Numeri, calcoli, misure
Fin da tempi antichissimi gli esseri umani sapevano contare. L'uso dei numeri rendeva possibile la risoluzione di molti problemi legati alla vita quotidiana. Da quei tempi antichi a oggi lo studio della matematica non si è più interrotto e ancora oggi ci riserva bellissime sorprese.
Quando a un bambino piccolo viene chiesto: "Quanti anni hai?", egli mostra per risposta due o tre dita. Non sa ancora parlare bene e sicuramente non ha imparato a scrivere, però già usa le dita per contare. Anche gli uomini antichi hanno imparato a contare molto prima di saper scrivere. Non è un caso che i primi esempi di scrittura da noi ritrovati riportino proprio dei numeri. Scrivere numeri è facile: 1, una stanghetta, 2, due stanghette, 3, tre stanghette, e così via.
I numeri… non finiscono mai, sono cioè infiniti. Infatti possiamo pensare a un numero grandissimo, il più grande che ci viene in mente, ma a questo numero possiamo sempre aggiungere 1 e ottenere un numero più grande. Quindi possiamo ancora aggiungere 1, e poi ancora 1 e ancora 1. Dato un numero qualsiasi, dunque, è sempre possibile generarne uno più grande.
I numeri sono stati inventati per contare, ma ben presto ci si rese conto che potevano essere utilizzati per risolvere molti altri problemi: per dividere il raccolto tra due contadini, per sapere quante spade devono essere prodotte se ogni soldato ne vuole tre, e così via. Gli Egizi impararono presto e bene a fare calcoli e non meno bravi di loro furono gli antichi Babilonesi, ma sono stati sicuramente i Greci a porre le basi della matematica moderna.
Il primo grande matematico dell'antichità fu Pitagora. Nato nel 6° secolo a. C. a Samo, un'isola greca vicino alle coste della Turchia, dopo aver esercitato l'insegnamento in patria si trasferì a Crotone, in Calabria, dove fondò una scuola filosofica in cui si studiavano i segreti dei numeri.
Pitagora e i suoi allievi hanno scoperto, per esempio, che esistono due specie di numeri: i numeri pari e i numeri dispari. Un numero pari si può dividere per 2 senza che 'avanzi' niente, cioè senza resto, mentre, se si divide un numero dispari per 2, si ottiene sempre 1 come resto!
Facciamo un esempio: Lucia ha 4 caramelle e vuole darle a Marco e a Giorgio. Bene, ne dà 2 a Marco e 2 a Giorgio. Le ha finite, non le avanza niente: 4 è un numero pari. Se invece ha 5 caramelle, ne dà 2 a Marco e 2 a Giorgio: ne avanza 1… e può mangiarla lei! Cinque è un numero dispari.
Un'altra importante scoperta fatta dalla scuola di Pitagora è stata quella dei numeri primi. Un numero primo non può essere diviso per nessun numero diverso da sé stesso e da 1, senza che ci sia il resto. Riprendiamo le 5 caramelle di prima e proviamo a dividerle per un certo numero di ragazzi, senza che avanzi nulla. Se il ragazzo è 1, diamo tutte le caramelle a lui e non ne avanza nessuna. Se i ragazzi sono 2, possiamo darne 2 a testa, ma ne avanza 1. Se prendiamo 3 ragazzi, ne diamo 1 a testa e ne avanzano 2. Se i ragazzi sono 4, spetta 1 caramella per uno, ma ne avanza 1. Se i ragazzi sono 5, allora diamo 1 caramella per uno e non avanza nulla. Il numero 5 può essere diviso solo per 1 e per 5: è un numero primo.
2, 3, 5, 7, 11, 13, 17 sono i numeri primi più piccoli, ma ce ne sono tanti altri: anche i numeri primi sono infiniti, come è stato dimostrato da Euclide. I numeri primi formano la base con la quale possiamo generare tutti gli altri numeri interi: infatti ogni numero intero può essere scritto come il prodotto di più numeri primi. È un po' come se i numeri primi fossero gli 'atomi' della matematica.
Guardiamo i seguenti esempi, considerando che a destra del segno di eguaglianza ci sono solo numeri primi:
1=1
2=2
3=3
4=2×2
5=5
6=2×3
7=7
8=2×2×2
9=3×3
10=2×5
Il numero zero indica la mancanza di oggetti, di elementi in un certo insieme. Zero mele significa non avere neanche una mela dell'insieme delle mele. Ma lo zero è un 'niente' molto importante; è utilissimo per contare, anzi indispensabile, se scriviamo i numeri come ci hanno insegnato gli Arabi e come facciamo da molti secoli.
Un tempo scrivere numeri molto grandi era assai faticoso, era necessario parecchio spazio e la loro lettura era molto difficile. Per i numeri grandi risultò perciò più comodo usare simboli speciali. Per esempio, per scrivere il numero 100 gli Egizi impiegavano un simbolo che assomiglia molto alla forma del numero 9, i Greci usavano la lettera ϱ', cioè la lettera del loro alfabeto chiamata "ro" con un segno in alto a destra. I Romani, che erano molto pratici, usavano la lettera C, cioè la prima lettera della parola centum. Gli antichi avevano bisogno di molti simboli per indicare i numeri. Guardiamo i numeri romani:
I=1
V=5
X=10
L=50
C=100
D=500
M=1.000
Per scrivere questi numeri i Romani usavano sette simboli, I, V, X, L, C, D e M, mentre noi ne utilizziamo solo tre: 1, 5 e 0. Possiamo usare pochi simboli proprio perché conosciamo lo zero.
Possiamo scrivere tutti i numeri, grandi e piccoli quanto ci pare, utilizzando solo dieci simboli, da 0 a 9. Ma il significato di questi simboli cambia con la posizione: il numero 1 vuol dire una unità (1) se si trova nella prima posizione contando da destra, vuol dire una decina (10) se si trova nella seconda posizione, vuol dire un centinaio (100) se si trova nella terza posizione. Il simbolo è sempre lo stesso, cioè 1, ma è la posizione a segnalarci se si tratta di unità, decine o centinaia.
Per scrivere 'cento' abbiamo 1 centinaio, 0 decine e 0 unità: 100. Senza lo 0 non potevamo mettere l'1 in terza posizione, dato che le posizioni delle unità e delle decine dovevano essere vuote.
Questo rivoluzionario modo di scrivere i numeri è stato inventato dagli Indiani da cui poi lo hanno appreso gli Arabi. Questi, prima dell'anno Mille, avevano fondato molte scuole dove si studiava la matematica e avevano intensi rapporti commerciali con le popolazioni europee. Quando si trattava di fare i conti, i mercanti arabi erano molto più veloci degli Europei, che utilizzavano ancora i sistemi di calcoli dei Romani. Nel 13° secolo, Leonardo Fibonacci, colpito della bravura degli Arabi nel fare i conti, imparò il loro metodo e scrisse un libro che integrava le conoscenze matematiche indiane, arabe ed europee. Queste conoscenze si diffusero così in tutta l'Europa.
Ogni volta che aggiungiamo uno zero come ultima cifra, scriviamo un numero dieci volte più grande. Prendiamo per esempio il numero 1: scritto senza zeri 1 (uno) è proprio 1; seguito da uno zero, 10 (dieci), è 10 volte più grande di 1; seguito da due zeri, 100 (cento), è dieci volte più grande di 10 e cento volte più grande di 1.
Possiamo arrivare a scrivere 100.000.000.000.000 (centomila miliardi), o addirittura un numero più grande: basta aggiungere altri zeri!
Quando gli zeri diventano moltissimi non è comodo scriverli tutti; allora possiamo rappresentarli in modo più semplice, utilizzando le potenze. Elevare un numero a potenza significa moltiplicare questo numero per sé stesso quante volte indica la potenza: per esempio 102 si legge "dieci elevato alla seconda" e significa che il risultato è ottenuto moltiplicando 10 per sé stesso: 10×10=100. Il numero in alto a destra si chiama esponente. Quando il numero elevato a potenza è 10 l'esponente è uguale al numero di zeri che formano il risultato dell'elevazione a potenza. Per esempio, il risultato di 103 che ha 3 come esponente è 1.000, numero formato con 3 zeri. Ciò significa che il numero 100.000.000.000.000 (centomila miliardi), formato dal numero 1 seguito da 14 zeri può essere scritto molto più sinteticamente 1014.
Gli uomini contano generalmente per dieci perché le dita delle mani sono dieci e con le dita si sono sempre aiutati a fare i conti. Ma è indispensabile contare per dieci? Si può contare in qualche altro modo?
Il sistema di numerazione inventato dagli Indiani e trasmessoci dagli Arabi ci permette di scrivere tutti i numeri usando dieci simboli, che si chiamano cifre: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Similmente, possiamo scrivere tutte le parole della lingua italiana usando ventuno simboli: le lettere del nostro alfabeto. Ma mentre non esiste un preciso procedimento per generare le parole combinando le lettere dell'alfabeto, nel caso dei numeri il procedimento esiste e ci permette di scrivere numeri sempre più grandi, a patto di usare, contemporaneamente, più di una cifra. I numeri a una cifra sono: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Per passare dal nove al dieci, dobbiamo usare due cifre (le prime due) e scriviamo: 10. La cifra a destra indica le unità, quella a sinistra le decine. Quindi 'dieci' è indicato da 1 decina e da 0 unità: se non avessimo lo zero non potremmo scrivere il numero dieci. Per i numeri seguenti, fino al 19, usiamo in successione tutte le cifre a disposizione, riempiendo mano mano la posizione delle unità: 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19.
A questo punto, per il numero successivo (il venti) dobbiamo usare la cifra 2, mentre, al posto delle unità, rimettiamo la cifra 0: 20; e così via andando avanti di decina in decina finché si arriva a 99, l'ultimo numero a due cifre. Per il numero successivo dovremo usarne tre e scriveremo: 100. La cifra 1 ora indica le centinaia. E il numero cento è formato da 1 centinaio, 0 decine e 0 unità. E il procedimento prosegue per le migliaia, le decine di migliaia, e così via.
Come si vede, la posizione delle cifre è importante perché il loro valore dipende da come sono collocate: per tale motivo una numerazione come quella decimale è chiamata posizionale.
Il sistema a dieci cifre, o in base dieci, o decimale, non è l'unico sistema di numerazione possibile. Nulla impedisce di usare un sistema a cinque cifre, o a dodici, o a sedici: in realtà, basta una sola cifra per scrivere tutti i numeri! Per scrivere tre, infatti, basta mettere di seguito per tre volte la cifra 1 e scrivere: 111. è il più antico dei sistemi, di certo molto scomodo (provate a scrivere il numero cento in questo modo!).
I calcolatori usano un sistema di poco più complicato: il sistema a due cifre, o in base due, o binario. Il procedimento che si usa per scrivere, in successione, tutti i numeri nel sistema binario è identico a quello che abbiamo usato nel caso del sistema decimale. I primi due numeri, gli unici a una cifra nel sistema binario, sono 0 e 1. Il terzo numero (quello che nel sistema decimale si indica con la cifra 2) va già scritto, nel sistema binario, usando due cifre: 10 (nel sistema binario, questo numero non si chiama dieci ma uno-zero). Il 3 del sistema decimale, nel sistema binario si scrive 11 (uno-uno). Risultano così riempite le prime due cifre del sistema binario: il numero successivo (il 4 del sistema decimale) dovrà essere perciò scritto a tre cifre: 100.
Una volta imparato il trucco, è facile scrivere un numero usando un qualsiasi sistema di numerazione. Per esempio, in un sistema in base cinque, i primi dieci numeri si scriverebbero come descritto nella terza colonna della tabella.
In questo sistema, i numeri a una cifra sono i primi cinque (0, 1, 2, 3, 4); a partire dal sesto numero, corrispondente al 5 del sistema decimale, i numeri si scrivono a due cifre (10, 11, ...) e così via. Si noti che, in ogni sistema, con base inferiore o uguale a dieci, il numero scritto 10 corrisponde alla base usata: nel sistema decimale, il numero scritto 10 è proprio il numero 10; in quello binario, il numero scritto 10 è il numero 2; in quello in base cinque, il numero scritto 10 è il numero 5; in quello in base dodici, il numero scritto 10 è il numero 12.
Un sistema molto usato è quello esadecimale, cioè a base sedici, impiegato per esempio nella grafica al computer: in questo caso i numeri che conosciamo (da 0 a 9) non bastano per rappresentare tutti i valori del sistema ed è necessario aggiungere lettere, da A a F, dove F è il valore massimo a una cifra del sistema.
Per risolvere con l'aiuto dei numeri alcuni problemi della vita quotidiana non basta saper scrivere i numeri e contare, ma è necessario anche saper fare delle operazioni, cioè combinare i numeri per trovare un risultato, la soluzione del problema.
Saper contare è utilissimo, ma non sempre basta. È necessario saper 'far di conto', cioè combinare uno o più numeri per ottenere un risultato.
Prendiamo un frullatore, mettiamoci due rossi d'uovo, un pizzico di sale, olio e frulliamo il tutto. Il frullatore mischia gli ingredienti e produce il risultato: la maionese. 'Frullatori' simili esistono anche per i numeri. Si chiamano operatori: il loro compito è di mischiare i numeri e di produrre un risultato.
L'operatore più semplice, ma anche il più importante, è l'operatore somma: si indica con il simbolo + che si legge 'più'. Cosa fa questo operatore? Prende due numeri, li aggiunge l'uno all'altro e produce il risultato. Facciamo un esempio: Lucia ha 2 caramelle, Marco ne ha 3. Quante caramelle hanno se le mettono insieme? La scrittura matematica del problema è questa:
2+3=5 (due più tre uguale cinque).
Il risultato, cioè la soluzione del problema, viene scritto a destra del segno =. Per l'operatore '+' non è importante l'ordine in cui mettiamo i numeri, dunque va bene anche:
3+2=5
Se invece Lucia ha 3 caramelle e Marco gliene chiede 1, quante caramelle rimangono a Lucia? In questo caso si dovranno togliere dalle caramelle di Lucia quelle date a Marco. Si usa, dunque, un altro operatore, l'operatore sottrazione, che si indica con il segno − (che si legge 'meno'). Lo scriviamo così:
3−1=2 (tre meno uno uguale due).
L'operatore '−' dice che dobbiamo togliere da un numero un altro numero.
Questa volta l'ordine dei numeri è importante, infatti:
1−3 non è uguale a 2 ma a −2.
I problemi da risolvere, però, possono essere più complicati. Per esempio: ci sono 3 bambini, ognuno ha 2 caramelle. Quante caramelle hanno tutti insieme? Quello che dobbiamo fare è prendere le caramelle del primo bambino, aggiungere quelle del secondo, poi aggiungere quelle del terzo:
2+2+2=6
Dobbiamo, cioè aggiungere 2 (le caramelle di ogni bambino) per 3 volte (quanti sono i bambini). Per aggiungere sempre lo stesso numero tante volte, è stato inventato un altro operatore, che si scrive con il segno × e si legge 'per':
2×3=6 (due per tre uguale sei)
Questo operatore risponde alla seguente istruzione: "aggiungi 2 e fallo per 3 volte". E se lo leggo al contrario? E se mi sbaglio e aggiungo 3 per 2 volte?
3×2=6 (tre per due uguale sei)
Il risultato non cambia.
Per fare velocemente le moltiplicazioni si utilizza la tavola pitagorica (che prende il suo nome proprio da Pitagora), nota a tutti gli studenti delle elementari. È un quadrato composto di 100 caselle, 10 per lato: sulla prima fila in orizzontale e verticale ci sono i multipli di uno, sulla seconda i multipli di due, e così via fino a 10. All'incrocio tra i numeri si trovano i risultati della moltiplicazione dei numeri tra loro. Ma, attenzione, la tavola pitagorica va bene solo quando si usa il sistema decimale.
Ed ecco l'ultimo dei quattro operatori fondamentali, la divisione; si indica con il simbolo : che si legge 'diviso'. Lucia ha 8 caramelle e le vuole dividere tra 4 bambini, dandone a ognuno lo stesso numero. Quello che deve fare è:
8 : 4=2 (otto diviso quattro uguale due).
Per la divisione l'ordine dei numeri è importante. Infatti è molto diverso dividere 4 caramelle per 8 bambini, perché alla fine ciascuno avrà solo metà caramella.
Ognuno dei quattro operatori ha un numero neutro, cioè esiste un numero 'inutile' per l'operazione relativa, che, quando si applica l'operatore a un altro numero (o a esso stesso), non lo fa cambiare. Esempio:
4+0=4; 4−0=4
Sommare o sottrarre 0 a un numero non fa cambiare il numero dato. 0 è il numero neutro degli operatori addizione e sottrazione.1 è invece il numero neutro per gli operatori moltiplicazione e divisione:
4×1=4; 4 : 1=4
Prendere 4 caramelle e farlo una sola volta vuol dire proprio prendere 4 caramelle. Prendere 4 caramelle e dividerle per un solo bambino vuol dire dargliele tutte e 4.
I numeri non sono oggetti concreti e questo può rendere astratta l'attività del calcolare. A un certo punto della storia, però, i matematici riuscirono a trovare il modo di 'disegnare' i numeri e di 'vedere' le operazioni. Molti problemi divennero immediatamente più comprensibili.
Disegniamo una retta e segniamo su di esse alcune tacche equidistanti, cioè ognuna alla stessa distanza dall'altra. Contrassegniamo ogni tacca con un numero intero. Partendo da sinistra, mettiamo 0 sulla prima tacca e poi di seguito 1, 2, 3, aumentando verso destra. Adesso osserviamo i nostri numeri. Sono tutti allineati in ordine sulla retta, che potremmo disegnare lunghissima in modo da inserire anche numeri molto grandi. La retta non finisce mai, è infinita così come i nostri numeri.
Proviamo a fare le operazioni descritte in precedenza dando un significato nuovo agli operatori + e −.
'+' significa ora "spostati verso destra"
'−' significa "spostati verso sinistra".
Facciamo l'operazione 2+3 in questo modo:
partiamo da 2 e dirigiamoci verso destra (come ci dice il segno +) spostandoci di 3 posti. In questo modo arriviamo al numero 5. Abbiamo trovato il risultato della nostra operazione!
Proviamo con una sottrazione: 3−1
Partiamo da 3 e spostiamoci verso sinistra (operatore −) di 1 posto. Ci troviamo sul 2, risultato della sottrazione. Sulla nostra retta dei numeri, gli operatori "spostati a destra" e "spostati a sinistra" funzionano esattamente come gli operatori somma e sottrazione dei numeri, con il vantaggio di poter visualizzare le operazioni.
Possiamo usare la retta dei numeri anche per le moltiplicazioni? Sì, dobbiamo sempre partire dallo 0 e dobbiamo fare salti più lunghi, lunghi quanto ci ordina l'operazione che scriviamo.
Per esempio:
2×5
Questo vuol dire spostarci di 2 posti per 5 volte, o spostarci di 5 posti per 2 volte, a nostro piacere: come si verifica facilmente sulla retta, il risultato non cambia. In tutti e due i casi, alla fine degli spostamenti ci troviamo sempre nella posizione corrispondente al numero 10.
Proviamo con la divisione. Per esempio:
6 : 2
La domanda adesso è: "quanti spostamenti lunghi 2 dobbiamo fare per arrivare a 6?". Proviamo: 1, 2 e 3. Siamo arrivati all'altezza di 6. Il numero 3 (cioè il numero di spostamenti che devo fare) sarà il risultato della divisione.
La nostra retta non finisce mai e cresce sempre verso destra. Ma possiamo continuarla anche verso sinistra? Certo, però che numeri ci mettiamo? Quegli stessi che abbiamo scritto a destra, ma preceduti da un segno −. Si chiamano numeri negativi, e sono numeri più piccoli di 0.
Sembra assurdo, se consideriamo lo zero come 'niente': cosa può essere più piccolo di niente? Ma abbiamo già detto che 0 è un 'niente' molto speciale, e anche in questo caso non si smentisce: infatti è più grande di tutti i numeri negativi! Facciamo un esempio. Marco ha in tasca 1 euro, ma ne deve ridare 2 a un amico che glieli ha prestati ieri. Quanti soldi ha? Proviamo a impostare l'operazione sulla retta:
1−2=?
Da zero ci spostiamo su 1 e poi facciamo 2 salti verso sinistra. Ci troviamo su ‒ 1. Quindi:
1−2=−1
Che cosa vuol dire? Significa che Marco può dare al suo amico l'euro che ha in tasca, ma rimane ancora debitore di 1 euro nei suoi confronti. Marco è 'in negativo' (il segno meno vuol dire negativo) di 1 euro. Cioè, sotto lo 0. Se adesso la madre regala a Marco 3 euro, possiamo impostare l'operazione così:
−1+3=2
Partiamo da −1, spostandoci di tre posti verso destra e raggiungiamo il numero 2. È esatto! Dei 3 euro che Marco ha avuto, 1 lo deve dare al suo amico e 2 gli rimangono in tasca.
I numeri negativi hanno un ruolo importante in tanti campi applicativi. Per esempio, quando si dice che in Italia il debito pubblico è molto alto, vuol dire che lo Stato italiano ha sostenuto molte più spese rispetto alle entrate monetarie che ha riscosso, cioè ha speso ogni anno più soldi di quanti ne avesse a disposizione e pertanto ha una ricchezza in moneta di valore negativo. Per poter sostenere le spese superiori alle entrate ha dovuto prendere in prestito i soldi mancanti.
I numeri possono essere collocati su una linea a una dimensione, ma un foglio ha due dimensioni e il mondo reale ne ha tre. Per descrivere forme e figure a più dimensioni sono perciò necessari più numeri.
Disegniamo la nostra retta con i numeri. Decidiamo che a ogni numero corrisponde un segmento, che parte da zero e arriva al numero da noi scelto. Per esempio al numero 2 corrisponde un segmento lungo 2. Al numero 5 corrisponde un segmento lungo 5. Un segmento è una figura, una linea finita (cioè non infinita) che ha una sola dimensione, la lunghezza: quindi basta un numero che indica la lunghezza per sapere tutto quello che è necessario.
Possiamo anche fare la differenza tra i nostri segmenti, cioè determinare quanto il segmento 5 sia più lungo del segmento 2. Se al segmento 5 sottraiamo il segmento 2, ci rimane un segmento che parte da 2 e arriva a 5: questo segmento è lungo 3, come possiamo verificare contando gli intervalli che ci sono dall'inizio alla fine del nuovo segmento.
Se invece vogliamo disegnare un rettangolo, abbiamo bisogno di due numeri, uno che indica l'altezza e uno la lunghezza. Non possiamo disegnarlo su una retta, ma abbiamo bisogno di due rette. Perciò abbiamo bisogno di due numeri, uno sulla retta orizzontale (quella 'distesa'), che chiamiamo retta della x, e uno sulla retta verticale (quella 'in piedi'), che chiamiamo retta della y.
Se dobbiamo disegnare un rettangolo con base lunga 3 e altezza lunga 2, si deve partire dal punto x=3 sulla retta orizzontale e tirare su una riga verticale fino al punto y=2. Da questo punto si traccia una linea orizzontale. Così abbiamo disegnato un rettangolo. Con soli due numeri (3, 2) possiamo avere tutte le notizie necessarie sul nostro rettangolo. Quanto è alto? 2. Quanto è largo? 3. E quanto misura la sua area?
3×2=6
Ma cos'è l'area di una figura? Pensiamo di dover pavimentare il nostro rettangolo con mattonelle quadrate il cui lato sia lungo 1: l'area rappresenta il numero di mattonelle che devo utilizzare per 'pavimentare' il mio rettangolo. Se le contiamo ci accorgiamo che sono proprio 6.
Un numero, un segmento; due numeri, un rettangolo. Ma se vogliamo disegnare una stanza? Non bastano due numeri, ne servono tre. Una stanza ha tre dimensioni: un'altezza, una larghezza e una profondità. Ma ormai è chiaro: tre rette posizionate ad angolo retto, come uno spigolo della stanza, tre numeri e il gioco è fatto.
x=7 (larghezza)
y=4 (profondità)
z=3 (altezza)
Calcoliamo quanto è grande l'area del pavimento della stanza.
7×4=28
Servono 28 mattonelle quadrate di lato uguale a 1 per pavimentarla.
Quanto è grande il volume della stanza, cioè quanto spazio occupa la stanza? Bisogna moltiplicare la larghezza per la profondità e poi per l'altezza, cioè 7×4×3. Servono dunque 84 cubetti di lato 1 per riempire tutta la stanza.
Il primo a capire l'utilità di 'disegnare' i numeri e, viceversa, di descrivere le figure con i numeri è stato il matematico e filosofo francese René Descartes, in italiano conosciuto come Cartesio, nato nel 1596. Le rette su cui vengono segnati i numeri si chiamano assi cartesiani, in suo onore.
Associando i numeri alle figure, Cartesio e gli studiosi venuti dopo di lui sono riusciti a risolvere problemi matematici che nessuno era mai riuscito a risolvere.
Due figure possono apparirci diverse anche se in realtà sono uguali. Per confrontarle dobbiamo provare a sovrapporle, cioè a metterle l'una sull'altra. Per fare questo possiamo spostarle o farle ruotare.
Vediamo due rettangoli disegnati su un foglio. Sembrano uguali, ma lo sono veramente? Non basta infatti verificare che l'area sia uguale, perché due rettangoli possono avere la stessa area ma essere diversi: per esempio, due rettangoli uno alto 1 e lungo 6 e l'altro alto 2 e lungo 3, hanno entrambi area 6.
Per verificare l'eguaglianza tra due rettangoli possiamo ritagliarli con le forbici e metterli uno sull'altro. Solo se i bordi combaciano i rettangoli sono uguali. Non c'è bisogno, però, di ritagliare fisicamente due figure per verificare se sono uguali. Infatti possiamo provare un altro metodo: facciamo una traslazione, cioè spostiamo una figura sull'altra utilizzando la matematica… al posto delle forbici.
Mettiamo gli assi cartesiani intorno ai rettangoli, con lo 0 che coincide con il vertice rosso del rettangolo A. Quali sono le coordinate del vertice rosso del rettangolo B? x=2 e y=5.
Dato che il vertice rosso del rettangolo A ha coordinate x=0 e y=0 (lo abbiamo collocato noi in questo modo), per 'spostare' il vertice rosso del rettangolo B sul vertice rosso del rettangolo A dobbiamo spostarlo a sinistra di 2 e in basso di 5:
x=2−2=0
y=5−5=0
In questo modo i due vertici coincidono perché hanno le stesse coordinate (x=0, y=0).
Ma per conservare la sua forma, il rettangolo va spostato in modo rigido, cioè senza deformarlo. Quindi dobbiamo fare la stessa operazione su tutti e quattro i vertici, spostandoli a sinistra di 2 e in basso di 5.
Prendiamo il vertice blu del rettangolo B e spostiamolo:
x=6−2=4
y=5−5=0
Il vertice blu del rettangolo B ha coordinate x=4 e y=0, le stesse del vertice blu del rettangolo A.
Poi prendiamo il vertice verde:
x=6−2=4
y=8−5=3
Anche il vertice verde del rettangolo B, una volta spostato, coincide con il vertice verde del rettangolo A. Proviamo l'ultimo vertice, quello giallo:
x=2−2=0
y=8−5=3
I due rettangoli coincidono, quindi sono uguali.
Non sempre basta uno spostamento per riuscire a sovrapporre due figure; a volte serve anche farle ruotare. Guardiamo, per esempio, questi altri due rettangoli: per poterli sovrapporre dobbiamo farli ruotare. Prima di ruotarli, per mezzo della traslazione, li mettiamo in posizione tale che almeno un vertice coincida (x=0, y=3). Per fare una rotazione bisogna conoscere operazioni matematiche un po' più complesse delle somme o delle sottrazioni, ma con l'aiuto del disegno possiamo capire se le due figure, una volta ruotate, si sovrappongono.
Questa volta abbiamo colorato i lati anzichè i vertici. Vogliamo sovrapporre il lato rosso del rettangolo B al lato rosso del rettangolo A. Quanto è lungo il lato rosso di B? È lungo 3, come si vede dal disegno. Anche il lato rosso di A (cioè la sua altezza) è lungo 3 e quindi i lati dei due rettangoli si sovrappongono. Fatta questa rotazione, il lato blu del rettangolo B si troverà 'poggiato' sopra al lato blu del rettangolo A. Ma per vedere se i due lati coincidono, dobbiamo verificare se sono lunghi uguali. Bene, il lato blu di A è lungo 4, ma anche quello di B (cioè la sua altezza) è lungo 4. I due rettangoli coincidono e quindi sono uguali.
In natura esistono coppie di figure diverse tali che ciascuna delle due risulta identica all'immagine dell'altra riflessa in uno specchio. In questo caso si dice che le figure sono specularmente simmetriche, o anche inversamente uguali.
Le nostre mani non si possono sovrapporre l'una all'altra (non possiamo infilare un guanto destro nella mano sinistra!) ma ciascuna delle due coincide con l'immagine dell'altra riflessa in uno specchio. Quando ci specchiamo, la nostra mano destra diventa la mano sinistra della figura nello specchio e viceversa. La stessa cosa vale per la metà destra e la metà sinistra del nostro corpo. Le mani e le due metà, destra e sinistra, del nostro corpo sono figure specularmente simmetriche. Il nostro corpo non è del tutto simmetrico, cioè non è divisibile in due parti esattamente uguali: per esempio, se abbiamo un neo sulla guancia sinistra, è molto improbabile che sia presente anche sulla guancia destra. In ogni caso, la simmetria del nostro corpo, come quella del corpo degli altri animali, è solo esterna perché gli organi interni, invece, non sono distribuiti in modo simmetrico. Il cuore si trova a sinistra, il fegato a destra, la milza a sinistra.
La simmetria speculare è molto importante in natura. Per esempio, esistono molecole che si presentano in due forme speculari: la destra e la sinistra. Poiché si tratta di molecole asimmetriche (come le due mani), le due forme speculari non sono sovrapponibili: ciò vuol dire che le due molecole sono diverse. Inizialmente gli scienziati pensavano che queste differenze non avessero alcuna importanza per le funzioni che la molecola svolgeva, e nei farmaci venivano usate miscele di molecole 'destre' e 'sinistre'. Gli studi più recenti, però, hanno accertato un diverso modo dell'organismo di assimilare l'uno o l'altro tipo di queste molecole e così oggi si usa solo quello che risulta utile, aumentando l'efficacia del farmaco.
Due persone poste ai due lati opposti di un binario ferroviario guardano passare un treno. Per una il treno si sta spostando da sinistra a destra, per l'altra da destra a sinistra, ma per tutti e due gli osservatori il treno si muove allo stesso modo, con la stessa velocità. Per le leggi della fisica, in questo caso le leggi del moto, la destra e la sinistra non hanno importanza.
Questo significa che se noi facciamo un esperimento davanti a uno specchio, quello che vediamo nello specchio potrebbe verificarsi anche in natura e per ciò che avviene nello specchio valgono le stesse leggi fisiche che sono valide per il nostro esperimento. Per esempio, se facciamo oscillare un pendolo, quello che avviene nello specchio è un'inversione della destra con la sinistra, ma per il resto il moto è esattamente uguale e si può verificare in natura in modo molto semplice: basta dare la spinta al pendolo nella direzione opposta a quella data inizialmente.
Gli scienziati per molto tempo pensarono che la possibilità di invertire la destra con la sinistra fosse sempre valida e che ciò non portasse a nessuna differenza delle leggi della fisica. Ma non è sempre così. Per esempio, questa affermazione non è vera per alcune reazioni nucleari. Per queste reazioni esiste una differenza tra destra e sinistra e la reazione che noi osserviamo nello specchio non potrebbe mai esistere in natura. Forse, se non esistessero queste reazioni, nessuno potrebbe parlare di 'destra' e 'sinistra' in senso assoluto.
Il primo strumento di calcolo utilizzato dall'uomo sono state le dita. In seguito l'uomo ha costruito molti altri strumenti che lo aiutavano a fare i calcoli. Oggi i grandi calcolatori permettono di arrivare a risultati che sarebbe praticamente impossibile ottenere in altro modo.
Per fare i conti i Romani usavano l'abaco, l'antenato del pallottoliere. Originariamente l'abaco era composto da tavolette divise in colonne su cui venivano poggiate alcune pietruzze o 'calcoli' (in latino, 'pietruzza' si dice calculus). Gli abachi erano molto diffusi anche in Cina e in Giappone. La loro forma può essere diversa ma il principio di funzionamento è sempre lo stesso; le colonne rappresentano i diversi ordini di unità e per rappresentare un numero si spostano le palline verso una barra centrale. I calcoli si fanno componendo un numero e spostando le palline in relazione al valore dell'altro numero, un pò come abbiamo fatto con le operazioni sulla retta. Il difetto principale era che bastava commettere un errore e… si ricominciava tutto da capo.
Sin dall'antichità, quindi, gli uomini hanno sognato di poter costruire una macchina che facesse i calcoli per loro. Oggi queste macchine esistono: sono i calcolatori (computer), che sono in grado di eseguire molti calcoli in un tempo brevissimo. Esistono calcolatori portatili, piccoli e maneggevoli, e supercalcolatori, grandi, velocissimi, dotati di una enorme memoria. Vengono utilizzati per fare calcoli complessi che servono, per esempio, quando si devono mandare in orbita i satelliti o una sonda su Marte.
I calcolatori sembrano macchine intelligenti, ma in realtà possono solo obbedire a pochi e semplici ordini dati dal programmatore.
Ciò significa che il calcolatore è una macchina, o hardware come è chiamato in inglese, che per funzionare deve essere programmata, cioè le si devono fornire istruzioni da eseguire. L'insieme delle istruzioni per il calcolatore si indica con la parola inglese software. Dopo aver eseguito le istruzioni sulla base dei dati iniziali, la macchina fornisce un risultato. Devono esistere, quindi, dispositivi di input (entrata dei dati) e output (uscita del risultato). In genere le istruzioni vengono fornite tramite tastiera e il risultato appare sul monitor, oppure a stampa.
Il calcolatore ha una memoria che possiamo immaginare come una specie di grandissima scaffalatura fatta da tante celle. Ogni cella può essere associata a un numero che fa parte dei nostri dati, oppure può essere vuota. Il calcolatore deve 'ricordarsi' in quale cella mette i nostri dati. Per questo ogni cella di memoria possiede un diverso 'indirizzo' simile a un numero di telefono. Vediamo quali informazioni dobbiamo fornire al calcolatore per fargli trovare la risposta a un nostro quesito:
I=3
M=5
T=I+M
stampa T
Abbiamo detto al calcolatore: metti il numero 3 nella posizione di memoria I e il numero 5 nella posizione M. Metti la somma dei numeri che trovi nelle posizioni I e M nella posizione T. Stampa il contenuto della posizione T.
A ciascuna cella di memoria noi abbiamo dato un nome: I, M e T. Il calcolatore si occuperà di associare a ogni nome un indirizzo, così come il gestore telefonico associa al nome di un abbonato un numero telefonico.
Il calcolatore è costituito da un complesso di microcircuiti elettrici in cui può passare o non passare corrente. Al passaggio di corrente è associato il valore 1 e al non passaggio il valore 0. In questo modo il calcolatore trasforma i segnalielettrici in codice binario e può eseguire ogni tipo di operazione richiesta.
Qualsiasi programma, anche il più complicato, può venire scomposto in tante istruzioni elementari. La memoria del calcolatore è tale che può gestire milioni di dati e milioni di operazioni in brevissimo tempo.
I numeri compaiono in tutte le manifestazioni della vita quotidiana e servono soprattutto quando si deve misurare qualcosa. È importante che il modo in cui viene misurato qualcosa sia comprensibile a tutti e in tutto il mondo. Soprattutto oggi in cui il commercio e la comunicazione sono globalizzati. Per questo è stato creato il Sistema Internazionale delle misure.
La sensazione di cosa sia freddo o caldo, grande o piccolo, veloce o lento, luminoso o scuro è diversa da persona a persona. Si è sentita presto, quindi, l'esigenza di 'quantificare' le cose; soprattutto nel commercio, dove le quantità sono legate al valore in moneta. I numeri, diversamente dalle parole (un po', tanto, poco), danno una misura precisa delle cose.
Immaginiamo due antichi mercanti che stanno discutendo: "Ti do un po' di oro e tu mi dai tanto grano". "Va bene, ma quanto oro? E di grano, quanto?". Ecco dunque la prima esigenza di quantificare le cose: "Il mio oro pesa 5 grammi e voglio in cambio 15 sacchi di grano di questa grandezza".
Ecco, adesso ci si capisce, non più "un po' di oro", ma "5 grammi", non più "tanto grano", ma "15 sacchi".
I numeri da soli non bastano a determinare le quantità. Il mercante di prima ha dovuto dire anche "sacchi di questa grandezza". Se avesse chiesto 15 sacchi piccoli al posto di 15 sacchi molto grandi la quantità di grano sarebbe stata diversa, anche se i sacchi erano sempre 15. "Quanto è distante il cinema?". "3". 3 cosa? 3 metri? 3 chilometri? Una bella differenza per le nostre gambe! Insomma, servono i numeri, ma servono anche le unità di misura, per esempio il metro. Non solo: è necessario anche che le unità di misura siano uguali per tutti. Un metro deve avere la stessa lunghezza per tutti e tutti devono sapere quanto è lungo un metro.
Per questo è stato istituito un Sistema Internazionale per le misure (la cui sigla è SI) che definisce la lunghezza di un metro, la massa di un chilogrammo, la durata di un secondo. Queste misure sono il riferimento comune in tutte le parti del mondo, così ognuno può confrontare esattamente lunghezze, pesi e tempi.
A volte capita che in alcuni paesi si usino ancora le unità di misura tradizionali, diverse da quelle del SI. Per esempio, gli Inglesi comunemente misurano ancora i pesi in libbre e le distanze in miglia.
Prendere bene le misure non è operazione facile. Gli strumenti di misura devono essere usati con attenzione, seguendo regole precise. La precisione delle misure dipende dall'accuratezza dello strumento che utilizziamo. Prendiamo, per esempio, un metro di legno per misurare la larghezza del tavolo. Sullo strumento di legno è segnata la lunghezza di 1 metro. Questa lunghezza è divisa in 10 parti uguali, i decimetri, ogni decimetro è diviso in 10 parti uguali, i centimetri, e infine ogni centimetro è diviso in 10 parti uguali, i millimetri. Altre divisioni non ci sono. Il nostro metro, quindi, avrà la precisione di un millimetro e con questo strumento non possiamo effettuare misure ancora più precise.
C'è anche un altro problema: a volte le misurazioni modificano il sistema stesso che stiamo misurando. Per esempio, per misurare la temperatura del caffè inseriamo il termometro nella tazzina, ma il termometro è freddo e, durante la misurazione, raffredda un poco il caffè e quindi noi non possiamo sapere qual era la temperatura subito prima della misurazione.
Nella maggior parte delle volte, noi alteriamo la misura talmente poco che possiamo anche trascurare l'errore introdotto, ma in alcuni casi, in genere se misuriamo cose molto piccole (come atomi e molecole), l'alterazione può incidere in modo rilevante sul risultato della misurazione.
Per misurare distanze molto grandi, come quelle che ci sono tra la Terra e le stelle, si utilizza la velocità della luce. Ma come è possibile usare una velocità per misurare una distanza? E come si misurava una distanza? E come si misurava il tempo quando non esistevano gli orologi?
"Quanto dista il cinema?". "10 minuti a piedi da qui". "E se io corro?". Possiamo misurare una distanza usando il tempo necessario a percorrerla solo se sappiamo a che velocità andiamo e se questa velocità rimane costante.
La velocità della luce nel vuoto è costante, cioè non cambia mai, ed è di circa 300.000 km al secondo. Questo vuol dire che ogni secondo la luce percorre 300.000 km. Se mettessimo due specchi che si guardano, uno a Roma e l'altro a Berlino, la capitale della Germania, che dista circa 1.000 km da Roma, e da Roma puntassimo una torcia sullo specchio che si trova a Berlino, la luce si rifletterebbe avanti e indietro. In un secondo, la luce farebbe avanti e indietro 300 volte!
La Terra dista dal Sole circa 150 milioni di chilometri. Quindi la luce che proviene dal Sole impiega 500 secondi, poco più di 8 minuti, per arrivare sulla Terra. Possiamo dire che il Sole dista dalla Terra 8 minuti luce, cioè la distanza percorsa in 8 minuti da un raggio di luce nel vuoto.
La stella Proxima Centauri dista dalla Terra 4,2 anni luce: dunque da quella stella un raggio di luce impiega più di 4 anni per arrivare fino a noi. Questo vuol dire che dalla Terra vediamo cosa stava accadendo su Proxima Centauri più di 4 anni fa. Se stessimo al telefono con un abitante di Proxima Centauri e gli chiedessimo "Tutto bene?", la nostra domanda gli arriverebbe dopo 4 anni e la sua risposta arriverebbe a noi dopo altri 4 anni! Questo perché i messaggi elettromagnetici, quelli che si usano per comunicare, sono simili ai raggi luminosi e vanno alla stessa velocità. Non esiste nulla che possa andare più veloce della luce, e quindi non esiste nulla che possa portare informazioni più velocemente.
Se con telescopi speciali guardiamo la galassia di Andromeda, che dista dalla Terra ben 2,3 milioni di anni luce, in realtà stiamo guardando com'era la galassia 2,3 milioni di anni fa. Se un abitante di Andromeda stesse guardando in questo momento la Terra, vedrebbe il nostro mondo quando la specie uomo ancora non esisteva, con scenari naturali completamente diversi da quelli attuali. Gli scienziati guardano le stelle lontane proprio per capire come era fatto il nostro universo nel più lontano passato.
Il primo strumento utilizzato dall'uomo per misurare il tempo è stato il Sole. Sorgendo e tramontando ogni giorno scandiva il tempo di tutte le attività umane. Vennero quindi costruiti orologi solari e meridiane per sapere che ora fosse. Invece, per misurare brevi intervalli di tempo si usavano le clessidre, ma bisognava ricordarsi di girarle al momento giusto.
Poi, all'inizio del 17° secolo, Galileo Galilei si accorse che un oggetto, oscillando appeso a un filo, impiega sempre lo stesso tempo per fare un'oscillazione completa. Questo tempo, se le oscillazioni sono abbastanza piccole, dipende solo dalla lunghezza del filo a cui l'oggetto è appeso.
La scoperta venne utilizzata per costruire i primi orologi a pendolo.
Studiando sempre più a fondo la natura, l'uomo ha scoperto che esistono molecole che oscillano intorno a una posizione di equilibrio, come minuscoli pendoli. Questa oscillazione dura sempre, esattamente, lo stesso tempo. Utilizzando queste conoscenze si sono costruiti gli orologi atomici, precisissimi, che funzionano sfruttando il tempo sempre uguale di queste oscillazioni.
"Ora avvenne che la donna incominciò a star male, e dopo sette mesi diede alla luce un bambino, perfettamente formato, ma non più grande di un pollice. Allora essi dissero: "È proprio come lo abbiamo desiderato, e sarà il nostro caro figlioletto" e, dalla statura, lo chiamarono Pollicino".
Appena nati, si sa, i bambini sono molto piccoli, più o meno come un gatto. Quasi non si riesce a credere che un giorno diventeranno adulti. Certo diventare grande sembra proprio impossibile per Pollicino che, uscito dalla pancia, è alto appena come un pollice. I suoi genitori, per farlo crescere come un bambino normale, lo riempiono di cibo, ma senza risultato. Pollicino rimane piccolo piccolo, ma in compenso ha una intelligenza prodigiosa.
Qualcuno sarebbe disposto a giurare che esiste anche un intero popolo di uomini piccolissimi, che vivono sotto il pavimento di ogni casa. Sembra che addirittura alcuni di loro siano stati visti mentre fuggivano a nascondersi di gran carriera. Sono alti circa come una matita e hanno costruito bellissimi appartamenti proprio sotto le mattonelle di casa nostra, o nei pianoforti, o negli orologi a muro. Quegli ometti misteriosi sono gli Sgraffìgnoli, e passano intere giornate a studiare come 'sgraffignolarci' qualcosa che possa essere loro utile.
Se potessimo entrare nelle minuscole abitazioni degli Sgraffìgnoli, troveremmo tutti i nostri francobolli perduti appesi alle pareti, come se fossero dei grandi quadri. Hai perso una pedina degli scacchi? Stai pur sicuro che ce l'hanno loro, e la usano come statua in salotto. Con un tappo di champagne gli Sgraffìgnoli costruiscono utili sgabelli, e il prato del nostro giardinetto è per loro una vera giungla.
Con un corpo di quelle dimensioni, tutto è diverso. Alcuni di loro non sanno nemmeno che esistiamo noi umani, e se dovessero incontrare un bambino, lo scambierebbero per un orribile gigante. Chi non è mai uscito da sotto il pavimento, infatti, non può immaginare cosa c'è fuori, e magari scambia la tazzina del caffè per una vasca da bagno.
La disavventura peggiore è però capitata a un ragazzo che non era mai uscito dal bosco in cui abitava. Passando tutto il tempo tra gli alberi, non aveva mai incontrato un altro essere umano. Non gli era nemmeno mai capitato di specchiarsi! Si tratta di un ragazzo piuttosto forte e bravo nei salti e nelle piroette, convinto di essere un vero atleta.
Un giorno la piccola principessa di Spagna lo vede e, ridendo di gusto, lo invita al suo compleanno. Il ragazzo pensa che la principessa si è innamorata di lui e corre felicissimo al castello. Per la prima volta incontra molte persone, alcune grandi e grosse, altre piccine, ma vicino a loro fa una scoperta incredibile: guardandosi allo specchio capisce di essere un nano. Tutti, ma proprio tutti, sono più alti di lui.
Il ragazzo non sapeva di essere un nano, perché non aveva mai viaggiato e non si era mai messo a confronto con altre persone. Durante numerose navigazioni in mondi lontani, anche un uomo di nome Gulliver incontra popoli che considerano il suo corpo addirittura mostruoso.
Appena arrivato su un'isola si addormenta, e quando si sveglia è legato come un salame. A quel punto gli sembra di sognare:
"Poco dopo sentii qualcosa di vivo che si muoveva sulla mia gamba sinistra, e procedendo innanzi pian piano sul mio petto mi arrivò quasi all'altezza del mento; allora, abbassando gli occhi quanto più potevo, vidi che si trattava di una creatura umana non più alta di sei pollici".
Gulliver si ritrova a essere un vero gigante, circondato da tantissimi uomini minuscoli chiamati Lillipuziani. Così grande, diventa nell'isola un vero eroe, ma alcuni piccoletti non lo sopportano: per capire perché basta pensare che una volta l'immenso palazzo del re ha preso fuoco e Gulliver si è permesso di spegnere l'incendio facendo la pipì sopra le fiamme.
La Regina si è infuriata. A quel punto Gulliver è dovuto partire verso un'altra isola, e figuratevi la sua sorpresa nel vedere che lì gli abitanti erano alti come campanili. In poco tempo, Gulliver si è ritrovato da gigante a nano. Proprio lui che era convinto di essere assolutamente normale ... Chissà come avrebbero urlato i Lillipuziani di fronte a quegli omaccioni! Al loro confronto sarebbero sembrati minuscole pulci!
Anche alla piccola Sofia è capitata un'avventura simile. Una notte è stata rapita dal GGG, il Grande Gigante Gentile. Si tratta di un uomo mastodontico, che la porta nel suo lontanissimo paese perché lei l'aveva visto durante una missione segreta. La grotta in cui vive il GGG è più grande di una montagna, e lì dentro Sofia sembra un soprammobile, tanto è piccola.
Convinta che il GGG sia l'uomo più grande del mondo, Sofia un giorno sente un vocione dire al gigante: "Tu è negato per essere un gigante. Tu è un mostriciattolo di nanerottolo! Tu è un foruncolo di omuncolo! Tu è un fetente niente!". È la voce del SanGuinario, un bestione grande almeno due volte il GGG. A confronto il Grande Gigante Gentile è un bimbetto, altroché uomo più grande del mondo!
In certi posti può accadere di tutto e non bisogna meravigliarsi di nulla. Un giorno Alice precipita dentro la tana di un coniglio, e là dentro le succedono cose stranissime. È il Paese delle Meraviglie, un luogo pazzo in cui se mangi o bevi qualsiasi cosa puoi rimpicciolire o ingigantire all'istante. Appena Alice beve un intruglio, diventa subito microscopica.
Poi non sa resistere a un pasticcino e cresce tantissimo, al punto che picchia la testa contro il soffitto. Alice non sa più come comportarsi, perché il suo corpo cambia dimensione di continuo senza controllo. Alice è proprio disperata!
A un certo punto Alice piange così tanto che quando rimpicciolisce di nuovo rischia di annegare nelle sue stesse lacrime. Non sa più che fare, perché non è mai adatta alla misura delle cose. Allora decide di bere da una nuova bottiglia:
""Vediamo dunque gli effetti di questa bibita. Io spero che mi farà crescere; sono arcistufa di essere una cosina tanto piccola!". Così fu, infatti, e molto più presto che non se lo aspettasse. Non aveva ancora bevuto metà della boccetta che già con la testa era arrivata al soffitto; tanto che dovette piegarla per non rompersi il collo. "Basta, basta!" disse, deponendo in fretta la bottiglia. "Spero che non crescerò più. Già a quest'ora non potrò più passare per la porta. Ah! Perché mai ho bevuto tanto?"".
C'è un anziano signore, di nome Andrew, che si è trovato davvero nei pasticci per aver assaggiato il contenuto di un misterioso vasetto. Egli, in viaggio a Kathmandu, incontra un mendicante che gli affida una strana medicina, la Pasta di drago. Andrew però, appena ne annusa lo straordinario odorino, non sa resistere, e se la mangia tutta di gran gusto. La mattina seguente si sveglia un po' più giovane e, dopo alcuni giorni, addirittura torna ragazzo. Andrew è felicissimo per questa magica trasformazione, ma più il tempo passa, più il suo corpo rimpicciolisce.
A un certo punto si ritrova bambino, e non sa davvero come fare, perché non è più abituato a essere così piccolo. Gli unici vestiti che ha con sé, ogni giorno che passa, gli sono più grandi. Una vera scomodità. Ma per fortuna incontra una ragazza nepalese con cui intraprende un lungo e avventuroso viaggio sull'Himalaya per trovare l'antidoto alla Pasta di drago. Lei è così carina e poi ha solo undici anni, solo uno in più di Andrew: non è che tra loro nascerà una storia d'amore?
A molti capita di non essere soddisfatti della propria altezza: chi si considera troppo alto, chi troppo basso. In tutto il mondo, forse solo Mister Fantastic non soffre di questo problema. Dopo un viaggio incredibile, si è ritrovato ad avere un corpo di gomma, un corpo che si allunga e si accorcia a suo piacimento, proprio come un chewing-gum. Se vede un criminale dall'altra parte della strada, non deve nemmeno attraversare: gli basta allungare il braccio, e il ladro è catturato. Se vuole, Mister Fantastic può sbirciare sul tetto di un grattacielo anche se è seduto al bar a bere una bibita, perché anche il collo può diventare lunghissimo. (Nicola Galli Laforest)
Pollicino (sceneggiata da Silverio Pisu), RCS, Milano 2004 [Ill.]
Lewis Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, Stampa Alternativa, Roma 1993
Lewis Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, Edizioni EL, Trieste 2000 [Ill.]
Roald Dahl, Il GGG, Salani, Milano 1999 [Ill.]
Silvana Gandolfi, Pasta di drago, Salani, Firenze 1993 [Ill.]
Jacob e Wilhelm Grimm, Pollicino, in Fiabe, Mondadori, Milano 1990
Stan Lee, Fantastici Quattro, Marvel Comics, Modena [Ill.]
Mary Norton, Sotto il pavimento, Salani, Firenze 1990 [Ill.]
Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Edizioni Casini, Roma 1987
Jonathan Swift, Primo viaggio di Gulliver: viaggio a Lilliput, Edizioni EL , Trieste 1994 [Ill.]
Oscar Wilde, Il compleanno dell'infanta e altri racconti, Mondadori, Milano 1982 [Ill.]
Oscar Wilde, Il compleanno dell'infanta, Einaudi Ragazzi, Trieste 2003