Ombrellifere
Piante aromatiche, curative, talvolta velenose
Le piante appartenenti alla vasta famiglia delle Ombrellifere crescono un po’ ovunque nell’emisfero boreale; hanno infiorescenze a ombrella e sono per lo più erbacee. Molte sono usate sin dai tempi più antichi come piante aromatiche (prezzemolo, sedano, carota, finocchio) e curative. Alcune, come la cicuta e la ferula, sono fortemente velenose
La famiglia delle Ombrellifere (Umbelliferae) è costituita da piante dicotiledoni con fiori riuniti in infiorescenze a ombrella bianche o più raramente rosa o gialle, semplici (ombrelle) o formate a loro volta da ombrelle più piccole (ombrellette). I fiori, in cui di solito matura prima la parte maschile (le antere), sono impollinati da insetti a proboscide corta, come mosche e coleotteri. Le foglie raramente sono intere e nella maggior parte delle piante di questa famiglia sono divise in modo inconfondibile (pennate e con margine settato). Hanno un fusto internamente cavo, vuoto o contenente una sostanza midollare spugnosa. I frutti sono piccoli e molto diversi a seconda della specie e quindi utili per il riconoscimento e la classificazione.
Diffuse con grande varietà di forme nelle zone extratropicali dell’emisfero boreale, le Ombrellifere si trovano nei boschi, nei prati, nelle zone paludose, nelle steppe. Sono per lo più piante erbacee e solo raramente raggiungono qualche metro d’altezza, come il genere Ferula dell’Asia centrale, da noi presente in Sardegna.
Esempi a noi ben noti di Ombrellifere sono il prezzemolo, il sedano, il finocchio, l’anice, la carota, la cicuta. Tutte piante, queste, dall’odore tipico e forte dovuto a sostanze presenti nelle foglie, nei fusti, nella radice: infatti le Ombrellifere, dette in botanica anche Apiacee dal nome del composto organico apiolo di cui sono ricche, vengono molto usate come piante aromatiche in cucina, ma anche come piante medicinali, in quanto le stesse sostanze, in dose diversa , hanno effetti curativi.
Il prezzemolo (genere Petroselinum) è un tipico ‘odore’, cioè una di quelle erbette che si chiedono al verduraio a fine spesa e con le quali si insaporiscono le ricette. È una pianta erbacea biennale, ha foglie pennate e frastagliate: ne esistono varietà con la foglia liscia e altre con la foglia più ricciuta. I frutti sono acheni formati da due parti globose, ciascuna contenente un seme. Le sostanze di cui è ricco, tra cui l’apiolo, se opportunamente usate, sono curative (disintossicanti, diuretiche, stimolanti). In passato, in tempi più oscuri dei nostri, l’infuso di prezzemolo veniva bevuto dalle donne che volevano abortire in quanto, soprattutto l’apiolo, stimola le contrazioni dell’utero. La dose da ingerire perché ciò avvenga è però così elevata da risultare velenosa, per cui spesso le malcapitatate ci rimettevano la salute se non la vita.
Il sedano (genere Apium), noto sin dal 5° secolo a.C., è un altro ortaggio usato per le sue qualità gastronomiche e per curare disturbi della circolazione o come antistress. Si utilizzano i gambi e i piccioli delle foglie bianche e tenere, nonché la base della radice; la varietà detta sedano-rapa o sedano di Verona presenta una radice particolarmente ingrossata, globosa e ricca di amido, ottima da mangiare sia cruda sia cotta.
La carota (Daucus carota) è uno di quegli ortaggi ‘miracolosi’ che hanno solo pregi. La parte commestibile è la radice a fittone ricca di β-carotene, o provitamina A, che le conferisce il bel colore arancione. La provitamina A, solubile nei grassi e negli oli, viene trasformata in vitamina A attiva dal fegato e dalle pareti intestinali. Questa vitamina è necessaria per la formazione dei pigmenti visivi per cui una sua carenza provoca, tra l’altro, disturbi della vista, soprattutto nella penombra del crepuscolo. La carota contiene anche il glutatione, un antiossidante e altre vitamine del gruppo B, PP, D, E. Ricca di zuccheri è ottima nelle diete, oltre che per mantenere sane le mucose e aumentare le difese dell’organismo.
La cicuta. È una pianta erbacea che può arrivare a 2 m, dall’odore sgradevole, con il fusto rossastro e vuoto all’interno e dalle ombrellette con fiori bianchi, che si trova nei luoghi incolti o lungo il ciglio delle strade. Ci sono tre specie di cicuta: quella maggiore (Conium maculatum), l’acquatica (Cicuta virosa) e la cicuta minore (Aethusa cynapium), tutte velenosissime. Contengono infatti sostanze tossiche potenti come la conina, la cinapina, la cicutotossina che provocano rallentamento del battito cardiaco, insufficienza respiratoria fino alla morte. Bevendo una coppa di infuso di cicuta, scrive Platone nel Fedone, morì Socrate.
Il grande filosofo era stato condannato a morte dal governo ateniese perché accusato di non fare sacrifici agli dei e di corrompere i giovani con le sue idee.
La ferula. La ferula (genere Ferula) è un’ombrellifera alta da 2 a 5 m, con ombrellette gialle, che cresce sui terreni aridi e sterili. Meno incriminata della cicuta, risulta però molto velenosa per gli animali, che ne possono morire dopo averla mangiata. Da una varietà di questa pianta si estrae una resina bruna, l’assafetida, di sapore forte e pungente – ricorda alla lontana quello dell’aglio –, detta volgarmente sterco del diavolo: molto usata in passato come spezia, viene ancora oggi adoperata nella cucina orientale per aromatizzare alcuni cibi. Il suo fusto è semilegnoso, leggero e robusto insieme: si presta quindi a essere usato come bastone da cammino, o per difesa. Al suo interno contiene un midollo spugnoso che, quando è secco, prende fuoco facilmente ma brucia lentamente, senza distruggere la guaina esterna: risultò ideale quindi nei tempi più antichi per trasportare il preziosissimo fuoco da un accampamento a un altro. A questo proposito Esiodo (poeta greco dell’8° secolo a.C.) e poi Eschilo ci raccontano che il gigante Prometeo rubò agli dei il fuoco per donarlo agli uomini nascondendolo in un bastone di ferula.
L’importanza di questa pianta, peraltro umile e poco vistosa, è ribadita dal fatto che lo scettro del dio Bacco era, secondo la mitologia greco-romana, una ferula adorna in cima di foglie e viticci, uguale a quella che portavano le sue seguaci, le baccanti, durante le feste in onore del dio. Come bastone pastorale, la ferula in seguito venne usata dai vescovi cristiani.
L’uso del prezzemolo come abortivo riecheggia nella favola di Prezzemolina scritta dal grande favolista del Seicento Antonio Basile (e poi ripresa un secolo più tardi dai Fratelli Grimm con il titolo di Raperonzolo). Una donna aspetta
un bambino e viene presa dal desiderio di prezzemolo che si trova in un orto di proprietà di una strega: lo ruba più volte finché non viene sorpresa e minacciata di morte dalla strega. Per sfuggire alle sue minacce deve promettere che le cederà il figlio che sta per nascere quando avrà compiuto sette anni. Prezzemolina – questo è il nome della bambina che viene messa al mondo – viene dunque prelevata dalla strega e rinchiusa in una torre di pietra senza scale: per raggiungerla, la strega si arrampica sulla lunga treccia che nel frattempo è cresciuta alla giovane. Dopo molto tempo, sotto la torre si trova a passeggiare un principe che se ne innamora e che la raggiunge anche lui arrampicandosi sulla treccia. Ma la strega se ne accorge: acceca il principe e lo scaccia. Tuttavia Prezzemolina riesce a fuggire, vincendo alcuni incantesimi, a ritrovare il principe e a sposarlo. C’è da notare che nella versione dei fratelli Grimm i due innamorati mettono al mondo subito due gemelli, a riscatto dell’aborto procurato dalla strega alla mamma di Raperonzolo.
«E Critone (un seguace di Socrate) […] fece cenno al ragazzo che era presso. E il ragazzo dopo un po’ di tempo, ritornò insieme con colui che doveva dare il veleno; questi lo portava nel calice, pestato. Socrate vedendo l’uomo disse: “Bene buon uomo, tu che sei esperto di queste cose, dì cosa bisogna fare?”. E quello: “Nient’altro che passeggiare quando hai bevuto, finché sentirai che le ginocchia si fan pesanti e allora coricati, e così il veleno farà la sua azione”» (dal Fedone di Platone).