ANTINORI, Orazio
Nato a Perugia il 23 ott. 1811 dal marchese Gaetano e da Tommasa Bonaini, fin dall'infanzia temperamento assai irrequieto, studiò nel collegio dei benedettini dell'Abbazia di S. Pietro, poco o nulla profittando degli studi classici, e ne uscì nel 1828 senza aver conseguito alcun diploma. Iniziato dal monaco Bamaba Lavia nell'arte della tassidermia e incoraggiato da L. Canali, professore all'università di Perugia, nello studio delle scienze naturali, l'A. per un decennio si dedicò, nella città natale, alla collezione e alla imbalsamazione degli uccelli, donando infine la sua ricca raccolta all'università. Trasferitosi a Roma nel 1838, si sistemò come preparatore naturalista dapprima presso il principe Conti e poi presso il principe di Canino Carlo Luciano Bonaparte, con cui collaborò all'edizione della Fauna italica e del Conspectus generum avium.
Gli eventi del '48 impressero alla vita dell'A. un nuovo e febbrile corso, trasformando quel sedentario e oscuro gentiluomo di provincia in un fervente patriota, prima, e in un instancabile viaggiatore, poi. Arruolatosi come ufficiale nell'esercito pontificio del Durando, partecipò alla campagna nel Veneto, rimanendo ferito il 9 maggio a Comuda e combattendo il 10 giugno a Vicenza. Tomato a Roma, partecipò attivamente all'organizzazíone dei moti democratici, che dovevano portare alla fuga di Pio IX e alla costituzione della Repubblica romana. Eletto deputato alla Costituente, si batté nell'assedio di Roma e, dopo la caduta della Repubblica, abbandonò volontariamente l'Italia. Si recò dapprima in Grecia, e quindi a Costantinopoli, cercando di mettere a frutto l'esperienza di cacciatore e imbalsamatore. A Smime Cristina di Belgioioso lo ebbe compagno nelle sue partite di caccia; nella stessa città il console svizzero G. Gonzebach l'associò alla sua ditta d'esportazione di animali impagliati con i quali riforniva i musei e i collezionisti privati d'Europa.
La riscossione della quota dell'eredità patema (13.000 lire) offrì all'A. nel 1858 la desiderata, se pur relativa, indipendenza economica, e contribuì a rivelargli definitivamente la sua vocazione di esploratore. Investì tutto il suo denaro in un viaggio in Egitto e iniziò (maggio 1859) una lunga serie di escursioni verso il Sudan, scegliendo come base di operazioni Khartuan e accompagnandosi di volta in volta agli esploratori e mercanti che risalivano il Nilo, spinti, oltre che dal fascino per il mistero sulle origini del grande fiume, dall'ondata di penetrazione promossa dal govemo egiziano. Viaggiò col commerciante A. Castelbolognesi, ferrarese; con i fratelli Poncet, savoiardi, cacciatori d'elefanti; col geografo G. Lejan, nel luglio del '60, con A. Vayssière e infine con C. Píaggia, lucchese legandosi a questo con rapporti di duratura amicizia. Insieme con lui manifestava la sua indignazione per gli orrori della tratta schiavistica.
In una pubblica relazione, tenuta al Cairo alla fine del '61 per invito del khedivé, l'A. espose i primi risultati della sua opera di esploratore - vi ritornò nella prefazione al Catalogo descrittivo di una collezione di uccelli... - consistenti essenzialmente nella esatta ricognizione del bacino del Bahr-el-Ghazal, studiato sotto ogni aspetto, dalla conformazione geografica alla fauna,alla flora e agli usi e costumi delle popolazioni indigene. Fra i pionieri italiani egli era il primo, che avesse affrontato l'esplorazione del continente nero dotato di buone cognizioni di scienze naturali e capace inoltre di documentare direttamente, per mezzo delle sue splendide collezioni, la propria opera. Ciò spiega il successo, e l'ospitalità subito concessa ai suoi scritti dalle riviste geografiche tedesche. In due soli anni l'A. era assurto a figura autorevolissima tra gli esploratori italiani: gli impulsi romantici della passione risorgimentale si congiungevano in lui alla più scrupolosa capacità di osservazione scientifica.
Tornato in Italia nel 1861, vendette per 20.000 lire al governo italiano le sue ricche collezioni omitologiche, che, invece di trovare sede unica a Torino, dove l'A. stesso le aveva destinate, furono disperse tra vari musei, perdendo così in gran parte la loro importanza comparativa. L'A. si stabilì a Tonno, tentando qualche impresa industriale, preparando il prezioso Catalogo descrittivo, altemando i suoi studi a frequenti viaggi (in Tunisia, in Sardegna). Partecipò nel 1867 insieme con C. Negri e con C. Correnti alla fondazione della Società geografica italìana, della quale fu per lunghi anni segretario generale; collaborò anche, con comunicazioni, al Bollettino della Società stessa. Partecipò nel 1869 alle feste per rinaugurazione del canale di Suez, e fu conosciuto in quell'epoca da Manfredi Camperio, che lo descrisse già vecchio e venerando, sdegnoso della compagnia degli altri scienziati e turisti, solitario cacciatore nell'alta valle del Nilo. Nell'anno seguente fu designato a far parte, insieme allo zoologo O. Beccari e al geologo A. Issel, della spedizione promossa dalla Società geografica nel Mar Rosso per esplorare il paese dei Bogos e visitare la colonia agricola nello Sciotel del padre Stella. Assistette ad Assab alla presa di possesso della baia fatta da G. Sapeto a nome della compagnia Rubattino (13 marzo 1870) e soggiornò quindi due anni in Etiopia insieme con C. Piaggia, dedicandosi alla caccia per scopi scientifici. Nel '75 fu nuovamente in Tunisia con la spedizione promossa dalla Società geografica, di cui faceva parte anche il giovane capitano O. Baratieri, e contribuì a dimostrare l'assurdità del progetto francese dei mare interno sahariano.
Ma un altro importante risultato dei suoi viaggi bisogna cercarlo in patria, cioè nel decisivo impulso che la sua opera d'esploratore impresse alla Società geografica, indirizzandone gli sforzi quasi esclusivamente verso l'Africa. Allorché in seno alla Società fu proposto l'ambizioso progetto d'una spedizione ai laghi equatoriali, l'A. più realisticamente sostenne l'opportunità di una spedizione che compisse ricerche naturalistiche nei regni dello Scioa, il cui sovrano Menelik aveva allora fra i suoi consiglieri mons. Massaia. Prevalso il primo progetto, ma in una forma di compromesso fra le due tesi suddette, l'A. rivendicò energicamente l'onore di guidare la spedizione. Aveva ormai 66 anni, e la sua preoccupazione maggiore era quella di non farsi sopravanzare dai più giovani. La grande spedizione, salutata alla sua partenza, il 7 marzo 1876, in un clima di euforia, dal principe Umberto, ebbe poi uno svolgimento catastrofico. Il primo scagláone, costituito dall'A., da G. Chiarini e S. Martini, sbarcato a Zeila, fu soggetto alle vessazioni del governatore egiziano Abu Baker e perdette gran parte dell'equipaggiamento nell'insidioso percorso da Zeila allo Scioa. Lo stesso accadde al secondo scaglione, costituito dal Martini (che era rientrato in patria per chiedere soccorso) e da A. Cecchi. L'A. intanto fuben presto escluso, per un incidente di caccia che lo privò dell'uso della mano destra, da una ulteriore partecipazione all'impresa, e restò immobilizzato a Lèt-Marefià, donatogli come luogo di riposo da Menelik. Mentre finalmente il Cecchi e il Chiarini, nel luglio del '78, partivano per la prima tappa del loro viaggio, il Kafà, l'A. restava nello Scioa, compiendo viaggi nella parte meridionale e lavorando alle sue collezioni naturalistiche, e, nonostante la lunga mancanza di notizie sulla sorte dei suoi amici, rimaneva fiducioso e provvedeva a trasformare Lèt-Marefià in una stazione scientifica e ospitaliera, secondo i suggerimenti dell'Associazione internazionale per l'esplorazione e l'incivilimento dell'Africa. Morto il Chiarini nella prigionia inflittagli dalla regina di Ghera, l'A. accolse il sopravvissuto Cecchi e i nuovi membri della spedizione, G. Bianchi e P. Antonelli, nella quiete arcadica di Lèt-Marefià. Accompagnò quindi il Cecchi nel corso delle sue escursioni nello Scioa - che realizzarono almeno in parte il programma scientifico della grande spedizione - ma si rifiutò di seguirlo in patria per non abbandonare la stazione di Lèt-Marefià. Qui rimase solitario, sognando di costituirvi una scuola tecnica agraria per gli indigeni e di aprire al commercio italiano la via Assab-Ancober. Mosso ancora dal desiderio di scoprire "un paese del tutto nuovo non mai visitato dagli europei" volle seguire Menelik nella sua spedizione al lago Zuai. Ma dovette rientrare a Lèt-Marefià gravemente ammalato. Morì il 26 ag. 1882, e fu pianto a lungo dagli indigeni, che veneravano nell'A. l'ultimo rappresentante di quella generazione di pionieri, che, come scrisse uno dei suoi primi biografi, il Baratieri, "poteva tutto con la dolcezza in paesi dove tutto si suole imporre con la forza". La sua tomba, eretta secondo l'uso abissino in forma dì capanna all'ombra del sicomoro di Lèt-Marefià, fu ritrovata intatta nel 1936 nel corso della occupazione italiana dell'Etiopia.
Scritti principali: Reise vom Bahr-el-Gazal zum Lande der Djur, in Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographischer Anstalt, VIII (1862), pp. 79-83; Catalogo descrittivo di una collezione di uccelli fatta da O. A. nell'Africa Centrale Nord dal maggio 1859 al luglio 1861, Milano 1864; Das Land der Niamniam und südwestliche Wasserscheide des Nil, in Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographisches Anstalt, XIV (1868), pp. 412-26; in collaborazione con T. Salvadori: Catalogo degli uccelli raccolti durante il viaggio tra i Bogos..., in Annali del Museo Civico di Genova, Genova 1873, pp. 366-525; Viaggio nei Bogos, in Bollett. d. Soc. Geogr. ital., s.2, XII (1887), pp. 468-481, 511-550, 614-640, 668-694, 765-808; Nel centro dell'Africa, Milano 1884.
Bibl.: E. De Gubernatis, Lettere sulla Tunisia... con aggiunta di due lettere archeologiche di O. A., Firenze 1867; A. Issel, Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos, Milano 1876, passim; S.Martini-Bernardi, La baia d'Assab e le rivelazioni sull'esito dell'ultimo periodo della spedizione in Africa, Firenze 1881, passim; M.Camperio, Commemorazione del Marchese O. A., in L'Esploratore, VI (1882), pp. 425-429; O. Baratieri, O. A., in Nuova Antologia, XVII (1882), pp. 320-33; G. Bellucci, O. A., in Boll. d. Soc. Geogr. Ital., s.2, VIII (1883), pp. 488-507; G. Antinori, Il Marchese O. A. e la spedizione geografica italiana nell'Africa Equatoriale, Perugia 1883; L. Landini, Due anni in Africa col marchese O. A., Città di Castello 1884; P. Amat di San Filippo, Gli illustri viaggiatori italiani, Roma 1885, pp. 527-546; A. Cecchi, Da Zeila alla frontiera del Caffa, Roma 1886, passim; C. Della Valle, Pionieri italiani nelle nostre colonie, Roma-Voghera 1931, pp. 57-63; C. Zaghi, O. A., in Oltremare, V (1931), pp. 322-326 (con bibl.); M. C. Biscottini, La spedizione Antinori e la fine del Massaia in Etiopia, in Giorn. di politica e letteratura, XVII (1941), pp. 242-280; A. A. Micheli, O.A. come combattente a Cornuda, in Atti d. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, Classe di scienze morali e lettere, 1941-42, pp. 435-442; Id. O. A., Torino-Milano 1941 (con bibl.); R. Micaletti, I Grandi umbri: O. A., in Rass. di cultura militare, VIII (1942), pp. 1480-1486; Ministero degli Affari Esteri, Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, L'Italia in Afrca, II: E. Leone, Le Prime ricerche di una colonia e la esplorazione geografica, politica ed economica, Roma 1955, pp. 124-131, docc. nn. 9 e 9 bis a pp. 284-88; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, pp. 100 s., 113-121; Encicl. ital., III, pp. 505 s.