Oli e grassi
L'olio d'oliva rappresenta, almeno per i popoli mediterranei, il grasso alimentare di più largo consumo, anche se si sono ormai affermati nella nostra dieta quotidiana diversi altri grassi, a volte provenienti da più lontane aree geografiche, tra cui il burro, la margarina e vari oli di semi. Appartenenti a uno dei sette gruppi fondamentali di alimenti che devono essere presenti in un'alimentazione equilibrata, i vari tipi di oli e grassi da condimento, pur dovendo essere usati con moderazione, forniscono importanti principi nutritivi. I numerosi studi condotti in questo ambito concordano comunque nell'indicare come migliore grasso alimentare l'olio d'oliva.
La storia dell'olivo si confonde con quella delle civiltà mediterranee. La tradizione dell'antico Egitto attribuisce alla dea Iside il merito di aver insegnato agli uomini, oltre 6000 anni fa, la coltivazione e l'uso della pianta. Secondo la mitologia greca, Atena Pallade, in gara con Poseidone per la conquista dell'Attica, offrì in dono l'olivo dalle foglie argentate, mentre Poseidone presentò un focoso cavallo. Gli dei che dovevano pronunciare l'arbitrato riconobbero più utile l'olivo che dà l'olio e i cui rami simboleggiano la pace, piuttosto che il cavallo destinato a trainare i carri da guerra: così, l'Attica fu di Atena Pallade. Per la tradizione cristiana, un angelo del paradiso terrestre consegnò al figlio di Adamo morente tre semi da seppellire con il padre, dai quali nacquero un olivo, un cedro e un cipresso. Da allora l'olivo è simbolo di fecondità, purificazione e forza. Anche la Genesi (8, 11) ricorda che la colomba lanciata da Noè fuori dall'arca tornò con un ramoscello di olivo nel becco come testimonianza della rinascita. Nei Salmi questa pianta rappresenta i giusti, nell'Ecclesiaste viene identificata con la sapienza. E l'alone di sacralità che circonda l'olivo arriva ai nostri giorni: la liturgia cristiana impiega l'olio benedetto per il battesimo, la cresima, la consacrazione sacerdotale e l'estrema unzione.
Oltre 5000 anni fa, l'olivo era coltivato sulle coste orientali del Mediterraneo. Il trasporto e il commercio dell'olio che se ne produceva, regolamentato nel codice di Hammurabi (1792-1750 a.C.), contribuirono alla ricchezza dei mercanti cretesi, egiziani e fenici, ai quali si deve anche la diffusione della lampada a olio. Solone, legislatore ateniese vissuto fra il 7° e il 6° secolo a.C., promulgò norme per la protezione e la regolamentazione delle piantagioni di olivo, mentre Cesare pretese dalla Numidia un tributo annuale di tre milioni di litri di olio. Il solo olio che i romani consumavano era quello d'oliva, benché fossero già conosciute produzioni alternative, e si arrivò a dispensare dal servizio militare ogni cittadino romano che avesse piantato iugeri di olivi. Dopo la caduta dell'Impero Romano, furono essenzialmente i monasteri a conservare la tradizione di questa coltura. Nel 12° secolo Firenze diventò grande esportatrice di lana, vino e olio d'oliva e i veneziani, per incrementare il già fiorente commercio, costruirono apposite navi a fondo piatto in grado di trasportare fino a 500 botti di olio. In Puglia gli estesissimi oliveti dei monaci basiliani, favoriti dai benefici concessi nel 14° secolo dal re Roberto d'Angiò, raggiunsero il massimo splendore. L'olivicoltura si diffuse poi lentamente in tutta la penisola e in Europa; durante il Rinascimento si espanse in America e, successivamente, in Africa meridionale e in Australia.
La composizione dell'olio d'oliva è la più equilibrata che si possa desiderare per un grasso alimentare. Il suo elevato valore nutritivo deriva dalla ricchezza di acido oleico, dal limitato contenuto di acidi grassi saturi e da quello relativamente elevato di acidi grassi polinsaturi. Per queste sue caratteristiche l'olio d'oliva risulta più stabile al calore degli oli di semi, ricchi essenzialmente di acidi grassi polinsaturi. L'olio d'oliva vergine contiene inoltre steroli, vitamine liposolubili, numerose sostanze naturali con proprietà antiossidanti, che ne rafforzano la stabilità, e circa 150 sostanze aromatiche, che ne determinano il gusto e, appunto, l'aroma. Queste sostanze diversificano, infatti, in modo facilmente percettibile l'olio d'oliva dagli altri oli vegetali ottenuti per estrazione da semi, che a causa del processo di raffinazione cui sono sottoposti, risultano inodori, insapori e incolori. La qualità di un olio d'oliva è strettamente collegata al grado di maturazione delle olive, alla tecnologia e alla rapidità delle operazioni di raccolta e di estrazione. Già durante la fase di raccolta hanno infatti inizio le reazioni degradative, soprattutto di tipo enzimatico, la cui velocità aumenta nel caso di olive danneggiate. Per questo motivo, la raccolta manuale è sicuramente la migliore, ma i costi elevati e la mancanza di manodopera inducono spesso a prediligere quella meccanizzata. La fase ottimale di maturazione è quella detta di invaiatura, quando la polpa dell'oliva è ancora chiara, mentre la buccia comincia a colorarsi. Dopo la raccolta, la mondatura e il lavaggio, le olive sono sottoposte alla frangitura, operazione che provoca la rottura delle cellule contenenti l'olio. Segue la gramolatura, durante la quale, impastando le olive in condizioni di blando riscaldamento (28-30 °C), le gocce oleose si separano dalla parte acquosa: si ottiene così una pasta violacea che unge le dita senza macchiarle. La pasta di olive viene poi sottoposta a pressione per separare la parte liquida dalla sansa, utilizzando i classici 'fiscoli', gabbie di fibre vegetali o poliammidiche. Dopo questo passaggio il panello di sansa viene inviato all'estrazione con solvente e alla raffinazione, mentre la parte liquida passa alle centrifughe per la separazione dell'olio dall'acqua di vegetazione.
Il prodotto finale viene poi trasferito in vasche o in vasi di acciaio inossidabile e lasciato a riposo per dividere l'olio limpido dalla morchia, costituita da acqua, da diverse sostanze organiche e da mucillagini. Le denominazioni e le definizioni dell'olio d'oliva secondo il regolamento CEE nr. 2568/91 e 183/93, valide in tutti i paesi dell'Unione Europea, sono numerose. La classificazione ufficiale distingue gli oli in: oli d'oliva vergini (quattro categorie: extravergine, vergine, vergine corrente e vergine lampante) e oli d'oliva non vergini (cinque categorie: oliva raffinato, oliva, sansa d'oliva greggio, sansa d'oliva raffinato, sansa d'oliva). Tra i parametri presi in esame vi sono l'acidità, la quantità di perossidi e alcuni componenti minori quali gli acidi grassi e gli steroli.
Gli oli d'oliva vergini vengono ottenuti dal frutto dell'olivo mediante processi esclusivamente meccanici o fisici, escludendo quindi le estrazioni tramite solvente, i processi di riesterificazione e qualsiasi miscelazione con oli di altra natura. Un'ulteriore suddivisione si ha in base all'acidità libera espressa in acido oleico: l'olio extravergine deve avere un'acidità massima dell'1%, quello vergine del 2%, il vergine corrente del 3,3%, mentre il vergine lampante può avere un'acidità superiore al 3,3%. Nella descrizione di queste categorie è anche previsto un punteggio organolettico, che deve essere pari o superiore a 6,5 per l'extravergine, a 5,5 per il vergine, a 3,5 per il vergine corrente e inferiore a 3,5 per il vergine lampante. Per quanto concerne gli oli d'oliva non vergini, quello d'oliva raffinato, la cui acidità libera non può eccedere lo 0,5%, è ottenuto dalla raffinazione di oli d'oliva vergini. Dal taglio di olio d'oliva raffinato con oli d'oliva vergini, diversi dall'olio lampante, si ha invece l'olio d'oliva, la cui acidità libera non può superare l'1,5%.
L'olio di sansa d'oliva greggio si produce mediante estrazione con solvente dalle sanse d'oliva, escludendo gli oli ottenuti con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con altri oli. Con la raffinazione dell'olio greggio si ottiene poi l'olio di sansa d'oliva raffinato, la cui acidità libera non può superare lo 0,5%, mentre l'olio di sansa d'oliva, la cui acidità libera non può eccedere l'1,5%, viene preparato attraverso il taglio di olio di sansa d'oliva raffinato con oli d'oliva vergini, diversi dall'olio lampante. Gli oli di semi di maggiore diffusione e interesse alimentare sono: l'olio di arachide, di soia, di mais e di girasole. I metodi di estrazione prevedono due tecnologie, la pressione e l'estrazione con solventi, che possono essere usate in alternativa o in successione. Il ciclo di lavorazione inizia generalmente con la pulitura dei semi, seguita da macinazione, riscaldamento, spremitura ed estrazione con solvente; la macinazione può essere preceduta da depellicolazione da cui si ottengono come sottoprodotto le bucce.
L'olio grezzo, derivante da queste prime fasi, deve essere sottoposto a raffinazione, cioè a una serie di operazioni che correggono il prodotto liberandolo da sostanze non desiderate, siano esse di provenienza naturale, derivanti da alterazioni o volutamente aggiunte durante il processo tecnologico. La raffinazione comprende la demucillaginazione, per allontanare sostanze tipo fosfolipidi, zuccheri, resine, proteine e tracce di metalli; la disacidificazione, per eliminare gli acidi grassi liberi; la decolorazione, durante la quale vengono scartati i prodotti di ossidazione, i pigmenti e i relativi prodotti di degradazione, la deodorazione, nei confronti di aldeidi e chetoni che sono causa di odori e sapori inaccettabili e, infine, la demargarinazione (detta anche winterizzazione), per eliminare la frazione gliceridica che cristallizza a basse temperature e che porterebbe all'intorbidamento degli oli conservati sotto i 10 °C.
Tutti gli oli, di semi o d'oliva, sono costituiti al 100% da lipidi e quindi forniscono lo stesso apporto energetico pari a 9 kcal (37 kJ) per ogni grammo: è quindi inesatto parlare di oli più leggeri di altri. Gli oli che vengono definiti dietetici, sono spesso costituiti da oli di semi (per es., mais e girasole) mescolati opportunamente, in modo da ottenere un contenuto favorevole di acidi polinsaturi, e integrati con vitamine che risultino eventualmente carenti nella dieta media o che abbiano particolari caratteristiche (per es. la vitamina E, dotata di proprietà antiossidanti). Per non perdere queste caratteristiche gli oli dietetici andrebbero consumati crudi. L'olio di arachide, tra i primi oli di semi prodotti su scala industriale, si avvicina molto per composizione in acidi grassi all'olio d'oliva. Per il basso contenuto di acidi grassi polinsaturi è particolarmente resistente alle alte temperature e viene usato per le fritture, in alternativa all'olio d'oliva, da chi preferisce sapori meno decisi. Viene estratto dai semi di una pianta annuale della famiglia delle Leguminose, l'Arachis hypogaea, che cresce nei climi tropicali e subtropicali. Gli aztechi, molto tempo prima dell'arrivo degli spagnoli e dei portoghesi, consumavano questa nocciolina fresca come legume, o la tostavano e la macinavano per ottenere una pasta oleosa molto nutriente. Il metodo primitivo di estrazione dell'olio si basava sulla bollitura della pasta ottenuta schiacciando le arachidi e sul successivo recupero dell'olio separato sulla superficie dell'acqua. Nell'industria moderna i semi vengono macinati e spremuti per ottenere la maggior parte dell'olio, mentre il residuo viene estratto con solventi, eliminati successivamente per evaporazione a pressione ridotta (sottovuoto). L'olio grezzo estratto dal seme di arachide, di cui costituisce circa il 50% del peso, viene poi raffinato al fine di eliminare i principali difetti quali elevata acidità, presenza di sostanze ossidate ed eventuali odori e sapori sgradevoli.
L'olio di soia, inodoro e di gusto completamente neutro, viene anch'esso impiegato come olio da condimento. Le prime informazioni sulla soia (Soia hispida), pianta appartenente alla famiglia botanica delle Papiglionacee, vengono da alcuni scritti cinesi del 2800 a.C. La soia, considerata sacra presso le antiche popolazioni dell'Oriente asiatico, grazie alla facilità di coltivazione e alla particolare resistenza agli insetti, ha da sempre avuto un ruolo alimentare essenziale nel mondo orientale. L'arrivo di questa leguminosa in Europa risale al 18° secolo, ma fino ai primi decenni del Novecento l'olio di soia era utilizzato esclusivamente per la produzione di glicerina, sapone, vernici, tele cerate, sostitutivi della gomma, inchiostri: il tritato di soia veniva invece usato come adesivo a basso costo per il compensato. Il breve periodo di crescita, 3-4 mesi dalla semina alla raccolta, e la resistenza allo stoccaggio prolungato rendono la soia particolarmente adatta alle esigenze del mercato mondiale. I fagioli raccolti automaticamente vengono trasportati agli oleifici, puliti, tritati e spremuti con apposite macchine per facilitare la successiva estrazione dell'olio con solvente. Dalla demucillaginazione dell'olio di soia si recupera la lecitina, un fosfolipide cui è stata riconosciuta una notevole importanza dietetica per la sua proprietà di favorire la veicolazione del colesterolo nel sangue. Il 15-20% di peso del seme di soia è costituito dalla frazione lipidica, che contiene un'elevata concentrazione di acidi grassi insaturi. Per questa caratteristica la soia costituisce una materia prima molto ricercata per la produzione di margarine, nonché per il consumo come olio da condimento. L'olio deve essere conservato, come sarebbe del resto consigliabile per tutti gli oli, al buio e in luogo fresco per evitare reazioni di deterioramento soprattutto a carico della frazione polinsatura e, per lo stesso motivo, ne dovrebbe essere evitato il surriscaldamento durante la cottura.
L'olio di mais viene estratto dai germi del granturco (Zea mays), pianta appartenente alla famiglia delle Graminacee. L'industria estrattiva è collaterale a quella della fabbricazione dell'amido ed è caratterizzata da un rendimento in grasso pari al 12-15% del peso dei germi. L'olio si ottiene dal germe già essiccato; presenta un tipico colore giallo-oro ed è costituito da gliceridi di acido oleico e linoleico con minori quantità di palmitico e stearico. Molto apprezzate, dal punto di vista dietetico, sono anche le farine proteiche che costituiscono parte dei residui di estrazione.
Altro olio di importanza alimentare è l'olio di girasole (Helianthus annuus, famiglia delle Composite), pianta originaria del Nuovo mondo, coltivata dalle popolazioni indiane dell'Arizona e del Nuovo Messico fin dal 3000 a.C. In epoca storica, già dal 1500 vengono riportate testimonianze della coltivazione nel continente nordamericano di numerose varietà di girasole, i cui semi triturati costituivano il componente base per la preparazione di focacce e di altre vivande. Nei primi anni del 16° secolo il girasole viene importato in Europa, inizialmente per uso ornamentale, e successivamente anche per il consumo degli acheni. È in Inghilterra che si inizia a estrarre l'olio dai semi di questa pianta, non per fini alimentari, ma per utilizzarlo nella conceria, nella laneria e nella preparazione di vernici. L'estrazione di olio alimentare cominciò a essere effettuata su scala industriale in Russia nei primi decenni dell'Ottocento; successivamente la coltivazione del girasole si espanse in Ungheria, Transilvania, Ucraina, Bulgaria e Iugoslavia. Sul finire dell'Ottocento la pianta fece ritorno negli Stati Uniti, dove per la disponibilità di altre oleaginose venne inizialmente utilizzata solamente come foraggio da insilamento, e in Canada, dove la necessità di disporre di una fonte autonoma di oli vegetali spingeva alla ricerca di miglioramenti genetici, fino a ottenere un rendimento in olio del 50% del peso secco del seme. Nella seconda metà del 20° secolo la produzione di girasole si è notevolmente diffusa anche in Europa, e, in particolare, in Francia e Spagna oltre che in Italia, Portogallo e Germania.
Il burro è conosciuto fin dall'antichità. La tecnica più arcaica per la sua preparazione è quella mongola, ancor oggi utilizzata dai popoli dell'Atlante, che consiste nell'agitazione in senso orizzontale della panna prelevata dalla superficie del latte e raccolta in un otre di pelle sospeso. Si hanno testimonianze risalenti al 1500 a.C. sull'uso, tra i beduini del Nord-Est del Sinai, di burro prodotto con latte di pecora o di capra, proprio come avviene attualmente nel Medio Oriente e nel Magreb. Nel mondo arabo il burro bianco di pecora è ancora oggi preferito a quello di mucca per condire il cuscus. Nell'antica Roma invece non si faceva molto uso di questo prodotto, che Plinio definisce barbaro; in Italia, guardato con diffidenza soprattutto dai consumatori tradizionali di olio, il burro diventa di uso comune solo nel 15° secolo. Racconti medievali rivelano che i viaggiatori provenzali o catalani si munivano di una piccola riserva personale di olio d'oliva per evitare di consumare il burro, che veniva ritenuto responsabile anche dell'aumento del numero di lebbrosi.
La panna, o crema di latte, da cui si prepara il burro, si può ottenere con vari metodi. Tramite centrifugazione del latte si producono creme dolci di elevata qualità e il residuo, il latte scremato, può essere utilizzato per altre preparazioni. La panna di affioramento, ottenuta lasciando riposare il latte per alcune ore, è invece acida e di qualità inferiore. Quest'ultimo procedimento viene praticato soprattutto in collegamento con l'industria casearia e ha lo scopo di allontanare parte del grasso dal latte, la cui leggera acidità favorisce poi la formazione della cagliata nella produzione di alcuni formaggi. Il burro può essere ricavato anche tramite sbattimento a bassa temperatura delle creme pastorizzate ottenute con uno di questi metodi. La massa granulosa di grasso che si separa viene lavata con acqua o con siero di latte per allontanare i composti non grassi, quindi omogeneizzata e confezionata.
Un po' di diffidenza nei confronti del burro è arrivata fino ai nostri giorni, soprattutto per la tanto paventata presenza di colesterolo, uno steroide ritenuto nocivo a elevate concentrazioni, e di acidi grassi saturi, ai quali si attribuisce un'azione ipercolesterolemizzante. Per la rimozione del colesterolo dalla frazione lipidica del latte si impiegano, e sono allo studio, diversi metodi, quali l'estrazione sotto vuoto in corrente di vapore, la cristallizzazione frazionata, l'estrazione con fluidi supercritici, l'adsorbimento su carbone attivo e la complessazione con ciclodestrine. Per rispondere alle richieste dei consumatori più sensibili alle esigenze salutistiche, la l. 19 febbraio 1992, nr. 142, che riguarda le disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea, ha consentito la produzione e la commercializzazione, oltre che del burro tradizionale, contenente almeno l'80% di materia grassa, anche di un burro denominato leggero a ridotto tenore di grasso, con un contenuto di materia grassa compreso tra il 60 e il 62%, e di un burro leggero a basso tenore di grasso, in cui la materia grassa è presente in quantità variabili tra il 39 e il 41%. La stessa legge ha reso obbligatoria la dichiarazione in etichetta dell'effettivo contenuto di grasso.
Nel 1870, l'imperatore Napoleone III bandì un concorso al fine di ottenere un prodotto in grado di conservarsi a lungo e di sostituire il burro. Venne così proposto dal chimico francese H. Mège Mouriés il primo prototipo di margarina, a base di grassi animali. Questa sostanza, a causa del sapore relativamente insipido e per la sua consistenza assai diversa da quella del burro, inizialmente non ebbe però un grande successo e fu per molto tempo un alimento destinato esclusivamente ai poveri. Nel 1910, fu elaborata la procedura industriale per l'idrogenazione catalitica, o indurimento, degli oli fluidi. Le masse plastiche ottenute con questo procedimento, di consistenza simile a quella del burro e particolarmente resistenti alle reazioni di ossidazione, costituirono l'ingrediente base per la preparazione di un tipo di margarina più perfezionato e di gusto più gradevole. Le due guerre mondiali che seguirono contribuirono poi a rendere popolare il consumo del prodotto.
Con il termine margarina si intendono oggi le miscele e le emulsioni confezionate con grassi alimentari di origine animale o vegetale, diversi dal burro e dai grassi suini, contenenti più del 2% di umidità e materia grassa non inferiore all' 80% (legge 1992/142). Come per il burro sono previste la produzione e la commercializzazione di una margarina leggera a ridotto tenore di grasso, con un contenuto in materia grassa compreso tra il 60 e il 62%, e di una margarina leggera a basso tenore di grasso, con un contenuto in materia grassa compreso tra il 40 e il 42%. I procedimenti industriali per la preparazione delle margarine sono relativamente semplici e consistono nell'emulsionare con acqua i grassi di varia natura previsti dalla legge, tra cui sono compresi gli oli idrogenati alimentari. Attualmente si tende a sostituire la tecnica della idrogenazione degli oli con quella della esterificazione, che consente di ottenere prodotti di elevata qualità i quali non contengono acidi grassi trans (v. oltre).
Largamente impiegati come grassi alimentari, soprattutto in un recente passato, sono il lardo, la sugna e lo strutto, prodotti ricavati dal maiale. Il lardo è costituito dal grasso sottocutaneo della regione del dorso e delle pareti addominali del maiale. Viene tagliato, insieme con la cotenna, in pezzi di varia grandezza e conservato sotto sale. La sugna è la massa di grasso perirenale e periviscerale destinata alla produzione dello strutto che si ottiene "esclusivamente per colatura a caldo dai tessuti adiposi del maiale" (art. 31 r.d.l. 15 ottobre1925, nr. 2033). Per produrre lo strutto, il grasso di maiale viene scaldato fino alla fusione e lasciato scolare tradizionalmente attraverso teli di stoffa, che vengono poi ritorti (spremitura) per separare il più possibile la materia grassa fluida dai cosiddetti ciccioli, pezzetti di tessuto muscolare o connettivo usati in molte ricette popolari. Lo strutto, che si presenta come una massa bianca finemente granulare, è inodoro e di sapore gradevole. Oltre che per uso alimentare, viene utilizzato nella produzione di saponi e di creme cosmetiche e medicinali.
Lo studio del complesso problema relativo al consumo dei grassi, in generale, e dei grassi di origine animale, in particolare, ebbe inizio negli anni Sessanta del 20° secolo, quando si osservò che i paesi colpiti da malattie coronariche erano caratterizzati da una dieta ad alto contenuto lipidico, in particolare di acidi grassi saturi e da una elevata colesterolemia totale (Keys-Anderson-Grande 1957). La teoria di A. Keys e dei suoi collaboratori, che si può riassumere con l'equazione: alimentazione ricca di grassi = colesterolemia alta = mortalità per infarto elevata, si scontra però con il cosiddetto paradosso latino; in Francia e in Italia infatti si osserva una colesterolemia media più alta che negli Stati Uniti, ma una mortalità per infarto nettamente inferiore.
Per interpretare questo dato si è fatto infatti ricorso allo studio della dieta nel suo complesso e si è visto, per es., che francesi e italiani consumano in discreta quantità sia il vino, che influisce sul tasso delle HDL (High density lipoproteins, lipoproteine ad alta densità) protettive, sia la frutta e le verdure, le quali contengono fibra e componenti antiossidanti. Attualmente sono allo studio anche i problemi connessi all'ingestione di acidi grassi in configurazione trans, che sembrano avere effetti ipercolesterolemizzanti, aumentando le LDL (Low density lipoproteins, lipoproteine a bassa densità) e diminuendo le HDL.
Gli acidi grassi trans si possono formare durante il processo industriale di produzione degli oli idrogenati, ma possono anche derivare dalla bioidrogenazione che avviene a opera dei microrganismi del rumine ed essere costituenti naturali del tessuto grasso dei Ruminanti, del latte e dei prodotti derivati. Gli acidi grassi di questo tipo non sono quindi composti non naturali: il problema che eventualmente si potrebbe verificare in diete particolarmente ricche in grassi idrogenati è piuttosto la presenza di questi composti in quantità non naturale. Uno studio recente ha dimostrato che l'assunzione di acidi grassi trans è più bassa in Italia che in altri paesi europei e che può essere escluso, mantenendo i livelli attuali, qualsiasi effetto sulla colesterolemia (Pizzoferrato et al. 1999). Inoltre, i grassi di origine animale sono ricchi di colesterolo e di acidi grassi saturi e sono quindi poco soggetti a processi ossidativi, mentre gli oli di semi, ricchi di acidi grassi polinsaturi che riducono i livelli del colesterolo, contrastando l'azione dei grassi animali, sono particolarmente vulnerabili alle reazioni di ossidazione. Tra questi, gli oli idrogenati sono resistenti all'ossidazione, ma contengono gli acidi grassi trans, di cui si è appena detto. Il giusto compromesso tra queste situazioni è rappresentato dall'olio d'oliva, ricco di acidi monoinsaturi (acido oleico), che non aumentano i livelli di colesterolo e sono scarsamente sensibili all'attacco dell'ossigeno, e non privo di polinsaturi.
Sebbene, per tutti i motivi appena riportati, il consumo di grassi debba essere controllato, queste sostanze sono elementi importanti della dieta, grazie al loro apporto energetico e al contenuto di vitamine liposolubili e di acidi grassi essenziali (acido linoleico e acido linolenico), che gli organismi animali non sono in grado di sintetizzare e che esplicano un ruolo importante come costituenti dei fosfolipidi delle membrane cellulari e come precursori delle prostaglandine. Nella suddivisione convenzionale degli alimenti in sette gruppi, tutti i grassi da condimento, di origine sia vegetale sia animale, costituiscono il quinto gruppo e devono quindi essere presenti in una dieta equilibrata, con l'accortezza di un uso moderato e con il suggerimento di preferire, riconfermando la nostra natura mediterranea, l'olio d'oliva.
Istituto nazionale della nutrizione, Linee guida per una sana alimentazione italiana, Roma, INN, 1997a.
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A. Keys, J.T. Anderson, F. Grande, Prediction of serum cholesterol responses of man to changes in fats in the diet, "Lancet", 1957, pp. 959-66.
L. Pizzoferrato et al., Livelli di ingestione di lipidi ed acidi grassi in Italia: i risultati dell'azione concertata CE "TRANSFAIR", "La Rivista di Scienza dell'Alimentazione", 1999, 3, pp. 259-71.
M. Ticca, Il modello alimentare mediterraneo, la salute a tavola arriva dalla tradizione, Roma, INN, 1992.
M. Toussaint-Samat, Histoire naturelle & morale de la nourriture, Paris, Bordas, 1987 (trad. it. Firenze, Sansoni, 1991).