Omeostasi
L’importanza di rimanere identici a sé stessi
L’omeostasi è l’insieme dei meccanismi chimico-fisici, biologici e comportamentali che permettono agli esseri viventi di mantenere costante l’ambiente interno, anche se all’esterno avvengono cambiamenti: si suda per raffreddare il corpo, si trema dal freddo per riscaldarlo, gli alberi perdono le foglie per affrontare il gelo invernale. I meccanismi omeostatici sono raffinati sistemi che utilizzano molte risorse: nei Mammiferi e nell’uomo all’omeostasi partecipa il sistema nervoso, negli altri animali sono stati selezionati meccanismi altrettanto efficienti
È una giornata particolarmente calda e umida. Al minimo sforzo il sudore scende a rivoli dalla fronte: è un grande fastidio, oltre a soffrire per il caldo ci tocca asciugare la pelle in continuazione. Ma a che serve sudare? Un cane dopo una corsa ansima con la lingua di fuori. Perché reagisce così? Fuori soffia un venticello gelido, brrr... un brivido di freddo, ci viene la pelle d’oca e corriamo a infilarci un pullover. Perché quel brivido? È autunno, le foglie di molti alberi ingialliscono e cadono. Eppure sta arrivando l’inverno e forse il manto fogliare potrebbe difendere meglio la pianta dal freddo, ma allora perché le foglie l’abbandonano? Gli organismi, è evidente, reagiscono ai cambiamenti dell’ambiente esterno (l’aumento o la diminuzione di temperatura, la corsa, l’arrivo del gelo) opponendovisi: se fa troppo caldo si suda per raffreddare la pelle, se è troppo freddo il corpo è scosso da brividi che producono un po’ di calore.
I meccanismi di difesa sono diversi tra animali (il cane, che ha una pelle spessa e coperta da peli, suda con la lingua, l’uomo attraverso la pelle di tutto il corpo) e tra animali e piante, ma a tutti i livelli di organizzazione dei viventi (cellula, organi, organismi, popolazioni, ecosistemi) esistono meccanismi che garantiscono l’omeostasi (dal greco omeòs «identico» e stàsis «stare, rimanere», ovvero il «saper rimanere identici a sé stessi»), definita in biologia come la capacità di un vivente di mantenere costanti le sue condizioni chimico-fisiche e biologiche interne, al variare dell’ambiente esterno.
Un uomo guida la sua auto lungo una strada dritta; all’improvviso una folata di forte vento lo fa sbandare verso destra, immediatamente il guidatore sterza il volante dalla parte opposta, a sinistra, riportando l’auto in carreggiata. Una reazione simile ha luogo se un organismo, per esempio il nostro, viene sottoposto a un brusco cambiamento ambientale, come un calore troppo intenso. Il nostro termostato interno (l’insieme dei meccanismi termoregolatori: sudore, vasodilatazione e simili) è stato tarato per sopportare un’escursione termica tra i 36 e i 37 °C, anche se fuori ci sono 40 °C all’ombra o 220 °C, e questo perché a temperature troppo elevate o troppo basse le cellule subiscono profonde alterazioni chimico-fisiche incompatibili con la vita. Quando fa molto caldo, i recettori nervosi che si trovano nella pelle inviano al cervello la sensazione del calore via via più elevato. Dal cervello, più esattamente dalla regione dell’ipotalamo, parte una pronta reazione: i vasi sanguigni periferici si dilatano e fanno passare più sangue, aumentando così la dispersione di calore direttamente dalla pelle all’aria; inoltre aumenta la traspirazione, cioè la fuoriuscita di acqua dalla pelle e dalle ghiandole sudoripare che, evaporando, raffredda la superficie cutanea. Più si suda più si abbassa la temperatura corporea.
Questo meccanismo regolatore si chiama processo di feedback (in inglese «retroazione») negativo, perché si oppone alla causa che lo ha azionato.
Un altro esempio di feedback negativo è il riflesso pupillare: se illuminiamo bruscamente l’occhio la pupilla si contrae per limitare la quantità di luce che vi entra; così come, se un suono è troppo forte, i muscoli dell’orecchio interno si contraggono automaticamente in modo da ridurre la sensibilità uditiva.
Esistono diverse modalità con cui le condizioni corporee di un individuo animale o vegetale vengono mantenute invariate. Si parla di omeostasi fisiologiche quando i meccanismi regolatori sono di tipo chimico-fisico, come l’omeostasi termica; se in pericolo è l’equilibrio tra la quantità d’acqua che entra ed esce dal corpo, si parla di omeostasi osmotica (osmosi); se sono i sali a diminuire o ad aumentare troppo si parla di omeostasi ionica, e così via.
Si parla invece di omeostasi etologica se l’equilibrio si mantiene grazie a un particolare comportamento, innato o appreso. Lo stormo di gru che ogni anno migra dall’Africa in Europa e viceversa alla ricerca di un ambiente favorevole mantiene in tal modo costante il suo habitat e la sua nicchia ecologica. L’orso che ai primi freddi va in letargo entra in una forma di vita latente che lo protegge dai rigori dell’inverno. Anche mettersi o togliersi la maglietta a seconda del tempo che fa è un meccanismo omeostatico di questo tipo. Esiste inoltre una omeostasi ecologica che mira a tenere costanti l’equilibrio chimico, fisico e biologico tra le parti di un ecosistema.
Non bisogna però interpretare in senso troppo rigido l’espressione equilibrio interno perché, come l’ago di una bilancia oscilla prima di assestarsi, così i valori interni di temperatura, salinità, quantità di acqua, acidità del sangue e via dicendo rappresentano valori dinamici, cioè rapidamente variabili, sia pure entro limiti ben definiti. In altre parole, più un sistema vivente è duttile e capace di assorbire i cambiamenti esterni con una veloce risposta, più la sua salute e la sua sopravvivenza sono assicurate.
Un importante meccanismo omeostatico è quello che protegge la costanza della temperatura interna negli animali. Gli animali omeotermi (dal greco omeòs «identico» e thermòs «caldo», cioè con calore costante), quelli in grado di mantenere la temperatura interna del corpo costante e indipendente dall’ambiente esterno, sono gli Uccelli, i Mammiferi e, tra quelli estinti, i Dinosauri. L’uomo aggiunge ai meccanismi naturali le capacità apprese per difendersi meglio dal grande freddo o dal caldo.
Gli Uccelli hanno la temperatura delle zampe più bassa di quella del resto del corpo ben coperto dalle penne. Le zampe quindi sarebbero una regione corporea da cui si perde calore, se non esistesse il sistema omeostatico detto dello scambio di calore controcorrente, in cui le arterie che vengono dal cuore con sangue caldo riscaldano quello più freddo portato dalle vene verso il cuore.
Negli animali a sangue freddo, detti eterotermi (dal greco èteros «diverso» e thermòs «caldo»), come i Pesci, gli Anfibi e i Rettili tra i Vertebrati e tutti gli Invertebrati, la temperatura interna dipende invece da quella esterna. Non avendo cioè sistemi termoregolatori come quelli degli animali omeotermi, il loro modo di mantenere costante la temperatura interna è affidato a semplici comportamenti: così le lucertole, come le rane, si riscaldano stando sempre al sole. Tra gli Invertebrati, gli Insetti hanno adattamenti particolarmente interessanti: per esempio, la ‘cicala dei 17 anni’ (così detta perché dalle uova escono larve che vivono in letargo per 17 anni e poi, una notte estiva, sfarfallano, si riproducono e dopo sei settimane muoiono) si scalda aprendo le ali solo in parte ed esponendo l’addome al sole.
Anche le piante hanno degli adattamenti volti a mantenere la costanza dell’ambiente interno. Ci sono piante acquatiche (come Ninfea, Vallisneria o Elodea) che con le radici assorbono dall’acqua sali e sostanze nutritive, ma possiedono ghiandole del sale capaci di espellere i sali in eccesso. Il nettare dei fiori, che è una miscela di zuccheri, vitamine e fitormoni prodotta dalla pianta e tanto ricercata dagli Insetti, se è in eccesso viene spremuto all’esterno da apposite ghiandole nettarifere.
Le foglie delle piante sono spesso rivestite di uno strato ceroso-lucido che ne impermeabilizza la superficie per limitare al massimo la traspirazione; le uniche aperture che lasciano passare vapor d’acqua e gli altri gas (anidride carbonica e ossigeno) sono gli stomi, minuscoli pori posti soprattutto nella pagina inferiore della foglia e spesso protetti da peli.
Un altro caso di adattamento omeostatico, come si diceva all’inizio, è quello degli alberi delle regioni temperate che in autunno perdono le foglie, riducendo a zero l’evaporazione dell’acqua e abbassando il livello di attività vitale. La pianta finge, insomma, di essere morta e all’aria fredda dell’inverno rimangono esposti solo il tronco e i rami di legno, che è un tessuto senza vita e quindi senza consumi. Diciamo che si trasforma in una specie di ‘mummia vegetale’, ma, non appena la stagione si fa più tiepida, ecco spuntare nuovi germogli, rami e foglie, e la vita dell’albero ricomincia.