MANENTI (Manetti), Orazio
Non sono noti data e luogo di nascita di questo mosaicista restauratore, attivo a Roma tra il 1653 e il 1675; alcune fonti indicano un'origine sabina (Baldinucci; Furietti) o più precisamente reatina (Martinelli). Dagli anni Cinquanta fece parte dello Studio vaticano del mosaico - già costituito, sebbene l'istituzione ufficiale risalga al 1727 - e lavorò alla decorazione musiva della nuova basilica di S. Pietro.
Tra il 1653 e il 1663 fu attivo nel vestibolo della cappella del Ss. Sacramento nella navata destra, realizzando, con la coordinazione di Guido Ubaldo Abbatini in collaborazione con Fabio Cristofari e Matteo Piccioni, la decorazione della cupola con la Visione del settimo sigillo dell'Apocalisse su cartone di Pietro Berrettini da Cortona. Tra il 1656 e il 1660 eseguì, nuovamente su cartoni di Pietro da Cortona, i mosaici di tre pennacchi con Elia ristorato da un angelo, Un sacerdote dispensa il pane, Mosè raccoglie la manna. Tra il 1659 e il 1663 tradusse in mosaico i cartoni di Raffaele Vanni per le lunette raffiguranti gli episodi biblici della Vocazione di Isaia, Gionata figlio di Saul si nutre con un favo di miele, L'idolo di Dagon distrutto dalla presenza dell'arca, Un sacerdote si inginocchia davanti all'altare porgendo fasci di grano, Gli esploratori tornano dalla terra di Canaan con un tralcio di vite, Oza muore per aver toccato l'arca.
Contemporaneamente, dal giugno del 1657, partecipava alla decorazione del vestibolo della cappella di S. Sebastiano (navata destra, seconda campata). Ancora in collaborazione con Cristofari e Piccioni realizzò entro il 1660, data dell'ultimo pagamento per questo intervento, il mosaico della cupola raffigurante la Gloria dell'Eterno in trono presso l'Agnello divino adorato dai martiri, ancora su cartone di Pietro da Cortona. Tra il 1662 e il 1663 tradusse in mosaico ancora i disegni di Vanni per le lunette est (due passi del Libro di Daniele: Daniele nella fossa dei leoni e Sidrac, Misac e Abdenago condannati da Nabucodonosor a bruciare nella fornace) e ovest (che unisce due episodi tratti dal Secondo libro dei Maccabei: un angelo reca fasci di palme sopra i corpi delle madri ebree e dei loro figli ed Eleazaro rifiuta di mangiare la carne proibita).
Spesso i mosaicisti sanpietrini erano impegnati in opere di restauro, e lo stesso M. lavorò come restauratore di antichi mosaici. Su commissione del cardinale Francesco Barberini intervenne sul mosaico absidale, risalente al VI secolo, della chiesa dei Ss. Cosma e Damiano: sono documentati pagamenti dal dicembre 1669 all'ottobre 1671 per una somma complessiva di 513 scudi.
L'intervento riguardò la zona inferiore sinistra della calotta absidale: il M. ripristinò le parti mancanti dell'originario mosaico paleocristiano, sostituite da un intonaco a finto mosaico in un restauro cinquecentesco voluto da Gregorio XIII. Si trattò in realtà di un vero e proprio rifacimento che comportò il ripristino del ritratto di Felice IV - committente dell'originario mosaico, che era stato sostituito per volere di Gregorio XIII con quello di Gregorio I -, ma anche della città di Gerusalemme sullo sfondo, ricostruita dal M. in forme trecentesche anacronistiche rispetto alle originarie forme paleocristiane della città di Betlemme sul lato opposto, nonché del fregio sottostante e di parte dell'iscrizione. In onore del cardinale committente del restauro fu aggiunto il cespo di fiori su cui sono posate le api simboleggianti la famiglia Barberini. Tecnicamente il M. riprese dell'originario mosaico soltanto il modo di disporre i filari delle tessere secondo un ordito regolare, utilizzando tessere di maggiori dimensioni e di forma più regolare.
In seguito il M., che doveva godere di un'ottima reputazione, risulta nuovamente impegnato in un importante restauro riguardante il mosaico della cosiddetta Navicella - già nel vecchio quadriportico della basilica di S. Pietro - che le fonti attribuiscono a Giotto, anche se risulta ancora aperto il dibattito critico circa la sua effettiva autografia.
L'ultimo pagamento risale al 15 maggio 1675 per 528 scudi complessivi relativi al lavoro intrapreso nel luglio 1673. A volere tale intervento, che comportò anche il trasferimento del mosaico sulla lunetta centrale della controfacciata nell'attuale portico di S. Pietro, secondo un progetto di Gian Lorenzo Bernini, furono - nel tentativo di salvarlo da uno stato di degrado, come testimoniano le fonti (Suarez; Baldinucci) - il pontefice Clemente X Altieri e il cardinale Barberini. Il mosaico fu scoperto il 19 dic. 1675, sei giorni prima dell'apertura della porta santa in occasione del giubileo, sebbene con le parti incompiute sostituite dal cartone dipinto. Il mosaico del M. sembra seguire la copia della Navicella, realizzata da Francesco Beretta nel 1628 su commissione di Urbano VIII in occasione dello spostamento del mosaico all'interno della basilica affinché se ne preservasse un'immagine fedele (Di Federico); questa era stata successivamente adattata, come il mosaico del M., in uno spazio centinato nella chiesa dei cappuccini: entrambe le opere sono prive della doppia torre, presente nel prototipo, e mostrano i santi nimbati e la raffigurazione dei venti spostati verso il centro della composizione (Savettieri). Nella Navicella del M. affiora un'interpretazione barocca del prototipo, del quale conserva tuttavia alcuni aspetti come l'iconica frontalità del Cristo e le decorazioni in stile cosmatesco della barca. D'altro canto, gli stessi documenti di pagamento evidenziano come il lavoro del M. fosse un'opera autonoma e solo ispirata al prototipo trecentesco, e che lo stesso M. fabbricava le tessere musive, fondendo antichi smalti della Reverenda Fabbrica (Cascioli).
Non sono note notizie successive al restauro della Navicella, che sembra essere, quindi, l'ultimo lavoro del Manenti. Non si conoscono data e luogo di morte.
Fonti e Bibl.: F. Martinelli, Roma ornata dall'architettura, pittura e scoltura (1663), in C. D'Onofrio, Roma nel Seicento, Firenze 1969, p. 155; I.M. Suaresius, Notitia musivo expresse opere naviculae in Basilica Sancti Petri, Romae 1675, cc. 5v, 6r; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno( (1681), Firenze 1845, I, p. 112; A. Furietti, De Musivis, Roma 1752, pp. 98 s., 106 s.; G.P. Chattard, Nuova descrizione del Vaticano, o sia Della Sacrosanta Basilica di S. Pietro, I, Roma 1762, p. 50; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture, Roma 1763, pp. 5, 10; Roma antica, e moderna, Roma 1765, I, p. 47; E. Pistolesi, Descrizione di Roma, Roma 1856, pp. 565, 569; A. Busiri Vici, Il celebre studio del mosaico della Rev. Fabbrica di S. Pietro, Roma 1901, p. 25; G. Cascioli, La Navicella di Giotto a S. Pietro, in Bessarione, XX (1916), pp. 135-137; L. Venturi, La Navicella di Giotto, in L'Arte, XXV (1922), p. 57; F.R. Di Federico, The mosaics of St. Peter's: decorating the new basilica, University Park, PA, 1983, pp. 4, 17, 60 s., 151; G. Cornini, Lo Studio Vaticano del mosaico, in Mosaici minuti romani del '700 e dell'800 (catal., Città del Vaticano), Città di Castello 1986, p. 34; V. Tiberia, Il restauro del mosaico della basilica dei Ss. Cosma e Damiano a Roma, Todi 1991, pp. 19-29, 69, 72; L. Capitani, in La basilica di S. Pietro in Vaticano, a cura di A. Pinelli, Modena 2000, IV, pp. 684 s., 711, 713; C. Savettieri, ibid., pp. 504, 506; P. Zani, Enc. metodica critico-ragionata delle belle arti, XII, Parma 1822, p. 283; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 3.