ANTINORI, Orazio
Viaggiatore e naturalista italiano. Nato a Perugia il 27 ottobre 1811 da nobile famiglia di quella città, studiò dapprima con scarso frutto nel collegio dei benedettini a San Pietro. Uscitone a 17 anni, si appassionò per le arti meccaniche e per il disegno, e più tardi per la storia naturale, seguendone i corsi all'università e interessandosi specialmente dell'ornitologia. Recatosi quindi a Roma, si allogò come preparatore naturalista presso il principe Conti, e collaborò col principe di Canino Carlo Bonaparte alla sua Fauna italica. Coinvolto negli avvenimenti del 1848, combatté come ufficiale nel Veneto. Ferito a Cornuda, poi eletto deputato alla Costituente romana, partecipò eroicamente alla difesa della città sino alla sua caduta. Emigrò quindi in Oriente; fu ad Atene, a Costantinopoli, a Smirne, e percorse la Siria e l'Anatolia, occupandosi a formare collezioni di uccelli, che collocava nei musei d'Europa, dove si fece conoscere con studî e pubblicazioni d'interesse ornitologico.
Nel 1858 passò in Egitto, e di lì nel Sūdān; accompagnatosi dapprima col negoziante italiano A. Castelbolognesi, poi coi francesi fratelli Poncet, col Lejan, col Vayssièrre e col Piaggia, compì ripetuti viaggi nelle regioni del Nilo Azzurro e del Bahr el-Ghazāl.
Al Cairo, dove si trovava alla fine del 1861, lesse a quell'Istituto Egiziano una relazione dei suoi viaggi, intorno ai quali riferì poi ampiamente nella prefazione al suo Catalogo descrittivo di una collezione di uccelli fatta da O. A. nell'Africa Centrale nord dal maggio 1859 al luglio 1861 (Milano 1864). Rimpatriato, ottenne di cedere allo stato le ricche collezioni ornitologiche da lui formate, che vennero improvvidamente disperse in varî musei. Fissatosi a Torino, si occupò a riordinare le proprie memorie ed osservazioni, alternandone la cura con viaggi in Sardegna e in Tunisia, ove si interessò di ricerche archeologiche, sulle quali riferì con lettere dirette ad E. De Gubernatis (Lettere sulla Tunisia e specialmente sulle provincie di Susa e Monastir, con aggiunta di due lettere archeologiche di Orazio Antinori, Firenze 1867).
Nel 1867 fu tra i fondatori della Società Geografica Italiana, della quale ricoprì per varî anni la carica di Segretario Generale. Compreso nella delegazione italiana che presenziò l'inaugurazione del Canale di Suez, compì nel 1869 un viaggio in Nubia e, nell'anno seguente, con i naturalisti Odoardo Beccari, Arturo Issel e con Giuseppe Sapeto, fu dapprima ad Assab e quindi a Cheren, fermandosi poi due anni in Abissinia per raccolte zoologiche, coadiuvato da C. Piaggia. Nel 1875 partecipò, col prof. Bellucci, con gli ingegneri A. Vanzetti e M. Lamberti, col capitano Oreste Baratieri ed altri, alla spedizione in Tunisia, organizzata dalla Società a spese del barone Giacomo Castelnuovo, per studiare la questione, allora agitata, del Mare Sahariano. Rimpatriato, attese all'allestimento della grande spedizione, che la Società Geografica Italiana organizzava per esplorare la regione dei laghi equatoriali, e nonostante la grave età di 66 anni, ormai raggiunta, chiese ed ottenne di esserne messo a capo. Partito coi compagni ing. Giovanni Chiarini e cap. Sebastiano Martini Bernardi, per la via di Zeila, riuscì, dopo un viaggio di alcuni mesi e superate difficoltà e pericoli gravi, a raggiungere a Liccè il campo di Menelik re dello Scioa, che a mezzo di monsignor Massaia era entrato in amichevoli rapporti con l'Italia. Là ebbe buone accoglienze, e la concessione di un territorio a Let Marefià, per impiantarvi una stazione scientifica ed ospitaliera, secondo le norme dell'"Associazione Internazionale per l'esplorazione e l'incivilimento dell'Africa", allora istituita; stazione che doveva servire di base alla spedizione italiana verso le ignote regioni del sud. Mentre attendeva ai preparativi necessarî, un malaugurato incidente (l'esplosione di un'arma da fuoco) lo privò dell'uso della mano destra, sicché dovette rinunziare ad unirsi al Cecchi e al Chiarini che accompagnò sino a Finfinni, di dove il 4 luglio 1878 essi presero la via per il loro infelice tentativo di esplorazione. Rimasto allo Scioa a capo della stazione di Let Marefià, l'Antinori compì numerosi viaggi nello Scioa meridionale, e attese con immutato interessamento alla preparazione delle collezioni naturalistiche che andava formando, sordo agli inviti della Società Geografica Italiana che ripetutamente lo richiamava in patria, conservandosi ed acquistando sempre più la simpatia del re Menelik.
Quando pertanto il governo italiano pensò di stringere più intimi rapporti di amicizia con quel sovrano e di stipulare con esso un regolare trattato di alleanza, il marchese Orazio Antinori fu designato quale plenipotenziario italiano con il concorso del conte Pietro Antonelli. Ma questi, che recava le credenziali dell'Antinori, apprese in viaggio la morte dell'infaticabile vegliardo, spentosi dopo una breve malattia nella notte sul 27 agosto 1882, assistito dal dottore Carlo Alfieri e da alcuni altri Europei, vivamente rimpianto dallo stesso re Menelik e da quanti, nella sua prolungata permanenza nello Scioa, avevano appreso a stimarlo e ad amarlo. Lasciò, oltre ai citati numerosi scritti, relazioni sui suoi viaggi e sulle sue raccolte scientifiche, gran parte delle quali si trovano conservate nel Museo Civico di storia naturale di Genova e nel Museo Etnografico di Roma.
Bibl.: O. Baratieri, Orazio Antinori, in Nuova Antologia, 15 nov. 1882; Camperio, Commemorazione del Marchese O. Antinori, in Boll. Soc. Geog. Ital., 1884, pp. 488-501; G. Antinori, Il Marchese Orazio Antinori e la spedizione geografica italiana nell'Africa Equatoriale (con ritratto), Perugia 1883.