Vedi Niger dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Niger è una repubblica semipresidenziale nel cuore dell’Africa saheliana. Ex colonia francese, indipendente dal 1960, ha avuto una storia politica travagliata, in cui colpi di stato e ribellioni si sono succedute fino ad anni recenti. I tuareg nigerini sono insorti a più riprese negli anni Sessanta e poi nuovamente negli anni Novanta e nel 2007, spesso unendo la loro ribellione a quella dei gruppi tuareg maliani, poiché le rivendicazioni sono sempre state speculari. Le istanze indipendentiste e autonomiste delle popolazioni nomadi si sono coniugate con richieste di una più equa redistribuzione delle risorse e una maggiore partecipazione e rappresentanza nella vita politica del paese.
Più di metà della popolazione nigerina appartiene al gruppo degli hausa e dei djerma songhai. Come per i gourmantche, si tratta di popoli per lo più stanziali, residenti nel sud, che praticano l’agricoltura per vivere. Il nord del Niger, arido e desertico, è invece territorio dei gruppi seminomadi fulani, tuareg, kanuri, e toubou, che costituiscono circa il 20% della popolazione e che trovano nell’allevamento la loro fonte tradizionale di sostentamento.
Il Niger, come altri stati della fascia saheliana, è estremamente condizionato dalla dualità della sua geografia. Mentre le attività produttive che garantiscono la sicurezza alimentare sono per lo più concentrate nel sud e nel sud-est, in corrispondenza delle sponde del fiume Niger, le materie prime e le infrastrutture estrattive si concentrano nel centro del paese, nei pressi di Arlit e Agadez. L’estremo nord del paese, che confina con Algeria, Libia e Ciad, è invece una zona desertica, con confini porosi. Si tratta di un’area di grande importanza per la sicurezza nazionale e internazionale, poiché rappresenta un importante snodo logistico per lo scambio di armi e per i traffici illeciti, utilizzato dalle organizzazioni terroristiche operanti nel Sahel, prima fra tutte Aqim (al-Qaida nel Maghreb islamico). Si inseriscono appunto in questo contesto le attività di messa in sicurezza e di anti-terrorismo degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali nell’Africa saheliana.
Oltre alle tensioni irrisolte fra governo centrale e popolazioni seminomadi e la recrudescenza terroristica degli ultimi anni, Niamey ha dovuto fare i conti con l’enorme fragilità delle sue istituzioni politiche. Il paese ha ritrovato una sorta di stabilità soltanto a partire dal 2010. Nel 2009, l’allora presidente Mamadou Tandja aveva prolungato il suo mandato tramite un artificio costituzionale, indicendo un referendum popolare per decretare la fine della quinta repubblica e l’inizio della sesta. Ciò gli avrebbe assegnato la carica di presidente per i successivi tre anni di transizione. La comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) invitò allora Tandja ad aprire un dialogo con l’opposizione, che intendeva boicottare il referendum. La mancata accettazione delle richieste dell’Ecowas da parte di Tandja indusse l’organizzazione a sospendere il Niger dalla stessa. Il risultato del referendum fu favorevole al presidente, sebbene siano state numerose le accuse di violenze e brogli.
Nel febbraio del 2010, dopo mesi di stallo politico, il generale Salou Djibo fu tra i principali autori della destituzione di Tandja, assumendo la carica di presidente del Consiglio supremo per la restaurazione della democrazia (Csdr). Il rovesciamento incostituzionale di governo ha provocato la condanna della comunità internazionale e in particolar modo dell’Unione Africana, che ha anch’essa sospeso il Niger dall’organizzazione. Tra il gennaio e il marzo 2011 si sono tenute nuove elezioni presidenziali, che hanno decretato la vittoria di Mahamadou Issoufou, uno dei leader dell’opposizione, e segnato l’avvio del ritorno alla democrazia.
Il Niger è l’ultimo paese al mondo secondo l’indice di sviluppo umano. Più dell’80% della popolazione vive in zone rurali e quasi il 40% del pil dipende dal settore primario (agricoltura e pastorizia). L’età mediana è tra le più basse al mondo (15,5 anni) e il paese mantiene il non invidiabile record del più alto tasso di fecondità al mondo (7,56 nati in media). Il 40% circa dei bambini vive in condizioni di malnutrizione e solamente poco più del 50% della popolazione ha accesso all’acqua potabile. L’avvicendarsi di governi militari ha inoltre sensibilmente ridotto le libertà democratiche e non ha favorito lo sviluppo di un ambiente pluralista e men che meno aperto.
Nonostante le condizioni precarie in cui versa la maggioranza della popolazione, il tasso di crescita reale del pil rimane ancora alto (4,3%), un traguardo che il paese raggiunge grazie agli investimenti diretti esteri avviati nei settori dell’edilizia (costruzione di strade e dighe in primis), dell’energia elettrica e dell’estrazione mineraria e petrolifera. Tale abbondanza di minerali ha permesso al Niger di sviluppare un interessante indotto dell’uranio divenendo il quarto produttore mondiale. Tra i progetti realizzati più di recente vi sono la prima raffineria di idrocarburi a Zinder, interamente finanziata dalla China National Petroleum Corporation (Cnpc), e l’apertura nel 2013 a Imouraren della seconda miniera di uranio più grande al mondo, gestita da Areva, società statale francese già operante in Niger. Proprio la Francia, i cui siti nucleari dipendono per un terzo dall’uranio di Niamey, è il primo paese donatore e uno dei maggiori partner commerciali. La presenza cinese è in forte aumento. I proventi dell’uranio sono una delle maggiori ragioni di contesa fra popolazioni tuareg e stato centrale e rappresentano una delle principali rivendicazioni del Mouvement des Nigériens pour la Justice (Mnj), che opera nella regione settentrionale di Agadez.
La rivolta tuareg del 2007-09 si è conclusa con la firma di un accordo di fine ostilità siglato a Tripoli e che vide partecipe Mu’ammar Gheddafi quale mediatore. L’intesa ha posto le basi per una maggiore decentralizzazione e per l’effettiva integrazione di alcuni leader tuareg nelle istituzioni politiche nazionali. La parziale riuscita dei negoziati è stata alla base della rinuncia dei tuareg nigerini ad appoggiare gli omologhi maliani durante la crisi del 2012-2013. Ciononostante, permangono tensioni sottese, nonché il rischio che si possa verificare una futura congiunzione fra movimenti tuareg e Aqim. Le tensioni sociali – già alimentate da questioni politiche, dall’aridità, dalla siccità e dalla desertificazione che affliggono in misura sempre maggiore il paese – potrebbero ulteriormente aumentare a causa del flusso di rifugiati provenienti dal Mali, che ha ampliato la fascia povera della popolazione.
Il miglioramento dell’economia è fortemente legato ai piani varati dall’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa) e a quelli adottati dalla Comunità degli stati sahelo-sahariani (Cen-Sad). Il Niger condivide insieme a 14 paesi dell’area ovest-africana la valuta, il franco Cfa, e una banca centrale (la Bceao – Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale) solo con Benin, Burkina, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Senegal e Togo.
La minaccia terroristica costituisce un serio problema alla sicurezza nazionale dei paesi della fascia sahelo-sahariana. Nel tentativo di contenere e debellare la minaccia, da oltre un decennio gli Stati Uniti hanno lanciato programmi e dispositivi di sicurezza intergovernativi mirati alla stabilizzazione dell’area. Tra questi rientrano il Pan Sahel Initiative (2002-2005) e il suo seguito, il Trans-Sahara Counter-Terrorism Initiative (Tscti). Quest’ultimo programma, che aveva il compito di addestrare, equipaggiare e coordinare in missioni di anti-terrorismo le truppe di Ciad, Mali, Mauritania e Niger, ha cessato di esistere nel 2008, venendo in parte inglobato nel comando Us Africom, di stanza in Burkina Faso. Tuttavia la sua componente militare è stata lasciata inalterata e ricondotta nella Operation Enduring Freedom-Trans Sahara (Oef-Ts), un’iniziativa ideata con finalità di eliminazione delle reti terroriste transnazionali e delle loro infrastrutture. Nel tentativo di fornire migliori strumenti anche alle popolazioni locali nella lotta al terrorismo islamista e in coincidenza con la guerra in Mali, agli inizi del 2013, cento soldati statunitensi furono inviati ad Agadez, nel Niger centrale, per installare una base militare e per fornire compiti di addestramento delle forze locali e africane in generale. Obiettivo finale della missione Usa era la raccolta di informazioni utili per possibili operazioni sul campo di intelligence contro i gruppi jihadisti nell’area. In aiuto delle truppe anche i droni Usa utili alla localizzazione e all’attacco dall’alto dei siti logistici ritenuti di alto livello. Data la sua vicinanza con il Mali e il nord della Nigeria, territorio di attività di Boko Haram, il Niger è diventato uno dei pilastri della sicurezza saheliana e un partner fondamentale per l’Occidente nella lotta al terrorismo islamista. Nonostante i numerosi sforzi profusi dal governo e dagli alleati occidentali (su tutti Francia e Usa) nello smantellamento delle reti terroristiche africane, resta ancora alto il livello di attività e di pericolosità di Aqim e delle altre cellule jihadiste nella regione.
Approfondimento
Il Niger è un paese poco conosciuto che occupa una casella strategica nello scacchiere geopolitico del Sahel. Come effetto diretto della fine del regime di Mu’ammar Gheddafi in Libia (2011) e della conseguente guerra in Mali (2013), infatti, la nazione più povera del mondo secondo l’Indice di sviluppo umano è diventata un crocevia di traffici e conflitti per il dominio di una vasta regione desertica apparentemente incontrollabile. Migrazioni e terrorismo sono le due parole-chiave del Niger contemporaneo. Senza un’analisi delle attuali declinazioni di tali fenomeni, infatti, risulterebbe impossibile capire la profonda crisi interna e l’elevato credito offerto dal contesto globale che sta vivendo questo paese.
Il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, è oggi alle prese con il malcontento della popolazione che è stata fortemente impoverita durante i quattro anni di governo e che difficilmente accetterà una sua rielezione nel 2016. Il despota amico della Francia continua a reprimere ogni forma di dissidenza, incarcerando attivisti e intellettuali senza grandi proteste della comunità internazionale. Nella visione post-coloniale che caratterizza l’approccio delle grandi potenze coinvolte (Francia, Usa, Algeria), Issoufou rappresenta un’importante garanzia alla propagazione del terrorismo neo-jihadista e della migrazione irregolare, due demoni dell’Occidente odierno.
Con lo scoppio della guerra nel nord del Mali fra l’esercito francese – intervenuto in appoggio a quello maliano – e gli jihadisti di al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim) – che hanno occupato, grazie all’alleanza con gli indipendentisti tuareg dell’Mnla (Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad), i due terzi settentrionali del paese – sono cambiati gli equilibri di potere in tutto il Sahel. I francesi che bombardando Aqim sono riusciti a fermarne l’avanzata verso Bamako, come contropartita hanno ottenuto il controllo di alcune basi perdute alla fine del colonialismo e contese con gli Usa. L’Operazione Serval dispiegata nel nord del Mali si è trasformata nell’agosto 2014 in una missione antiterrorismo permanente su base regionale (Barkhane) con oltre 3000 soldati, forze speciali, droni, aerei, elicotteri, mezzi e basi sparsi fra Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Un dispositivo che si affianca e compete con la presenza militare statunitense (Africom) in un territorio che collega le coste occidentali dell’Africa al cuore orientale del continente e che registra grande ricchezza di risorse naturali (uranio, petrolio, oro e diamanti). In questa missione francese il Niger, con le basi di Niamey, Arlit e Madama, rappresenta uno snodo importante, considerato che le rotte dei traffici illeciti (cocaina, armi, sigarette ed esseri umani) hanno dovuto deviare dal troppo affollato Mali per approdare nel deserto nigerino che geograficamente collega Libia e Algeria al Sahel. Anche i migranti, merce illecita come le altre, sono stati costretti a cambiare rotte, trasformando Niamey, Agadez, Dirkou e Arlit nei centri di transito più frequentati della regione. Se alla minaccia jihadista del vicino Mali si somma la pressione della setta islamista nigeriana Boko Haram alla frontiera sud si ha un quadro più completo della centralità del Niger. Da inizio anno, cioè da quando Boko Haram si fa chiamare “Stato Islamico in Africa occidentale”, sono cominciati gli attacchi al di fuori dei confini della Nigeria nell’intera zona del Lago Ciad. In territorio nigerino le zone più colpite da tali scorrerie sono quelle di Bosso e Diffa. Come risposta a tale cambiamento strategico, gli stati che condividono le sponde del Lago Ciad (Ciad, Niger, Nigeria e Camerun) hanno istituito una forza multinazionale per sconfiggere militarmente Boko Haram. Ma dopo un primo periodo di successi ottenuti soprattutto grazie all’intelligence di Francia e Usa e alle capacità belliche del Ciad, da metà 2015 la situazione sul terreno registra una fase di stallo di cui ha approfittato la setta islamista per riorganizzarsi e tornare a colpire. Oltre ai continui attacchi kamikaze, la regione di Diffa, la più povera del più povero paese al mondo, è allo stremo per la crisi dei profughi nigeriani e degli sfollati interni nigerini in fuga dall’orrore di Boko Haram.
A profughi e sfollati, arrivati a 200.000 su una popolazione di 500.000 abitanti, secondo dati Un/Ocha dell’ottobre 2015, si aggiungono i migranti che, incuranti di tali giochi di potere, continuano a marciare. Secondo le più recenti stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Iom) disponibili, infatti, sarebbero circa 200.000 gli africani subsahariani che ogni anno transitano da Agadez, piccola cittadina del Niger alle porte del Sahara. Ad Agadez esiste un centro d’accoglienza per migranti costruito con fondi europei e gestito dall’Iom che sta per essere ampliato. Da quando è venuto a mancare il ‘gendarme’ Gheddafi che, con metodi discutibili, gestiva e rallentava i flussi migratori verso l’Europa, la prima frontiera a sud di Lampedusa è diventata proprio il Niger. Attraverso accordi bilaterali e convenzioni di cooperazione fra Unione Europea e paesi dell’Africa occidentale (vedi Processo di Khartoum e Processo di Rabat, il primo del 2014 e il secondo lanciato già nel 2006, ma su cui è stato raggiunto un accordo sempre nel 2014) paesi di transito come il Niger sono diventati preziosi partner nel tentativo europeo di esternalizzare il controllo e la dissuasione dei migranti in arrivo nel Mediterraneo.
di Andrea de Georgio