ordine degli elementi
L’ordine degli elementi di una struttura sintattica (come un sintagma o una frase) è un parametro cruciale negli studi linguistici, principalmente in quelli di tipologia. A partire dalla struttura della frase indipendente dichiarativa assertiva (la cosiddetta frase nucleare, del tipo il bambino mangia il gelato; ➔ frasi nucleari), che si prende convenzionalmente come riferimento, è possibile infatti dar conto, a cascata, di un’ampia gamma di altre costruzioni.
Il cardine attorno a cui ruota la questione dell’ordine dei costituenti è la nozione di marcatezza. Questa si riferisce a un’opposizione tra due elementi linguistici, per la quale essi sono uguali in tutto salvo una peculiarità, detta appunto marca, che è presente in uno di essi e manca nell’altro. In altri termini, uno dei due elementi in opposizione è ‘privo’ della marca: ad es., se si considera la coppia di fonemi occlusivi bilabiali /p/ e /b/ (➔ labiali), il secondo è marcato in quanto ha il tratto di sonorità che manca invece nel primo elemento.
Quanto alla sintassi, se si classificano o descrivono le lingue in base all’ordine dei costituenti delle diverse strutture, si ammette che questi hanno una disposizione naturale, o non marcata, e una serie più o meno ampia di costruzioni ‘devianti’ (dette marcate) rispetto a essa, che hanno l’effetto di aggiungere un tratto (la marca) alla frase non marcata. La marcatezza può essere interpretata in chiave sia puramente sintattica sia pragmatica. Le due accezioni sono connesse e possiamo anzi dire che la marcatezza sintattica è una delle strategie di cui una lingua dispone per realizzare la marcatezza pragmatica. Quest’ultima è tipica di una frase che: (a) trasmette più informazioni di quelle ricavabili dalla somma dei significati dei suoi costituenti; (b) può essere utilizzata in un numero minore di contesti.
La frase (1) può essere riformulata come (2):
(1) il bambino mangia il gelato
(2) il gelato, mangia il bambino
invertendo, cioè, le posizioni di ➔ soggetto e complemento ➔ oggetto, collocando una pausa (graficamente rappresentata dalla ➔ virgola) dopo il ➔ sintagma nominale il gelato e attribuendo alla frase un diverso contorno di ➔ intonazione (➔ curva melodica). Tuttavia, la frase (2) così ottenuta non è identica a (1) che è non marcata: (2) può essere utilizzata solo in contesti particolari, principalmente per indicare opposizione rispetto a una precedente affermazione di diverso significato, ad es. in uno scambio dialogico del tipo:
(3) A: il bambino mangia una caramella
B: (no,) il gelato, mangia il bambino
In base alla combinazione dei fattori appena indicati, la frase (2) – che rispetta la sequenza oggetto (O) + verbo (V) + soggetto (S) – in italiano è marcata rispetto alla prima (con sequenza SVO), in quanto (2) veicola in effetti informazioni aggiuntive di natura pragmatica (per es., il valore avversativo).
La marcatezza pragmatica può esser ottenuta anche lasciando intatta la disposizione dei costituenti e modificandone solo il contorno intonativo: in questo caso, la marcatezza pragmatica non è codificata da una marcatezza sintattica. Si pensi, ad es., alle ➔ interrogative dirette cosiddette polari, che non comportano mutamenti rispetto alla corrispondente frase dichiarativa:
(4) il bambino mangia il gelato? → il bambino mangia il gelato
Tuttavia, come la marcatezza pragmatica può non abbinarsi a quella sintattica, anche quest’ultima può non essere indice della prima: come si vedrà in seguito, esistono strutture sintatticamente marcate che non hanno ragioni pragmatiche, ma essenzialmente strutturali.
Prima di descrivere la situazione dell’italiano sono indispensabili due premesse: una sulla natura e gli obiettivi della tipologia, che, si è detto, costituisce il quadro di riferimento per la considerazione del tema di questa voce, e una sugli assunti fondamentali della tipologia sintattica: tali premesse consentiranno di delineare il quadro delle strutture non marcate dell’italiano. Infine, considereremo le principali strutture marcate.
La tipologia linguistica si occupa dello studio della variazione tra le lingue. In altri termini, preso a riferimento un particolare ambito della grammatica (ad es., la codifica della relazione di coordinazione, la costruzione della frase relativa, il sistema dell’articolo, ecc.), la tipologia si domanda come variano le lingue del mondo rispetto alle strategie formali usate per realizzare quell’ambito. Le lingue vengono quindi distribuite in gruppi omogenei in base ad affinità sistematiche sul piano strutturale, indipendentemente sia dai processi storici che le hanno prodotte sia dalle relazioni di parentela tra esse. Ne consegue che lingue non imparentate e/o attestate in epoche diverse, se hanno somiglianze nella struttura, possono rientrare nello stesso raggruppamento.
I raggruppamenti di cui la tipologia linguistica si serve per classificare le lingue si chiamano tipi linguistici. In breve, un tipo linguistico può essere definito come «un insieme di proprietà correlate gerarchicamente e di strategie linguistiche interdipendenti che vengono messe in atto per risolvere i problemi posti alla lingua dalle necessità della comunicazione» (Ramat 1980: 330). I tipi linguistici sono sostanzialmente una semplificazione della realtà osservabile e, in quanto tali, non sono interamente rappresentati da nessuna lingua. Ogni lingua sarà dunque attribuita a un tipo piuttosto che a un altro se una porzione statisticamente rilevante dei parametri esaminati risulterà compatibile con la configurazione di quel tipo.
Il ricorso all’ordine dei costituenti maggiori della frase nucleare come parametro per classificare tipologicamente le lingue ha avuto, negli ultimi decenni, un successo straordinario, soprattutto in seguito ai risultati della ricerca, davvero pionieristica, condotta da Greenberg (19662) negli anni Sessanta del Novecento: egli prese come principale parametro d’indagine la posizione, nella frase nucleare, di tre costituenti: il soggetto (S), l’oggetto diretto (O) ed il verbo (V). Le combinazioni teoricamente possibili di questi tre elementi base consentono di identificare sei tipi linguistici:
(5)
a. SOV
b. SVO
c. VSO
d. VOS
e. OVS
f. OSV
Prima di valutare la diffusione tra le lingue delle strutture in (5), è necessario premettere che i costituenti, che nello specifico sono soggetto, oggetto diretto e verbo (➔ verbi; ➔ predicato, tipi di), non si realizzano ognuno con una sola parola: le frasi
(6) Luca ama Maria
(7) il ragazzo al quale ho prestato il libro di fisica ha superato la temutissima prova scritta che si è svolta ieri nell’aula magna
andranno considerate, quanto all’ordine dei costituenti, come del tutto equivalenti. In entrambe, il soggetto (Luca e Il ragazzo al quale ho prestato il libro di fisica) precede il verbo (ama e ha superato), che a sua volta è seguito dall’oggetto diretto (Maria e la temutissima prova scritta che si è svolta ieri nell’aula magna).
Una ricognizione tra le lingue del mondo rivela che tra le strutture in (5) due hanno netta prevalenza: il tipo SOV (attestato ad es. in turco, in basco, in parte delle lingue ugro-finniche, in coreano, in giapponese, in varie lingue caucasiche, nelle lingue dravidiche, ecc.) e il tipo SVO (cui ricorrono le lingue dei gruppi romanzo – compreso l’italiano –, germanico, slavo e baltico della famiglia indoeuropea, il finnico e l’estone della famiglia ugro-finnica, il vietnamita, il cinese, ecc.). Si calcola che circa il 45% delle lingue del mondo sia del primo tipo e che circa il 42% sia del secondo. Poco meno del 10% delle lingue adotta invece l’ordine VSO (presente ad es. nelle lingue celtiche, in ebraico, in aramaico, in arabo classico, in berbero, in masai, ecc.). Gli ultimi tre tipi, invece, hanno indici di occorrenza irrilevanti. In sostanza, le lingue del mondo, a prescindere dalla loro filiazione genetica e dalla regione in cui sono parlate, paiono convergere sempre sulle medesime strutture nella costruzione della frase nucleare.
Una distribuzione così netta delle lingue del mondo per quanto riguarda l’ordine dei costituenti maggiori non può essere frutto del caso. Le spiegazioni avanzate sono molteplici e, verosimilmente, la vistosa tendenza a privilegiare l’anteposizione del soggetto rispetto all’oggetto dev’essere considerata il prodotto dell’azione di più spinte tra loro associate. Tra queste, menzioniamo l’ipotesi secondo cui la disposizione lineare del materiale linguistico è, almeno in parte, connessa all’organizzazione dell’informazione (➔ dato/nuovo, struttura) che si intende veicolare: il soggetto corrisponde nella maggior parte dei casi a quella che tecnicamente viene definita come l’informazione data, mentre nel resto della frase si trasmette l’informazione nuova. Ora, in un’interazione comunicativa l’informazione data è generalmente tale per tutti i partecipanti, fa parte cioè di una sorta di background comune: conseguentemente, pare naturale collocarla all’inizio della frase, per indicare subito di chi o di cosa si intenda parlare. Collocando l’informazione nuova prima del tema si può invece pregiudicare il successo della comunicazione.
L’italiano moderno, come si è detto, è una lingua SVO (l’➔ italiano antico si comportava diversamente):
(8) Gli abitanti la più parte dell’anno mangiano pane di orgio (Giovan Battista Ramusio, L’Africa di Leone Africano)
(9) I primi che uscirono di casa alle loro faccende videro le muraglie sparse di macchie viscide, giallastre, ineguali, come impresse da spugne lanciate (Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia)
Va tuttavia precisato che non tutte le lingue consentono di stabilire con chiarezza quale sia l’ordine effettivo dei costituenti, in quanto le funzioni che a esso sono attribuite dipendono dalla correlazione con altri segmenti della grammatica. Nelle lingue come l’italiano, in cui l’ordine dei costituenti è relativamente poco flessibile (per es., rispetto al latino: v. oltre; ➔ latino e italiano), la sua funzione è quella di concorrere alla definizione dei ruoli sintattici. In questo senso, in una frase nucleare di solito il soggetto è il sintagma che precede il verbo, mentre l’oggetto è quello che lo segue:
(10) il ragazzosoggetto ama la ragazzaoggetto
Se invertiamo i due sintagmi (➔ sintagma, tipi di), si modifica anche la distribuzione dei ruoli sintattici: la ragazza (S) ama il ragazzo (O). Ciò rende le due frasi non equivalenti dal punto di vista semantico. Nelle lingue che hanno un sistema di casi, all’ordine dei costituenti tocca indicare i ruoli sintattici: per questo, esso può perdere la propria rigidità. In una frase latina come
(11) puer puellam amat «il ragazzo la ragazza ama» → «il ragazzo ama la ragazza»
la disposizione delle parole è irrilevante per l’identificazione di soggetto e oggetto diretto: il primo è il nome al nominativo (puer), il secondo quello all’accusativo (puellam), qualunque posizione abbiano. Una frase come puellam puer amat avrà una caratterizzazione pragmatica diversa, ma senza che ciò incida sull’identificazione degli ➔ argomenti del verbo e sul contenuto informativo della frase.
Possiamo quindi affermare che il latino è una lingua prevalentemente SOV (cioè con testa a destra) ma con ordine libero, mentre l’italiano è una lingua spiccatamente SVO (cioè con testa a sinistra). In generale, nelle lingue senza un sistema di casi l’ordine dei costituenti è meno libero di quanto lo sia nelle lingue con casi. In questo senso, l’italiano ha indubbiamente minore libertà del latino nella disposizione dei costituenti in frasi e sintagmi. Tuttavia, se rapportato ad altre lingue prive di declinazione nominale, come l’inglese o il francese, mostra un maggior grado di flessibilità.
Come si vedrà meglio più avanti, mentre l’ordine testa-complementi (o modificatori) è spesso inalterabile (ad es., il genitivo e la frase relativa non possono stare che dopo la loro testa), per quanto concerne la struttura di frase l’italiano ha a disposizione una gamma di tipi di movimento che sono, invece, in buona parte ignoti ad altre lingue con esso più o meno direttamente imparentate (come inglese o francese, appunto).
Come si è accennato, in un tipo linguistico coesistono più tratti strutturali teoricamente indipendenti, eventualmente disposti in sequenze ordinate gerarchicamente. In questo modo, si ha a disposizione un efficace strumento di previsione sulla struttura dei sistemi linguistici. Infatti, se si accerta in una lingua storico-naturale che c’è uno dei tratti che si collocano al vertice della gerarchia, si può prevedere che ci siano anche tratti che occupano le posizioni più basse della medesima gerarchia.
In questo paragrafo si esaminerà la disposizione dei costituenti del ➔ sintagma verbale, V e O, in quanto, nella letteratura di impronta tipologica, sono stati individuati vari altri costrutti la cui struttura interna risulta connessa proprio con quella del sintagma verbale. I parametri connessi con la posizione di V e O sono essenzialmente:
(a) la presenza di ➔ preposizioni (o, in talune lingue, posposizioni: le une più le altre si dicono tecnicamente adposizioni);
(b) la struttura del ➔ sintagma nominale (in pratica, la posizione rispettiva del nome e dei suoi modificatori);
(c) la posizione degli ausiliari (➔ ausiliari, verbi) rispetto al verbo lessicale, della ➔ negazione e degli ➔ avverbi rispetto al verbo;
(d) la posizione della congiunzione subordinante (➔ congiunzioni) rispetto alla frase subordinata;
(e) la collocazione dei pronomi interrogativi (➔ interrogativi, aggettivi e pronomi);
(f) la struttura delle costruzioni comparative (➔ comparative, frasi; ➔ secondo termine di paragone).
In base alla combinazione di questi parametri, si possono individuare due tipi di riferimento, che per comodità chiameremo VO e OV.
Il primo prevede di norma: la sequenza nome + modificatore e nome + frase relativa nel sintagma nominale; la presenza di preposizioni (quindi la sequenza adposizione + complemento); la posizione iniziale del pronome interrogativo e della congiunzione subordinante; la sequenza ausiliare + verbo lessicale; ecc.
Le lingue di tipo OV, invece, si comportano in modo specularmente opposto: collocano la relativa e i modificatori davanti al nome e il pronome interrogativo e la congiunzione subordinante in posizione finale, optando per le posposizioni in luogo delle preposizioni e anteponendo il verbo lessicale all’ausiliare.
La situazione può essere schematizzata come riportato nella tab. 1.
Il thailandese, lingua della famiglia thai, riproduce fedelmente il tipo VO; il turco (lingua altaica) è invece un buon esempio di lingua OV.
Prima di analizzare la situazione dell’italiano, dobbiamo chiederci dove si celi la ragione di queste correlazioni. Ora, se scomponiamo pezzo a pezzo il tipo VO osserviamo che, per quanto concerne il sintagma verbale, l’elemento in esso dominante, tecnicamente definito testa, cioè il verbo (è il verbo che stabilisce, ad es., se un oggetto diretto debba o possa esserci o meno), precede l’oggetto, cioè il suo complemento. Accade lo stesso nel sintagma nominale, la cui testa è il nome (è il nome, ad es., che innesca i meccanismi di ➔ accordo: sono gli aggettivi, i dimostrativi e gli articoli a concordare con il nome, non viceversa; inoltre, mentre i modificatori possono anche essere omessi, il nome deve necessariamente essere specificato: il bambino simpatico → il bambino, ma → *il simpatico; il cane di Luigi → il cane, ma → *il di Luigi): i complementi e i modificatori (come il genitivo, l’aggettivo o la frase relativa) si collocano alla destra della testa nominale.
Se prendiamo in esame il terzo costrutto, cioè il sintagma adposizionale, notiamo che è introdotto da una preposizione: ciò significa che nel tipo in questione l’adposizione, cioè la testa del sintagma adposizionale, è alla sinistra del suo complemento, ecc. Il secondo tipo (OV) adotta la strategia opposta: in esso la testa segue sempre i suoi complementi/modificatori.
Quindi, riepilogando, il principio soggiacente ai due tipi ‘ideali’ concerne la posizione reciproca di testa e complementi/modificatori: il tipo VO obbedisce al principio testa a sinistra (o testa iniziale), il tipo OV al principio testa a destra (o testa finale). In questo modo, dunque, un unico principio consente di spiegare molteplici strutture. Se una lingua è VO possiamo prevedere che essa tenderà a collocare sempre i modificatori del nome alla sua sinistra, l’ausiliare prima del verbo lessicale, ecc. Una lingua sarà tanto più vicina all’immagine ideale del tipo quanto maggiore sarà il numero dei costrutti che si conformano al principio su cui esso si fonda.
L’italiano è una lingua che rappresenta in modo piuttosto omogeneo e coerente il tipo VO (testa a sinistra o testa iniziale):
(12) sintagma verbale: (S)VO
a. (i burattini) [s] riconoscono [v] il loro fratello Pinocchio[o] (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)
b. (gli uomini della paranza) [s] […] cantavano [v] delle canzonette [o], ognuno per suo conto (Giovanni Verga, I Malavoglia)
(13) preposizioni
a. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle (Francesco d’Assisi, Laudes creaturarum)
b. Con la sinistra man prende la briglia, con l’altra tocca e palpa il collo e ’l petto (Ludovico Ariosto, Orlando furioso I, ottava 76, v. 1)
(14) sintagma nominale: nome + genitivo
a. Mischiate sono a quel cattivo coro [n]
de li angeli genitivo che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio (Dante, Inf. III, 37-39)
b. Dio solo ha potuto distinguere qual più, qual meno tra queste abbia dominato nel cuor [n] di que’ giudici genitivo (Manzoni, Storia della colonna infame)
(15) sintagma nominale: nome + aggettivo
a. et avea distesa una tovaglia [n] bianchissima aggettivo in su l’erba [n] verde aggettivo et avea suo tamerice con vino e suo mazzero [n] molto pulito aggettivo (Novellino XXI)
b. Il digiuno fa i cibi [n] saporiti aggettivo e buoni aggettivo, e la sete fa l’acque [n] dolcissime aggettivo e delicate aggettivo (Giulio Cesare Croce, Le piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino)
(16) sintagma nominale: nome + frase relativa
a. Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe [n], che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude
(Giacomo Leopardi, “L’infinito”)
b. Teresa e suo padre se n’erano iti con Odoardo [n] il quale andava a rivedere i conti al fattore d’una tenuta [n] ch’egli ha in que’ dintorni (Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis)
In più, l’italiano ha l’ausiliare prima del verbo lessicale nei ➔ tempi composti (salvo che in alcuni proverbi e formule), la congiunzione subordinante prima della frase subordinata, il pronome interrogativo in posizione iniziale, la testa dei composti prima del complemento/modificatore (per es., capostazione, pesce palla; ➔ composizione). Quindi, può essere ascritto al gruppo delle lingue con testa a sinistra (o testa iniziale).
Tuttavia, ciò non pone l’italiano al riparo da deviazioni rispetto a questa matrice. Queste, si è detto, concorrono di norma a creare strutture sintatticamente e spesso anche pragmaticamente marcate. Però, non tutte le strutture devianti rispetto alla matrice prevalente possono esser spiegate con condizionamenti di ordine pragmatico. Perché ciò avvenga è infatti necessario che il costrutto in questione possa riprodurre, in rapporto al contesto, sia la struttura naturale (dunque con testa a sinistra) sia quella marcata. Esiste d’altronde un insieme di costrutti che violano sistematicamente il principio prevalente in italiano, senza nessun vincolo contestuale. Ci soffermeremo innanzitutto su queste ultime, per trattare, in seguito, delle prime.
La quasi totalità delle costruzioni devianti rispetto alla matrice testa iniziale caratterizzano il ➔ sintagma nominale. Molti modificatori del nome, infatti, contraddicendo quanto affermato nella sezione precedente, si antepongono ad esso. Si tratta, principalmente, dell’articolo, dei determinanti, dei quantificatori e dei numerali:
(17)
a. il cane
b. i cani
c. un cane
d. dei cani
e. tutti i cani
f. alcuni cani
g. qualche cane
h. questo cane
i. quel cane
j. tre cani
In quasi tutte le forme elencate in (17) la sequenza nome + modificatori è inaccettabile: in questi casi la deviazione rispetto alla matrice prevalente in italiano non ammette dunque eccezioni e non può, evidentemente, essere ascritta a condizionamenti di natura pragmatica. In altri termini, un parlante non può scegliere di collocare l’articolo o il numerale dopo il nome (e non prima) per enfatizzarne, ad es., il significato o per attivare una lettura non letterale del medesimo. La ragione della natura ‘anomala’ di questi costrutti andrà quindi ricercata altrove.
L’ipotesi che meglio dà conto di simili situazioni è la cosiddetta branching direction theory (in italiano «teoria della direzione della ramificazione»: cfr. Dryer 1992). Essa prevede che, nelle costruzioni non marcate, i costituenti formati da più parole tendano a conformarsi in modo quasi categorico alla matrice prevalente nella lingua. Al contrario, i costituenti di tipo puramente lessicale, composti in genere da un’unica parola (privi dunque di struttura sintattica), paiono meno propensi ad adattarsi alla matrice prevalente e, talvolta, a occupare rigidamente una specifica posizione nella struttura di frase.
Nel sintagma nominale, per es., tra i modificatori del nome occupano rigidamente la posizione alla sua destra la frase relativa e il genitivo, cioè due costituenti con struttura sintattica interna. Tecnicamente, si dice che essi ramificano, cioè corrispondono a un nodo dal quale dipartono due rami. Si considerino due sintagmi nominali elementari come questa macchina (testa a destra) e macchina di mio padre (testa a sinistra). Essi possono essere rappresentati come segue:
schema (18)
schema (19)
Notiamo che in (19) il modificatore ha una struttura di tipo sintattico, in quanto è realizzato mediante un ➔ sintagma preposizionale. Nel grafo corrispondente, dal nodo SP originano in effetti due rami. Al contrario, in (18) il modificatore della testa nominale è un elemento sintatticamente inanalizzabile: dal nodo det. non si diparte alcun ramo.
La branching direction theory prevede in sostanza che in una lingua vi sia una tendenza piuttosto forte a collocare i costrutti di natura sintattica sempre prima o sempre dopo la testa: la ramificazione dovrebbe avvenire dunque sempre nella stessa direzione, o a destra o a sinistra della testa. Invece gli elementi che non ramificano (come l’articolo o i quantificatori) paiono esenti da questa restrizione.
In questo quadro, l’italiano può essere descritto sia come una lingua con testa a sinistra, sia, al contempo, come una lingua con ramificazione a destra, in quanto solo i complementi/modificatori con struttura interna si collocano sempre a destra della loro testa.
L’ipotesi della direzione della ramificazione spiega in modo convincente anche il comportamento dell’aggettivo, la cui analisi ci consente di passare dalle deviazioni sistematiche rispetto alla matrice prevalente a quelle occasionali (quindi con valenza pragmatica). La posizione dell’aggettivo è uno dei parametri di maggior tradizione negli studi di tipologia sintattica (➔ aggettivi; ➔ relazione, aggettivi di), ma si è rivelato, in realtà, poco affidabile: l’aggettivo può infatti oscillare tra la posizione pre- e quella post-nominale, talvolta col medesimo significato (20), talvolta assumendo una lettura semantica diversa da quella letterale (21):
(20) bella tavola = tavola bella
(21) alto ufficiale ~ ufficiale alto
Coerentemente con ciò che si è detto sopra, l’aggettivo, in quanto elemento sintatticamente inanalizzabile, è meno sensibile ai vincoli imposti dalla matrice testa iniziale che caratterizza l’italiano. Tuttavia, mentre strutture del tipo questa tavola e questo ufficiale non possono dirsi pragmaticamente marcate, in quanto l’agrammaticalità della sequenza inversa (*tavola questa, *ufficiale questo) rende impossibile l’opposizione che è, si è visto, il presupposto per la marcatezza, le strutture in (20) e (21) sono marcate proprio perché si oppongono rispettivamente a tavola bella e ufficiale alto. Nel secondo caso, la marcatezza sintattica si associa a quella pragmatica: nella sequenza alto ufficiale l’aggettivo non fa letteralmente riferimento alla statura dell’ufficiale, ma ne indica, per trasposizione, il grado; solo ciò spiega l’accettabilità di una forma solo all’apparenza incongrua come un alto ufficiale basso. Questo significato non può invece essere attivato nel sintagma un ufficiale alto, dall’ordine non marcato (da cui l’inaccettabilità di *un ufficiale alto basso).
Quando però la modificazione aggettivale è espressa da un costituente più ‘pesante’, vale a dire con una struttura sintattica interna (ad es., un ➔ superlativo analitico: il più bello), l’unica collocazione possibile è quella dopo la testa nominale (22); la violazione della matrice testa + modificatore diventa nella quasi totalità dei casi agrammaticale (23):
(22)
a. Tornato Martino un’altra volta, ebbe il cardinale con lui colloquio molto longo sopra i capi della sua dottrina (Paolo Sarpi, Istoria del Concilio tridentino)
b. Mi pare un burattino fatto di un legname molto asciutto (Collodi, Le avventure di Pinocchio)
c. Fino a poco tempo fa il Belgio mostrava al mondo il suo volto per bene e di Bruxelles si parlava soltanto come capitale d’Europa (dal corpus Coris)
(23)
a. *una molto bella tavola
b. *un molto alto ufficiale [ma un altissimo ufficiale].
Nella sintassi di frase dell’italiano, le deviazioni rispetto all’ordine canonico sono molteplici. Un buon esempio di costruzione marcata sintatticamente ma non pragmaticamente è dato dalla posizione postverbale del soggetto dei verbi inaccusativi (i verbi intransitivi con ausiliare essere del tipo arrivare, partire, uscire, cadere, scappare; ➔ inaccusativi, verbi), dei verbi pronominali come ammalarsi (➔ pronominali, verbi) e dei verbi al passivo (➔ passiva, costruzione) (Andorno 2003; Jezek 2003).
Nei verbi inaccusativi il soggetto ha proprietà che di norma caratterizzano l’oggetto diretto dei verbi transitivi, come la combinabilità con ne ➔ partitivo (24 a.), la possibilità di formare una costruzione di participio assoluto (24 b.) (➔ assolute, strutture) e di riferirsi, con funzione di aggettivi, a un nome che è il loro stesso soggetto (24 c.), oltre alla già citata posizione postverbale (24 d.) che è una conseguenza di tali affinità:
(24)
a. Dopo un anno cattivo ne eran venuti molti di buoni (Ippolito Nievo, Confessioni di un italiano)
b. Usciti gli sposi, entrò l’ingegnere per salutar sua sorella prima di andare in chiesa (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico)
c. Una ragazza come Teresa, appena uscita di collegio, poteva andare in una casa dove c’erano di quei pasticci? (Federico De Roberto, I Viceré)
d. All’imbrunire uscirono i primi lumi dalle botteghe (Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli)
Non solo i verbi inaccusativi, però, hanno il soggetto in posizione postverbale in frasi marcate sintatticamente e/o pragmaticamente. Questa struttura occorre spesso anche con verbi inergativi (ha telefonato Lucia; ha scritto il tuo amico di Parigi) e con costruzioni passive (è stato pubblicato il commento sulla partita). Il fenomeno inoltre non è limitato alle frasi principali, ma si estende anche alle subordinate (quando ha telefonato Luca, stavo leggendo un libro). In termini generali, la possibilità di collocare il soggetto dopo il verbo pare elevata per i verbi monoargomentali e, invece, assai ridotta per i verbi bi- e triargomentali (almeno nella ➔ diatesi attiva).
Alcune costruzioni marcate hanno, quanto all’organizzazione dell’informazione, una struttura molto prossima a quella della corrispondente frase non marcata. Nel caso della frase passiva, ad es., la sequenza tema-rema (➔ tematica, struttura) è mantenuta inalterata, così come la corrispondenza tema-soggetto e rema-sintagma verbale. In questo caso, la marcatezza deriva dalla mutata relazione tra le funzioni grammaticali degli argomenti del verbo e i ruoli tematici. Mentre in una frase di tipo SVO il soggetto tende a rappresentare l’agente e l’oggetto ad associarsi al ruolo del paziente, nella struttura passiva quest’ultimo risale nella posizione di soggetto:
(25) il cane insegue il gatto → il gatto è inseguito dal cane
Anche nella frase interrogativa polare (➔ interrogative dirette) il rapporto tra struttura sintattica e articolazione dell’informazione resta invariato: la differenza tra frase non marcata e marcata risiede esclusivamente nel particolare contorno melodico di quest’ultima:
(26) il cane insegue il gatto → il cane insegue il gatto?
Anche la frase imperativa (➔ imperativo), come le precedenti, trova la ragione della sua marcatezza nella prospettiva della relazione tra mittente e destinatario e nella volontà, da parte del primo, di condizionare l’azione del secondo: dammi il libro! In questo caso, nuovamente, è il contorno melodico della frase che opera come marca formale.
Esistono tuttavia altre costruzioni marcate, in cui la struttura della frase semplice è profondamente intaccata; ciò determina una profonda ristrutturazione della struttura informativa. In quel che segue, procederemo a una panoramica sulle principali strutture devianti rispetto alla matrice SVO dell’italiano, rinviando alle voci specifiche per una trattazione più dettagliata (➔ focalizzazioni).
Come si è osservato, dal punto di vista della struttura informativa l’italiano ha la successione tema-rema. Sul piano sintattico, nella frase non marcata il tema coincide di solito con il soggetto, il rema col predicato. Può accadere, però, che il tema non coincida con il soggetto. In questo caso, il costituente che trasmette l’informazione data può essere tematizzato, cioè spostato a inizio di frase o, tecnicamente, dislocato a sinistra (➔ dislocazioni).
In una dislocazione a sinistra, il costituente mantiene la forma che avrebbe se comparisse nella sua sede naturale; in altri termini, continua ad essere sintatticamente integrato nella frase.
Il costituente dislocato può essere pronominalizzato (➔ pronomi; ➔ pronomi di ripresa):
(27)
a. La gioia del burattino è impossibile descriverla: bisogna sapersela figurare (Collodi, Le avventure di Pinocchio)
b. A lui portate le mie voci, e conto gli fate, o venti, il mio destin crudele (Vincenzo Monti, Prometeo)
c. Io ad Armando non glielo dico, io a Falco non glielo dico, non glielo dico (Oriana Fallaci, Insciallah, dal corpus Coris)
d. Io in Mali non ci sono mai stata perché da quando ci siamo conosciuti non ci è mai andato neppure lui (Laura Gambi, Awa che vive due volte, dal corpus Coris)
Un esempio famoso di dislocazione a sinistra compare anche in uno dei cosiddetti Placiti cassinesi (➔ origini, lingua delle), tra le prime attestazioni di volgare:
(28) Sao ko kelle terre, per kelle fini che ki contene, trent’anni le possette parte Sancti Benedicti
L’oggetto kelle terre è infatti collocato al bordo sinistro della frase e ripreso poi dal pronome (➔ pronomi di ripresa) le accanto al verbo possette.
Ovviamente, anche il soggetto può essere dislocato a sinistra, ma in questo caso la sua posizione rispetto alla successione dei costituenti non muta: in genere, esso è separato dal resto della frase da una pausa (talvolta rispecchiata graficamente da una virgola) e, più in generale, la frase assume un contorno intonativo particolare, che consente di coglierne la marcatezza pragmatica:
(29)
a. Marco, viaggia sempre in prima classe
b. Marco, di sera, porta a spasso il cane
In generale, la dislocazione a sinistra caratterizza le varietà di lingua proprie del parlato, del ➔ registro informale e dell’➔italiano popolare. Berruto (19984: 66) segnala che in alcune attestazioni, soprattutto nelle varietà più spiccatamente substandard, la dislocazione a sinistra non serve praticamente più per tematizzare; piuttosto, essa rappresenta una sorta di «centro di interesse (comunicativo)»: l’elemento dislocato a sinistra servirebbe dunque a mettere un elemento come «centro d’attenzione del parlante».
La dislocazione a destra si ha, al contrario, quando un elemento della frase è spostato al margine finale della frase, eventualmente anticipato da un pronome che assume, dunque, funzione cataforica (e che può essere omesso; gli esempi sono estratti dal corpus Coris):
(30)
a. Ne fu visibilmente commossa. E tu non lo apri il mio? Chiaro! Vi trovò un piccolo ciondolo d’oro (Cesare Matteini, La prima volta di Franz)
b. Ma non lo voleva il suo spinello, non la voleva Sheila, non li voleva i suoi consigli, e che ne sapeva Matteo di quel che si soffre in certi casi? (Fallaci, Insciallah)
c. È scritto dappertutto, ribatto, non le leggi le riviste femminili? (Daniela Gambini, Cosa ti piace di me? Storie di ragazzi a Palermo)
d. Ma voi, sotto la tonaca, non li portate i pantaloni? Io ho visto che padre Domenico ce li ha, i pantaloni (Lara Cardella, Volevo i pantaloni)
I costituenti dislocati sono di norma considerati come parte dell’informazione data, quindi del tema o del già citato «centro di interesse comunicativo della frase» (Berruto 19984: 66); vengono dunque richiamati alla fine della stessa, per maggior enfasi: «gli elementi dislocati si riferiscono a qualcosa che il parlante considera già dato come tema del discorso, quindi presente all’ascoltatore, ma che alla fine viene richiamato» (Benincà, Salvi & Frison 1988: 160; Simone 1997).
Al pari della dislocazione a sinistra, il ➔ tema sospeso comporta lo spostamento all’inizio della frase di un costituente che s’intende tematizzare; ma, a differenza della dislocazione, nelle costruzioni a tema sospeso il costituente tematizzato non è integrato nella struttura della frase, perde, cioè, gli indicatori della sua funzione sintattica. Nel tema sospeso, poi, il pronome di ripresa è obbligatorio e può essere sia un pronome clitico (come nella dislocazione a sinistra; ➔ clitici), sia un pronome tonico, sia un altro elemento (ad es., un dimostrativo):
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a. E que’, che guarderà tuttor la strada,
Certana sie ch’e’ li parrà morire
Insin ched e’ no·lla vedrà venire
(Dante, Il Fiore CLXXXVIII, 5-7)
b. Calandrino, se la prima gli era paruta amara, questa gli parve amarissima (Giovanni Boccaccio, Dec. VIII, 6)
c. Quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro, e sperare che anderanno in un buon luogo (Alessandro Manzoni, I promessi sposi XXXVI)
d. Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto (ivi, IX)
e. E il primo che va in giro di notte gli faremo la pelle (Verga, Vita dei campi).
La frase scissa (➔ scisse, frasi) ha il medesimo contenuto di una frase semplice dalla struttura non marcata, ma scisso in due parti: un elemento è isolato e posto in rilievo all’inizio della frase (D’Achille, Proietti & Viviani 2005). L’elemento in posizione di rilievo (il costituente scisso) è, secondo Prandi (2006: 170), il fuoco della frase: «la frase scissa isola sintatticamente il fuoco» e «gli conferisce un rilievo massimo, e al tempo stesso proietta il resto del messaggio su uno sfondo piatto, privo di rilievo interno. […] Il fuoco non è più il punto culminante del rema, e la stessa distinzione tra tema e rema scompare, appiattita sullo sfondo».
Dal punto di vista formale, la costruzione scissa è costituita da due frasi: una principale, formata da una perifrasi del tipo essere X che a soggetto nullo + una subordinata dipendente (gli es. seguenti sono estratti dal corpus Coris):
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a. Non sono io che ti ho detto qualcosa contro Malachia (Umberto Eco, Il nome della rosa)
b. O sono io che non riesco più a distinguere il buon consiglio dalla deriva del senso? (Eco, Il pendolo di Foucault).
Nei dialetti e negli italiani regionali, l’ordine degli elementi maggiori (soggetto, oggetto e verbo) e anche di alcuni minori può presentarsi difforme da quelli sopra descritti. Per es., nell’italiano di Sardegna il participio passato dei ➔ tempi composti tende a collocarsi prima dell’ausiliare: mangiato lo ho «l’ho mangiato»; in diverse parlate salentine, l’oggetto tende a precedere il verbo anche in frasi non marcate: il giornale ho comprato «ho comprato il giornale». Per dettagli, si rinvia alle voci rilevanti (➔ italiano regionale; ➔ dialetti) e a quelle a esse connesse.
Coris: http://corpora.dslo.unibo.it/CORISCorpQuery.html
LIZ = Stoppelli, Pasquale & Picchi, Eugenio (a cura di), Letteratura Italiana Zanichelli. CD-Rom dei testi della letteratura italiana, Bologna, Zanichelli, 1993 (4a ed. 2001)
Andorno, Cecilia (2003), La grammatica italiana, Milano, Bruno Mondadori.
Benincà, Paola, Salvi, Giampaolo & Frison, Lorenza (1988), L’ordine degli elementi della frase e le costruzioni marcate, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1° (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale), pp. 129-239.
Berruto, Gaetano (19984), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Carocci (1a ed. Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1987).
D’Achille, Paolo, Proietti, Domenico & Viviani Andrea (2005), La frase scissa in italiano: aspetti e problemi, in Tipologia linguistica e società. Considerazioni inter- e intralinguistiche. Due Giornate italo-danesi di studi linguistici (Roma, 27-28 novembre 2003), a cura di I. Korzen & P. D’Achille, Firenze, Cesati, pp. 249-279.
Dryer, Matthew S. (1992), The Greenbergian word order correlations, «Language» 68, 1, pp. 81-138.
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Jezek, Elisabetta (2003), Classi di verbi tra semantica e sintassi, Pisa, ETS.
Prandi, Michele (2006), Le regole e le scelte. Introduzione alla grammatica italiana, Torino, UTET.
Ramat, Paolo (1980), Il concetto di “tipo” in linguistica, «Lingua e stile» 3, pp. 329-335.
Simone, Raffaele (1997), Une interprétation diachronique de la ‘dislocation à droite’ dans les langues romanes, «Langue française» 115, pp. 48-61.