NOME (fr. nom; sp. nombre; ted. Name; ingl. noun)
Categoria di parole che indicano una cosa o una qualità; una delle due categorie di parole fornite di semantema (v. morfologia), opposta al verbo (v.) che indica azione.
L'individualità del "nome" non è originaria, ma è il portato di uno svolgimento storico. Ci sono ambienti e fasi linguistiche in cui essa appare più nettamente, ambienti e fasi in cui i caratteri distintivi, così del nome come del verbo, sono più tenui. Le lingue romanze, il tedesco e in genere le lingue indoeuropee tranne l'inglese, distinguono nettamente la categoria del nome.
Questa distinzione si manifesta dal punto di vista semantico e da quello morfologico. Dal punto di vista semantico altro è per noi leggere e altro lettura. Tuttavia si possono stabilire rapporti di contiguità, per cui a un significato nominale se ne può connettere uno verbale: ferro, ferrare; lode, lodare; colpa, incolpare; buono, rabbonire; o viceversa: agitare, agitazione; udire, audizione; ridere, riso, senza che passi tra le forme in questione un rapporto formale costante. Tuttavia l'elemento morfologico fa sentire la sua influenza, perché, anche quando si tratta d'indicare rapporti identici, i nomi hanno morfemi peculiari, esigono costruzioni peculiari, estranee a quelle del verbo: amo la patria, amiamo la patria non hanno lo stesso schema di il mio amor di patria, il nostro amor di patria.
L'oggetto dell'amore è indicato nella prima serie per mezzo di un complemento oggetto, erede dell'antico accusativo, nel secondo caso per mezzo di un complemento di specificazione, erede di un antico genitivo. L'unità o la pluralità del soggetto che ama è indicata nel primo caso per mezzo di un'opposizione di desinenze -o -iamo, nel secondo con la contrapposizione di aggettivi possessivi.
Non solo con diversi attributi formali risalta l'individualità della categoria del nome: ma anche attraverso l'indicazione accentuata di alcune categorie morfologiche, e la rinuncia corrispondente a indicarne altre. La diatesi attiva media passiva che possiamo esprimere con queste espressioni verbali: io guardo questo animale raro; io mi guardo quest'animale raro; sono guardato da quest'animale raro, non può essere indicata da una costruzione nominale, nella quale la vista di un animale raro non distingue le due prime eventualità, come la frase analoga l'amore del padre, l'amor di patria, non distingue la diatesi attiva del primo membro, la diatesi passiva del secondo membro. La differenza di tempo non si adatta a una parola come "morte" o come "buono". La differenza d'aspetto è limitata a quelle "cose" che più o meno possano rappresentare anche uno svolgimento. Rimangono dunque le categorie: della persona che può essere indicata con una perifrasi il mio, il tuo, il suo amore; la categoria del numero che è indicata con procedimenti completamente autonomi rispetto a quelli del verbo: il lupo muore, i lupi muoiono; la rosa secca, le rose seccano; la siepe fiorisce, le siepi fioriscono; la categoria del genere grammaticale (v.) che ha dietro di sé uno svolgimento lunghissimo ed è oggi rappresentata oltre che dalle desinenze, dagli articoli; infine la categoria del caso (v.) che permette di stabilire la funzione del nome nella frase. Questa è in decadenza in tutte le lingue moderne ed è sostituita in parte per mezzo delle preposizioni, in parte con procedimento extramorfologico come l'ordine delle parole: il padre ama il figlio, è diverso, secondo la categoria del caso, da il figlio ama il padre; ma questa differenza non è manifestata da nessun elemento morfologico.
La grammatica tradizionale distingue il nome in diverse categorie formali che sono il sostantivo, l'aggettivo, il pronome e, per tacita conseguenza, l'avverbio di modo. L'avverbio di modo è un caso particolare dell'aggettivo: lungo, lungamente. Il sostantivo è qualche cosa di generico che l'aggettivo determina in qualità di attributo: una strada lunga, una strada breve. Ma da un aggettivo si può fare un sostantivo: lunghezza rispetto a lungo; da un sostantivo un aggettivo: ferreo rispetto a ferro. Due nomi possono eventualmente essere scambievolmente aggettivi e sostantivi, come nel caso di I feriti austriaci, gli Austriaci feriti; nel primo esempio in cui si contrappongono i feriti italiani, "feriti" è il sostantivo, nel secondo in cui si contrappongono gli Austriaci morti o incolumi, "Austriaci" è il sostantivo. Infine il pronome, che contiene elementi assai eterogenei, sostituisce il nome o può solo determinarlo, alternando la funzione di aggettivo con quella di pronome in senso stretto. C'era un uomo coraggioso... Quest'uomo coraggioso era mite d'animo... Egli non guardava in faccia a nessuno. Un uomo, quest'uomo, egli mostrano la successiva sostituzione del sostantivo indeterminato, determinato e finalmente supplito (v. pronome).
Ma al di là di queste differenze formali, consacrate da una lunga tradizione di differenti manifestazioni morfologiche, la categoria del nome può essere analizzata all'interno in modo diverso. Un nome può indicare intanto un'unità o una collettività, essere un nome proprio o un nome comune; indicare un essere animato o un essere inanimato. Si ha così la serie di nomi come Giovanni e come uomo, come Bologna e come città; si hanno gli aggettivi pio e maggiore che diventano nomi proprî nel caso di Ludovico il Pio e del Monte Maggiore.
All'interno dei nomi comuni si può distinguere il valore statico e dinamico; nomi statici e dinamici possono avere valore concreto e astratto. Statico è uomo e dinamico è aratore, nome d'agente; statico è ferro e dinamico è aratro, nome di strumento; statico e astratto è umanità, dinamico e astratto è aratura, nome d'azione; statico è l'aggettivo umano, dinamico litigioso; statico ferreo, dinamico arabile. Si può fare una tabella in cui l'opposizione di sostantivo e aggettivo passa in seconda linea:
Naturalmente queste categorie non hanno una vitalità costante. I nomi di strumento, che costituiscono una categoria autonoma, non sono più vitali da quando l'opposizione di essere animato e inanimato va decadendo: perciò si vedono nomi d'agente applicati a cose inanimate, perché l'essenziale è che sia affermato il carattere dinamico del nome: ventilatore, aspiratore, perforatrice e così via. Così, per indicare persone, l'opposizione di sostantivo e aggettivo passa in seconda linea di fronte al carattere dinamico del nome e aspirante, postulante, reggente, supplente sono, nonostante le origini, sostantivi dinamici. Caduto, ferito, morto allo stesso modo sono essenzialmente nomi statici, indifferentemente poi utilizzati come sostantivi o aggettivi.
L'opposizione di nomi statici e dinamici risospinge la categoria del nome verso il verbo, nell'intento di gettare un ponte fra le due categorie, separate da uno svolgimento morfologico lunghissimo. Si trovano così forme verbali ricche di elementi nominali non soltanto semantici. L'infinito (v.) è m nome di azione privo di qualsiasi carattere morfologico o sintattico nominale: amare la patria, rispetto ad amor di patria. Il gerundio (v.) si può confrontare con i nomi di strumento. Il participio (v.) infine conserva caratteri verbali di tempo e d'aspetto, aggiungendovi tutti quelli nominali del genere, del numero, del caso: laudaturus laudatus laudans. Si possono aggiungere gli aggettivi verbali che conservano solo in parte le opposizioni di laudabilis: laudandus; lodevole: lodabile; esecrabile: esecrando.
I nomi proprî.
L'importanza storica dei nomi proprî di persona e di luogo ha dato origine allo sviluppo di due discipline storico-linguistiche, l'onomastica e la toponomastica: a queste voci perciò si rinvia. Si toccherà qui solo di due particolari aspetti dei nomi proprî di persona, in rapporto alla religione e al diritto.
I nomi sacri. - Per la mentalità primitiva il nome ha sempre un valore sacro, in quanto essa ritiene che il nome non sia mero suono, ma parte integrante dell'individuo che lo porta e quasi la sua anima. Da ciò derivano conseguenze che sopravvivono anche nelle civiltà superiori. Nello stadio preanimistico quegli esseri superiori o dei, la cui figura è troppo lontana per prendere parte alla vita quotidiana degl'individui e dei gruppi, vengono designati con nomi generici: il vecchio, il padre, l'avo, il signore, ecc. Detti nomi cominciano a diventare specifici e a identificarsi con fenomeni della natura o della vita a mano a mano che, progredendo i rapporti sociali, si fanno più precise le relazioni tra gli uomini e la divinità. L'espressione di queste relazioni si concreta in maniera assai diversa a seconda della mentalità. Così vi sono divinità umili il cui nome esprime semplicemente l'azione che sono chiamate a tutelare. Esempio tipico ne sono le divinità elencate negl'Indigitamenta romani, le quali presiedono ciascuna a un momento speciale della vita: Educa al mangiare, Fabulinus al parlare, Cunina alla culla, ecc.; mentre gli dei che tutelano la vita della città hanno nomi e funzioni più comprensive.
Nomi teofori. - Portare il nome di una divinità significa stare in maniera efficacissima sotto la tutela di quella. Così si spiega l'uso larghissimo di nomi teofori, specialmente presso le genti semitiche, i quali in genere esprimono, con un predicato nominale o verbale, che il dio è "datore", "buono", "forte" "sovrano", "liberatore", "conoscitore" ecc.: così Elimelech "il mio dio è re", Joāzār "Jahvè ha aiutato", Ben Hadad "figlio di Hadad", ‛Abd Esmūn "servo di Esmun", 'Azru Ba‛al "aiuto di Baal"; e poi Origene "figlio di Horo", Isidoro "dono di Iside", Teodoro "dono di Dio", ecc.
Nomi sacri e iniziazione. - Allorché un individuo passa da uno stato di vita a un altro, abbandona il vecchio nome per assumerne uno nuovo. Così in Egitto la consacrazione del faraone porta con sé l'assunzione di un nome nuovo in cui entra come elemento essenziale quello del suo dio protettore. Quando Amenofi IV istituì il culto del disco solare (Aton) si fece chiamare Eé-n-aton "Aton si rallegra". Nei misteri eleusini quando il capo supremo del sacerdozio entrava in carica "gittava il suo nome nel mare" e assumeva quello generico del suo ufficio: ierofante (ieronimato).
Allo stesso modo, con maggiore o minore coscienza del simbolo, e con significato augurale gli ascritti a ordini o confraternite religiose, all'atto dell'adesione, abbandonano con il tenore di vita e le vesti anche il nome, assumendone uno conforme al nuovo ideale di vita. Anche un cambiamento repentino nell'orientamento della vita può essere espresso dal cambiamento del nome: Così Saulo, convertito sulla via di Damasco, prende il nome di Paolo.
Si capisce che i nomi sacri, dato che misticamente partecipano dell'essere a cui si appellano, sono di grande efficacia, sia invocati nel momento del pericolo, sia applicati a una località, sia "portati" scritti indosso come usbergo contro nemici visibili e invisibili.
Il diritto al nome. - Il principio fondamentale del diritto romano in materia di nome era che ad ogni uomo libero fosse lecito di mutare a volontà il proprio prenome o il nome gentilizio o il cognome di famiglia, purché il mutamento non fosse per nuocere; non avesse, cioè, scopo fraudolento. La grandissima libertà determinatasi, specie nei primi due secoli dell'impero, per quanto riguarda la mutatio nominis (intesa questa sia come assunzione di un nome non appartenente già ad altri, sia come assunzione di un nome altrui) non trovò limitazioni nel diritto comune. La glossa confermò il principio del diritto giustinianeo riassunto da Baldo nelle parole mutatio nominis non fraudulosa libero homini est permissa. Vincoli non giuridici di varia indole frenavano, del resto, l'arbitrio individuale in tema di mutamento di nome; e solo quando nell'età di mezzo si rilevarono abusi notevoli in questa materia, si emanarono le nuove leggi restrittive al riguardo, prima fra le quali, specialmente per l'importanza che ebbe, l'ordinanza di Enrico II pubblicata in Francia nel 1555. La rivoluzione francese confermò i principî restrittivi di questa ordinanza, stabilendo che un cittadino non potesse avere altri cognomi e altri nomi che quelli indicati nel suo atto di nascita (legge 6 fruttidoro, anno II) e sottomettendo all'autorizzazione governativa il cambiamento del nome (legge 11 germinale, anno XI).
L'uso del nome, imposto all'individuo, e del cognome comune a tutti i membri della famiglia e trasmettentesi da padre in figlio, si era intanto andato radicando spontaneamente nelle consuetudini di tutti i popoli civili in modo così sicuro, da rendere superflua nelle codificazioni moderne una norma generale che lo riconoscesse e lo sancisse. Le disposizioni di legge, che si riferiscono al nome, partono pertanto dal presupposto indiscusso di tale uso e così si spiega come il codice civile italiano abbia ritenuto persino superfluo stabilire con una norma particolare quale sia il cognome dei nati da unione legittima. È infatti necessario ricorrere agli art. 172 e 174 del codice stesso, per trarre il principio che il figlio legittimo deve necessariamente portare il cognome del proprio padre. La legge italiana si preoccupa invece del cognome del figlio naturale riconosciuto, disponendo (art. 185 cod. civ.) che questo assume il nome di famiglia del genitore che l'ha riconosciuto, o quello del padre, se è stato riconosciuto da ambedue i genitori. Così pure la legge italiana regola la materia del nome per i figli d'ignoti stabilendo che debba provvedere al riguardo l'ufficiale dello stato civile (art. 58, r. decr. 15 nov. 1865, n. 2602, per l'ordinamento dello stato civile) o l'amministrazione del pubblico ospizio a cui il fanciullo sia stato consegnato (art. 378 del cod. civ.). La legge 8 marzo 1928, n. 383, perfezionando una disposizione embrionale contenuta nel citato art. 58 della legge sull'ordinamento dello stato civile, vieta negli atti di nascita d'imporre cognomi come nomi o d'imporre nomi (e per i figli d'ignoti anche cognomi) ridicoli o vergognosi, o che rechino offesa all'ordine pubblico o al sentimento nazionale o religioso o che siano denominazioni geografiche o di luoghi. Così pure è vietato d'imporre ai figli d'ignoti nomi e cognomi che possano farne sospettare l'origine, ovvero cognomi appartenenti a famiglie illustri o comunque note nel luogo dove l'atto di nascita si è formato.
Il diritto al nome, quale risulta dal complesso delle norme legislative che a esso si riferiscono, non può essere né alienato, né abbandonato, né acquisito per usucapione. Ma il nome assegnato all'individuo può subire variazioni o aggiunte o anche mutare durante la vita di questo: la donna assume col matrimonio il nome del marito (art. 131 del cod. civ.), i figli naturali, riconosciuti solo dalla madre, assumono, come si è detto, il nome del padre quando siano riconosciuti anche da questo o quando vengano legittimati, sia per susseguente matrimonio, sia per decreto reale (art. 197 del cod. civ.); infine in caso di adozione l'adottato assume il cognome dell'adottante e l'aggiunge al proprio (art. 210 del cod. civ.).
L'aggiunta o il cambiamento di nomi e cognomi può, oltre che nei suaccennati casi previsti dal codice civile, avere luogo anche per volontà dell'individuo, quando però concorrano gravi motivi da valutarsi caso per caso. Questa ipotesi è prevista e disciplinata dal titolo VIII della già citata legge sull'ordinamento dello stato civile, che stabilisce quale procedura si debba seguire per ottenere il decreto reale che autorizza il cambiamento o l'aggiunta del nome e cognome.
In qualche caso particolare la rettificazione del cognome è poi obbligatoria per legge. Il r. decr. 7 aprile 1927, n. 494, estendendo a tutti i territorî annessi un provvedimento disposto in origine per la provincia di Trento (r. decr. legge 10 giugno 1926, n. 17), ha infatti ordinato la restituzione in forma italiana per decreto prefettizio dei cognomi originarî italiani o latini o di origine toponomastica tradotti in altre lingue o deformati con grafia straniera o con l'aggiunta di suffissi stranieri.
Singolari lineamenti assume l'uso del nome in materia commerciale, in quanto esso viene impiegato dal commerciante come ditta (v.), come marchio di fabbrica (v.), come insegna (v.) e cioè come elemento distintivo della sua attività mercantile, dei suoi prodotti, del suo stabilimento. L'indole personalissima delle funzioni, che al nome sono attribuite nella vita civile, si attenua così nella vita commerciale sino ad assumere un carattere patrimoniale e obiettivo quando il nome diventa segno distintivo di un determinato prodotto, e la legge disciplina e tutela il diritto del commerciante all'uso del proprio nome con disposizioni speciali che tengono conto per l'appunto dei diversi scopi a cui l'uso stesso risponde (legge 30 agosto 1868, n. 4577).
A tali precise disposizioni tutelatrici del nome in materia commerciale non fa riscontro una norma di carattere generale che sancisca il diritto di ogni cittadino al proprio nome. Questo diritto è tuttavia riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le quali affermano concordemente il principio che ogni individuo non solo può fare uso liberamente del proprio nome, ma anche impedire ad altri, a cui tale nome non spetti, di usarne. E la legge penale (art. 494 del cod. pen.) punisce infine chi aaribuisce a sé o ad altri un falso nome comprendendo questa ipotesi delittuosa fra quelle che integrano il reato di falsità personale.
Bibl.: V. Scialoja, Del diritto al nome e allo stemma, in Foro ital., I (1889), p. 1102; N. Coviello, Manuale di diritto civile, Milano 1900; N. Stolfi, Il diritto di famiglia, Torino 1921; C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, 5ª ed., I, Milano 1922, nn. 138-153; E. Pacifici Mazzoni, Istituzioni di diritto civile italiano, II, i, 5ª ed., Firenze 1925, p. 18; A. Ramella, Trattato della proprietà industriale, II, 2ª ed., Torino 1927, II, nn. 351-620; C. Mironesco, Le nom des personnes en droit comp., Parigi 1933.