Nobiltà
Titoli, beni e privilegi trasmessi da antiche famiglie
Il termine nobiltà (dal verbo latino noscere «conoscere», da cui deriva nobilis «noto, conosciuto») indicava nella Roma antica la notorietà di famiglie facoltose i cui membri esercitavano le supreme magistrature dello Stato. Come sinonimo di aristocrazia designa il gruppo dominante di coloro che sono considerati «migliori» per ricchezza, valore militare, istruzione, attitudine al comando. In senso proprio la nobiltà è un ceto sociale che dal punto di vista economico basa la propria ricchezza sul possesso della terra e sulle rendite fondiarie e dal punto di vista giuridico beneficia di privilegi esclusivi, trasmessi di padre in figlio e sanciti da norme di diritto
Il requisito essenziale per appartenere al ceto nobiliare è la nascita da stirpe di lunga ascendenza nobile: le famiglie nobili trasmettono ai propri discendenti una posizione privilegiata in termini di potere, beni e prestigio.
Il secondo requisito caratteristico è il patrimonio: fino al Settecento (e nell’Est europeo anche nell’Ottocento) i nobili erano soprattutto grandi proprietari terrieri, che beneficiavano di rendite fondiarie e rendite feudali, i diritti signorili (feudalesimo). A ciò potevano aggiungersi profitti derivanti da attività commerciali, finanziarie, manifatturiere (specialmente nel caso del patriziato italiano e della gentry inglese, la piccola e media nobiltà di campagna). Nello Stato moderno erano fonte di reddito stipendi e pensioni che venivano concessi dal re per servizi diplomatici, militari o amministrativi. Ai beni patrimoniali erano spesso correlati titoli ereditari (principe, duca, marchese, conte, barone) che denotavano l’esercizio, presente o passato, di funzioni giurisdizionali e un ruolo politico preminente. Ai nobili era proibito l’esercizio di arti vili e meccaniche (i mestieri manuali).
Il terzo requisito è il prestigio sociale, connesso a privilegi riconosciuti per consuetudine o giuridicamente. Tali privilegi consistevano nell’accesso esclusivo agli alti gradi dell’esercito, alle massime cariche nell’amministrazione pubblica e ai vertici della gerarchia ecclesiastica; nel diritto a esoneri fiscali; in un diverso trattamento giudiziario (essere giudicati da tribunali di pari rango e l’esenzione da pene infamanti); in particolari segni di dignità come portare la spada, l’uso esclusivo di certe vesti e ornamenti, posti distinti a corte, in chiesa, a teatro.
Sul piano ideologico, la nobiltà è portatrice di un’etica basata sull’onore: il nobile vanta virtù militari, deve astenersi da cose indegne del suo rango (come nozze disonorevoli o lavori manuali); la letteratura cavalleresca elaborò il mito del nobile difensore della corona e della fede cristiana; nel 16° e 17° secolo ebbe straordinaria diffusione il duello tra nobili per risolvere questioni di onore.
La nobiltà acquistò uno status giuridico distinto alla fine del 12° secolo: la nobiltà feudale aveva origine nella funzione militare ed era aristocrazia fondiaria; oltre a possedere e difendere un territorio, essa esercitava un dominio sugli abitanti, che aveva un riconoscimento formale mediante la concessione d’incarichi politici e amministrativi dall’imperatore o dal re.
Nell’età moderna, la nobiltà cavalleresco-signorile perse la preminenza politico-militare, mentre emerse una nuova nobiltà di toga, ossia un corpo ereditario privilegiato di funzionari regi. Per conservare la preminenza economico-sociale, furono introdotti gli istituti del fedecommesso (che rendeva inalienabili, cioè invendibili, i beni immobili di una casata) e del maggiorascato (che rendeva il primogenito maschio unico erede).
La cultura illuministica anteponeva alla nobiltà di nascita il merito, sicché le rivoluzioni americana e francese di fine Settecento negarono titoli e privilegi nobiliari, dichiarando l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Con la Restaurazione del 1814-15 la nobiltà riottenne proprietà e prestigio, ma in Francia restò l’eguaglianza giuridica. In Austria, Germania e Russia la nobiltà conservò privilegi ed egemonia negli eserciti e nella diplomazia sino alla Prima guerra mondiale.
In Italia la Costituzione del 1948 ha abolito formalmente i titoli nobiliari.