesto all’epoca, non restino invece tracce documentarie e nemmeno dati circa la sua morte o il luogo di sepoltura, che possiamo immaginare in uno degli edifici in cui maggiore era stato il suo impegno. A ogni modo, l’attività di Nicolò può ritenersi conclusa intorno alla metà del XII secolo, o forse poco dopo.
L’impegno in molti tra i più importanti cantieri dell’Italia settentrionale della prima metà del XII secolo – impegno da ritenersi svolto in contemporanea – ha comportato la disseminazione dello stile del maestro e del suo repertorio, straordinariamente variegato e al tempo stesso razionalmente definito, in un numero piuttosto consistente di collaboratori, così che oggi si può considerare la ‘firma’ di Nicolò, forse ancor più di quanto non fosse pratica corrente nel Medioevo, una sorta di marchio di fabbrica che garantiva la qualità delle realizzazioni.
Un rapporto diretto con l’atelier nicoliano delle fasi più avanzate va individuato nella lunetta con Cristo tra i ss. Vitale e Marziale dall’abbazia di Leno, oggi nei Musei di S. Giulia di Brescia (Lomartire, 2007A, p. 150). Inoltre, sono stati giustamente considerati derivazioni, più o meno dirette, dalle tarde opere veronesi i resti di un portale con statue-colonna provenienti dal duomo di S. Ciriaco di Ancona (Quintavalle, 2002; Vescovi, 2006) e, in una data più tarda (post 1165) i rilievi reimpiegati sulla facciata di S. Giovanni in Venere a Fossacesia (Chieti; Gandolfo, 2004; Pace, 2004).
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