risultato, nomi di
I nomi di risultato sono nomi deverbali (➔ deverbali, nomi; ➔ nominalizzazioni) che denotano il risultato del processo espresso dai corrispondenti verbi base (➔ azione, nomi di). Per es., il nome costruzione in:
(1) saranno demolite molte costruzioni illegali
denota il risultato del processo del costruire.
Generalmente, i nomi di risultato sono polisemici, perché oltre al senso di risultato hanno solitamente anche il senso di processo: per es., lo stesso nome costruzione indica il processo del costruire nell’es. (2):
(2) la costruzione della diga fu lunga e laboriosa
Secondo Grimshaw (1990), dal punto di vista sintattico i nomi di processo possono avere la stessa struttura argomentale (➔ argomenti) del verbo base, mentre i nomi di risultato sono necessariamente privi di argomenti. Per es., in (2) costruzione è nome di processo e diga rappresenta l’oggetto del verbo costruire; in
(3) la costruzione si estende per 5 chilometri
costruzione è nome di risultato e l’oggetto non può essere espresso: non possiamo dire cioè la costruzione della diga si estende per 5 chilometri, in quanto l’oggetto diga è, per così dire, assorbito dal nome.
Dal punto di vista morfologico, il nome di risultato è sempre un nome deverbale (o correlato a una radice verbale: disegno → disegnare, analisi → analizzare): ciò non stupisce se pensiamo che il concetto di risultato non è autonomo ma dipende, dal punto di vista temporale e causale, dal processo che lo determina. In altre parole, non si dà risultato senza un processo che lo causi.
Nella tradizione lessicografica (➔ definizione lessicale), i nomi di risultato sono definiti di solito mediante la formula «atto e effetto di V», oppure, come in GRADIT (1999-2007), «il V e il suo risultato»: così, per es., classificazione è «il classificare e il suo risultato, spec. in riferimento alla sistemazione tassonomica delle specie animali e vegetali».
La nozione di risultato è notoriamente controversa. Dal punto di vista ontologico, un risultato può essere un’entità temporale, come nel caso di inquinamento, che denota lo stato risultante dell’atto di inquinare (risultato = stato risultante; per es., monitorare l’inquinamento), oppure un’entità non temporale, come nel caso di costruzione, che denota l’oggetto posto in essere dal processo del costruire (risultato = oggetto risultante). Si noti che l’oggetto creato può essere concreto, come nel caso di costruzione, o astratto, come nel caso di classificazione (studiare una classificazione), analisi (condividere un’analisi), ecc.
Dal punto di vista lessicale, un singolo nome può avere più di una interpretazione di risultato. Per es., a seconda del contesto, ostruzione può indicare il processo dell’ostruire (come in evitare l’ostruzione dei tubi), lo stato risultante (come in è un’ostruzione temporanea) o l’oggetto risultante (l’ostruzione si trova alla valvola):
(4) processo: per evitare l’ostruzione i tubi devono essere lavati
(5) stato risultante: l’ostruzione può essere temporanea o permanente
(6) oggetto risultante: questo test permette di capire dove si trova l’ostruzione
L’interpretazione di stato risultante e quella di oggetto risultante tendono a non confluire nello stesso nome. In particolare, l’interpretazione di stato risultante generalmente non appare nei nomi derivati da verbi esprimenti la creazione di un oggetto, i quali tendono piuttosto a denotare, oltre al processo, l’oggetto creato: costruzione denota l’oggetto costruito e non lo stato dell’essere costruito (oltre al processo del costruire).
È importante distinguere i casi del tipo di costruzione (processo + oggetto risultante) da quelli in cui il nome denota un processo e un oggetto, ove però l’oggetto non è il risultato dell’evento. Ad es., nell’interpretazione non processuale, il nome pranzo denota ciò che è consumato durante il processo e non il suo risultato:
(7) processo: hanno interrotto il pranzo e sono corsi a casa
(8) oggetto: hanno fatto una passeggiata per digerire il pranzo
Infine, è opportuno tenere distinto il concetto di stato risultante dalla nozione di stato tout court. Per es., nel caso di isolamento lo stato dell’essere isolato non è necessariamente causato dal processo dell’isolare, come mostrato dai seguenti esempi:
(9) stato: l’isolamento geografico ha favorito la presenza di numerosi endemismi
(10) stato: malgrado il loro isolamento geografico, la popolazione ha un rapporto aperto nei confronti dei visitatori
(11) stato: l’effetto dell’isolamento geografico sull’evoluzione delle specie
Com’è noto, l’interpretazione di risultato non esaurisce la gamma di significati dei nomi deverbali (per l’italiano, si vedano Simone 2000; Gaeta 2004; Melloni 2007; Jezek 2008). Accanto all’interpretazione di processo e, eventualmente, di risultato, i nomi deverbali possono infatti esprimere altri aspetti del processo, per es.:
(a) il luogo in cui avviene il processo:
(12)
a. processo: una legge nazionale vieta il parcheggio in quest’area
b. luogo: la strada costeggia il parcheggio
(b) lo strumento utilizzato nel processo:
(13)
a. processo: un guasto non ha consentito il riscaldamento
b. strumento: la notte spengono il riscaldamento
(c) l’agente del processo:
(14)
a. processo: aspettare l’aiuto di qualcuno
b. persona: il nostro nuovo aiuto è portoghese
(d) l’agente collettivo del processo:
(15)
a. processo: assumere la direzione dell’azienda
b. gruppo: parlare con la direzione
(e) il modo del processo:
(16)
a. processo: è stata una camminata faticosa
b. modo: ha una camminata goffa.
GRADIT (1999-2007) = De Mauro, Tullio (dir.), Grande dizionario italiano dell’uso, Torino, UTET, 8 voll. (Cd-Rom).
Gaeta, Livio (2004), Nomi d’azione, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer, pp. 314-351.
Grimshaw, Jane (1990), Argument structure, Cambridge (Mass.), The MIT Press.
Jezek, Elisabetta (2008), Polysemy of Italian event nominals, «Faits de langues» 30, pp. 251-264.
Melloni, Chiara (2007), Polysemy in word formation: the case of deverbal nominals, (tesi di dottorato), Università di Verona.
Simone, Raffaele (2000), Cycles lexicaux, «Studi italiani di linguistica teorica ed applicata» 2, pp. 259-287.