ATLANTICO, Oceano
(V, p. 216; App. I, p. 181; II, I, p. 299; III, I, p. 166; IV, I, p. 186)
Nel corso degli anni Ottanta si è avu to per l'Oceano A. come per gli altri mari un intenso sviluppo del le conoscenze. Questo può attribuirsi principalmente a tre proces si, tra loro indipendenti, ma tutti di natura planetaria e non spe cifica dell'Atlantico.
In primo luogo il fatto che, decresciuto negli anni Settanta l'interesse per la conquista degli spazi extraterrestri, i grandi investimenti per la ricerca sono tornati a concentrarsi sul pianeta: in particolare sulle risorse a termine, sulle energie alternative e sui modi in cui porre freno al degrado ambientale. Su tutte queste tematiche, non c'è dubbio che gli spazi marini, che sono tra l'altro i meno conosciuti, rappresentino aree d'investigazione prioritaria. Lì stanno le più promettenti possibilità di risorse alimentari, nuove e tradizionali, e di risorse minerarie; il mare è anche deposito finale di tanta parte dei rifiuti dell'attività umana e dunque luogo di processi di degrado, che in gran parte restano di difficile comprensione. Tra i grandi bacini oceanici, quello dell'A. settentrionale appare sempre il più appetibile e importante per la sua relativa vicinanza alle più grandi concentrazioni industriali del pianeta; per queste stesse presenze, è anche il più esposto a processi di degrado.
Un secondo importante stimolo per un rivoluzionario approccio allo studio degli oceani − in verità di tutto il pianeta − è venuto nell'ultimo quindicennio dall'impiego di nuovi strumenti di osservazione, raccolta ed elaborazione di dati: non è qui il caso di ricordare quali siano stati i progressi dell'informatica in questo periodo, ma non sembra inutile menzionare l'altra grande novità, cioè la diffusione dei metodi di teledetezione. Con queste e altre nuove metodologie, si sono potuti individuare sui fondali atlantici quegli adunamenti di noduli polimetallici che destano tante speranze per il futuro di una metallurgia, per molti versi compromessa. Anche la conoscenza scientifica procede con esiti nuovi: la possibilità di prelevare, da oltre cento aree di mare profondo nell'A. settentrionale, copiosi campioni di microfossili planctonici ha consentito di avere un quadro delle correnti oceaniche per l'arco del Pleistocene, e, di riflesso, dell'estensione dei ghiacciai e delle variazioni eustatiche a essa legate. Un altro esempio di applicazione diretta della teledetezione sono le foto all'infrarosso scattate da satelliti in orbita polare che, opportunamente elaborate da computer, consentono di avere quadri istantanei e reiterati delle temperature superficiali della massa idrica e, quindi, di seguire la direzione della Corrente del Golfo e di prevederne gli effetti sul clima e sulle migrazioni della fauna ittica.
Era inevitabile, infine, che questo processo di riscoperta degli spazi marini e delle loro potenzialità economiche accentuasse la conflittualità tra gli stati e richiamasse la necessità di una normativa sovranazionale. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, nota anche con la sigla UNCLOS (United Nations Conference on the Law Of the Sea), è stata la sede in cui si è tentato di aggiornare le già vigenti norme sull'uso degli spazi marini. La sua durata − dal 1974 al 1983 − è significativa delle difficoltà che si sono dovute superare e degli interessi in gioco. Oltre a confermare il tradizionale concetto di ''acque territoriali'' per 12 miglia nautiche di ampiezza a partire dalla ''linea di base'', la Conferenza ha stabilito una fascia di ''zona contigua'' di eguale ampiezza, a protezione esterna della territorialità; poi una ''zona economica esclusiva'', ampia 200 miglia a partire dalla costa, nella quale lo stato esercita diritti di pesca ed estrazione mineraria; infine una zona di piattaforma continentale, il cui limite è stato fissato alla profondità di 200 metri. Nell'A., tuttavia, la conflittualità è decisamente più bassa che negli altri mari, e ciò in relazione a tre situazioni favorevoli, di natura geografica. La prima, che le coste del continente europeo e americano sono occupate per l'intero loro sviluppo da soli tredici stati: questa rarefazione di confine, congiunta a relazioni generalmente buone tra stati contigui, allenta le tensioni. Lungo la costa africana, la densità degli stati è maggiore, essendo questi ventuno, ma in questo caso è la conformazione assai lineare della costa stessa a non dare adito a occasioni di conflitto nei confini marini. Infine, uno dei più tipici elementi di conflittualità, l'alta densità insulare, è praticamente inesistente in A., ove le poche isole sono ubicate lontano dai margini continentali, oppure si trovano raggruppate sotto la consolidata sovranità di uno stato unico.
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