Ologramma
Un’immagine a tutto tondo
Un ologramma è un’immagine tridimensionale di un oggetto – che ci sembra quasi di poter afferrare – realizzata per mezzo dell’interferenza di due fasci laser. Gli ologrammi forniscono un’immagine ripresa da punti di vista diversi e per questa ragione sono così ricchi di informazioni; essi permettono di realizzare sistemi di sicurezza per le banconote, memorie di grande capacità e di studiare le deformazioni dei materiali
Il nostro mondo ha tre dimensioni, così come gli oggetti reali che lo popolano. Tuttavia quando si scatta una fotografia viene meno la profondità perché l’apparecchio cattura l’immagine con un solo occhio, il suo obiettivo.
L’ologramma invece dà la sensazione di avere di fronte l’oggetto vero e proprio: ne offre un’immagine tridimensionale, apparentemente ripresa da prospettive diverse, e ne mantiene tutte le caratteristiche: in greco, non a caso, la parola ologramma significa «disegno completo».
La lastra di un ologramma conserva molte più informazioni di una comune pellicola fotografica perché registra anche la fase dell’onda (onde e oscillazioni) luminosa – vale a dire quando essa inizia e quando finisce –, oltre all’intensità della luce da cui è generata l’immagine. Eppure, il supporto su cui è inciso un ologramma è apparentemente indecifrabile. A differenza di un comune negativo – dove possiamo vedere in controluce, anche se in scala ridotta, l’immagine che sarà poi stampata – l’ologramma si presenta sulla lastra impressionata come un fitto groviglio di linee e un alternarsi di zone chiare e scure. Per osservare l’oggetto bisogna illuminare la lastra con un fascio laser analogo a quello che ha registrato l’immagine, anche se, in alcuni casi, basta una comune sorgente di luce per vedere l’ologramma. È quello che accade con la striscia olografica e la placchetta di sicurezza che compaiono su molte banconote, per esempio quelle degli euro: quando si inclina la banconota in corrispondenza degli inserti olografici si possono osservare il valore della banconota insieme al simbolo dell’euro o a una piccola immagine.
Il fisico ungherese Dennis Gabor aveva capito come realizzare gli ologrammi sin dal 1947, ma solo a partire dagli anni Sessanta, con la costruzione dei primi dispositivi laser, queste immagini si sono effettivamente diffuse.
La luce emessa dal laser, infatti, permette di registrare tutte le informazioni con cui ricostruire l’immagine tridimensionale dell’oggetto perché è monocromatica, intensa e coerente (tutte le onde luminose hanno la stessa fase).
Il fascio laser usato per creare un ologramma è suddiviso in due componenti: la prima viene indirizzata sull’oggetto di cui si vuole ottenere l’ologramma e viene da questo riflessa prima di impressionare la lastra, mentre l’altra – chiamata fascio di riferimento – arriva direttamente sulla pellicola dopo essere stata deviata da alcuni specchi.
L’interferenza tra la luce riflessa dall’oggetto e la luce di riferimento permette di registrare le informazioni sulla fase dell’onda luminosa e crea l’intreccio di linee fatto di zone chiare e scure che si osserva sulla lastra.
Ogni frammento del supporto di un ologramma non registra solo una parte dell’immagine, come in una fotografia, ma contiene sempre tutte le informazioni necessarie per ricostruirla interamente: il risultato, in questo caso, sarà solo più piccolo e meno definito di quello che si otterrebbe con l’intera lastra. Sullo stesso supporto per ologrammi si possono inoltre registrare senza difficoltà molte immagini di oggetti diversi. Basta cambiare, di volta in volta, l’angolo con cui la luce laser viene fatta incidere sulla lastra. In questo modo un ologramma può diventare una memoria capace di immagazzinare moltissimi dati e di conservarli anche se viene in parte danneggiata.
Gli ologrammi permettono inoltre di verificare se un oggetto ha subito deformazioni e questo è di grande utilità nelle ricerche sui materiali. Basta registrare sullo stesso supporto due ologrammi e metterli a confronto con tecniche di interferenza luminosa. In questo modo emergono differenze anche molto piccole, comparabili con la lunghezza d’onda della luce laser utilizzata per realizzare l’ologramma.