deverbali, nomi
La derivazione di nomi da verbi è uno dei processi formativi che generano un alto numero e varietà di forme, usate con grande frequenza. I due significati principali dei nomi deverbali sono quello di azione (lavorazione, montaggio, spostamento, diffidenza, mormorio, passeggiata, nascita, trattativa; ➔ azione, nomi di) e quello di agente (battitore, chiacchierone, imbianchino; ➔ agente, nomi di), a cui si aggiungono quelli di risultato, strumento e luogo (cucitura, segatura; temperino, fresatrice; galoppatoio, stireria).
In italiano è possibile formare nomi da verbi, oltre che per mezzo della suffissazione, anche per mezzo della ➔ conversione dai temi verbali del presente, con formazione sia di nomi maschili in -o (arrivo, parcheggio, ricovero) sia di femminili in -a (ricerca, sosta, traccia, frusta, stiva), e anche nominalizzazione delle forme non-finite del verbo (participio passato: corsa, camminata, dormita, promessa, grugnito; participio presente: cantante, credente, intendente, pulsante, stampante; infinito: il correre, il parlare; e, in misura molto limitata, gerundio: dividendo, laureando). Non è possibile formare nomi da verbi tramite prefissazione.
I nomi deverbali sono formati produttivamente a partire da temi del presente: lavora(re) → lavorazione, puli(re) → pulitore; sono però frequenti anche derivati che presentano diversi gradi di allomorfia (copertura, discussione; ➔ allomorfi). Si tratta in gran parte di nomi derivati da una base riconducibile al participio perfetto latino, che nella maggior parte casi corrisponde nella forma al participio passato italiano (lesione, cfr. ledere / leso; riscossione, cfr. riscuotere, riscosso), ma non sempre (cessione cfr. ceduto; estorsione, cfr. estorto; astrazione, cfr. astratto; oppositore, cfr. opposto).
I suffissi più impiegati per la formazione di nomi d’azione sono: -zione, -mento, -tura, -za, -aggio, -ìo (sui nomi d’azione italiani, cfr. Gaeta 2002). La funzione principale di tali suffissi è la trasposizione in nome dell’espressione di un’azione, normalmente espressa da un verbo.
Il nome d’azione conserva alcune importanti caratteristiche specifiche dei verbi, in primo luogo la possibilità di avere degli ➔ argomenti. Le funzioni tematiche (agente, paziente, ecc.) del nome deverbale rimangono le stesse del verbo di base, ma sono espresse da argomenti diversi: gli argomenti diretti del verbo (soggetto e complemento oggetto) diventano obliqui, di norma introdotti da di:
(1) il programma chiude / la chiusura del programma
(2) i contadini coltivano patate / la coltivazione delle patate
La simultanea espressione degli argomenti con funzione di soggetto e di oggetto non è frequente, ma è possibile grazie all’impiego della locuzione da parte di per indicare il soggetto:
(3) a. i volontari donano il sangue
b. la donazione di sangue da parte dei volontari
Le preposizioni usate per esprimere gli argomenti indiretti nella costruzione verbale rimangono le stesse nella costruzione nominale:
(4) a. il treno parte dal binario tre alle sette
b. la partenza del treno dal binario tre alle sette
I nomi d’azione possono essere usati al fine di aumentare la coesione testuale; essi permettono infatti di fare riferimento a un predicato per mezzo di un nome che ne condivide il tema e i tratti semantici fondamentali:
(5) a. molti dialetti tendono a sparire
b. la sparizione dei dialetti
I nomi d’azione possono essere parafrasati «l’atto di V». Ciò spiega perché le forme nominali del verbo (infinito, participio e gerundio) possano essere usate al posto di nomi deverbali suffissati. Dal punto di vista aspettuale, l’infinito sostantivato esprime un’azione non compiuta (l’affondare lento della nave), mentre le forme participiali ne indicano il compimento (una nuotata di un’ora / * per un’ora).
I nomi indicanti un’azione possono essere reinterpretati come designanti il risultato della stessa, e indicare quindi uno stato risultante astratto (civilizzazione, soluzione) o un referente tangibile (arredamento, copertura, legatura, limatura); meno frequente l’estensione di significato strumentale o locativo (una forte illuminazione, una sistemazione dignitosa; sulla polisemia dei nomi deverbali cfr. Rainer 1996). Nel caso in cui assuma il valore di oggetto risultante, il nome derivato perde la possibilità di avere argomenti.
Il suffisso usato in u n maggior numero di parole e più produttivo è -zione, che forma nomi femminili: abolizione, amplificazione, benedizione, circolazione, collaborazione, composizione, comunicazione, creazione, deviazione, divulgazione, esportazione, guarnizione, intuizione, lavorazione, liberazione, misurazione, nutrizione, promozione, protezione, punizione, raccomandazione, riduzione, sovversione, trasmissione, uccisione, utilizzazione; è inoltre l’unico suffisso usato con i verbi in -izzare (moralizzazione, politicizzazione). La variante d’origine galloromanza -gione, non produttiva, è presente in poche parole, tra cui guarigione, impiccagione, piantagione.
Il suffisso -mento è anch’esso presente in molti derivati, ma la sua produttività è minore rispetto a -zione (anche se rimane l’unica possibile derivazione suffissale a partire da verbi in -eggiare), ed è il suffisso preferito per la nominalizzazione di verbi parasintetici (nominalizzazioni; ➔ parasintetici); Dardano (1978: 47) segnala diversi casi di sostituzione di parole con -mento attestate in fasi precedenti della lingua: ispiramento / ispirazione, castigamento / castigo, cercamento / ricerca. Tra i derivati di uso comune: abbigliamento, accampamento, accorgimento, allineamento, andamento, apprendimento, armamento, cambiamento, chiarimento, danneggiamento, disboscamento, ingrandimento, insegnamento, medicamento, miglioramento, movimento, nutrimento, ornamento, sentimento, spostamento, trattamento, turbamento. Non poche sono le coppie di sinonimi o quasi sinonimi con -zione (collocamento / collocazione, fondamento / fondazione): tali parole si distinguono per lo più per il diverso contesto d’uso.
I nomi in -tura sono femminili, e sono usati in prevalenza per indicare attività professionali e tecniche: allacciatura, andatura, arrabbiatura, asciugatura, bocciatura, bollitura, bruciatura, cardatura, chiusura, cucitura, finitura, fornitura, imbottitura, imbracatura, muratura, rottura, saldatura, scrittura, spaccatura, spremitura. Allo stesso ambito d’uso appartiene la maggioranza dei molto meno numerosi nomi maschili in -aggio: atterraggio, lavaggio, imballaggio, montaggio, monitoraggio.
A partire dal participio presente si formano i nomi femminili in -za (accoglienza, coincidenza, conoscenza, decadenza, dipendenza, ignoranza, mancanza, obbedienza, partenza, speranza, tendenza, tolleranza, uguaglianza, vacanza), i quali indicano in prevalenza atteggiamenti, situazioni statiche, relazioni astratte.
I nomi femminili formati a partire dal participio passato indicano in prevalenza un’azione considerata nel suo insieme o come evento singolo: battuta, caduta, chiacchierata, dormita, entrata, guardata, lavata, leccata, mangiata, mescolata, nevicata, nuotata, passeggiata, scivolata, smentita, tagliata, trattenuta, traversata, uscita; condotta, difesa, offerta, promessa, proposta, ripresa, spesa. Essi si prestano quindi a indicare anche il risultato dell’azione (ricevuta, scritta, spremuta). Tra i nomi maschili, si segnalano quelli che indicano suoni e versi animali (guaito, muggito, ruggito, ululato).
Il suffisso -ìo ha valore intensivo nella formazione di un numero limitato di nomi maschili, che indicano azioni prolungate, ripetute, alcuni dei quali si riferiscono a effetti sonori: borbottio, brontolio, brulichio, calpestio, cigolio, crepitio, formicolio, scoppiettio, sventolio, tacchettio.
Fra le parole usuali formate con suffissi non produttivi, ricordiamo: bruciore, raffreddore; crescita, lascito, nascita, perdita, rendita, seguito; assassinio, augurio, delirio, desiderio, sterminio.
I nomi di agente indicano una persona che svolge un’attività espressa dal verbo di base, specialmente se in modo abituale, ripetuto o per professione. Il nome derivato corrisponde al ruolo argomentale del soggetto agente del verbo; possono essere quindi derivati con un suffisso quasi tutti i verbi, ma non i verbi intransitivi ergativi (*arrivatore), gli intransitivi pronominali (*ammalatore), i verbi che esprimono stati psicologici (*preoccupatore).
Il suffisso più produttivo e che conta un maggior numero di formazioni è il maschile -tore (bevitore, conduttore, confessore, difensore, fornitore, giocatore, guaritore, guidatore, importatore, invasore, inventore, lettore, programmatore, pulitore, scalatore, vincitore), a cui corrisponde il femminile -trice (sciatrice, scrittrice, truccatrice, venditrice).
Un altro procedimento molto usato è la sostantivazione del participio presente, usato specialmente per indicare professioni o condizioni (abitante, cantante, dipendente, comandante, emigrante, militante, perdente, presidente, spasimante, supplente); anche la conversione di participi passati è usata con grande frequenza (abbonato, ammalato, caduto, divorziato, emigrato, evaso, laureato); i verbi di base hanno tutti valore risultativo.
Indica in prevalenza nomi di mestieri la trentina di nomi d’agente derivati da verbi con il suffisso -ino (femminile -ina): arrotino, attacchino, imbianchino, scalpellino, scribacchino, spazzino. I derivati con -one (femminile -ona) hanno in genere connotazione peggiorativa e si riferiscono a chi svolge un’azione in modo ricorrente o eccessivo: brontolone, guardone, imbroglione, impiccione, mangione, spaccone.
I nomi di strumento deverbali sono derivati in molte lingue con gli stessi suffissi usati per formare nomi di agente, grazie a uno slittamento semantico che va da colui che compie l’azione allo strumento impiegato per realizzarla, tanto più frequente nei casi in cui si tratti di macchine o di altri dispositivi complessi che sostituiscono il lavoro un tempo compiuto dall’uomo (Lo Duca 2004). Il significato comune ai derivati è «oggetto che V»; oltre ai suffissi d’agente, è impiegato anche il suffisso -toio/-a, che ha significato anche locativo.
Fra i numerosi derivati con -tore: amplificatore, bollitore, calcolatore, contatore, distributore, miscelatore, mitragliatore, ripetitore, trasmettitore, umidificatore. I nomi in -trice sono tendenzialmente più recenti: affettatrice, asciugatrice, calcolatrice, copiatrice, friggitrice, incubatrice, lavatrice. I nomi in -toio e -toia (abbeveratoio, annaffiatoio, asciugatoio, laminatoio, lavatoio, scrittoio, sfiatatoio; mangiatoia, spianatoia) indicano in genere strumenti meno complessi e più antichi; alcuni indicano allo stesso tempo lo strumento e il luogo in cui avviene la lavorazione (essiccatoio, frantoio). Fra i non molti deverbali con -ino: accendino, frullino, passeggino. Più numerose le nominalizzazioni dal participio presente, usate al maschile (ammorbidente, dissetante, pulsante, respingente, ricostituente, solvente) o in un minor numero al femminile (silurante, stampante). Non produttiva la derivazione con il suffisso -aglio: fermaglio, sonaglio, ventaglio.
I nomi di luogo deverbali si formano produttivamente con i suffissi -toio, -torio (poco usati al femminile) e -eria. Con i suffissi -toio/-a, -torio si indica di norma il luogo in cui si svolge, per lo più abitualmente, una certa azione: galoppatoio, mattatoio, spogliatoio, stenditoio; caditoia, feritoia, passatoia, scorciatoia; consultorio, crematorio, dormitorio, laboratorio, osservatorio, sanatorio. Il suffisso -eria è usato per indicare nomi di negozi, laboratori, luoghi adibiti alla lavorazione, produzione o vendita: fonderia, raffineria, stireria.
Dardano, Maurizio (1978), La formazione delle parole nell’italiano di oggi. Primi materiali e proposte, Roma, Bulzoni.
Gaeta, Livio (2002), Quando i verbi compaiono come nomi. Un saggio di morfologia naturale, Milano, Franco Angeli.
Lo Duca, Maria G. (2004), Nomi di agente, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer, pp. 351-364.
Rainer, Franz (1996), La polysémie des noms abstraits: historique et état de la question, in Les noms abstraits. Histoire et théories. Actes du colloque de Dunkerque (15-18 septembre 1992), édité par M. Glatigny, D. Samain & N. Flaux, Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, pp. 117-126.