Oceania
I quadri politici di questo continente continuano, agli inizi del 21° sec., a mostrare forti contrasti fra sistemi democratici e ruoli internazionali consolidati, come quelli dell'Australia e della Nuova Zelanda, e persistenza di ipoteche coloniali, di statuti d'indipendenza meramente formali e di poteri interni assai precari e turbolenti, come quelli di molti arcipelaghi e isole minori sparsi per vastissimo raggio nel Pacifico meridionale. Così, marcate pulsioni autonomiste si prospettano ancora nella Polinesia francese o, con ben maggiore virulenza, nella Nuova Guinea Occidentale, integrata nei confini indonesiani dalla fine degli anni Sessanta. In quest'ultimo territorio il governo di Djakarta ha intrapreso una pesante iniziativa di trasferimento di nuovi coloni dall'isola di Giava, gravata da eccessivi carichi demografici; ne sono conseguite, da un lato, la sottrazione di molte terre al controllo delle tribù indigene, che hanno visti calpestati loro millenari diritti e sconvolte molte loro consuetudini, e, dall'altro, pericoli di guasti di un ambiente sin qui incontaminato. A Papua Nuova Guinea i contrasti sono invece espressi dalle spinte secessioniste dell'isola di Bougainville, distante appena 20 km dalle Salomone, le quali offrono sostegno e asilo ai rivoltosi. Per i requisiti che sostanziano la sovranità, alcune delle entità statali minori sono costrette poi a cercare supporto in potenze regionali più solide (in primo luogo l'Australia) o addirittura in 'tutori' più lontani (come gli Stati Uniti, che assicurano difesa e relazioni internazionali alle Marshall e a Palau). Infine, soprattutto in Melanesia, la presenza di consistenti minoranze etniche e i contrasti tra clan rivali sono tra i fattori che generano croniche debolezze dei poteri locali, gravi carenze nell'ordine pubblico e seri attacchi alla vita democratica. Avviene, per es., che nelle Figi, nonostante la Costituzione multietnica varata nel 1997, il nuovo millennio si sia aperto con diversi colpi di Stato e con l'insediamento di governi che hanno escluso i rappresentanti della numerosa comunità figiana di origine indiana, inducendo all'esodo molti membri di tale comunità e richiamando nel 2003 l'allerta del Comitato delle Nazioni Unite contro la discriminazione razziale. Nelle Salomone, invece, il risentimento degli elementi maggioritari indigeni si è rivolto contro la minoranza cinese, che controlla molte delle attività commerciali: un decennio di scontri ha imposto nel 2003 l'invio di un contingente di pace da altri Paesi della regione, sotto la guida australiana. Australiana è anche la polizia inviata a Vanuatu per controllare un ordine pubblico da tempo precario.
In effetti, il nodo politico della fragilità e della frammentarietà dei poteri statuali in gran parte dell'area ha destato preoccupazioni sin dal secondo dopoguerra, suggerendo la creazione di varie organizzazioni regionali. Significativo è soprattutto il ruolo del Pacific Civil Forum che, con la conferenza di Port Moresby del 2005, si è dato un assetto più formale e ha lanciato il Plan Pacific, con l'obiettivo di promuovere la sicurezza (caldeggiato in prima linea da Australia e Nuova Zelanda) e quello di vigilare sulla gestione delle risorse e sulla sostenibilità ambientale (che preoccupano principalmente le piccole isole).
Popolazione
Le stime del 2004 attribuiscono al continente (includendo anche la sezione indonesiana dell'isola di Nuova Guinea) un carico complessivo di 35.000.000 ab., con una densità media di poco superiore ai 4 ab./km2. Quasi il 60% di questa popolazione vive in Australia, mentre un buon 30% si distribuisce tra le altre entità demograficamente significative (Papua Nuova Guinea, Nuova Zelanda, Nuova Guinea Occidentale e Hawaii, le sole con oltre un milione di ab.); il resto è ripartito tra una ventina di piccoli Stati e dipendenze, con le punte minime di Tuvalu, che conta appena 10.000 individui, o della base statunitense sull'isola di Midway, i cui residenti sono scesi a meno di 500). Anche i valori di densità coprono uno spettro assai ampio, tra gli appena 3 ab./km2 dell'Australia dalle vaste superfici desertiche ai 600 stipati sui modesti spazi dell'isola di Nauru.
La natalità, seguendo il comportamento di molte economie avanzate, staziona a livelli inferiori al 13‰ in Australia e si presenta di poco superiore nella Nuova Zelanda; risulta singolarmente simile anche nell'isola micronesiana di Palau, dove la fecondità si è addirittura abbassata a 1,5 figli per donna. Nel resto del continente, il quoziente dei nati scende raramente sotto il 20‰, con punte massime oltre il 30‰ nelle Marshall, nelle Salomone, negli arcipelaghi di Kiribati e in Nuova Guinea. In complesso, in questa grande isola, come nella vasta distesa di sistemi insulari sparsi per il Pacifico meridionale, la fecondità si mantiene sui 4 figli per donna (soltanto nelle Figi e a Tuvalu passa sotto i 3) e lo slancio demografico è frenato solo da una mortalità infantile che persiste alta, con le punte più tragiche (oltre il 50‰) in Nuova Guinea e nel Kiribati, anche per il difetto nell'organizzazione della rete sanitaria, ostacolata dall'estrema frammentazione dell'utenza e dalle enormi difficoltà nelle comunicazioni. L'espansione naturale del numero di abitanti è, peraltro, corretta dall'entità dei movimenti migratori: per l'Australia e per la Nuova Zelanda, benché siano intervenute misure di contenimento, i flussi in entrata dominano ampiamente la scena (con circa 50.000 immigrati l'anno); per quasi tutti gli altri territori prevale una marcata corrente in uscita alimentata da difficili condizioni economiche o da tensioni etniche e sociali: particolarmente incisivi sono gli effetti dell'emigrazione nelle Tonga, nelle Figi, a Nauru e a Tuvalu. Per quest'ultimo Stato l'esodo è incentivato da una singolare situazione di pericolo che potrebbe interessare a breve molti altri spazi dell'Oceania: il cambiamento climatico minaccia, infatti, di completa sommersione l'atollo di Funafuti, il principale del Paese, generando flussi di 'profughi ambientali'.
Il contrasto tra i regimi demografici propri delle economie avanzate e quelli del mondo meno sviluppato si ripropone in tema di speranza di vita: una donna australiana nutre ormai l'aspettativa di raggiungere gli 83 anni (81 una neozelandese), mentre una donna del resto del continente vive in media 10-15 anni in meno e un uomo di Kiribati o Nauru vede a stento i 60. Differenza ancor più marcata, però, si prospetta in questo campo (ma anche per istruzione e tenore dei redditi) all'interno delle economie di punta nei confronti delle componenti aborigene che vi formano consistenti minoranze: benché siano state ormai rivalutate le loro identità e siano stati, talora, indennizzati alcuni danni delle spoliazioni violente imposte dai colonizzatori, questi gruppi vivono spesso in condizioni di emarginazione e di dipendenza che accentuano i loro disagi e limitano le loro reali potenzialità di sopravvivenza culturale ed economica. I valori più divaricati in tema di popolazione del continente sono quelli della distribuzione per fasce d'età: mentre in Australia le quote dei giovani sotto i 15 anni e degli anziani oltre i 60 si equivalgono intorno al 18-19% (e quasi analoga è la situazione neozelandese), altrove le componenti giovani superano quasi sempre un terzo degli abitanti (42% nelle Marshall), mentre gli ultrasessantenni contano per meno di un ventesimo (3,3% nelle stesse Marshall). Meno contrastato è il quadro dell'istruzione: quasi ovunque l'analfabetismo è ridotto al minimo e solo nell'ambiente vergine delle foreste della Nuova Guinea tocca ancora il 40%; la consueta forbice si ripropone, peraltro, nell'accesso ai livelli superiori della formazione scolastica e universitaria.
I livelli di popolazione urbana variano dal 92% dell'Australia e dall'86% della Nuova Zelanda fino al 12-13% di Tuvalu e di Papua Nuova Guinea; ma le cifre hanno scarsa significatività, date le caratteristiche del popolamento dei contesti insulari (a Nauru, per es., tutta la popolazione è inurbata, ma la cifra assoluta è di poco superiore a 10.000 individui). In realtà, i tratti di una vera rete urbana si riconoscono solo sul suolo australiano, con cinque centri oltre il milione di cittadini e con una vera e propria megalopoli lungo la costa del Nuovo Galles del Sud, e su quello neozelandese, dove la conurbazione di Auckland aduna circa un milione di residenti; altrove la città è un episodio puntiforme e solo Honolulu, nelle Hawaii, supera i 300.000 abitanti.
Condizioni economiche
L'indicatore offerto dal PIL colloca Australia e Nuova Zelanda tra i Paesi floridi, con, rispettivamente, più di 33.000 e 26.000 dollari pro capite al 2004. In effetti, questi sono anche i soli Stati del continente con un'economia solida e ben articolata nei diversi comparti: con un settore primario che, pur fornendo solo un 2-3% del PIL e occupando una ristretta quota di attivi, vanta significative produzioni e forti introiti all'export; con un settore industriale ben sorretto (soprattutto nell'isola maggiore) da un'ampia base di materie prime; con un apparato di servizi dominante e forte delle più svariate branche (con oltre il 70% di addetti). Si tratta di universi produttivi assai dinamici, con buoni ritmi di crescita della ricchezza complessiva e con un protagonismo (anche politico) che riceve impulso via via che si moltiplicano le pressioni della domanda e gli investimenti provenienti dai poderosi magneti economici dell'Asia (Cina e Giappone) e della costa occidentale statunitense.
Ben distante da tanto benessere resta la maggior parte del continente, dove i cittadini di alcuni Stati (come Papua Nuova Guinea, Kiribati, le Salomone) stazionano sulla soglia di povertà, disponendo di meno di 2 dollari al giorno, e quelli di molti altri si pongono sui 2000-3000 dollari l'anno. Qui, del resto, le economie restano largamente arretrate nell'articolazione dei comparti e nella loro dinamica, attribuendo una funzione di sostentamento importante al flusso degli aiuti internazionali. Alcune regioni vedono ancora una dominanza marcata dell'agricoltura e della pesca tradizionali: con quote di addetti che in Nuova Guinea, nelle Salomone, nelle Tonga, nelle Samoa e nella federazione di Micronesia superano persino un terzo del totale, e con produzioni modeste, che in rari casi assicurano una base alimentare diversificata e qualche flusso di esportazione (copra, cacao). In mancanza di moderne flottiglie locali, alcuni Paesi traggono ugualmente profitto dalle ricche zone di pesca accordandole in concessione a compagnie straniere (soprattutto cinesi e giapponesi), ma questo introduce rischi non secondari di depauperamento eccessivo del patrimonio ittico. Quegli spazi che derivano discreti redditi dal settore secondario lo debbono per lo più a sfruttamenti minerari (come il rame della Nuova Guinea e i fosfati di Nauru e delle Marshall), e anche in questo ramo il ruolo degli investimenti esteri è prioritario. Lo è, del resto, pure in gran parte delle attività turistiche, che formano la voce più significativa del terziario, alla quale si aggiunge da qualche tempo la diffusa presenza di iniziative bancarie e finanziarie off shore, che hanno suscitato allarme nelle autorità internazionali del settore e forzato varie di queste piazze alla sottoscrizione di norme antiriciclaggio.
bibliografia
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