NURAGHI
I nuraghi, caratteristici monumenti preistorici della Sardegna, sono una manifestazione dell'architettura megalitica, imponente per il numero e la poderosità delle costruzioni.
Per quanto il tempo e gli uomini abbiano rovinato o distrutto la maggior parte dei nuraghi, pure di oltre seimila sono segnalati gli avanzi, alcuni dei quali di mirabile struttura e imponenza.
Hanno per lo più l'aspetto di torri tronco-coniche, con una porta architravata a piano terreno, che dà accesso, per un corridoio munito di nicchia di guardia, ad una camera circolare coperta da cupola ottenuta con l'aggetto graduale dei corsi. Tutta la compagine dell'edificio si regge, senza malta cementizia, per l'equilibrio dei massi che la compongono, massi tratti dalle rocce circostanti, o sedimentarie o eruttive, che dànno un differente aspetto ai nuraghi dei diversi territorî, mentre unica è in tutta l'isola la tecnica struttiva; essa però consente talune diversità speciali alle varie regioni, come le belle torri armoniche degli altipiani basaltici del Marghine e di Campu Giavesu, dell'Anglona, del Sarcidano, e le costruzioni a piccole camere affiancate, appollaiate fra le rupi granitiche sporgenti nell'alta valle del Tirso, negli altipiani di Alà dei Sardi.
I nuraghi sono lo sviluppo sardo dello stesso elemento di camera, coperta da cupola a corsi aggettanti, che sorge dapprima nella Mesopotamia in mattoni crudi, e poi adotta la pietra, passando per l'Asia Minore, l'Egeo, Creta, l'Africa del nord, Pantelleria, l'Italia meridionale, la Sardegna fino all'occidente del Mediterraneo; e mentre in qualche luogo, come in Grecia, a Creta, a Pantelleria è usato come tomba, in Sardegna mantiene l'uso originario di dimora dei vivi.
Dopo G. Pinza e Mayr, che ritennero i nuraghi tombe, tutti gli studiosi hanno oggi accettato l'opinione, già posta dall'archeologo sardo canonico Giovanni Spano e dal suo allievo Filippo Nissardi, e ora illuminata dagli scavi e dalle indagini topografiche di questi ultimi anni, che cioè i nuraghi sono dimore dei vivi. E. Pais, Mackenzie, F. von Duhn hanno pienamente aderito a questa tesi, alla quale A. Taramelli ha portato il contributo di numerosi scavi, compiendo anche il rilevamento della carta archeologica di molte parti della Sardegna.
Una catena quasi ininterrotta di nuraghi era disposta lungo il litorale dell'isola, nei punti dove esistono cale e approdi e foci di fiumi e torrenti, vie naturali verso l'interno del paese; le valli stesse sono seguite nel loro percorso, ai guadi, ai valichi; le pianure e le distese di altipiani sono tutte vigilate nei punti dominanti. Esempî notevoli di altipiani, fortificati da una corona di nuraghi lungo l'orlo, nei punti accessibili, a difesa di ampi pascoli, sono dati dalle Giare di Gesturi, di Serri nel sud dell'isola, dai nuraghi di Siligo, nel nord di essa, dove spesso erano i luoghi sacri della gente nuragica, difesi così, oltre che dalla posizione, anche dalla cintura di nuraghi, alcuni dei quali con spiccate caratteristiche difensive. Questi edifici, che ebbero vita lunghissima, segnano anche una evoluzione dal tipo semplice, già accennato, a tipi complessi, con elevazione in altezza, a camere sovrapposte, a cui si accede da scala in galleria che sale a spirale entro la massa del muro perimetrale. Rimangono esempî di nuraghi a due e anche a tre piani: il nuraghe Madrone di Silanus, quello Oschina di Paulilatino, quello di S. Antine di Torralba. Gli ampliamenti si fanno anche in superficie, con grossi corpi addossati alla torre centrale, con una o più celle a cupola, con gallerie e scale che conducono dall'una all'altra di queste.
In qualche nuraghe questo svolgimento accompagna le vicende della vita dei Sardi, e risponde al bisogno di più ampio ricetto di persone e di più energica difesa, con recinti più vasti e muniti di torri, come è il caso del nuraghe Losa di Abbasanta, di quello di S. Barbara di Villanova. In tutte queste costruzioni a cupola è rispettato il principio statico d'una proporzione fissa tra la massa del muro perimetrale e l'ampiezza della camera, più vasta nelle costruzioni più accurate, e invece di diametro poco superiore allo spessore della muraglia nelle costruzioni a grosso bloccame, più rudimentali e più antiche.
Oltre alla giacitura dei nuraghi, corrispondenti ad esigenze topografiche strategiche, in vicinanza delle fonti e dei corsi d'acqua, oltre ai materiali, rifiuti di vita, che da essi provengono, anche un altro elemento concorre a dare la prova dello scopo per cui furono costruiti i nuraghi: sono gli accertamenti di numerose costruzioni di forma circolare, generalmente con la sola base di pietra, mentre la copertura dovette essere lignea ed a frascame, attorno ad un nuraghe maggiore. Gli esempî più noti, dopo gli studî di I. Sanfilippo, del Mackenzie e del Taramelli, sono quelli del villaggio di Serrucci e di Gonnesa, a cui si possono aggiungere quello recentemente studiato di nuraghe Arvu, a Cala Gonone di Dorgali, con circa cento dimore, e quelli di Surbale, di Teti, al valico del Taloro, con almeno sessanta capanne, indubbiamente nuragiche.
All'architettura nuragica si connette anche tutta una produzione di armi e strumenti di bronzo rivelante una tecnica progredita, che va dall'estrazione dei minerali di rame alla fusione del metallo, con tipi e motivi in cui s'incontrano forme egee, orientali, con altre dell'occidente iberico; si connettono pure una serie di figurine votive di esseri divini e umani, l'architettura delle tombe ipogeiche e megalitiche, e soprattutto quella dei templi nuragici (v. sardegna). Qui basti ricordare che questi templi nuragici, nel loro più frequente aspetto, sono camere a cupola sotterranea, che custodiscono fonti medicali o calde, e alle quali si rendeva un culto, durato talora sino a tarda epoca romana.
Attorno a tali fonti apparvero i più ricchi depositi di oggetti votivi rinvenuti in Sardegna. Qui la cupola è sotterranea, ma la presenza della fonte, quasi sempre anche ora defluente, esclude il carattere di tomba della cella ipogeica.
Non è raro il caso che fontane d'acqua potabile siano custodite anche entro il nuraghe o nelle costruzioni annesse; il nuraghe Losa, di cui si dà la pianta, esempio di successivi ampliamenti attorno al nucleo centrale della torre conica, ha una fontana entro le muraglie d'una delle torricelle munite di feritoie. Il nuraghe di S. Barbara, qui presentato in pianta e sezione, offre l'esempio del focolare con sedile nella cella principale, e quello della difesa dell'ingresso per mezzo di una caditoia aperta nel pavimento della camera sovrastante all'andito; tanto nel cortile tra le due torri quanto nella torre aggiunta si vedono le numerose feritoie per una vigilanza attiva del piccolo fortilizio.
Invece le capanne nuragiche, di cui è esempio quella di Serrucci, non hanno la camera coperta da cupola, che non poteva reggere sulle pareti sottili, e quasi sempre mostrano un sedile di pietra tutto in giro, che dovette servire per le riunioni diurne e per giaciglio notturno alla rude gente nuragica.
Questo tipo di costruzione precede quello del nuraghe a camera coperta da cupola, e può essere un elemento locale, parallelo al motivo della capanna italica o nordica; invece il motivo della cella con cupola è il prodotto di un'influenza giunta dall'Oriente, e che trovò nell'isola, ventosa e rocciosa, nelle famiglie protosarde ordinate a piccole tribù combattive, l'incentivo maggiore per uno svolgimento così grande in numero e in ampiezza da costituire un esempio unico nel mondo. Non è da ritenere perciò che le capanne circolari dei borghi nuragici, siano state il gradino preparativo del nuraghe, come ritiene F. von Duhn: esse sono piuttosto un motivo indigeno che precede e segue quello del nuraghe, e ancora vive nella capanna del pastore sardo.
I materiali rinvenuti negli scavi entro le celle e i recinti nuragici sono avanzi di pasto, armi e strumenti di pietra e bronzo, per lo più frantumati, rozzi vasi per cucina e per conserva di liquidi e di grani, assai spesso anche elementi di fonderia, crogioli, forme da fondere in steatite, cosicché, se proprio non si può dire che la questione nuragica sia definitivamente e completamente risolta, tuttavia un gran passo innanzi è stato senza dubbio compiuto in quest'ultimo trentennio.
Per la cronologia nuragica non è ancora possibile fare, in base al materiale molto monotono, una precisa divisione in periodi, come avvenne per la preistoria sicula. In linea generale si può dire che i nuraghi si costruirono dalla fine dell'età eneolitica, per tutta l'età del bronzo, sino all'età del ferro, e cioè dal secondo millennio a. C. sino al periodo dell'invasione romana, durante la quale i nuraghi servirono da estremo rifugio dell'indipendenza sarda; tutto il grande sviluppo dell'architettura nuragica deve collocarsi prima del periodo della fioritura delle colonie cartaginesi nell'isola (VI-III secolo a. C.). Le grandiose moli di nuraghe Oes e di S. Antine di Torralba, di nuraghe Losa di Abbasanta, di Saurecci presso Guspini rappresentano l'espressione di un popolo nella pienezza della sua vita indipendente, non ancora soffocato da una cintura di colonie straniere, che lo escludono dai contatti col mare e gli tolgono il respiro. Le costruzioni più poderose e armoniche si devono collocare prima del sec. VI a. C.; le aggiunte di torri e di cortine addossate alle vecchie moli nuragiche, i campi trincerati di Alvanzales a Bonorva, di Nussiu di Paulilatino, i corpi aggiunti a nuraghe Losa di Abbasanta, a S. Barbara di Villanova, per tacere di tanti altri, mostrano un lavoro affrettato e non completamente regolare, fatto sotto la minaccia di un'avanzata nemica, quando ai mezzi più elevati dell'offensiva si cercò alla meglio di opporre resistenze murarie più complesse, ma alle quali manca quell'accuratezza che si può dire monumentale, espressione di piena padronanza tranquilla e incontrastata della terra sarda. (V. tavv. XI e XII).
Bibl.: G. Spano, Memoria sopra i nuraghi della Sardegna, Cagliari 1867; F. Nissardi, Atti del Congresso storico di Roma, V, 1905, pp. 664-67; G. Pinza, Monumenti primitivi della Sardegna, in Monumenti Lincei, XI (1901); id., Storia delle civiltà antiche in Italia, Milano 1923, p. 115; E. Pais, Sulla civiltà dei nuraghi e sullo sviluppo sociologico della Sardegna, in Rend. Lincei, 1909, pp. 3-48 e 87-117; E. Scheu, Sardinien, Landeskundliche Beiträge, in Mitt. d. Gesell f. Erdkunde in Leipzig, 1919-22, pp. 32-102; A. Taramelli, in Atti del Convegno archeologico sardo, 1929, per la bibl. recente dei lavori di Mackenzie, von Bissing, Th. Ashby, De Chaignon ecc.; F. von Duhn, in Reallexikon der Vorgeschichte, s. v.; A. Taramelli, I nuraghi ed i loro abitatori, Roma 1931.