ORAZIO COCLITE (Horatius Cocles)
Eroe dell'antica leggenda romana. La prima menzione del fatto eroico di O. pervenutaci è quella di Polibio. Egli narra che, dopo avere difeso, solo contro i nemici, la testa del ponte Sublicio dalla parte della riva destra del Tevere e dato così agio ai Romani di tagliare il ponte, si gettò nel fiume e vi perì. Le altre fonti più tarde (Livio, Dionisio, Plutarco, ecc.) dànno concordemente gli Etruschi di Porsenna come i nemici contro cui O. combatté, riferendo così la sua gesta ai primi anni della repubblica (508 a. C. secondo la tradizione), e concordemente asseriscono che O. si salvò e che il suo valore fu solennemente premiato dai Romani.
I critici in genere ritengono che già la tradizione più antica menzionasse gli Etruschi come gli avversarî di O.; ma che la seconda aggiunta (la salvezza e le ricompense) rappresenti una posteriore elaborazione. Ciò è molto discutibile, e può darsi invece che Polibio abbia riferito incompletamente e inesattamente la leggenda, di cui parlava solo in una digressione. È difficile infatti che Livio, il cui racconto è anche ricco d'espressioni poetiche, e la tradizione romana in genere si siano discostati nei punti fondamentali dagli Annali di Ennio, sebbene purtroppo la mancanza di frammenti degli Annali riferibili con sicurezza ad Orazio Coclite non ci permetta su questo punto una maggiore precisione. Invece i nomi di Larcio e di Erminio, che, secondo Livio e le altre fonti, avrebbero partecipato almeno sul principio insieme con O. alla difesa del ponte, sono probabilmente aggiunti dai Fasti dell'anno 506 in cui entrambi sono consoli, per eliminare la parte più difficilmente credibile della leggenda; e poco importa se questa aggiunta fosse già in Ennio. La notizia che Orazio Coclite sarebbe stato ricompensato con una statua aveva la conferma degli Annales Maximi, i quali narravano d'una statua di lui, "in comitio posita" che sarebbe stata trasportata nel Vulcanale perché venisse perennemente illuminata dal sole. Questa statua spiega alcuni particolari della leggenda. Orazio - ci viene detto - era, per effetto delle ferite riportate, zoppo e cieco d'un occhio: e di qui il suo soprannome di Cocles, che è l'equivalente latino di Cyclops. La statua del Vulcanale è quella d'un dio solare (per questo deve essere esposta sempre ai raggi del sole), monocolo come Wotan e altri dei ed eroi solari d'ogni nazione. Rimane incerto, ma poco importa, se la statua del Cocles rappresentasse un dio zoppo (cioè Vulcano, assimilato a Efesto) o se paresse zoppa solo per l'incapacità della scultura più arcaica a rappresentare il movimento delle gambe. Questa statua ad ogni modo ci chiarisce etiologicamente alcuni particolari importanti della leggenda di O. e lo stesso suo cognome. Ma come la statua del Cocles, cioè d'un dio solare, a cui si dava questo appellativo, è stata attribuita a un Orazio? A ciò non si può rispondere con sicurezza perché le risposte che si dànno, fondate sulla leggenda dell'eroe Horatos (il misterioso genio della selva Arsia, del quale il nome non è tramandato con sicurezza), sul collegamento del nome di questo eroe e degli stessi Orazî con ὅρος, nel senso di difensori dei confini, e più ancora sul collegamento tra Vulcano e Tiberino, che avrebbe dato origine al salto di O. nel Tevere, appaiono incerte e più o meno fantastiche. D'altronde che nelle guerre fra Etruschi e Romani si sia dovuto difendere la testa del ponte Sublicio e tagliare questo ponte, probabilmente appunto perciò (sebbene se ne desse una ragione sacra) ligneo, è indubitato; e che in tali difese si segnalassero uno o più Orazî difficilmente può essere tarda invenzione, tenuto conto dello scomparire degli Orazî dai Fasti dopo il sec. V (dovuto presumibilmente all'estinguersi di questa gente patrizia).
Bibl.: A. Schwegler, Römische Geschichte, II, 2ª ed., Tubinga 1870, pp. 52 seg., 187 seg.; E. Pais, Storia critica di Roma, II, Roma 1915, pp. 10 e 101 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 448; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, col. 2331 segg.