non essere
Concetto filosofico che nell’eleatismo nasce come riflesso negativo della concezione dell’essere quale realtà unica e assoluta. Osservando che l’essere ritorna in ogni giudizio sulla realtà, e che ogni predicazione particolare, determinando quell’essere ed escludendo cioè da esso una diversa forma di essere, si manifesta contraddittoria perché mescola insieme l’essere e il non essere, Parmenide non vede altra realtà al di fuori dell’unico e indeterminato «ente» (ἐόν), e condanna ogni altra cosa come «non ente», che con il primo si connette solo per generare l’illusorio mondo dell’opinione. Il concetto di μὴ ἐόν (o μὴ ὄν, lat. non ens), appare d’altronde identico a quello di μηδέν (lat. nihil «niente», «nulla»): s’intende quindi come da un lato Gorgia, ironizzando sull’eleatismo, possa dimostrare che «nulla è», e come dall’altro Democrito, procedendo alla trasformazione dell’antitesi eleatica dell’essere e del non essere in quella del pieno e del vuoto, possa dire che il «nulla » esiste allo stesso modo del «qualcosa». Platone avverte come ogni determinata predicazione implichi una sintesi dell’essere con il non essere, e, per non contravvenire all’esigenza eleatica, interpreta il non essere come alterità (e differenza), cioè il μὴ ὄν come ἕτερον. Con Aristotele la dissoluzione del concetto eleatico dell’essere implica anche quella del non essere, da lui risolto dinamicamente nel concetto di potenza. Particolare significato il problema del non essere assume nell’idealismo postkantiano, e particolarmente con Hegel, che nell’antinomia dell’essere e del non essere (o dell’essere e del nulla), e nel loro convertirsi l’uno nell’altro e generare così il divenire, vede la prima e fondamentale triade di tutto il sistema dialettico: il problema del non essere e del nulla (➔) al pari di quello della negazione (➔), s’identifica in questa prospettiva con il problema della dialettica e del modo d’intendere il suo principio.