Ordelaffi
Famiglia di origine rimasta tuttora imprecisata, risulta ambientata in Forlì non prima della seconda metà del sec. XII: infatti le testimonianze superstiti ci consentono di risalire fino a un Pietro, con il quale gli O. nel 1163 figurano la prima volta come enfiteuti del monastero forlivese di S. Mercuriale per numerosi beni immobili nella città e nel suo contado.
Solo nel corso del Duecento la fisionomia di questo casato e la sua consistenza patrimoniale si vanno chiaramente delineando: ora, infatti, gli O. risultano già radicati nel mondo forlivese e, al tempo stesso, partecipi delle lotte comunali, soprattutto contro la vicina Faenza; lotte che col tempo appaiono sempre più strettamente intrecciate con i contrasti di fazione all'interno di ogni città e che, nel declinare dell'Impero medievale, rivelano sempre più scopertamente le ambizioni signorili delle principali famiglie cittadine, in primo luogo, appunto, a Forlì, degli Ordelaffi.
Gli O., che già sotto Federico II avevano rappresentato ed espresso a Forlì e in Romagna un orientamento decisamente filoimperiale, furono frenati nella loro ascesa verso la tirannide dalla tenace rivalità dei Calboli guelfi e, talora, dagli Argogliosi; ma non meno, forse, dalla presenza nella città di un eccezionale capoparte ghibellino: Guido, conte di Montefeltro, il quale, a partire almeno dal 1274 e fino al 1284, fece di Forlì il centro del ghibellinismo romagnolo.
Spentosi poi l'astro montefeltrano, pressoché impotenti le autorità papali a contenere l'impeto ricorrente delle forze autonomistiche comunali, ed entrato in crisi anche a Forlì il guelfismo espresso dai Calboli (costoro vennero persino cacciati in esilio nel 1294), gli O. si videro finalmente spianata, a cavaliere dei secoli XIII e XIV, la via all'acquisto del dominio signorile sulla loro città.
È proprio in questo momento che si deve considerare l'unico accenno di D. agli O.: il poeta, infatti, rispondendo, nel suo immaginario colloquio, a Guido da Montefeltro, nell'ottava bolgia infernale, rievoca le città romagnole per figurazioni geografiche o araldiche. A proposito di Forlì dice che dopo aver sostenuto la lunga prova dell'assedio portatole dalle truppe franco-papali e provocato il sanguinoso mucchio di esse il 1° maggio 1282, sotto le branche verdi si ritrova (If XXVII 43-45): essa cioè si trova sotto la signoria degli O., il cui stemma era formato da tre fasce di verde su fondo d'oro caricato di un leone nascente dipinto pure in verde, quindi con zanne dello stesso colore. Dietro queste immagini D. sembra quasi voler cogliere nei Forlivesi una continuità della loro vocazione antipapale: da Guido da Montefeltro, protagonista appunto del sanguinoso mucchio, agli O. rimasti fedeli a queste tradizioni, da essi testimoniate, prima mediante la loro tenace milizia nelle primissime file del ghibellinismo romagnolo, poi attraverso la protezione e l'aiuto militare accordati ai Bianchi di Firenze e in particolare allo stesso Alighieri.
È a questo punto che la vicenda degli O. si lega direttamente, senza più, cioè, la mediazione della poesia, alle vicissitudini di Dante. L'individuazione di un rapporto fra il poeta e la corte signorile degli O. nel primo decennio del Trecento è stata resa possibile dalle testimonianze seriori dell'umanista e storico forlivese Biondo Flavio (Hist. decades II IX), il quale, sulla base di alcuni scritti (forse una cronaca, come ritiene con buoni argomenti il Campana) di Pellegrino Calvi, cancelliere di Scarpetta O., nei quali, appunto, era menzionato il nome di D., poteva dedurre la presenza del poeta presso la corte forlivese almeno in due momenti ben distinti: una prima volta nel febbraio-marzo 1303, quando D., in qualità di cancelliere del Consiglio dell'università dei Bianchi, dovette essere in stretti rapporti con Scarpetta, divenuto " capitaneus partis Alborum extrinsecorum civitatis Florentiae ", per i preparativi di guerra contro i Neri e in particolare per sollecitare aiuti militari a Bartolomeo della Scala, signore di Verona: una seconda volta nel luglio 1310, in relazione alla prevista discesa in Italia di Enrico VII, quando D.; a nome della Parte bianca di Firenze, avrebbe scritto da Forlì a Cangrande della Scala per deplorare temerità, petulanza e cecità mostrate dai Fiorentini di fronte alla venuta dell'imperatore. È presumibile che entrambe le volte D., data anche l'estrema precarietà dei tempi e l'instabilità delle sue fortune personali di esule non rassegnato, risiedesse non stabilmente presso la corte di Scarpetta, col quale non dimeno dovette intrattenere assidui rapporti di carattere politico, ma senza assumere - come, invece, si è finora creduto dai più - una precisa figura e responsabilità ufficiale di cancelliere di corte (v. anche le voci CALVI, PELLEGRINO; FORLÌ).
Bibl. - P. Cantinelli, Chronicon, a c. di F. Torraca, in Rer. Ital. Script.² XXVIII 2, Città di Castello 1902, 24-26, 55, 86-88, 95; M. Barbi, Sulla dimora di D. a Forlì, in " Bull. " VIII (1892) 21-28 (rist. in Problemi I 189-195); G. Pecci, Gli O., Faenza 1955, 7-38; E. Balzani Maltoni, La famiglia degli O. dall'origine alla signoria, in " Studi Romagnoli " XI (1960) 247-272; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., Firenze 1964, ad indicem; J. Larner, The Lords of Romagna, Londra 1965, 18-20, 82-83, 89-91.