Numero
Quantità che accompagnano da sempre la vita e la storia dell’uomo
Ci sono numeri ovunque: il numero delle pagine di questo libro, il recapito telefonico, il numero di targa, il numero d’ordine sul registro di classe. I numeri servono per fare la conta o giocare a nascondino, per stabilire quanti soldi si hanno in tasca, per informare sull’ora di pranzo, la data, il numero civico di un’abitazione, la velocità a cui viaggia un’automobile, la durata del giorno, il prezzo di una merce. La vita quotidiana sarebbe totalmente diversa senza numeri; e, senza di essi, non esisterebbero tutti quegli oggetti, frutto della ricerca scientifica e tecnica, che ci circondano
È difficile dire come sono nati i numeri. La loro origine affonda le radici nella preistoria: certamente non sono comparsi all’improvviso, non sono la scoperta o l’invenzione di qualcuno. Ormai è accertato che un concetto così astratto ha un’origine corporea. Durante le operazioni di calcolo si attiva l’area del cervello umano vicina a quella che comanda il movimento fine delle dita; è altrettanto certo che esiste – e non soltanto negli esseri umani – una ‘certa’ capacità numerica prima ancora che si sviluppino funzioni cerebrali superiori, cioè quelle intellettive. Si comincia a distinguere l’uno dal molteplice, dapprima il due e poi il tre. A questo punto, probabilmente, avviene un salto di qualità, sia nella vita dell’individuo sia nella storia umana.
All’inizio, infatti, oltre il due o il tre, si ha soltanto la percezione che gli oggetti di fronte ai quali ci si trova sono tanti, molti. Ancora oggi si dice 1, 2, 3, eccetera: la parola eccetera proviene dal latino et cetera («le cose che rimangono, avanzano») e, secondo alcuni linguisti, i termini per indicare il quattro hanno in molte lingue proprio questa radice: per esempio, tèttera/tèssera (in greco), da cui il quattro nelle lingue slave (ˇctiˇri in ceco e cztery in polacco, in entrambi i casi da pronunciare con la c dolce).
Del resto, anche in grammatica si parla di numero: non soltanto il singolare (uno) e il plurale (molti), ma anche il duale (due) di cui rimane traccia in varie lingue contemporanee.
Il primo passo fatto per arrivare al concetto di numero è stato quindi l’addentrarsi in quel molto, separare il 3 dal 4 e poi dal 5 e così di seguito.
Ragionare sulle cose, capirle, significa dividere, separare aspetti diversi. Quando si è avvolti nella nebbia non si distingue nulla, bisogna attendere che si diradi per cominciare a vedere i colori, le distanze, i contorni delle cose. Per arrivare al numero si è dovuta eliminare molta nebbia, separare due aspetti, quello della quantità da quello della qualità; capire cioè che cosa c’è di comune tra quattro pecore, quattro mele e quattro sassi.
Non si sa come e quando sia avvenuto tale processo di separazione e di astrazione. Una delle ipotesi rimanda alle primarie necessità di confronto: un pastore deve sapere se le pecore portate al pascolo al mattino rientrano tutte nell’ovile. Se accumula un sasso per ogni pecora in uscita e, al ritorno, toglie un sasso dal mucchio per ogni pecora che rientra, egli, in questo modo, può contare senza neppure conoscere i numeri.
Compie tuttavia un’operazione che è logicamente alla base del concetto di numero: stabilisce una corrispondenza biunivoca (un sasso, e uno solo, per ogni pecora) tra due insiemi di natura diversa. Separa così la quantità dalla qualità e stabilisce una equivalenza: ogni numero naturale è ‘quel qualcosa’ che hanno in comune insiemi tra i quali può essere stabilita una corrispondenza biunivoca.
Altri studiosi fanno risalire la nascita del numero alle prime forme di scambio: pur non essendoci una moneta vera e propria, dovevano comunque esistere criteri per scambiare oggetti o cibi diversi in modo equivalente, senza cioè che nessuno ci rimettesse.
Certamente i primi numeri utilizzati dall’umanità furono gli stessi che da subito impara ogni bambino e cioè 1, 2, 3, 4 e così via, i numeri per contare. Già, ma fino a quanto?
Considerandoli tutti insieme nella loro infinità – e comprendendo tra essi anche lo zero –, tali numeri sono chiamati numeri naturali. L’insieme di tutti i numeri naturali è indicato con il simbolo N e si può scrivere: N= {0, 1, 2, 3, …}.
I numeri naturali rispondono a tre diverse esigenze:
1) contare quanti oggetti fanno parte di un insieme, quando tali oggetti sono facilmente distinguibili. In questo caso si utilizza l’aspetto cardinale dei numeri naturali. Servono, per esempio, se si vuole sapere quante matite colorate ci sono nell’astuccio, oppure quanti libri e quaderni sono stati messi nello zaino. I numeri naturali non permettono però di misurare: non sono adatti a comunicare quanta benzina c’è nel serbatoio;
2) ordinare gli elementi di una successione: primo, secondo, terzo, quarto, e via dicendo. In questo caso si utilizza l’aspetto ordinale dei numeri naturali;
3) etichettare un’entità: per esempio il numero di telefono non indica né una quantità né un ordine, ma è un modo comodo per identificare un utente. Quando, per esempio, una voce registrata dice «premere il tasto 1», il simbolo 1 è una semplice etichetta per individuare il tasto da premere. D’altra parte, il fatto che i numeri siano ordinati permette immediatamente di trovare il tasto 1.
Già nell’antichità sono state utilizzate le frazioni o, almeno, alcune frazioni minori di uno, quali 1/2, 1/4, 2/3.
Le frazioni rappresentano quantità non intere e sono formate da due numeri naturali, che vanno considerati insieme: il denominatore è il numero al di sotto della linea ed è così chiamato perché ‘denomina’, indica cioè la parte dell’unità che si vuole considerare. Così, nella frazione 3/4 il numero 4 è il denominatore e indica che l’unità, la totalità, va divisa in quattro parti. Così, rappresentando la totalità con un cerchio, se il denominatore è 4, l’unità (tutto il cerchio) va diviso in quattro parti uguali; il numeratore è invece il numero al di sopra della linea ed è chiamato così perché ‘numera’ le parti da prendere. Nella frazione 3/4 il numero 3 è il numeratore e quindi la parte della forma di formaggio più grande (formata da 3 pezzi da 1/4) rappresenta la frazione 3/4.
Con il tempo, questo significato originario delle frazioni come parti della unità (dette anche frazioni proprie) si è ampliato e precisato. In particolare sono chiamate frazioni equivalenti quelle frazioni che, pur suddividendo l’unità in diverso modo, rappresentano tuttavia la stessa quantità. Per esempio, sono equivalenti 3/4, 6/8, 15/20. Ogni frazione ha infinite altre frazioni a essa equivalenti, che si ottengono moltiplicando o dividendo numeratore e denominatore per lo stesso numero. Inoltre anche i numeri naturali possono essere scritti come frazioni. Sono frazioni con denominatore uguale a 1 o, meglio, in cui il numeratore è multiplo del denominatore.
Così, 1 =1/1 = 2/2 = 3/3 =...; 2 = 2/1 = 4/2 = 6/3 =...
Infine si considerano anche frazioni maggiori dell’unità. Sono quelle in cui il numeratore è maggiore del denominatore (a volte sono dette improprie per distinguerle dalle precedenti). Per esempio 11/4 è una frazione impropria e poiché
11/4 = 8/4 + 3/4 = 2 + 3/4; quindi tale frazione rappresenta una quantità compresa tra 2 e 3.
Nel 16° secolo, in Europa, si estende alle frazioni il sistema posizionale decimale (numerazione), già noto da secoli agli Arabi e ai Turchi. In questo sistema ogni frazione – se possibile – si riscrive come frazione con denominatore uguale a 10 e si pongono come prima cifra a destra di una virgola i decimi, come seconda cifra i centesimi, e così via.
Perciò si scrive: 11/4 = 2 + 3/4 = 2 + 75/100 = 2 + 7/10 + 5/100 = 2,75.
Ma questo metodo non funziona bene con tutti i numeri frazionari. Alcune frazioni non possono essere ridotte alla somma di frazioni con denominatori uguali a dieci o a una sua potenza; esse perciò sono scritte in forma decimale, ma con infinite cifre dopo la virgola che si ripetono con periodicità.
Per esempio:
1/3 = 0 + 3/10 + 3/100 + 3/1000 + 3/10000 +...= 0,3333...= 0,(3).
Anche questi numeri, detti periodici, provengono da frazioni.
Tutti i numeri che provengono da una frazione – e quindi da una divisione tra due numeri naturali – sono detti numeri razionali. Essi, se consideriamo anche quelli preceduti dal segno meno, sono collettivamente indicati con la lettera Q (dall’iniziale di quoziente) e sono quindi sia i numeri decimali senza parte decimale, sia i numeri con parte decimale finita, sia i numeri con parte decimale periodica.
I numeri negativi, già noti in Cina, furono introdotti in Europa molto tardi, nel 16° secolo, e all’inizio furono chiamati fittizi – in latino ficti, da Gerolamo Cardano, nel suo libro di algebra intitolato Ars magna (1545) – o assurdi, proprio per sottolinearne la ‘stranezza’. Infatti, finché i numeri rappresentano quantità da contare o misurare, sembra assurda l’idea di considerare numeri ‘sotto’ lo zero. Ma, con lo sviluppo del commercio e delle operazioni finanziarie, qualcuno comincia a chiedere prestiti e si indebita per intraprendere un’attività artigianale o commerciale. Chi presta il denaro registrerà questo fatto annotando entrate e uscite. Si tratta sempre di somme di denaro, ma vanno in ‘direzione’ opposta e perciò devono essere registrate in modo diverso. All’inizio, probabilmente con un colore d’inchiostro differente: in nero le entrate, in rosso le uscite, tanto che ancora oggi si usa l’espressione essere in rosso per indicare una situazione di indebitamento. Il simbolismo poi si stabilizza e si userà il segno meno (2) per indicare un’uscita o un debito. Nascono così i numeri negativi, che vanno pensati come se fossero disposti lungo una retta, da una parte i positivi, dall’altra i negativi.
L’insieme dei numeri interi – i positivi, i negativi e lo zero – è complessivamente chiamato insieme dei numeri interi relativi; è indicato con la lettera Z (dal tedesco Zahl «numero»):
Z = {0, + 1, -1, +2, -2, +3, -3,…}.
Ben prima che fossero inventati i numeri negativi, anche gli antichi Greci utilizzavano le frazioni. In particolare, risale a Pitagora l’idea che «tutto è numero» e quindi numeri e grandezze geometriche si possono identificare. In questo modo un segmento (cioè un tratto di retta di lunghezza finita) risulta formato da tanti punti, quasi una collana fatta da perle piccolissime e molto fitte. Ma se un segmento è formato da tanti punti, per esempio un miliardo, e un altro è formato da un diverso numero di punti, diciamo 985 milioni, il loro rapporto non può che essere una frazione:
985.000.000/1.000.000.000 = 985/1.000
Si racconta che proprio nell’ambito della scuola pitagorica, una vera e propria setta in cui i partecipanti erano tenuti a non divulgare le conoscenze, si scoprì invece che il rapporto tra la diagonale di un quadrato e il lato stesso non può essere rappresentato con una frazione: lato e diagonale del quadrato sono tra loro, come si dice, incommensurabili. E quando il discepolo Ippaso di Metaponto diffuse questo segreto ‘scandaloso’ gli dei (o gli stessi pitagorici) lo condannarono a morte, gettandolo in mare.
In termini moderni si dice che il rapporto tra diagonale e lato del quadrato è uguale a √2, un numero che non si può esprimere come frazione, e quindi non si può scrivere compiutamente in forma decimale perché formato da infinite cifre, senza alcun periodo: √2 = 1,4142135623730950488016887242097...
Tutti i numeri decimali che non si possono scrivere come frazioni sono chiamati numeri irrazionali. Sono infiniti e comprendono oltre a tutte le radici quadrate di numeri non quadrati, come √3, √5, √7, anche numeri come il famoso π, spesso approssimato in 3,14, che esprime il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro:
π= 3,1415926535897932384626433832795…
A partire dai più ‘primitivi’ numeri naturali, gli insiemi di numeri sono classificati secondo un diagramma. Ogni insieme numerico è contenuto in un insieme numerico più ampio, fino ad arrivare all’insieme dei numeri reali, indicato con la lettera R, che è formato dai numeri razionali e da quelli irrazionali. R è sostanzialmente l’insieme di tutti i numeri che si possono scrivere in forma decimale (sia negativi sia positivi) e a ognuno di essi corrisponde biunivocamente un punto sulla retta (continuo e discreto).
Ma la fantasia matematica non ha termine e ci sono numeri che vanno oltre i numeri reali. Sono detti numeri complessi perché non si possono scrivere nell’usuale forma decimale: essi contengono un’unità, detta unità immaginaria e perciò indicata con la lettera i, che ha questa singolare proprietà: i2 = -1.
Si può dire che non c’è limite all’invenzione umana soprattutto se si rivela, in seguito, utile.
Nel racconto Parlano tanto di me dello scrittore Cesare Zavattini, il protagonista descrive un’immaginaria gara di ‘matematica’ cui avrebbe assistito da bambino. Partecipano alla gara il padre del ragazzo e altri illustri matematici
impegnati nel trovare il numero più grande! «Esauriti i preliminari, la gara ebbe inizio
alla presenza del Principe Ottone e di un ragguardevole gruppo di intellettuali.“Uno, due, tre, quattro, cinque…”. Nella sala si udiva solamente la voce dei gareggianti.Alle diciassette circa, avevano oltrepassato il ventesimo migliaio. Il pubblico si appassionava alla nobile contesa e i commenti si intrecciavano. Alle diciannove, Alain, della Sorbona, si accasciò sfinito. Alle venti i superstiti erano sette.“36747, 36748, 36749, 36750…”.[…] Io guardavo mio padre, madido di sudore, ma tenace. La signora Katten accarezzandomi i capelli ripeteva come un ritornello: “Che bravo babbo hai”, e a me non pareva neppure di aver fame. Alle ventidue precise avvenne il primo colpo di scena: l’algebrista Pull scattò: “Un miliardo”. Un oh di meraviglia coronò l’inattesa sortita; si restò tutti con il fiato sospeso». Ma dopo che un altro matematico aggiunse: «Un miliardo di miliardi di miliardi», il padre del protagonista pensò di aver vinto, ripetendo più e più volte «un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi…».Terminò solo quando esaurì il fiato, e stava quasi per essere premiato quando l’altro concorrente rimasto lo sconfisse definitivamente urlando: «Più uno!».Tornando a casa, lo sconfitto così commentò singhiozzando: «Se avessi detto più due avrei vinto io!».
Con alcuni concetti matematici c’è più dimestichezza perché più frequente è il loro uso. Anche chi dichiara (e non sono pochi) di non aver «mai capito bene le frazioni», parlando delle ore non ha dubbi sul significato di espressioni quali
«sono le otto e mezzo» o «sono le cinque meno un quarto». Eppure, si tratta di frazioni. Il «mezzo» che si aggiunge alle ore otto è la metà di 60 minuti:
1/2 * 60 = 30.
Le «otto e mezzo» sono perciò le 8,30, così come le «cinque meno un quarto» sono le 4,45 perché:
5 ore - 1/4 * 60 minuti = 5 ore - 15 minuti = 4,45.
Ma a che ora ci presenteremmo all’appuntamento con un amico un po’ fissato con la matematica che ci dicesse «Vieni a casa mia alle quattro meno un terzo!» oppure «Ci vediamo domattina alle otto e due quinti!»?
Ogni numero con parte decimale finita o periodica può essere riscritto sotto forma di frazione o come somma di un numero naturale più una frazione propria. Se la parte decimale è finita, la procedura di conversione è semplice. Per esempio:
5,42 = 542/100 = 271/50 = 250/50 + 21/50 = 5 + 21/50.
Se la parte decimale è periodica (il periodo che si ripete è quello indicato con una lineetta sulle cifre), occorre seguire una procedura più complessa. Vediamo come trasformare in frazione il numero
3,(456) = 3,4565656565656...
Si cerca una frazione incognita che sia uguale al numero dato, che ha come parte intera 3, come antiperiodo (il gruppo di cifre comprese tra la virgola e il periodo) 4 e come periodo 56.
X = 3,(456)
quindi
10 * x = 10 * 3,(456)
cioè
10 * x 34,(56) .
Se si moltiplica ancora per 100 si ottiene:
1000 * x = 3456,565656…
= 3456,(56) .
Quindi si ha:
1000 * x = 3456,56
10 * x = 34,(56)
Sottraendo tutti e due i termini si ottiene:
990 * x = 3422. Perciò:
x = 3422/990 .