NINO Pisano
NINO Pisano. – Figlio e allievo di Andrea Pisano (Andrea di Ugolino di Nino da Pontedera) e fratello di Tommaso, nacque, probabilmente a Pisa, intorno al 1315.
Sviluppò gli insegnamenti del padre verso un maggiore goticismo, un approfondimento della definizione sentimentale dei personaggi, una suprema finitura delle superfici, e dominò la scultura pisana nei due decenni dopo la metà del secolo XIV, con opere esemplari che furono imitate dagli artefici successivi, a iniziare dal meno dotato Tommaso.
La ricostruzione della sua personalità è un problema storiografico ancora aperto: nella scarsezza dei documenti pervenuti, uno solo dei quali si riferisce a un’opera conosciuta, essa si basa sulle tre opere (non datate), in cui il nome dello scultore compare nelle iscrizioni che vi appose. Rimangono ancora non risolti i problemi relativi alla definizione della sua attività all’interno della bottega paterna, a una ricostruzione attendibile e condivisa del corpus di opere a lui attribuibili, alla cronologia relativa delle opere attribuite, all’operosità della bottega e alla continuazione dell’attività della stessa dopo la sua morte.
Crebbe nella bottega paterna, impegnata a Firenze negli anni Trenta del secolo nella realizzazione della porta bronzea del battistero e in seguito nella decorazione scultorea del campanile del duomo. Una parte della critica moderna riconosce i suoi inizi in quest’ultima decorazione, attribuendogli l’esecuzione di alcuni bassorilievi dei primi due ordini e di alcune statue a figura intera di Profeti e Sibille.
L’ipotesi più coerente in merito (Kreytenberg, 1984) riferisce a Nino almeno otto rilievi dei primi due ordini del campanile e quattro statue, tra le quali il Re David e le Sibille Tiburtina ed Eritrea; accolta da Pope-Hennessy (1985) e da altri studiosi, la proposta individua, all’interno della bottega di Andrea, la linea di tendenza che più anticipa lo sviluppo successivo dello stile di Nino.
A partire dal 1343 Andrea ebbe bottega a Pisa dove eseguì alcuni capolavori quali la Madonna del Latte proveniente dalla chiesa della Spina (Pisa, Museo di S. Matteo) e le statue della Madonna col Bambino (Madonna della Rosa) e di S. Giovanni Battista e S. Pietro ancora conservate nella stessa chiesa. A lungo queste opere furono riferite al solo Nino; gli studiosi più recenti le attribuiscono al solo Andrea, o a una collaborazione fra i due artisti nella quale il ruolo ideativo spetterebbe al padre e Nino sarebbe solo un esecutore subordinato.
Le statue della chiesa della Spina sono citate da Vasari (nelle Vite del 1568, pp. 158 s.) con riferimento a Nino, e di esse lo scrittore loda in particolare la finitezza delle superfici. L’opinione vasariana fu seguita fino a tempi moderni, mentre la critica recente coglie le differenze esistenti con le opere firmate di Nino, notando come l’equilibrio formale e plastico che pervade le statue faccia propendere per una responsabilità diretta di Andrea. All’interno delle opere eseguite negli anni Quaranta da Andrea e dalla bottega (che comprendono il rilievo con S. Martino e il povero della chiesa di S. Martino, e la Madonna col Bambino già sulla facciata del duomo di Pisa, oggi al Museo dell’Opera) un certo consenso nel riferimento a Nino è raccolto dalla statua di S. Pietro della chiesa della Spina (Burresi, 1983).
L’emergere della personalità autonoma di Nino avviene nella tomba dell’arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli nella chiesa di S. Caterina. Anche se l’impostazione monumentale del sepolcro (oggi manomesso) poté spettare ancora ad Andrea, fu Nino a ideare ed eseguire le singole parti, mostrando autonomia e originalità nei bassorilievi del basamento che sviluppano una concezione spaziale nuova per la scultura pisana e non priva di riferimenti a quella senese.
Il domenicano Simone Saltarelli morì a Pisa il 24 settembre 1342. La sua tomba, in origine conservata nella navata sinistra della chiesa, fu danneggiata da un incendio nel 1651, e più volte smontata e trasferita all’interno dell’edificio. Oggi si presenta come una grande ‘macchina’ sostenuta da una base con rilievi raffiguranti episodi della vita del prelato, alla quale si sovrappongono la camera funeraria chiusa da colonnine col gisant dell’arcivescovo all’interno e due angeli reggicortina esterni, uno zoccolo con il rilievo dell’animula del prelato portata in cielo e il tabernacolo tricuspidato con il gruppo della Madonna col Bambinocon due angeli; completano l’opera due figure stanti di santi domenicani. Alla tomba poteva appartenere un polilobo con Cristo benedicente del Museo di S. Matteo (dal Seminario arcivescovile di S. Caterina), che per qualità esecutiva è opera comunque riferibile a Nino.
Il 18 novembre 1348 (1349 in stile pisano) Nino ricevette lasciti testamentari per conto di altre persone (Fanucci Lovitch, 1991, p. 224); si tratta della più antica attestazione documentaria dell’artista.
Dall’atto si ricava la notizia della morte di Andrea (ibid., p. 10), deceduto forse poco tempo prima. Nino risiedeva nella cappella pisana di S. Lorenzo alle Rivolta, come in tutti gli atti posteriori; nella stessa cappella risiedeva anche il fratello Tommaso, probabilmente minore di età. Da atti successivi alla morte di Nino conosciamo il nome della moglie, Giovanna di Matteo di ser Guelfo (ibid., p. 275), quelli dei figli Andrea, Mattea e Bendetta (ibid., p. 284; nell’ultimo caso permane qualche incertezza nell’identificazione).
Il 22 ottobre e il 17 novembre 1349 ricevette pagamenti come capomaestro dell’Opera del duomo di Orvieto, per la quale aveva lavorato almeno a partire dal luglio precedente. In questo incarico dovette subentrare al padre Andrea, capomaestro fra il 1347 e il 1348, e rimase per un breve periodo: all’inizio del 1351 già gli era subentrato Matteo di Ugolino.
A Nino è stata spesso riferita una straordinaria Madonna col Bambino marmorea del Museo dell’Opera di Orvieto, ma l’attribuzione è respinta dalla critica moderna (cfr. Lányi, 1933) che la ritiene opera di Andrea, identificandola forse con la Maestà da lui portata ad Orvieto nel 1348. Può essere di Nino la statua del Cristo eucaristico seduto, con due angeli inginocchiati, posta nella lunetta della porta del Corporale, ma di incerta pertinenza originale.
Al periodo iniziale di attività autonoma di Nino, negli anni Cinquanta del secolo, appartengono la Madonna col Bambino della chiesa di S. Maria Novella a Firenze e il Santo vescovo della chiesa di S. Francesco a Oristano.
La Madonna fiorentina, che reca l’iscrizione «HOC OPUS FECIT NINUS MAG[IST]RI ANDREE DE PISIS», mostra attenzione a modelli francesi, e si distacca dal ‘classicismo gotico’ di Andrea e dai modelli giotteschi seguiti dal padre. Caratteristici dell’arte di Nino sono l’allungamento della figura principale e l’accentuato piegarsi su un fianco, il panneggio complesso e in parte indipendente dal movimento naturale del corpo, il volto marcatamente ovale e il sorriso evidenziato della Madonna, segni di ricerca di ‘grazia’ formale e di tipizzazione dei personaggi. Altro tratto evidente e costante del fare artistico di Nino è l’estrema politezza della finitura del marmo, che testimonia la padronanza di un raffinato magistero tecnico. È l’unica opera dell’artista ricordata da Vasari nella prima edizione delle Vite (1550); nella seconda (1568) è detta iniziata dal padre e terminata da Nino, nonostante l’iscrizione, che lo scrittore non menziona. Le opinioni sulla datazione sono molto varie. Kreytenberg (1984) e Burresi (1983) anticipano la statua agli anni Quaranta del secolo; Fiderer Moskowitz (1986) la data agli anni Sessanta, dopo la Madonna di Venezia, secondo una visione opposta e non condivisibile dell’evoluzione dello stile di Nino.
Il Santo vescovo di Oristano (forse S. Basilio), presenta la sottoscrizione «NINUS MAGI(S)TRI ANDREE DE PISIS ME FECIT»; nonostante questo, molti studiosi hanno pensato a un’opera eseguita da aiuti e a un’iscrizione apposta come ‘marchio’ di bottega. Si tratta, in realtà, di un pregevole autografo ‘giovanile’, vicino alla gravitas dei modi di Andrea, che mostra per la prima volta quel volto virile con la barba bipartita e ricadente a tortiglione che si incontra in molte figure posteriori di Nino e della bottega. La statua ha avuto scarsa fortuna critica per la sua posizione periferica e per il fatto di presentare una tipologia iconografica poco accattivante. La collocazione cronologica proposta oscilla all’interno dell’intera attività di Nino (Fiderer Moskowitz, agli anni Quaranta; Kreytenberg, ai tardi anni Sessanta).
Fra l’aprile e il maggio 1358, secondo quanto dicono tre distinti documenti (Fiderer Moskovitz, 1986, pp. 204-207), l’Opera del duomo di Pisa consegnò a Nino e agli orafi pisani Coscio del fu Gaddo e Simone detto Baschiera una gran quantità di argento per l’esecuzione di una tavola «cum figuris schultis», ornata delle armi smaltate dell’Opera, destinata a essere posta sull’altare maggiore in particolari occasioni; dell’opera non si conoscono ulteriori attestazioni. Nel maggio 1358 Nino ricevette un fiorino dal Comune pisano per la sistemazione di una tuba d’argento (ibid., p. 206).
I documenti testimoniano l’attività orafa di Nino, della quale non restano esempi. L’argento dato a Nino e agli altri orafi proveniva da quello che l’Opera aveva consegnato a Gaddo di Giovanni, padre di Coscio, a Meo (di Tale) e a Francesco di Colo nel 1346 per l’esecuzione di una cintola simile a quella che si usava nella festa dell’Assunta per circondare il duomo; l’oggetto non era stato terminato per la scomparsa di Gaddo e Meo e l’argento era stato riconsegnato dagli eredi alla fine del 1349. Dal contesto sembra che Nino, Coscio e Simone formassero una ‘compagnia’ di maestri analoga a quella del 1346, per l’esecuzione di un manufatto di particolare importanza.
Nel marzo 1362 a Nino fu ordinata la tomba dell’arcivescovo di Pisa Giovanni Scarlatti (o Scherlatti), da eseguire in 15 mesi, destinata al presbiterio del duomo di Pisa. L’atto di commissione lo definisce «aurifex et magister et sculptor lapidum» (ibid., p. 207); la struttura del sepolcro, semplice e simile a quella della tomba di Ligo Ammannati (Pisa, Camposanto, ordinata nel 1359 a Puccio di Landuccio e altri tre scultori), è descritta nell’atto nelle componenti sia architettoniche sia iconografiche, con riferimento a un disegno fornito dallo scultore. Il frontale della cassa (Pisa, Museo dell’Opera) costituisce il documento artistico più importante per la ricostruzione della maturità di Nino. I personaggi sono rilevati dal fondo della lastra quasi fossero appliques metalliche eseguite a sbalzo, con un riferimento ai modi dell’arte orafa. Il dolore dei personaggi e degli angeli che li inquadrano arriva in maniera diretta allo spettatore, ma è contenuto all’interno di un equilibrio formale in parte legato all’insegnamento paterno, in parte aggiornato sulle preziosità provenienti dalla Francia. La cura meticolosa nel trattamento superficiale del marmo (in origine completato da finiture policrome e dorature) e nella resa dei panneggi ha pochi termini di paragone nella scultura dell’epoca.
Dopo l’incendio del 1595 la tomba Scarlatti fu spostata prima all’interno del duomo e poi nel vicino Camposanto. I suoi resti si confusero con quelli del sepolcro dell’arcivescovo Francesco Moricotti fino al 1986, quando le tombe furono in parte ricomposte nel Museo dell’Opera. Del monumento rimangono il gisant e il frontale della cassa con, in tre riquadri, da sinistra, la Madonna dolente, Cristo in Pietà, S. Giovanni Evangelista; ogni personaggio è fiancheggiato da due figure di Angeli. Possono aver fatto parte del monumento due statuine di Angeli stanti (Pisa, Museo di S. Matteo; Parigi, Louvre) forse identificabili con gli angeli che secondo il contratto dovevano accompagnare il giacente. Dubbia la pertinenza di due statuette di S. Pietro e S. Paolo oggi esposte ai fianchi del monumento; il contratto prevedeva due immagini di questi santi, ma doveva trattarsi di rilievi destinati ai fianchi della cassa.
Un problema non risolto è quello della paternità del sepolcro Moricotti. Di quest’ultimo si conservano il gisant e il frontale della cassa, con un Cristo benedicente fiancheggiato da due santi, forse Efisio e Potito; ogni personaggio è accompagnato da due figure di Angeli, come nel sepolcro Scarlatti. Alla tomba potevano appartenere due statuette di S. Francesco e di un Santo vescovo oggi esposte col monumento e un Angelo tibicine (Pisa, Museo di S. Matteo). Poiché Moricotti morì solo nel 1395 (dopo aver lasciato l’incarico pisano nel 1378), molto tempo dopo la scomparsa di Nino, la somiglianza strutturale e stilistica con il sepolcro Scarlatti è stata spiegata ipotizzando una commissione dell’arcivescovo appena salito sul soglio pisano (1363) e un’esecuzione immediata da parte di Nino. Sull’attribuzione allo scultore la storiografia non è concorde, variando tra un riconoscimento della sua mano, un riferimento alla bottega ancora diretta da Nino, alla stessa dopo la morte del maestro, a un maestro diverso da Nino ma a lui vicino (cfr. Novello, 1995).
Agli stessi anni del sepolcro Scarlatti si possono riferire l’Angelo e la Madonna del gruppo marmoreo dell’Annunciazione della chiesa pisana di S. Caterina e la Madonna col Bambino del santuario della SS. Annunziata di Trapani. In queste statue le caratteristiche dell’arte di Nino sono accompagnate da una dimensione monumentale nell’impianto delle figure che richiama ancora le statue del campanile di Firenze, confermando la possibilità che ad alcune di quelle Nino abbia potuto lavorare in gioventù. Il naturalismo gotico permeato da una nuova dimensione sentimentale di queste opere è la base di quegli sviluppi stilistici che porteranno all’arte di scultori quali Jacopo della Quercia e Francesco di Valdambrino.
L’Annunciazione di S. Caterina proviene dalla badia camaldolese di S. Zeno, e apparteneva alla Compagnia dei Battuti di S. Gregorio. Vasari la cita nelle Vite del 1568 (p. 159) riportando due iscrizioni, oggi perdute: la prima sulla base dell’Angelo («QUESTE FIGURE FECE NINO FIGLIUOLO D’ANDREA PISANO»), la seconda sulla base della Madonna («A DÌ PRIMO DI FEBRAIO 1370»). Essendo la data 1370 posteriore alla morte di Nino, si può pensare a un errore vasariano di trascrizione (sarebbe attendibile una data 1360) o a un’iscrizione apposta da altri in sostituzione di una precedente o sulla base di un ricordo; oppure la data potrebbe riferirsi a un evento diverso dall’esecuzione dell’opera. La qualità delle statue e la loro vicinanza con la tomba Scarlatti confermano comunque l’attribuzione contenuta nelle perdute iscrizioni. Il gruppo è servito alla creazione, da parte di Fiderer Moskowitz (1986), della personalità del ‘Maestro dell’Annunciazione di S. Caterina’, alter ego di Nino, responsabile, secondo la studiosa, anche della Madonna di Trapani. Dell’Annunciazione di S. Caterina esiste una replica in legno policromo, identica sia per dimensioni sia per particolari, presso la National Gallery di Washington. Variamente considerato autografo o copia di bottega, il gruppo ha sollevato, in diversi critici, dubbi di autenticità.
La Madonna di Trapani, secondo una leggenda locale, sarebbe arrivata nella città col naufragio di una nave pisana e avrebbe avuto iscrizioni in lettere ‘caldee’, viste dall’erudito Leonardo Orlandini all’inizio del Seicento (Burresi, 1983), contenenti una datazione relativa all’Egira corrispondente agli anni 1353-61. Molto venerata e molto copiata nei secoli, l’opera ha avuto nel tempo attribuzioni discordanti; il collegamento con Nino si è affermato solo in tempi moderni (Bottari, 1956).
Negli anni Sessanta Nino eseguì il sepolcro del doge di Pisa Giovanni Dell’Agnello, che governò la città fra il 1364 e il 1368; all’opera, perduta, in origine all’esterno della chiesa di S. Francesco, è stato riferito un Cristo passo del Museo di S. Matteo, proveniente da quell’edificio, sviluppo in chiave di accentuato naturalismo del Cristo del sepolcro Scarlatti. Potrebbero essere legate al sepolcro Dell’Agnello anche le cinque statue che ornano la parte superiore della tomba del doge Marco Cornaro, nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia (Sponza,1987). Una di esse, la Madonna col Bambino, reca sulla base l’iscrizione «HOC OPUS FECIT NINUS [MAGISTRI ANDR] EE DE PISIS» che ne attesta la pertinenza allo scultore, evidente anche per via stilistica, anche se i modi di Nino appaiono un po’ stanchi. Le altre statue, S. Pietro, S. Paolo, due Angeli cerifori, sono in genere ritenute di bottega, o del fratello Tommaso. Spettano a una bottega veneziana il sarcofago, la figura del doge e l’inquadramento architettonico delle statue di Nino; queste sono da considerare, quindi, opere mobili commissionate o acquistate per l’inserimento in un monumento del quale lo scultore pisano non ebbe la responsabilità diretta.
Il doge Marco Cornaro (Corner) morì nel gennaio 1368; poiché Nino risulta già deceduto nel dicembre dello stesso anno, vi sono dubbi e opinioni contrastanti sull’autografia delle figure e sulla loro cronologia. Sono state ipotizzate o una commissione a Nino terminata dalla bottega, o una originaria pertinenza ad altra opera, indicata da Sponza (1987) nella tomba Dell’Agnello; per Fiderer Moskowitz (1986), le statue sarebbero anteriori di più di un decennio.
Citato ancora in vita in un documento datato 19 giugno 1366 (Fanucci Lovitch 1991, p. 275), Nino morì, probabilmente a Pisa, fra questa data e il 5 dicembre 1368.
Il documento del giugno 1366 è relativo a una locazione fatta da Tommaso Pisano anche per conto del fratello Nino. La seconda data (a volte riferita come 8 dicembre; ma l’indicazione «nonas decembris» del documento corrisponde, secondo l’uso latino, al giorno 5) si ricava dall’atto (Fiderer Moskovitz, 1986, p. 209) col quale il Comune di Pisa riconobbe ad Andrea, figlio del defunto Nino, il credito di 20 fiorini come saldo per quanto al padre spettava per la tomba del doge Dell’Agnello, morto poco tempo prima. Nel documento compare anche Tommaso, fratello di Nino, con un credito di 30 fiorini per altre opere eseguite per Dell’Agnello; il Comune assicurava il pagamento del dovuto dalla vendita dei beni già appartenuti al doge. Il figlio di Nino, Andrea, è citato nel documento senza indicazione di mestiere e non è ulteriormente attestato. Kreytenberg (1984) ha ipotizzato che abbia continuato l’attività della bottega paterna e ha raccolto sotto il nome ‘Andrea di Nino’ un corpus fatto di opere che altri studiosi considerano di bottega, o di seguaci.
Tra le altre opere attribuite a Nino si ricordano sculture sia lignee sia in marmo. Del primo gruppo fa parte la Madonna annunciata del parigino museo del Louvre (esposta all’importante mostra pisana del 2000), di altissima qualità, capolavoro della produzione lignea italiana, nella quale spiccano i legami di Nino con la scultura francese; l’opera è vicina all’Annunciazione di S. Caterina e alla Madonna di Trapani, ed è databile agli anni 1360-65. A essa si possono aggiungere il S. Stefano già in collezione De Carlo (Kreytenberg, 1988), vicino al sepolcro Scarlatti, e le due Madonne col Bambino della chiesa pisana di S. Nicola e della chiesa di S. Maria Assunta di Puglianella di Camporgiano. Altre attribuzioni (cfr. Burresi, 1995 e 2000) risultano meno convincenti, spesso a causa del precario stato di conservazione. Nel secondo gruppo, all’interno di un cospicuo numero di Madonne col Bambino in marmo, di piccole o medie dimensioni, riferite a Nino, al padre Andrea, alla bottega dell’uno o dell’altro, spicca per eccezionale qualità la Madonna col Bambino dell’Institute of Arts di Detroit. In questo caso si registra nella storiografia, a partire da Valentiner (1927) e Ragghianti (1938), una attribuzione condivisa all’attività di Nino. A un momento terminale dell’attività dello scultore può essere riferita la Madonna col Bambino della chiesa di Arliano (Lucca), applicata a un fondale cuspidato con due figure di Angeli da considerarsi opere di bottega. Poco giudicabile per stato di conservazione e collocazione un S. Giovanni Battista posto in una nicchia nell’abside del duomo di Pisa (Novello, 1995). Solitamente riferiti a Nino sono il Cristo Crocifisso della chiesa pisana di S. Michele in Borgo (dalla lunetta della porta sud-ovest del Camposanto), e una Madonna col Bambino (Pisa, Museo di S. Matteo) già sulla cuspide centrale del lato est della chiesa della Spina. Le opere presentano uno stile simile a quello di Nino, con una semplificazione di modi analoga a quella che appare nei resti del sepolcro Moricotti; l’attribuzione a Nino (non unanime) rimane per ora la più logica in attesa di nuovi studi su altre personalità attive a Pisa nella seconda metà del secolo.
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