BAGLIONI, Orazio
Figlio di Giampaolo e di Ippolita Conti, nacque a Perugia nel 1493. Aveva appena sette anni quando Guido, Astorre, Girolamo e Simonetto Baglioni furono trucidati nel sonno da Grifonetto e Carlo Baglioni e da Girolamo della Penna. Suo padre aveva potuto a stento salvarsi fuggendo da Perugia; il B., insieme con il fratello maggiore Malatesta, fu sottratto alla strage dalla madre di uno dei congiurati, Atalanta Baglioni. In ostaggio a Firenze nel 1500, mentre il padre era al servizio del Valentino, il B. tornò col fratello a Perugia alla fine del 1501, ma, quando nel 1506 Giulio II prese possesso della città obbligando Giampaolo a seguirlo nella spedizione contro Bologna, pretese che i figli gli fossero consegnati, in garanzia della fedeltà del padre alla Chiesa; il pontefice li affidò successivamente in custodia al duca di Urbino Guidobaldo Della Rovere.
Frutto dell'antica amicizia di Giampaolo col signore di Siena Pandolfo Petrucci fu il matrimonio del B. con la figlia del Petrucci, Francesca, celebrato intorno al 1512. Nel 1514 il B. era al servizio del cognato Borghese Petrucci con trenta uomini d'arme, aumentati poi dalla Balìa a settantacinque. Espulso Borghese da Siena e sostituito da Leone X con Raffaele Petrucci nel marzo 1516, il B. si recò a Roma, dove l'altro suo cognato, il cardinale Alfonso Petrucci, progettava di recuperare Siena alla propria famiglia con una azione diplomatica affiancata da una iniziativa militare. Il B. accettò di organizzare le milizie necessarie all'impresa, ma si disse disposto a guidare le soldatesche in Toscana solo a patto che l'iniziativa avesse qualche probabilità di successo. Poiché fu presto chiaro che il Petrucci non poteva contare su appoggi sufficienti, il B. passò al servizio della Chiesa, partecipando alla guerra d'Urbino nell'esercito di Lorenzo de' Medici, dove militava anche il padre Giampaolo. Come questi, il B. tenne un contegno equivoco, dando adito a sospetti di segrete intese con Francesco Maria Della Rovere, per cui dovette abbandonare in gran fretta Perugia, mentre Gentile Baglioni, con l'investitura di Leone X e con la protezione dì Renzo da Ceri e di altri capitani della Chiesa, prendeva possesso della città e dell'eredità di Giampaolo, giustiziato in Roma l'11 giugno 1520.
Il B. ed il fratello Malatesta si rifugiarono dapprima a Spello, quindi nel Regno di Napoli, infine in territorio veneziano. A Venezia i due Baglioni presero contatto con altri fuorusciti dello Stato pontificio: Francesco Maria Della Rovere, Camillo Orsini, Fabio Petrucci e Sigismondo Varano. Nel dicembre 1521, alla morte di Leone X, essi raccolsero in Ferrara un forte contingente di truppe e si volsero alla conquista d'Urbino, Camerino e Pesaro, che fu realizzata senza difficoltà. Nel gennaio seguente il B. e Malatesta, vinta una debole resistenza di Gentile Baglioni e di Vitellozzo Vitelli, potevano rientrare in Perugia, donde il Vitelli si allontanò indisturbato con le sue milizie verso Firenze conducendo con sé Gentile. Il successivo obbiettivo dei fuorusciti fu Siena, il cui governo era ora affidato a Raffaele Petrucci, ma di fatto controllato dal cardinale Giulio de' Medici: mentre Malatesta rimase a Perugia, il B. e il Della Rovere, dividendosi il comando delle truppe, che ora raggiungevano i settemila uomini, marciarono contro la città per stabilirvi la signoria di Fabio Petrucci. Furono fermati da un grosso esercito composto di milizie pontificie, fiorentine e senesi al comando di Giovanni de' Medici che li inseguì poi fino a Perugia. Il B., con Malatesta e il Della Rovere, respinse energicamente il 2 febbr. 1522 un assalto nemico. Finalmente, con la mediazione del legato pontificio a Perugia, il vescovo di Cortona cardinale Silvio Passerini, che eseguiva un preciso mandato di Adriano VI, deciso a ristabilire la pace nel territorio pontificio, si venne ad un accordo, che di fatto poneva fine alla lega antimedicea.
Il patto di pacificazione contemplava il ritorno di Gentile in Perugia, la promessa di matrimonio della figlia del B., Ippolita, di appena un anno, con un figlio di Nicolò Vitelli e il passaggio dello stesso B. al servizio dei Fiorentini nell'esercito di Giovanni de' Medici (maggio 1522). Nonostante gli accordi, però, i contrasti tra Gentile e i due fratelli ripresero subito. Soprattutto il B., assai più impulsivo del fratello, non nascondeva i suoi propositi di vendetta contro il cugino: ciò che convinse il legato Passerini ad allontanarlo da Perugia nel gennaio 1523 e nel marzo successivo Adriano VI ad intervenire direttamente nel contrasto, obbligando sia il B. sia Gentile a trasferirsi a Roma, dove entrambi rimasero sino alla morte del pontefice. Al principio del 1524 fu Clemente VII a tentare di porre termine ai disordini perugini, e forse non fu estranea al Medici l'intenzione di infliggere un primo colpo ai Baglioni, per poterli più tardi eliminare definitivamente dall'Umbria: Gentile e il B. furono convocati insieme nuovamente a Roma e il 26 gennaio imprigionati in Castel Sant'Angelo, mentre i loro partigiani, attaccati nel castello di Bastia e nel feudo di Bettona dalle milizie pontificie, furono impiccati a decine o destinati alle galere. Gentile tuttavia, che del resto non era, sin dal pontificato di Leone X, che uno strumento della politica della Chiesa in Perugia, fu liberato pochi mesi dopo, il 29 giugno 1524; il B. invece, nonostante i ripetuti interventi di Malatesta che operava al servizio dei Veneziani, rimase in carcere per tre anni interi e fu liberato solo il 31 dic. 1526, essendosi fatto garante il governo veneto della sua obbedienza al papa.
Più che le insistenze della Repubblica, avevano finalmente indotto Clemente VII a liberare il B. le preoccupazioni per la situazione militare dello Stato pontificio, in quel momento assai scarso di milizie e più ancora di condottieri di valore. Appena liberato, il B. ricevette infatti dal pontefice il comando di duemila fanti, con i quali nel febbraio 1527 passò nel Regno di Napoli a combattere gli Spagnoli dei viceré Ugo de Moncada, conquistando Castellammare di Stabia e difendendo vittoriosamente Salerno. Ormai però la minaccia degli Imperiali si profilava su Roma, rimasta priva di difese per il licenziamento delle milizie deciso da Clemente VII su improvvido consiglio del cardinale camerlengo Armellini: il B. fu richiamato nell'aprile e si sforzò di predisporre, insieme a Renzo da Ceri, le difese della città. Nei primi giorni di maggio respinse a ponte Milvio un tentativo dei lanzichenecchi di passare il Tevere, ed il 6 si batté valorosamente sulle mura, arrivando ad uccidere di propria mano - come ricorda il Cellini - i difensori che tentavano di allontanarsene. Durante il sacco comandava le milizie che avevano trovato rifugio in Castel Sant'Angelo.
Dopo l'accordo tra il papa e gli Imperiali il B. tornò a Perugia dove giurò solennemente un patto di pace con Gentile alla metà del giugno 1527, ma appena un mese e mezzo dopo, chiamato in Perugia un contingente di truppe al comando di Federico da Bozzolo egli consumò la vendetta da tanti anni meditata: la notte del 3 agosto fece catturare ed uccidere Gentile insieme a due nipoti, il figlio naturale di Gismondo Baglioni, Annibale, il protonotario apostolico Fileno Baglioni, Pietro e Perotto Crispoli con i loro figli, e infine Galeotto Baglioni, figlio di quel Grifonetto che era stato uno degli autori della strage perugina di ventisette anni prima. Solo nel settembre il ritorno di Malatesta, preoccupato delle conseguenze politiche degli eccessi del B., soprattutto nei confronti di Firenze, poté porre un freno al massacro.
Qualche tempo dopo la Repubblica fiorentina affidò al B. il comando delle Bande Nere, ricostituite e integrate dopo la morte di Giovanni de' Medici dal commissario Giambattista Soderini. Ricevuto l'ordine di fiancheggiare la spedizione del Lautrec nell'Italia meridionale, il B. penetrò nel Regno dalla Campania, mentre il condottiero francese scendeva dalle Romagne. Il B., dopo aver partecipato alla difesa di Frosinone, a sostegno di Renzo da Ceri, si congiunse con il Lautrec all'Aquila, e, benché la città si fosse già consegnata ai Francesi, lasciò che le Bande la sottoponessero a un crudele saccheggio. Il 7 marzo 1528, con l'aiuto di fanterie guasconi, conquistò d'assalto Melfi, costringendo il principe d'Orange ad abbandonare senza combattere la sua posizione di Troia. Nel maggio condusse le Bande all'assedio di Napoli, ma caduto in un'imboscata fu Ucciso il 22 maggio 1528.
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