occupazione
occupazióne s. f. – Pratica di protesta performativa (v. ) consistente nell’occupare fisicamente un luogo – pubblico o privato – per rivendicare alcune istanze specifiche o per appropriarsene in via permanente. Negli anni passati il concetto è stato applicato soprattutto a occupazioni materiali, funzionali, anche permanenti (squatting), o temporanee, rivendicative e sindacali. Negli ultimi anni, invece, la pratica dell’o. assume forme per lo più simboliche, comunicative e temporanee; cessa di configurarsi soltanto come atto di protesta (o di necessità) ma, slegandosi anche da richieste puntuali ad attori individuati, viene a coinvolgere strati più estesi del corpo sociale, i quali vedono nell’o. non tanto il mezzo per spingere i poteri dominanti alle concessioni rivendicate, quanto una pratica di appropriazione e fruizione degli spazi da parte del cittadino. L’esigenza di riappropriazione degli spazi, in primo luogo pubblici ma talvolta privati, nasce dalla percezione da parte del cittadino di una progressiva emarginazione dagli spazi comuni, proposti non come spazi fruibili ma come spazi di confine e di conflitto, luoghi in cui la libera espressione viene limitata, e che sembrano funzionare come elementi di separazione tra le varie individualità (esplicate pienamente nella proprietà privata) più che territori di comunione e condivisione. Da questi presupposti, i movimenti di occupazione più recenti (v. ), sotto l’egida della messa in discussione del sistema politico e finanziario dominante a livello mondiale, si sono espressi con la creazione, nel tessuto cittadino, di entità autonome di organizzazione, vere e proprie comunità parallele temporanee, volte a mostrare la possibilità di creare, nella pratica, modalità di gestione alternativa degli spazi e della comunità cittadina che rivendichino la libera abitazione dei luoghi, di contro a una proprietà privata sempre più invasiva, e la libera concorrenza degli individui singoli ai processi decisionali della comunità, nell’ottica di una forma democratica che tenda a essere il più possibile diretta e partecipativa. A una specifica volontà di intervento nei processi decisionali vanno ricondotte anche quelle occupazioni motivate dall’opposizione di una comunità ad alcune scelte di destinazione (o di chiusura) degli spazi operate da attori pubblici o privati, come per es. luoghi di cultura (cinema, teatri) convertiti in attività strettamente commerciali: in questi casi, l’o. non si manifesta con la chiusura dello spazio e la cessazione del servizio, ma con la proposizione ai cittadini di un servizio alternativo autogestito, talvolta connotato da orientamenti differenti. Altre esperienze di o. nel mondo vanno ricondotte, più precisamente, a esigenze abitative concrete di fasce disagiate della popolazione, che procedono all’o. di un’area, dismessa o abbandonata, onde costruirvi la propria unità abitativa (per es. l’esperienza dell’o. Josué de Castro a Recife, Brasile) e dar vita, anche in questo caso, a una comunità alternativa ispirata a principi di autodeterminazione e partecipazione.