NUOVA ZELANDA.
– Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Storia. Architettura. Letteratura. Bibliografia. Cinema
Demografia e geografia economica di Marco Maggioli. – Stato insulare dell’Oceania situato nel-l’Oceano Pacifico sud-occidentale. Secondo una stima di UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs), nel 2014 la popolazione è stata pari a 4.551.349 ab., con un tasso di crescita dello 1,0% annuo (2010-15) e una densità di circa 17 ab./km2. Risultano confermate le positive dinamiche demografiche degli ultimi decenni, riconducibili prevalentemente ai saldi naturali. La struttura per età della popolazione, pur in presenza di un lento processo di invecchiamento, è molto giovane (il 20,5% della popolazione si trova nella fascia d’età da 0 a 14 anni), caratteristica questa ancora più accentuata per i Maori (598.605 unità, il 13,4% del totale).
Sebbene l’agricoltura e le esportazioni di prodotti agricoli rivestano una grande importanza, tanto da dare l’impressione che il Paese sia caratterizzato da una società rurale, in realtà la N. Z. è fortemente urbanizzata. Complessivamente il 75% circa della popolazione risiede in centri con più di 40.000 ab., mentre è in calo la popolazione rurale. Oltre i tre quarti della popolazione totale si concentra nella North Island: Auckland (oltre 1.400.000 ab.), la capitale Wellington (con oltre 400.000 ab. nell’agglomerato urbano), Hamilton (141.615 ab.), mentre Christchurch rappresenta la più grande città della South Island (poco più di 340.000 ab.). Cresce la presenza di cittadini di etnie diverse: al censimento del 2013, la popolazione straniera originaria dell’area pacifica (7%) è stata ampiamente superata da quella asiatica (cinesi, indiani e coreani, 12%).
Condizioni economiche. – La dinamica positiva che ha caratterizzato la N. Z. a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso (tassi di crescita del 4% annuo) sembra essersi leggermente attenuata. Nel complesso l’economia del Paese è piuttosto ristretta, ancora condizionata dalla produzione agricola, dalla pesca e dalla silvicoltura. Sebbene questi settori rappresentino soltanto il 7% circa del PIL, essi contribuiscono a coprire gran parte delle esportazioni e sono un’importante fonte di scambi con l’estero. Tutto ciò implica una vulnerabilità alla fluttuazione dei prezzi delle merci e all’impatto delle condizioni climatiche sulle coltivazioni. Il settore manifatturiero, che fino alla metà degli anni Ottanta era incentrato sulla produzione destinata al mercato interno e usufruiva di un solido protezionismo, nell’ultimo ventennio si è invece orientato verso il mercato delle esportazioni.
Anche il mercato interno fa registrare un minore dinamismo. Tuttavia, i buoni livelli dei consumi privati, che tra il 2012 e il 2013 sono passati dal 2,8% al 3,3% del PIL, sostenuti anche da un tasso di disoccupazione contenuto, anche se in crescita (5,7% nel 2014), hanno contribuito alla sostanziale tenuta dell’economia neozelandese, che, per il 2014, con un tasso di crescita del PIL del 3,6%, si colloca al di sopra della media dei Paesi OCSE. Il turismo è un settore in espansione, che contribuisce in modo significativo al consolidamento dell’intero sistema economico: dal 1985 al 2013 gli arrivi sono triplicati (attestandosi oltre i 2,3 milioni), confermando una tendenza avviata dalla prima metà del primo decennio del nuovo secolo.
Storia di Samuele Dominioni. – Nel corso del 2008 – per la prima volta dopo circa dieci anni – la N. Z. entrò in recessione. Le elezioni che seguirono nel mese di dicembre furono influenzate dalla situazione economica del Paese: ad aggiudicarsi la vittoria fu il National party, mentre il Labour party fallì nell’obiettivo di conquistare un quarto mandato di governo. Il nuovo primo ministro John Key dichiarò subito dopo le elezioni di voler guidare l’esecutivo con il sostegno e la fiducia anche di partiti minori come l’ACT, l’United future e il Māori party.
Nel 2009, si registrò nel Paese il sesto trimestre consecutivo di caduta del PIL: solo negli anni 1976-78 si era verificato un periodo di recessione più prolungato nella storia della Nuova Zelanda. In tale difficile contesto, alcune questioni legate alla produzione di film a budget elevato nel Paese – la trilogia di The Hobbit (Lo Hobbit) del regista Peter Jackson– ebbero un impatto politico e generarono dibattito parlamentare. A seguito di contrasti sulla situazione contrattuale degli attori – con i sindacati che annunciarono il boicottaggio delle riprese finché non fossero state avviate le trattative per una contrattazione collettiva – la produzione minacciò lo spostamento del set fuori dalla Nuova Zelanda. Il boicottaggio fu poi revocato, mentre centinaia di persone scesero in piazza per protestare contro l’ipotesi di un trasferimento delle riprese. Nell’ottobre del 2010, il governo raggiunse un accordo con i produttori garantendo ulteriori sussidi per la realizzazione delle pellicole attraverso sgravi fiscali; inoltre il Parlamento emendò la legislazione sul lavoro con riferimento all’industria cinematografica.
Nonostante le difficoltà legate alla crisi, il National party vinse nuovamente le elezioni legislative nel novembre 2011, conquistando il 47,3% dei voti. Riconfermato premier, Key continuò a governare con il sostegno dei partiti più piccoli che lo avevano già supportato durante il suo primo esecutivo. Nell’aprile 2013, il Parlamento approvò la legislazione volta a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso: la N. Z. divenne così il primo Paese della macroregione asiatico-pacifica ad attuare tale politica. Nelle elezioni del settembre 2014, il National party si confermò primo partito del Paese, e Key ricevette per la terza volta l’incarico di premier.
A cavallo tra primo e secondo decennio del 21° sec., la N. Z. fu colpita da diversi episodi sismici di varia intensità, che nella maggioranza dei casi non comportarono danni all’economia e alle infrastrutture del Paese. Tuttavia, nel febbraio del 2011, un terremoto di magnitudo 6.3 devastò la città di Christchurch, causando la morte di 185 persone.
Architettura di Francesca Romana Moretti. – Con l’obiettivo di analizzare l’impatto della globalizzazione sulla propria produzione architettonica, nel 2014 la N. Z., per la prima volta, è stata invitata a partecipare alla Biennale internazionale di architettura di Venezia; David Mitchell, direttore creativo del padiglione, è figura di spicco nel panorama architettonico di un Paese caratterizzato da una singolare connotazione geografica, climatica, demografica e culturale, dove alle riconoscibili influenze europee si affiancano le preesistenti tradizioni indigene polinesiane. La modernità, maturata spostando il baricentro da una produzione architettonica nazionalista a un linguaggio globale, non ha perduto la sua stretta relazione con le tecniche costruttive dell’area culturale pacifica; un’architettura ‘leggera’, fatta di pali in legno, travi, pannelli e grandi tetti, molto attenta al contesto naturale e alla sfera sociale.
Le città maggiormente in ascesa sono Auckland, Wellington e Christchurch: proprio in quest’ultima, vero simbolo di rinascita dopo il devastante terremoto del 2011, l’architetto giapponese Shigeru Ban ha realizzato nel 2013, come struttura temporanea ed emergenziale, una cattedrale in cartone in grado di ospitare fino a 700 persone per il tempo necessario alla ricostruzione di quella originale del 19° secolo. Tra i tanti progetti che segnano l’impegno del Paese in ambito architettonico, nella sola Auckland si segnalano: il ponte pedonale Point Resolution (2013), di Warren & Mahoney; il centro civico Te Hononga-Christchurch (2013) di Athfield Architects; il centro commerciale in Mackelvie Street (2013) di RTA Studio; l’edifico al 387 Tamaki Drive (2012) di Ian Moore Architects; l’estensione della Auckland art gallery (2011) di FJMT + Archimedia; il Performing arts centre del St. Cuthbert’s College (2011) opera di Architectus; il Geyser Building (2011) di Patterson Associates; lo Ironbank Centre (2010) di RTA studio. A Wellington sono da ricordare: la sede di Telecom Central (2008-12) dello studio architecture+; la sede della corte suprema (2010) di Warren and Mahoney Architects; il Visitor centre delle Waitomo Glowworm Caves (2010) di Architecture Workshop; il terminal passeggeri del Wellington international airport (2010) di Studio Pacific Architecture.
Letteratura di Valerio Massimo De Angelis. – Sull’onda del successo internazionale ottenuto da Janet Frame (1924-2004) e dell’affermazione dei movimenti culturali nativi, la letteratura neozelandese contemporanea sembra presentare come carattere distintivo il ruolo di primo piano assunto sia dalle donne sia dalla comunità maori. Esemplari in questo senso sono i romanzi storici sulle relazioni interetniche The captive wife (2005) di Fiona Kidman (n. 1940) e Ned and Katina (2009) della maori Patricia Grace (n. 1937), mentre Marilyn Duckworth (n. 1935; Playing friends, 2007), Shonagh Koea (n. 1943; The kindness of strangers (kitchen memoirs), 2007), Fiona Farrell (n. 1947; Limestone, 2009) ed Emily Perkins (n. 1970; Novel about my wife, 2008) preferiscono indagare la dimensione più domestica della N. Z. ‘bianca’. A soli 28 anni Eleanor Catton (n. 1985) ha vinto nel 2013 il premio Booker con il romanzo storico The luminaries (trad. it. I luminari, 2014). Tra i romanzieri continuano a campeggiare Christian K. Stead (n. 1932), attivo anche in campo poetico, che in Risk (2012) offre una riflessione sulla N. Z. dopo l’11 settembre, e Lloyd Jones (n. 1955), con l’esplorazione metaletteraria del dickensiano Mister Pip (2006; trad. it. 2007). In una direzione più sperimentale si muovono Damien Wilkins (n. 1963; Somebody loves us all, 2009) e Nigel Cox (1951-2006), che in Tarzan Presley (2004) riscrive il mito dell’uomo-scimmia, creando una controversia legale che ha portato nel 2011 gli editori a modificarne titolo (Jungle rock blues) e nomi dei personaggi. Nell’intento di ricostruire la memoria collettiva di un popolo, la narrativa maori ha spesso usato la forma del romanzo storico, a partire da Witi Ihimaera (n. 1944) che, dopo lo scandalo per plagio di The Trowenna sea (2009), poi ritirato dal mercato, ha pubblicato l’intenso The Parihaka woman (2011). Viceversa, in Who sings for Lu? (2009) Alan Duff (n. 1950) preferisce rappresentare la condizione nativa contemporanea.
Tra le voci poetiche spiccano quelle di Elizabeth Smither (n. 1941), Bill Manhire (n. 1946), Leigh Robert Davis (1955-2009), Michele Leggott (n. 1956), Alison Wong (n. 1960) e Gregory O’Brien (n. 1961). Nel 2008 si è spento il maggiore poeta maori, Hone Tuwhare (n. 1922), la cui eredità è stata presa da Robert Sullivan (n. 1967). La scena teatrale può contare sul talento di Roger Hall (n. 1939) e del maori Hone Kouka (n. 1968).
Bibliografia: Floating worlds. Essays on contemporary New Zealand fiction, ed. A. Jackson, J. Stafford, Wellington 2009; M. Moura-Koçoğlu, Narrating indigenous modernities. Transcultural dimensions in contemporary Maori literature, Amsterdam 2011.
Cinema di Bruno Roberti. – Il cinema neozelandese ha avuto un impulso alla fine degli anni Settanta con la costituzione nel 1978 dell’ente statale New Zeland Film Commission, che promuove le produzioni locali, e la creazione degli Studios di Welling ton. Un sistema di incentivi fiscali e l’affermarsi sul mercato di società all’avanguardia per gli effetti speciali hanno fatto sì che con il nuovo millennio la N. Z. diventasse un partner per produzioni hollywoodiane ad alto budget, che hanno sfruttato anche l’ambientazione suggestiva, imponente e a volte surreale dei suoi paesaggi (come per The adventures of Tintin, 2011, Le avventure di Tin-Tin - Il segreto dell’Unicorno, di Steven Spielberg, e la quadrilogia The chronicles of Narnia, 2005-2016, Le cronache di Narnia, di Andrew Adamson e di Michael Apted, così come per gli annunciati sequel di Avatar, 2009, di James Cameron). Un cineasta, e produttore, originario della N. Z., Peter Jackson, già affermatosi negli anni Ottanta, ha diretto in loco, tra il 2001 e il 2003, grosse coproduzioni fantasy: la trilogia di The lord of the rings: The fellowship of the ring, The two towers, The return of the king (Il signore degli anelli – La compagnia dell’anello, Le due torri, Il ritorno del re) e, tra il 2012 e il 2014, The Hobbit -An unexpected journey, The desolation of Smaug, The battle of the five armies (Lo Hobbit -Un viaggio inaspettato, La desolazione di Smaug, La battaglia delle cinque armate), tratti dai capolavori di J.R.R. Tolkien, e prima ancora il remake di King Kong (2005). Sono proprio i registri del cinema fantastico che hanno caratterizzato negli anni Duemila la produzione cinematografica neozelandese: dal fantasy alla science-fiction fino a un’ingente produzione horror. A quest’ultima tendenza si ascrivono film come The irrefutable truth about Demons (2000) e Perfect creature (2006), tra l’horror vampirico e la fantascienza distopica, entrambi di Glenn Standring, The locals (2003) di Greg Page, 30 days of night (2007) di David Slade e uno strano mockumentary su una stirpe di vampiri che coabitano in un appartamento a Wellington, What we do in the shadows (2014) di Taika Waititi e Jemaine Clement. Mescolano vari generi del fantastico altri film come quelli di Jonathan King, Black sheep (2006; Black sheep - Pecore assassine), horror di cui sono protagoniste delle feroci pecore, e Under the mountain (2009), dai toni fantasy; House bound (2014) di Gerard Johnstone, ironico dark-movie che mescola il genere horror-splatter al dramma familiare e al mistery; Perfect strangers (2003) di Gaylene Preston, strampalato thriller interpretato da Sam Neill. Ancora Sam Neill, nel 2008, è apparso al fianco di Peter O’Toole in Dean Spanley (Il magnifico Spanley), coproduzione inglese diretta da Toa Fraser, regista anglo-polinesiano, tratta da un racconto di Lord Dunsany, su un vecchio scorbutico che ricorda una sua precedente incarnazione vissuta come un cane spaniel. Lo stesso regista ha diretto nel 2014 Hautoa (noto con il titolo The dead lands), epica maori sospesa in un tempo preistorico.
In N. Z. la storia dei conflitti tra Maori e coloni e l’elemento autoctono ed esotico hanno dato luogo a un vero e proprio filone, segnato dal successo di Whale rider (2002, La ragazza delle balene) di Niki Caro, poi trasferitasi a Hollywood, sull’ultima discendente di una stirpe di capi maori, cui hanno fatto seguito The legend of Johnny Lingo (2003) di Steven Ramirez, intrecci amorosi e tribali su un’isola neozelandese; Coffee & Allah (2007), del regista di origine samoana Sima Urale, bislacca storia d’amore tra una giovane etiope emigrata in N. Z. e un barista samoano; Mr. Pip (2012), diretto dal regista della saga di Shrek (2001-2004) e delle Chronicles of Narnia, Adamson, delicata fantasia storica che ha per protagonista una bambina appassionata di Dickens, ambientata nell’isola della Papua Nuova Guinea, sullo sfondo della lotta tra ribelli e governativi; River Queen (2005), sempre sulla guerra tra l’esercito coloniale e i Maori, e Rain of the children (2008), ritratto di una donna Maori, entrambi di Vincent Ward, anch’egli operante poi a Hollywood, dove del resto hanno mietuto successi attori neozelandesi come il citato Sam Neill, Russell Crowe e l’attore di origine maori Cliff Curtis. Così come tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito ha svolto la sua carriera internazionale quella che è la cineasta neozelandese più celebre, Jane Campion, che è tornata in N. Z. nel 2013 per girarvi, in coppia con Garth Davis, la suggestiva miniserie TV Top of the lake (Top of the lake - Il mistero del lago), centrata sulle indagini intorno alla scomparsa di una ragazzina di dodici anni incinta compiute da una detective in un’enigmatica comunità del Paese.