Abstract
La presente voce illustra la disciplina uniforme della determinazione della giurisdizione, dei conflitti di leggi e della circolazione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari dettata dal regolamento (CE) n. 4/2009 («Alimenti»), unitamente al protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari.
Il diritto internazionale privato delle obbligazioni alimentari (inteso nell’accezione ampia, comprensiva degli aspetti processuali) è stato oggetto della cd. comunitarizzazione (v. Diritto internazionale privato) e, a partire dal 18 giugno 2011, trova la sua fonte nel diritto dell’Unione europea, segnatamente nel regolamento (CE) n. 4/2009, recante disposizioni uniformi su tutti gli aspetti della cooperazione giudiziaria civile in subiecta materia. Tale disciplina, informata al principio del favor creditoris, sostituisce le corrispondenti norme nazionali. In Italia, dunque, essa sostituisce interamente l’art. 45 l. 31.5.1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, norma di conflitto speciale relativa alle obbligazioni alimentari nella famiglia, nonché parzialmente l’art. 3 della stessa legge relativo alla determinazione della giurisdizione italiana, nella misura in cui si applicava anche alla materia alimentare e gli artt. 64 ss. sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni limitatamente alle decisioni pronunciate in altri Stati membri dell’Unione in materia alimentare.
Sotto il profilo oggettivo, il regolamento si applica in maniera ampia – con una formula ripresa dai principali accordi internazionali in materia – alle «obbligazioni alimentari derivanti dai rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità» (art. 1), dunque a tutte e sole quelle obbligazioni che trovano il loro fondamento giuridico in rapporti di tipo familiare. Una simile limitazione si giustifica in ragione delle peculiari esigenze di protezione del creditore che si manifestano ogniqualvolta l’obbligazione sorga all’interno di siffatti rapporti; la loro autonomia, rispetto alla più ampia categoria delle obbligazioni alimentari a cui esse pure appartengono, è volta a rendere il diritto agli alimenti facilmente azionabile e riconosciuto nel maggior numero di casi possibili, nonché a eliminare tutti gli ostacoli alla circolazione del relativo titolo.
Di conseguenza, sono senz’altro escluse dall’ambito di applicazione del regolamento le obbligazioni alimentari che, pur sussistenti tra persone appartenenti al medesimo nucleo familiare, trovano il loro fondamento giuridico in altre fattispecie – quali contratto, fatto illecito, successione mortis causa o donazione (per un esempio di scuola, sempre riproposto in dottrina, si vedano gli obblighi incombenti sul donatario nei confronti del donante ex art. 437 c.c. o sull’erede nei confronti del legatario di alimenti ex art. 660 c.c.). Questi ultimi si considerano assorbiti dalle disposizioni di d.i.p. concernenti la fattispecie che le origina, in molti casi peraltro oggetto di una disciplina uniforme a livello europeo (sotto il profilo del diritto applicabile si vedano, ad esempio, le voci Obbligazioni contrattuali [dir. int. priv.], Obbligazioni extracontrattuali ).
Qualche dubbio invece permane, alla luce dell’art. 1, par. 1, regolamento (CE) n. 4/2009, circa i «rapporti che, in forza della legge ad essi applicabile, producono effetti simili» ai rapporti di tipo familiare, quali le varie forme di unioni registrate o matrimoni tra persone dello stesso sesso. In proposito, è stata sostenuta l’opportunità di estendere al regolamento, per via interpretativa, la soluzione già indicata in relazione al protocollo dell’Aja del 23.11.2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, e cioè che l’esistenza e la validità del legame familiare dovrebbero essere valutate in ciascuno Stato membro secondo le sue norme, ivi comprese quelle di diritto internazionale privato (così Pocar, F.-Viarengo, I., Il regolamento (CE) n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, 809 s.; in adesione Villata, F.C., Obblighi alimentari e rapporti di famiglia secondo il Regolamento n. 4/2009, in Riv. dir. int., 2011, 739; contra Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale privato e processuale. Parte speciale, vol. II, Torino, 2011, 239): ciò consentirebbe agli Stati membri che riconoscono forme di unioni registrate, partnership regolamentate o matrimoni tra persone dello stesso sesso di darvi rilievo ai fini di entrambi gli strumenti. Dal punto di vista dell’ordinamento italiano, tuttavia, la questione pare (unilateralmente) superata per effetto delle modifiche introdotte nella l. n. 218/1995 dalla l. 20.5.2016, n. 76 sulle unioni civili e dal successivo d.lgs. 19.1.2017, n. 7 di attuazione della stessa. Infatti, il novellato art. 45 – norma pedagogica nella quale il rinvio «in ogni caso» alla convenzione dell’Aja del 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari è stato sostituito con un rinvio semplice al regolamento (CE) n. 4/2009 – in combinato disposto con il nuovo art. 32 ter, co. 5, l. n. 218/1995 sembrano avere soprattutto la funzione di manifestare la volontà dell’Italia di estendere la disciplina del protocollo dell’Aja del 2007 anche agli obblighi alimentari derivanti da rapporti familiari diversi da quelli tradizionali, quali le unioni civili o i matrimoni tra persone dello stesso sesso (in questo senso Campiglio, C., Forum: la disciplina internazionalprivatistica italiana delle unioni civili, 7.11.2016, in www.crossborder.live).
Quanto alla nozione di «obbligazioni alimentari», in assenza di una definizione normativa, essa deve essere interpretata in maniera autonoma, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, come qualunque prestazione diretta a garantire il sostentamento di un soggetto bisognoso, purché commisurata alle risorse e necessità di entrambe le parti, a prescindere dalle modalità di corresponsione del capitale e dal nomen iuris (C. giust., 6.3.1980, C-120/79, de Cavel c. de Cavel, par. 5; 27.2.1997, C-220/95, van den Boogaard, parr. 22-23). Una simile nozione si discosta quindi da quella di «alimenti» propria del diritto italiano – generalmente limitata all’istituto di cui all’art. 433 c.c. – e include ad es. i cd. «assegni di divorzio» ex art. 5 l. 1.12.1970, n. 898. Sono, invece, escluse le prestazioni che attengono unicamente alla ripartizione dei beni tra i coniugi, le quali ricadono nella disciplina dei regimi patrimoniali tra coniugi (van den Boogaard, cit., par. 22).
Giova sottolineare, inoltre, l’ampia nozione di creditore accolta dal regolamento, che include qualsiasi persona fisica a cui sono dovuti o si presume siano dovuti alimenti, ivi compreso l’ente pubblico che agisce per conto del creditore o al quale sia dovuto il rimborso di prestazioni erogate (artt. 2, par. 1, n. 10 e cons. n. 14).
Ratione temporis, il regolamento si applica a tutte le domande volte a far accertare o modificare pretese alimentari derivanti da rapporti di famiglia presentate a partire dal 18 giugno 2011 all’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, senza che sia a tal fine necessaria la presenza del convenuto sul territorio dell’Unione, nonché al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni emesse negli Stati membri successivamente a tale data, pur se a seguito di procedimenti precedentemente avviati, a condizione che esse rientrino, ai fini del riconoscimento e dell’esecuzione, nell’ambito di applicazione del regolamento (CE) n. 44/2001 (relativo alla giurisdizione e alla circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale, cd. Bruxelles I), come pure alle decisioni rese in precedenza negli Stati membri non vincolati dal protocollo dell’Aja del 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari per le quali il riconoscimento o la dichiarazione di esecutività siano chiesti dopo tale data (art. 75 reg.).
Sotto il profilo territoriale, infine, il regolamento trova applicazione in tutti gli Stati membri a eccezione di Danimarca, Regno Unito e Irlanda, che godono di posizioni particolari, disciplinate da specifici protocolli allegati a TUE e TFUE. La Danimarca non è vincolata dal regolamento in via generale (artt. 1-2 del protocollo n. 21), ma ha dato attuazione alle modifiche apportate dallo stesso al regolamento (CE) n. 44/2001 in materia di giurisdizione e circolazione delle decisioni in base a uno specifico accordo con l’Unione europea (GUUE L 299 del 16.11.2005, 61). L’Irlanda ha esercitato il suo diritto di opting-in prima dell’adozione del regolamento e partecipa, quindi, all’applicazione dello stesso (art. 1 del protocollo n. 22). Secondo quanto consentito dal medesimo protocollo n. 22, anche il Regno Unito ha accettato di applicare il regolamento (CE) n. 4/2009, ad esclusione del capo III relativo al diritto applicabile (GUUE L 149 del 12.6.2009, 73) e lo applicherà fino alla conclusione del processo per l’uscita dall’Unione avviato a seguito della «Brexit».
Da ultimo, occorre accennare alle relazioni del regolamento (CE) n. 4/2009 con altri strumenti che pure disciplinano la materia (artt. 68-69). Nel rapporto con le fonti europee, il regolamento ha sostituito, nella misura in cui risultavano applicabili anche alla materia alimentare, le disposizioni del regolamento (CE) n. 44/2001 nonché quelle del regolamento (CE) n. 805/2004, istitutivo del titolo esecutivo europeo per crediti non contestati, tranne che per i titoli esecutivi riguardanti obbligazioni alimentari emessi in Stati membri non vincolati dal protocollo dell’Aja del 2007 sulla legge applicabile agli alimenti. Con riguardo agli strumenti internazionali, invece, il regolamento (CE) n. 4/2009 prevale sugli accordi bilaterali o multilaterali conclusi dagli Stati membri nei rapporti tra questi ultimi (salva l’eccezione di cui all’art. 69 par. 3 ult. frase), ma ne lascia impregiudicata l’applicazione nei rapporti con gli Stati terzi. Tra i numerosi accordi in vigore vale la pena di ricordare le convenzioni concluse all’Aja nel 1958, nel 1973 e nel 2007 relativamente alla circolazione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari nella famiglia, unitamente alle convenzioni del 1956 e del 1973 sul diritto applicabile e, in certa misura, alla convenzione di New York del 1956 in tema di recupero all’estero di alimenti. Fa eccezione il già citato protocollo dell’Aja del 2007 sul diritto applicabile che, come si vedrà, dev’essere considerato autonomamente (infra § 3.1).
A partire da disposizioni già esistenti nel diritto dell’Unione europea (gli artt. 2 e 5, n. 2 del regolamento Bruxelles I), il regolamento (CE) n. 4/2009 ha sviluppato un sistema completo ed esclusivo di norme uniformi sulla giurisdizione, applicabile anche ai convenuti con residenza abituale in Stati terzi, sì da eliminare ogni rinvio al diritto degli Stati membri.
La regola generale di cui all’art. 3 del regolamento, ispirata al favor creditoris, prevede quattro fori alternativi, che possono essere indifferentemente aditi, a scelta dell’attore. I primi due riguardano l’ipotesi in cui la domanda alimentare sia presentata in via autonoma: in tal caso ci si può rivolgere, ugualmente, all’autorità giurisdizionale a) del luogo di residenza abituale del convenuto o b) del luogo di residenza abituale del creditore (Trib. Roma, 5.11.2013, in Riv. dir. int. priv. proc., 2014, 674). Al riguardo è utile sottolineare che, secondo la Corte di giustizia, il favor creditoris che informa tali fori può incidere anche sull’organizzazione dei sistemi giurisdizionali nazionali (18.12.2014, C-400/13 e C-408/13, Sanders e Huber, con riguardo alla norma tedesca che, per favorire la specializzazione, concentrava la competenza per le controversie alimentari transfrontaliere dinnanzi a un numero limitato di tribunali di primo grado, che risultavano dunque «più lontani» dal creditore rispetto al giudice normalmente competente per le medesime cause di natura interna).
Qualora la pretesa alimentare sia invece azionata nell’ambito di un processo più ampio avente ad oggetto la crisi familiare, il regolamento consente di adire il giudice competente, secondo la legge del foro, a conoscere di un’azione relativa allo stato delle persone, se la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione (lett. c) o di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale, se la domanda relativa a un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione (lett. d), in entrambi i casi con l’ulteriore condizione che la competenza per la domanda principale non si fondi unicamente sulla cittadinanza di una delle parti (condizione che non pare rispettata in Trib. Milano 1.6.2012, in Riv. dir. int. priv. proc., 2013, 753). Questi due fori consentono il coordinamento con il regolamento (CE) n. 2201/2003, cd. Bruxelles II-bis, che disciplina, tra l’altro, la giurisdizione in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (C. giust., 15.2.2017, C-499/15, W e V c. X e voce Giurisdizione in materia familiare ). Al riguardo, tuttavia, occorre precisare che qualora, per effetto dei diversi criteri utilizzati dai titoli di giurisdizione contenuti nel regolamento Bruxelles II-bis, pendano due controversie distinte, dinnanzi ai giudici di altrettanti Stati membri, relative l’una allo scioglimento del vincolo coniugale tra i genitori e l’altra alla responsabilità genitoriale sul figlio degli stessi, l’eventuale pretesa alimentare concernente il minore deve considerarsi accessoria unicamente all’azione relativa alla responsabilità genitoriale, ai sensi dell’art. 3 lett. d) di tale regolamento (C. giust., 16.7.2015, C-184/14, A c. B, poi applicata da Cass., S.U., ord. 5.2.2016, n. 2276 e già Trib. Milano, ord. 16.4.2014, in Riv. dir. int. priv. proc., 2015, 162). Ciò non esclude che un giudice diverso da quello competente nel merito possa adottare provvedimenti provvisori e cautelari, ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 4/2009, purché dette misure siano previste dal diritto nazionale e siano effettive (v. Trib. Milano, ord. 16.4.2014 cit., che esclude la propria competenza a pronunciare provvedimenti provvisori relativi al mantenimento di due minori nell’ambito del giudizio di separazione dei genitori, poiché già pendeva analogo procedimento in Svizzera, Paese di residenza abituale del nucleo familiare).
Da quanto precede è chiaro che la residenza abituale di una delle parti costituisce titolo sufficiente a radicare la giurisdizione, a prescindere dalla loro cittadinanza (correttamente ad es. Trib. Belluno, 12.11.2013, e decr. 24.5.2016, entrambe in Riv. dir. int. priv. proc., rispettivamente 2014, 973 e 2017, 715; Trib. Roma 27.1.2015, in Pluris).
Da ultimo, giova sottolineare che il regolamento (CE) n. 4/2009, innovando rispetto alle norme previgenti, introduce il principio della perpetuatio iurisdictionis in relazione alle domande di revisione del credito alimentare nel caso in cui il debitore abbia mantenuto la sua residenza abituale nello Stato ove è stata resa la decisione originaria, seppure temperandolo con alcune eccezioni (art. 8).
Per accrescere la certezza e la prevedibilità, il regolamento lascia spazio a una limitata autonomia delle parti. A norma dell’art. 4, esse possono devolvere la controversia alimentare a un numero limitato di giudici purché di uno Stato membro dell’Unione – segnatamente all’autorità giurisdizionale a) dello Stato di residenza abituale o b) di cittadinanza di una delle parti o c) limitatamente alle pretese alimentari tra coniugi e ex coniugi, anche allo Stato i) del giudice competente in materia matrimoniale o ii) dell’ultima residenza abituale comune delle parti per un periodo di almeno un anno, – o anche di uno Stato parte della convenzione di Lugano del 2007 (con alcune differenze nei due casi: cfr. art. 4, parr. 1 e 4). La competenza del giudice prorogato è esclusiva, salvo diversa disposizione delle parti (art. 4, par. 1).
L’accordo di scelta del foro deve essere concluso per iscritto, forma alla quale è equiparata qualunque comunicazione elettronica che consenta una registrazione durevole dell’accordo (par. 2). Per tutelare la parte debole, l’electio fori è però del tutto esclusa rispetto alle controversie concernenti obbligazioni alimentari verso minori di 18 anni (art. 4, par 3).
È altresì prevista la proroga tacita mediante comparizione del convenuto senza alcuna eccezione in punto di giurisdizione (cfr. art. 5, applicato ad es. da Trib. Belluno, decr. 24.5.2016, cit.).
Nell’interesse del creditore e della corretta amministrazione della giustizia, alle disposizioni sin qui illustrate si aggiungono due norme che permettono ai giudici degli Stati membri di esercitare la giurisdizione, pur in assenza dei criteri di competenza sin qui descritti, quando la situazione sia collegata con uno Stato terzo. Più precisamente, se, in base agli artt. 3, 4 e 5 del regolamento o in forza della convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007 (parallela al regolamento CE n. 44/2001 nei rapporti tra l’Unione e la Svizzera), non si determini la competenza di alcun giudice di uno Stato membro o di uno Stato parte della citata convenzione, l’art. 6 stabilisce la competenza sussidiaria del giudice dello Stato membro di comune cittadinanza delle parti. Inoltre, per evitare dinieghi di giustizia, se la giurisdizione dei giudici degli Stati membri non possa fondarsi nemmeno sulla competenza sussidiaria, l’art. 7 introduce un forum necessitatis basato sul criterio del collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita, disponibile però solo in casi eccezionali e a condizione che un procedimento non possa ragionevolmente essere intentato, svolgersi o essere possibile nello Stato terzo con il quale la controversia presenta uno stretto collegamento.
Il sistema di fori delineato dal regolamento risulta rafforzato dall’obbligo che incombe sul giudice adito di verificare d’ufficio la propria competenza con riguardo al momento della proposizione della domanda e, eventualmente, dichiarare la propria incompetenza in assenza di titoli di giurisdizione idonei (art. 10; per un’applicazione v. Trib. Belluno, sent. 13.2.2014, in Riv. dir. int. priv. proc., 2016, 832, e decr. 24.5.2016, cit.; Trib. Milano, ord. 16.4.2014, cit).
Nonostante l’obbligo appena menzionato, la previsione di fori alternativi può dar luogo a ipotesi di litispendenza, disciplinata dal regolamento secondo un modello già noto ad altri regolamenti e fondato su un criterio puramente cronologico. Se davanti a giudici di Stati membri differenti sono proposte domande identiche (stesse parti, stessi petitum e causa petendi), il giudice adito per secondo deve sospendere d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza e, se del caso, dichiarare la propria incompetenza in favore del primo (art. 12).
Diversamente, nel caso di connessione, ove cioè due cause abbiano un legame così stretto da rendere opportune una trattazione e una decisione uniche per evitare soluzioni tra loro incompatibili ove fossero trattate separatamente, è facoltà del giudice adito successivamente disporre la sospensione del procedimento (art. 13).
Per consentire il funzionamento di queste norme di coordinamento tra procedimenti, il regolamento fornisce una definizione autonoma del momento in cui l’autorità giurisdizionale si deve considerare adita, tenendo conto dei due principali modelli processuali accolti dagli ordinamenti degli Stati membri (art. 9).
In punto di diritto applicabile, il regolamento (CE) 4/2009, diversamente dalla ambiziosa proposta iniziale, non reca una disciplina autonoma e completa della materia, ma fa proprie le soluzioni già elaborate in sede internazionale. Infatti, l’art. 15, l’unica norma del regolamento dedicata al diritto applicabile, dispone che negli Stati membri vincolati dal protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari il diritto ad esse applicabile si determina secondo le norme in esso contenute. Queste ultime sono dotate di carattere universale, si applicano cioè anche quando designino la legge di uno Stato non contraente (art. 2 prot.), e hanno dunque sostituito interamente le norme nazionali corrispondenti. Ciò significa che in Italia a partire dal 18 giugno 2011 (data alla quale il protocollo è divenuto applicabile, a titolo provvisorio, all’interno dell’Unione), nell’ambito di applicazione del regolamento, l’art. 45 della legge n. 218/1995, pur nel testo novellato (v. supra § 1.1), non trova più applicazione, nemmeno nei rapporti con Stati terzi.
Nessuna disposizione del regolamento si occupa invece di stabilire norme di conflitto uniformi per gli Stati membri non vincolati dal protocollo dell’Aja del 2007, al momento Danimarca e Regno Unito. In tali Paesi dovrà quindi farsi ricorso al il d.i.p. nazionale o internazionale vigente nel foro.
Il sistema di conflitto introdotto dal protocollo dell’Aja del 2007 si fonda su due pilastri: l’autonomia delle parti, da un lato, e un complesso di criteri oggettivi applicabili in assenza di scelta, dall’altro.
In prima battuta, quindi, sono le parti a designare la legge regolatrice del rapporto alimentare, in linea con la tendenza di carattere liberale che si evidenzia già in altri regolamenti di d.i.p. UE, a riconoscere una certa autonomia delle parti private anche nel diritto di famiglia. Secondo quanto previsto dal protocollo, la scelta può essere effettuata in via generale (art. 8) oppure unicamente ai fini di uno specifico procedimento (art. 7).
Nel caso in cui un procedimento in materia sia già pendente presso i giudici di uno Stato membro, esse possono eleggere il diritto di tale Paese a disciplina del rapporto alimentare, ma la scelta (che conduce alla coincidenza di forum e ius) produce effetti solo in relazione a quello specifico procedimento, ai sensi dell’art. 7 del protocollo.
Per favorire la stabilità e la prevedibilità del diritto applicabile, l’art. 8 introduce la facoltà per le parti di concordare il diritto applicabile in via generale a un determinato rapporto alimentare. Siffatta scelta può essere effettuata in qualunque momento e può avere ad oggetto un novero limitato di leggi considerate significativamente collegate alla fattispecie, segnatamente: a) la legge dello Stato di cui una delle due parti ha la cittadinanza, b) la legge del Paese della residenza abituale di una delle parti, c) la legge scelta per regolare i loro rapporti patrimoniali o di fatto applicata agli stessi o d) la legge scelta dalle parti come applicabile o di fatto applicata al divorzio o alla separazione (criticabile Trib. Padova 6.2.2015, in Riv. dir. int. priv. proc., 2016, 848, ove alla domanda di provvedimenti economici nel giudizio di separazione tra due cittadini rumeni applica la lex fori ex art. 8 lett. d) pur in assenza di scelta). La preferenza accordata ad una di queste leggi produce effetti in relazione a qualsiasi controversia concernente quel determinato rapporto alimentare. Tuttavia, il regolamento circoscrive ulteriormente l’autonomia della volontà delle parti, a tutela del creditore, limitando gli effetti della designazione rispetto alla rinuncia al credito alimentare (sempre soggetta alla legge della residenza abituale del creditore al momento della scelta), nonché introducendo una clausola di salvaguardia per il caso in cui l’esercizio dell’autonomia concessa alle parti conduca a conseguenze «manifestamente inique o irragionevoli» (in simili circostanze la scelta non può operare a meno che le parti non siano pienamente informate e consapevoli delle conseguenze dell’elezione). Inoltre, per evitare abusi, l’autonomia della volontà delle parti è del tutto esclusa in relazione ai rapporti riguardanti i minori di diciotto anni e gli adulti cd. vulnerabili, secondo la definizione ripresa dalla convenzione dell’Aja del 2000 sulla protezione degli adulti (v. voce Protezione degli adulti).
In entrambi i casi, l’optio iuris deve essere esercitata mediante apposito accordo redatto in forma scritta ad substantiam, o registrato su qualsiasi supporto il cui contenuto sia accessibile per una futura consultazione, e sottoscritto da entrambe le parti (artt. 7, par. 2 e 8, par. 2).
In assenza di scelta, le obbligazioni alimentari sono regolate dalla legge dello Stato della residenza abituale del creditore così da legare la determinazione della legge applicabile agli alimenti al Paese in cui il creditore è inserito e, quindi, assicurare pari trattamento ai creditori che vivono nel medesimo Stato (art. 3, par. 1, prot.). In caso di mutamento della residenza abituale del creditore, si applica la legge della nuova residenza abituale, a partire dal momento del cambiamento (art. 3, par. 2, prot.).
L’ambito di applicazione della regola generale appena descritta risulta, tuttavia, assai ridimensionato, oltre che dall’autonomia concessa alle parti in forza degli artt. 7 e 8 del protocollo, da altre eccezioni che, sempre in assenza di scelta, consentono alla lex fori di assumere un ruolo rilevante in concorrenza con il criterio generale. In particolare, gli obblighi alimentari più frequentemente rilevanti nella prassi, ossia quelli derivanti dai rapporti tra genitori e figli o minori di 21 anni e quelli tra coniugi ed ex coniugi, godono di un regime speciale con l’obiettivo, rispetto ai primi, di dotare quei creditori di norme di conflitto più favorevoli nel caso in cui la legge della loro residenza abituale non consenta di soddisfare la pretesa e, rispetto ai secondi, di bilanciare le esigenze di tutela del creditore con la necessità di individuare un ordinamento significativamente collegato alla fattispecie.
L’art. 4 introduce un sistema di criteri di collegamento «a cascata», ispirato al favor creditoris, per le obbligazioni alimentari dei genitori nei confronti dei figli e viceversa (par. 1, lett. a e c), nonché delle persone diverse dai genitori nei confronti di persone di età inferiore a 21 anni (par. 1, lett. b) salvo che si tratti di obbligazioni tra coniugi o ex coniugi. All’interno di siffatti rapporti, quando il creditore «non possa ottenere gli alimenti» in forza della legge della sua residenza abituale, la pretesa alimentare è regolata dalla legge del foro (par. 2). Tale regola ha risvolti pratici notevoli poiché, portando alla coincidenza di forum e ius, agevola la decisione del giudice adito (in questo senso v. ad es. Trib. Treviso, 17.7.2014, in Pluris). Addirittura, nel caso in cui il creditore agisca nello Stato di residenza abituale del convenuto-debitore, il rapporto tra regola generale di cui all’art. 3 e eccezione è rovesciato: la pretesa alimentare è regolata a titolo principale dalla lex fori, la quale cede il passo alla legge della residenza abituale del creditore solo nell’eventualità in cui il creditore «non possa ottenere alimenti» (par. 3; per un’applicazione v. Trib. Roma, decr. 5.11.2013, in Riv. dir. int. priv. proc., 2014, 674; Trib. Belluno, decr. 12.11.2013 cit. e sent. 13.2.2014 cit.). Infine, se nemmeno in forza delle due regole precedenti il creditore «possa ottenere alimenti», si applica l’eventuale legge dello Stato di cittadinanza comune (par. 4).
Un’ulteriore deroga alla norma generale di cui all’art. 3 è rappresentata dalla norma di conflitto speciale relativa ai coniugi e ex coniugi. Con l’intento di mitigare l’influenza del coniuge-creditore sull’esistenza e sul contenuto dell’obbligo alimentare, l’art. 5 del protocollo consente, qualora una parte vi si opponga, di escludere l’applicazione dell’art. 3 (e, dunque, la legge della residenza abituale del creditore), in favore della legge di un altro Stato, segnatamente quello dell’ultima residenza abituale comune, se questo presenti un collegamento più stretto con il matrimonio. Nulla si dice nel protocollo circa i tempi e i modi della scelta, che quindi, allo stato, sono rimessi alle singole legislazioni nazionali applicabili.
Infine il quadro delle eccezioni alla norma generale di cui all’art. 3 del protocollo, applicabile in assenza di scelta delle parti, è completato dalla regola che attribuisce al debitore dei «mezzi di difesa», vale a dire la possibilità di contestare la domanda in ragione dell’inesistenza del credito alimentare dal duplice (e congiuntamente necessario) punto di vista della legge dello Stato della loro residenza abituale e della legge del Paese di comune cittadinanza, ove esistente; ciò ad esclusione dei rapporti tra genitori e figli e dei rapporti tra coniugi coperti dall’art. 5 protocollo (art. 6).
Gli artt. 9-14 del protocollo dell’Aja del 2007 dettano regole strumentali al funzionamento delle norme di conflitto. Tra di essi si segnala, anzitutto, l’art. 11 che definisce in maniera ampia la portata della legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Infatti, quest’ultima stabilisce a) l’esistenza, il contenuto e il soggetto obbligato agli alimenti, b) in qual misura il creditore possa avanzare una pretesa retroattiva, c) la base di calcolo della somma da corrispondere e d) la sua indicizzazione, i soggetti dotati di legittimità processuale attiva rispetto a controversie concernenti obblighi alimentari, salve le questioni della capacità processuale e della rappresentanza in giudizio, e) la prescrizione e le decadenze, f) la misura in cui il debitore è tenuto a rifondere un ente pubblico che abbia erogato al creditore delle somme in luogo degli alimenti. A proposito della lett. a) occorre tuttavia precisare che la disciplina delle obbligazioni alimentari recata dal protocollo (come già per la precedente convenzione dell’Aja del 1973) è neutrale rispetto al diritto di famiglia degli Stati contraenti: le decisioni rese in materia di crediti alimentari sulla base della legge individuata secondo le disposizioni dello stesso non incidono infatti sull’esistenza del rapporto da cui originano gli obblighi considerati (art. 1, par. 2, prot. e art. 22 reg. CE n. 4/2009) e dunque la decisione dell’autorità giudiziaria chiamata a conoscere della domanda di alimenti che si pronunci sulla questione preliminare dell’esistenza del rapporto sottostante avrà efficacia limitata alla domanda alimentare.
Oltre a ciò, giova ricordare che il rinvio è sempre escluso (art. 12 prot.) e che l’applicazione della legge richiamata può essere esclusa solo ove i suoi effetti siano manifestamente contrari all’ordine pubblico, circostanza da interpretarsi restrittivamente (art. 13 prot.).
Da ultimo, va ricordata la regola di carattere materiale di cui all’art. 14 protocollo, volta a correggere le conseguenze dell’applicazione della legge regolatrice degli alimenti quando queste non appaiano particolarmente eque alla luce delle circostanze del caso concreto (v. Trib. Belluno, decr. 12.11.2013 cit., nonché sent. 13.2.2014 cit. e decr. 28.4.2016 in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, 113, ove è applicato l’art. 14 prot., seppure indicato erroneamente come art. 14 reg.).
Tutte le sentenze in materia di alimenti pronunciate in uno Stato membro dell’Unione dopo il 18 giugno 2011 e, a certe condizioni, anche quelle rese in precedenza in uno Stato membro non vincolato dal protocollo dell’Aja del 2007 (amplius § 4.2) sono soggette all’applicazione del regolamento (CE) n. 4/2009, che introduce un doppio regime di circolazione, a seconda della presenza/assenza di norme di conflitto uniformi. Per le decisioni emesse dai giudici di uno Stato membro vincolato dal protocollo è abolito l’exequatur e, di conseguenza, limitato il ruolo delle autorità dello Stato dell’esecuzione (capo IV, sez. 1). A norma dell’art. 17 del regolamento, infatti, tali decisioni sono automaticamente riconosciute e altresì esecutive in tutti gli altri Stati membri, senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare né per il riconoscimento, al quale non ci si può opporre, né per l’esecuzione (nel senso del testo v. Ancel,B.-Muir Watt, H., Aliments sans frontières, in Rev. crit. dr. int. pr. 2010, 472, nonché Villata, F.C., Obblighi alimentari, cit., 771 e la dottrina ivi citata; non sembra condivisibile invece l’opinione che limita l’abolizione dell’exequatur ai soli rapporti tra Stati membri vincolati dal protocollo: Castellaneta, M.-Leandro, A., Il regolamento CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Nuove leggi civ., 2009, 1091). Inoltre, non è prevista alcuna forma di certificazione della decisione straniera da parte del giudice dello Stato di origine, come invece richiesto da altri regolamenti che, similmente, sopprimono l’exequatur nello spazio giudiziario europeo. Per l’esecuzione di una decisione emessa in uno Stato membro vincolato dal protocollo dell’Aja del 2007 è sufficiente che la parte presenti una copia della decisione e gli altri documenti elencati dall’art. 20 del regolamento. Peraltro, l’esecutività della decisione implica, di diritto, l’autorizzazione a procedere a provvedimenti cautelari previsti dalla legge dello Stato membro di esecuzione (art. 18).
Gli unici ostacoli che possono essere frapposti alla circolazione delle decisioni pronunciate negli Stati membri vincolati dal protocollo dell’Aja del 2007 sono, da un lato, il riesame previsto dall’art. 19 del regolamento, dall’altro, il diniego o la sospensione dell’esecuzione in presenza dei motivi di cui all’art. 21 dello stesso regolamento.
Quanto al primo, l’art. 19, introdotto a garanzia dell’equo processo, riconosce in via autonoma al convenuto contumace il diritto di richiedere il riesame della decisione all’autorità giurisdizionale dello Stato membro di origine, pur corredandolo di diverse condizioni affinché non si trasformi in un’arma impropria nella mani di una parte colpevolmente distratta, in contrasto con il favor creditoris che ispira il sistema. In particolare, il diritto al riesame sussiste solo se il convenuto a) non abbia ricevuto comunicazione/notificazione dell’atto introduttivo del giudizio in tempo utile e in modo tale da consentirgli di presentare le sue difese, o b) non abbia avuto la possibilità di contestare il credito per causa di forza maggiore o circostanze eccezionali a lui non imputabili, sempre a condizione che, pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la decisione (par. 1). L’impugnazione prevista dall’art. 19 non pregiudica il ricorso a altri rimedi straordinari previsti dal diritto dello Stato membro d’origine purché con essa compatibili (cfr. considerando n. 29).
In relazione alle vicende dell’esecuzione, che si svolge secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione, il regolamento prevede una disciplina di raccordo relativa ai motivi di diniego o sospensione della stessa (art. 21). Quanto al diniego dell’esecuzione, il rifiuto dell’esecuzione deve essere concesso, su istanza del debitore, solo quando il diritto di ottenere l’esecuzione sia prescritto (secondo il diritto dello Stato membro di origine o di esecuzione, se quest’ultimo prevede un termine più lungo), e può essere concesso, a discrezione del giudice, anche quando la decisione sia inconciliabile con un’altra resa nello Stato membro dell’esecuzione o in un altro Stato membro o in uno Stato terzo, se soddisfa i requisiti necessari al riconoscimento nello Stato dell’esecuzione (art. 21, par. 2). Con riguardo, invece, alla sospensione dell’esecuzione, è facoltà del giudice disporla se l’autorità giurisdizionale dello Stato membro d’origine è investita di una domanda di riesame ai sensi dell’art. 19 del regolamento, mentre deve necessariamente essere disposta se l’esecutività della decisione sia sospesa nello Stato membro d’origine (art. 21, par. 3). I motivi di diniego e sospensione prescritti dal diritto dello Stato di esecuzione sono applicabili, invece, solo se non incompatibili con quelli dettati dal regolamento (art. 21, par. 1).
Da ultimo, giova ricordare il principio di scindibilità del rapporto alimentare rispetto a quello familiare sottostante sancito dall’art. 22 del regolamento (CE) n. 4/2009, secondo il quale l’efficacia di una decisione in materia alimentare non «implica» in alcun modo il riconoscimento dei rapporti di famiglia sottostanti.
Sono ugualmente soggette al regolamento (CE) n. 4/2009 le decisioni in materia alimentare emesse negli Stati membri che non hanno aderito al protocollo dell’Aja del 2007 (al momento, Danimarca e Regno Unito), se pronunciate a partire dal 18 giugno 2011 – anche se a seguito di procedimenti avviati prima di tale data (in questo caso all’ulteriore condizione che tali decisioni rientrino nell’ambito di applicazione del regolamento Bruxelles I) – o, se rese prima della data di applicazione del regolamento, per le quali il riconoscimento e la declaratoria di esecutività siano richiesti successivamente alla medesima data.
A questa categoria di decisioni, tuttavia, si applica un regime di riconoscimento e esecuzione ispirato a quello di cui all’abrogato regolamento (CE) n. 44/2001 in materia civile e commerciale, seppure con riduzione dei termini e limitazioni nelle formalità dell’esecuzione (capo IV, sez. 2, regolamento). Più in particolare, tali decisioni sono automaticamente riconosciute in tutti gli Stati membri, senza che sia a ciò necessaria alcuna procedura (art. 23), salva contestazione per uno dei motivi tassativamente indicati dal regolamento stesso, in larga parte ripresi dall’abrogato regolamento Bruxelles I e attinenti alla manifesta violazione dell’ordine pubblico dello Stato membro del riconoscimento (dal quale sono escluse le norme sulla giurisdizione), a vizi sostanziali nella costituzione del contraddittorio nei confronti del convenuto contumace e all’incompatibilità di giudicati (art. 24).
L’esecuzione delle decisioni emesse negli Stati membri non vincolati al protocollo dell’Aja del 2007, invece, è subordinata al previo ottenimento di una declaratoria di esecutività mediante una procedura di exequatur dinnanzi all’autorità giurisdizionale (C. giust., 9.2.2017, C-283/16, M.S. c. P.S.) che assume i tratti di un procedimento monitorio a contraddittorio eventuale e differito, articolandosi in due fasi, la prima necessaria e inaudita altera parte e la seconda, solo eventuale e successiva, in caso di ricorso contro la declaratoria di esecutività (art. 26 ss.).
Tra le disposizioni comuni applicabili a tutte le decisioni soggette al regolamento (CE) n. 4/2009 (capo IV, sez. 3), si segnalano, per la loro importanza nel favorire il recupero del credito alimentare all’interno dello spazio giudiziario europeo, da un lato, l’introduzione della possibilità per i giudici degli Stati membri vincolati dal regolamento di dichiarare provvisoriamente esecutive tutte le sentenze pronunciate in materia alimentare, anche laddove ciò non sia previsto dall’ordinamento di origine, nonché, dall’altro, la possibilità per la parte di invocare la sentenza riconosciuta in uno Stato membro diverso da quello richiesto mediante semplice produzione di copia che ne attesti l’autenticità (artt. 39 e 40).
In ogni caso, è vietato il riesame del merito di una decisione emessa in qualsiasi Stato membro dell’Unione (art. 42).
Il regolamento (CE) n. 4/2009 non si applica alle decisioni provenienti da Stati terzi. In molti casi, esse soggiacciono a specifici regimi convenzionali – al riguardo occorre ricordare le convenzioni dell’Aja del 1956 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari verso i minori e la successiva convenzione del 1973 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni riguardanti obbligazioni alimentari, nonché la più recente convenzione del 2007 sull’esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti dei figli e di altri membri della famiglia e, per alcuni aspetti specifici, la convenzione per il recupero all’estero degli alimenti, adottata a New York il 20 giugno 1956 – o, in mancanza, alla disciplina di diritto comune dettata dagli artt. 64 ss. della l. n. 218/1995 (v. voce Riconoscimento delle sentenze straniere in materia civile e commerciale).
Fonti normative
Regolamento (CE) n. 4/2009; conv. sull’esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti dei figli e di altri membri della famiglia e protocollo sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, conclusi all’Aja il 23.11.2007; conv. sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari e conv. sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari, concluse all’Aja il 2.10.1973 (ratificata con l. 24.10.1980, n. 745); conv. dell’Aja del 24.10.1956 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari verso i figli e convenzione dell’Aja del 15.4.1958 sul riconoscimento e l’esecuzione di decisioni in materia di obbligazioni alimentari nei confronti di minori (ratificata con l. 4.8.1960, n. 918); conv. di New York del 20.6.1958 per il recupero all’estero degli alimenti (ratificata con l. 23.3.1958, n. 338); l. 31.5.1995 n. 218.
Bibliografia essenziale
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