OREFICERIA (fr. orfèvrerie; sp. orfebrería; ted. Goldschmiedekunst; ingl. goldsmith's work)
Antichità. - Già nell'età neolitica più recente l'uomo si sentì attratto verso lo splendore dell'oro, e piccoli ornamenti aurei, lavorati con martelli di pietra, furono rinvenuti nei dolmen e nelle allées couvertes di Francia in strati neolitici (es. grotta del Castellet nei Pirenei orientali; tumulo di Pouy-Mayou). Così in Egitto si trovano ornati aurei in tombe neolitiche del quinto millennio a. C. Però solo nei primi tempi dell'età del bronzo si cominciò a fondere l'oro e contemporaneamente venne assai in uso l'argento.
Possiamo scorgere l'estesa lavorazione dell'oro nelle grandi civiltà anteriori al 1000 a. C., cioè nella Mesopotamia, in Egitto, nel bacino dell'Egeo, con centro principale a Creta. In Mesopotamia l'orefice usava forme da fondere di calcare e di serpentino per procedere alla fabbricazione in grande di oggetti di ornamento; pare che fosse ignoto l'uso dello smalto cloisonné. Prezioso e di stupefacente bellezza è l'elmo d'oro in forma di parrucca trovato in una tomba di Ur (Babilonia) attribuito al quarto millennio a. C. Nel periodo di Hammurabi appare la granulazione; a questo periodo (circa 2000 a. C.) appartiene una collana di globuli aurei, a cui sono appesi emblemi divini con ornati granulati. Tali ornati appaiono anche nelle cupolette auree di cilindri-sigilli. Non rare sono le collane a perle rotonde, i pendenti di orecchini e le anelle. Forme pesanti si hanno nell'oreficeria assira; notevole è un fulmine aureo a tre fiamme, attributo del dio Adad.
In Egitto nell'età protodinastica frequenti sono gli ornati di oro che si rinvengono nelle tombe; primeggiano i braccialetti della sposa del re Zer (1ª dinastia) ritrovati nella sua tomba di Abido. Oltre ai braccialetti cominciano ad apparire frontali, anelli, collari; questi ultimi sono a più serie di sfere e di dischi.
Col perfezionarsi dell'oreficeria si hanno nella XII dinastia, per esempio, le belle corone auree di principesse del Museo del Cairo con vaghi motivi floreali, in cui sono incastrate pietre colorate e pezzetti di vetro. Durante la stessa XII dinastia (2000-1788 a. C.) incomincia l'influsso dei popoli mediterranei, cioè dei Cretesi, influsso che si accentua nella XVIII dinastia (1580-1345 a. C.), così che durante la XIX dinastia (1345-1200 a. C.) l'oreficeria egizia si presenta analoga a quella straniera.
In Egitto si hanno oreficerie a traforo, con la unione di fili o di laminette o di verghette, già nella XVIII dinastia con gli esemplari recentemente ricuperati dalla celebre tomba del faraone Tut‛ankhamôn; per la XIX dinastia si hanno i pendagli della collana della regina Tawosret.
Dalle iscrizioni di Tḥutmóśe III apprendiamo che i carri dei nemici siri nella battaglia presso Megiddo erano adorni d'oro e di argento. E nei bottini e nei tributi sono enumerati molti utensili, armi e carri, in cui l'opera dell'oreficeria si doveva essere esplicata con grande ricchezza accanto al bronzo, all'argento, alle pietre preziose. Queste notizie sono confermate dalle scene figurate nelle tombe egizie, dove osserviamo dignitarî o ambasciatori siri recare ai faraoni oggetti aurei, soprattutto vasi, da cui emergono fiori o animali. Tutto ciò dimostra la floridezza dell'oreficeria in Siria e nella Fenicia; secondo l'Antico Testamento (I Re, VII, 48 e segg.; X, 16 e segg.) furono appunto i Fenici ad insegnare l'oreficeria agli Ebrei: di oro e di avorio era il trono di Salomone, aurei erano anche i suoi recipienti per bere, i vasi e gli utensili del tabernacolo, e di oro erano in parte ornate le pareti del tempio. Di fronte tuttavia a quest'ampia documentazione di oreficerie stupisce la scarsità dei rinvenimenti: piccoli dischi, rosette, piastrelle con ornati sbalzati, laminette da cucire sulle stoffe o da inserire in utensili, pendagli. Assai rari sono pezzi massicci (per esempio le tazze lisce nella tomba principesca di Biblo).
Nel bacino dell'Egeo, cioè nella civiltà cretese-micenea, il primo esempio di oreficeria è offerto da un pendaglio aureo proveniente da Dimini (secondo periodo neolitico della Tessaglia). Ma una vera oreficeria abbiamo nei rinvenimenti di Mochlos, in Creta, dove le tombe proto-minoiche (seconda metà del 3° millennio a. C.) hanno fornito frontali, pendagli, collane, anelli con ornati incisi, punteggiati, sbalzati; la decorazione è essenzialmente di carattere geometrico: losanghe, crocette, rudi figure di quadrupedi (cani) affrontati, in un frontale sono due occhi, che verosimilmente coprivano gli occhi del defunto. Da un solo pezzo di metallo sono state tratte spille, la cui capocchia è a forma di fiore con petali aperti; è uno dei primi segni della tendenza dell'arte minoica alle forme vegetali.
Altri esemplari di oreficeria dei primi tempi sono un ornato da Tirea a Berlino e una "salsiera" da Steraia (Arcadia) nel Museo del Louvre. Dal secondo strato di Troia proviene il celebre cosiddetto tesoro di Priamo di bronzo, argento, oro (diademi, orecchini, braccialetti, spille). Le oreficerie constano di minuscole lamine e filamenti; ben noto è il diadema costituito da ben 16.337 pezzi, che insieme formano 90 catenelle, che pendono da una catena principale lunga 52 centimetri.
Le imitazioni, cioè i vasetti di mezza maiolica e le cosiddette tazze-uovo di Cnosso, presuppongono l'esistenza di vasi aurei laminati e lavorati a sbalzo nel medio minoico; ma assai scarsi originali aurei si sono rinvenuti. Nella prima fase del tardo minoico (sec. XVI a. C.) rientra il grande rinvenimento delle tombe a fossa del recinto funerario di Micene: ivi erano sepolti, come immersi nel fulvo oro, i membri più antichi della dinastia regnante.
Laminette auree di forma svariatissima e di varia decorazione si rinvennero in quantità ingente attorno ai cadaveri (v. brattea); dalla sola terza fossa uscirono ben 701 laminette auree ritagliate a dischetti. Le lamine erano in origine o inchiodate sulle casse funebri, o incollate sulle fasce di tela che avvolgevano i cadaveri. Molti oggetti aurei dovevano servire di ornamento personale dei defunti; sono ancora da ricordare le maschere funebri di lamina aurea. Oltre alle laminette a disco vi sono quelle a forma di foglia di platano, o di polipo, o di animali, o di figura muliebre ignuda, o di tempietto.
Nell'ornamentazione vi sono cerchietti, spirali ricorrenti, figure di polipi o di farfalle. Oltre alle lamine vi sono nel tesoro funebre di Micene vasi aurei di lamina, parecchi dei quali sono lavorati a sbalzo con rilievi impressi e ritoccati dal bulino; noto assai è il calice su alto piede, con due figurine di colombe sulle anse, sì da richiamare l'aureo calice di Nestore (Iliade, XI, 632 segg.). In tutto questo materiale è da discernere ciò che è di fabbrica locale micenea (per es. le maschere, che sono il primo tentativo in Europa di ritratto; parecchi vasi laminati) da ciò che è importato da Creta. D'importazione cretese sono certamente i bellissimi anelli con castoni aurei, in cui sono scene di caccia o di culto espresse con brio e slancio si vedano due anelli analoghi da Tirinto.
Talora in questa oreficeria cretese-micenea è il connubio di varî metalli, come, per esempio, nel rhyton dalla quarta fossa funeraria di Micene a forma di testa taurina, e nei celebri pugnali, bronzi lavorati all'agemina (v.) di Micene. L'oreficeria a sbalzo nel vasellame ci è rappresentata da tre capolavori: dalle due coppe di Vafió con scene di animali bovini e dalla coppa di Midea (Argolide) con figure della vita marina. Sono opere certamente importate da Creta.
Ma al paragone di tutti questi monumenti di Micene e di altre località della Grecia propria (oltre a Tirinto, a Vafió e a Midea, Volo, Egina, ecc.) scarso è il contributo all'oreficeria dato dalla Creta preellenica: si vedano alcune collane da Festo e da Haghia Triada; notevole è di Cnosso una figurina di leone con la criniera lavorata a granulazione, uno dei primi esempî nel Mediterraneo di tale tecnica.
Nella seconda e nella terza fase del tardo minoico nell'oreficeria si avverte la decadenza; specialmente scompaiono i vasi aurei e subentrano i vasi bronzei. Alla più tarda oreficeria micenea appartengono alcuni ornati ciprioti (necropoli di Encomi) e soprattutto l'interessante tesoro di Egina (1200-1000 a. C.) del British Museum, dove la decorazione assume aspetti di pronunciata stilizzazione. Si aggiungano gli ornati aurei, dove predominano le spirali, di Asarlïk (Caria).
Nell'età geometrica l'oro si riduce a pochi nastri sottili decorati a sbalzo, con ornati e con figure umane e bestiali; è una povera sopravvivenza del tramontato costume cretese-miceneo di seppellire i defunti circondati da oreficerie. Gli ornati sono a stampiglia; si aggiungano, rarissimi, i braccialetti ed orecchini con granulazione.
Riprende l'oreficeria con novello, ricco impulso nel mondo greco a partire dall'arte orientalizzante, cioè dal sec. VIII a. C. e specialmente durante il sec. VII a. C. Efeso e Camiro (Rodi) sono le località da cui in maggior numero sono ritornati alla luce gioielli aurei. Si possono constatare le tecniche a stampa e a granulazione, più raramente quella a filigrana. Sono fibule, collane, spille, pendenti, orecchini, armille; la decorazione in queste oreficerie è geometrica, fitomorfa, ma anche figurata; motivi frequenti nelle oreficerie camiresi sono la testa umana di fronte con chioma a parrucca e la figura dell'Artemide Persica o dea πότνια ϑηρῶν (signora delle belve).
Negli ornati aurei di Efeso e di Rodi, oltre ad elementi assiri ed egizî, sono influssi lidî; oreficerie consimili a quelle di Camiro si sono ritrovate a Tralles (Aydïn) in suolo lidio; d'altro lato queste oreficerie ionico-asiatiche presentano punti di contatto con quelle etrusche, onde in questo sguardo all'oreficeria sarà opportuno rivolgere ora l'attenzione a quanto ci si manifesta in Italia e precisamente in Etruria.
In Italia, alla fine dell'età del bronzo, comincia ad apparire l'uso dell'oro in unione col bronzo, come, per esempio, in una fibula ad arco di violino di bronzo placcato d'oro della palafitta di Peschiera. Poi nell'età del ferro è il connubio dell'oro non solo col bronzo, ma anche con il ferro, il quale metallo è dapprima di uso assai raro e perciò prezioso. Alla fine del sec. VIII, forse per opera degli Etruschi, comincia a infiltrarsi il repertorio decorativo orientalizzante. Fra le prime oreficerie di tale tipo dobbiamo annoverare quelle di Poggio alla Guardia (Vetulonia), e quelle di un sepolcreto delle Bucacce presso Bisenzio (spirali, fibule, bulle con decorazione geometrica). Ma è durante il sec. VII che l'oreficeria etrusca raggiunge l'apogeo con insigni prodotti usciti specialmente dalle necropoli di Vetulonia, di Vulci, di Cerveteri, di Palestrina. È il periodo delle cosiddette tombe degli ori, perché gli Etruschi, riprendendo il costume miceneo, ammassano aurei gioielli accanto ai defunti nei ricchi, ampî ipogei. Sono in uso le varie tecniche: a incisione, a sbalzo, a stampiglia, a granulazione, a filigrana. Si hanno talvolta capolavori, come la grandiosa fibula lunga cm. 32 della tomba cerite Regolini-Galassi, con laminetta a disco, con due bastoncini e con scudetto, ornata di figure leonine a sbalzo e di figurine di grifone a laminette a tutto tondo (v. fig. vol. XV, p. 215); come nelle fibule di Vetulonia (della tomba del Littore e della Costiaccia Bambagini) e del circolo della fibula di Marsiliana d'Albegna a granulazione, anzi a pulviscolo. Nell'oreficeria etrusca del sec. VII si possono distinguere due zone, quella che ha per centro Vetulonia, e quella che ha per centro Cerveteri, con propaggine nel Lazio, a Palestrina.
Nello stile sono del tutto differenti le oreficerie fenicie contemporanee alle suddette greche ed etrusche: i rinvenimenti maggiori sono quelli di Cipro, di Tharros (Sardegna), di Cartagine e il tesoro di Aliseda (Spagna). Caratteristici sono gli orecchini con pendaglio di laminetta a croce di Malta; frequenti sono i motivi assiri ed egizî (leone, falco, forme piramidali).
Nei paesi transalpini, l'oro è frequente nella civiltà detta di Hallstatt, specialmente nella fase più recente.
Nelle tombe principesche a tumulo del Württemberg e del Baden sono diademi, armille, torques, ecc. come nelle tombe di Giesshübel, di Römerhügel presso Ludwigsburg, di Trisloch presso Kappel sul Reno. Oreficerie hanno fornito analoghi sepolcri della Svizzera (Allenlüften presso Berna) e della Francia (Champ-de-la-Butte nella Costa d'Oro). Ma varie località della Francia sono ricche di oreficerie degli ultimi tempi dell'età del bronzo; ciò è dato dalla presenza di oro alluvionale in parecchi bacini fluviali francesi. Il rinvenimento più importante è quello del carro aureo di Avanton (Vienne) alto cm. 46; ma si hanno inoltre spirali, anelli, braccialetti e soprattutto collari di lamina a forma di mezzaluna, che sono comuni a paesi germanici (Schulenburg nel Hannover), ma che hanno il loro centro d'irradiazione dall'Irlanda: su 80 pezzi, 60 sono irlandesi: l'Irlanda invero ha dato origine a un'industria assai grande dell'orafo. Ma con tutti questi prodotti si scende al sec. III a. C.
Ritorniamo perciò in Grecia, dove nel periodo arcaico parca è l'oreficeria sia per i mutati gusti, sia, e ciò è più verosimile, per il fatto che le invasioni persiane recarono la devastazione e asportarono come bottino tutto ciò che era oro.
Al periodo di arte sviluppata, posteriore al 480 a. C., appartengono varî tipi di oreficerie: corone onorarie, orecchini di vari tipi (a spirale, a sanguisuga, a disco, ad anello; spesso con pendagli a forma di figure), collane.
Ma nell'oreficeria greca tra i secoli VI-IV a. C. eccelle la magnifica congerie di esemplari usciti dai tumuli semibarbarici della Scizia e dei paesi nordici: le oreficerie ioniche di Vettersfelde della prima metà del sec. VI a. C., le coppe, gli ornati di armi e di pettorali di Kelermes (Kuban), pure del sec. VI, i vari esemplari rhyton di argento e d'oro trovati nel tumulo dei "Sette Fratelli" (Kuban), i magnifici rinvenimenti di Kerč (Panticapeo) in Crimea dei secoli V e IV a. C., specialmente i medaglioni rappresentanti la testa della parthénos di Gul-Oba, il calato di Taman, il rinvenimento di Solocha sul Dnepr (pettine aureo del secolo IV a. C.). Sono prodotti di arte attico-ionica adattata in suolo barbarico. Invece carattere speciale ha l'oreficeria persiano-scitica, che conosciamo essenzialmente attraverso il tesoro dell'Oxus (175 pezzi ora nel British Museum); qui è la pretta corrente dell'arte persiana degli Achemenidi tra il sec. V e il sec. III a. C.
In Etruria dopo la magnifica fioritura del sec. VII a. C., si ha una contrazione, sebbene non molto accentuata, nell'attività degli orafi: al sec. VI rimontano gli anelli vulcenti con castone aureo figurato. Gli orecchini sono di forma prevalentemente a baule, le collane sono a pendagli e a globetti. Rare divengono le fibule; nel sec. V comincia ad apparire l'orecchino a laminetta ellissoidale con scudetto a sbalzo. Nella tecnica vi è una decadenza nel grossolano. Più tardi sono le corone a foglie sottilissime, le cosiddette coronae sutiles (v. Ovidio, Fasti, V, 335); riappaiono frequenti le bullae. Ma a partire dal sec. IV a. C. l'oreficeria etrusca che è di parata, con la tecnica facile a stampigliatura, con forme barocche, presenta un aspetto ben diverso dalla squisita raffinatezza del sec. VII: poi essa va confondendosi per le forme con la ellenistica. In questa gli orecchini hanno forme complicate; l'antico orecchino ad anello si espande a lamina ripiegata, con pendagli a forma di testa umana, spesso di negro, o a pera. Oppure si ha la forma a rosetta con appeso un vasetto, o a disco con piramidetta, o a mezzaluna con pendagli numerosi e varî. Vi sono i braccialetti serpentiformi, i torques, le borchie, le collane con bulle lenticolari, la stephánē con ornamenti vegetali a filigrana. Questa tuttavia diventa meno frequente; ciò è dovuto specialmente al grande favore che godevano come decorazione le pietre preziose. Un rinvenimento istruttivo di oreficerie dei primi tempi ellenistici (prima metà del sec. III a. C.) è quello di Santa Eufemia presso Vibo Valentia (Monteleone Calabro), ora nel British Museum. In età romana si cade nel grossolano; già nell'età augustea si portano i pezzi di ornamento che hanno importanza solo per la quantità del metallo adoperato; per esempio vi sono braccialetti aurei del peso di un mezzo chilogrammo. Peculiari sono le fibule, le quali sembrano uno sviluppo del tipo La Tène con molle bilaterali; da questo tipo si sviluppa, a partire dal sec. I d. C., quello a balestra. Vi sono corone a fasce di lamina sottile con figure di divinità a sbalzo, pendagli e amuleti, tra cui comuni le lunulae; ma un pendaglio prediletto a partire dalla dinastia dei Flavî è fornito da una moneta aurea o da un calco di moneta in laminetta aurea con il ritratto dell'imperatore regnante. In stretto rapporto con gli amuleti sono le tavolette auree inscritte con massime orfiche, o gnostiche, o magiche. Nelle oreficerie romane era una profusione di pietre preziose d'ogni genere e di paste vitree di varî colori; a partire dal sec. III d. C. si nota l'uso di oreficerie traforate (aurum interrasile di Plinio, Nat. Hist., XII, 94).
Medioevo ed età moderna. - Durante i primi secoli del Medioevo, nei centri di maggiore cultura del mondo cristiano, Roma, Ravenna, Antiochia e Bisanzio, la decadenza fu lenta e alcune tecniche, come il rilievo figurativo, perdurarono; alla sua periferia e nel mondo barbarico e orientale, le forme dell'esaurita oreficeria classica, miste ad altre orientali e sassanidi, furono elaborate specie per opera dei Goti, che le diffusero nelle regioni conquistate. A parte le opere in cui le tradizioni classiche continuarono indebolite, le oreficerie in cui l'arte sembra più rinnovarsi, e in Oriente e in Occidente, presentano il comune carattere di una decoratività a base pittorica raggiunta con eguali mezzi tecnici: lo sbalzo a scarso rilievo di tipo geometrico, il traforo nella lamina, l'uso delle lamelle di granato o di vetro, a trasparenza, le sovrapposizioni di gemme non levigate, le incisioni geometriche, gl'intrecci di filigrana granulare.
Quale sviluppo abbia raggiunto l'oreficeria presso i Goti nella Dacia, dimostra il tesoro, forse del re Atanarico, trovato in Romania a Petrossa (Petroasa) nel 1837 e poi in parte disperso. Era formato da ben 22 oggetti d'oro massiccio fra i quali alcuni appartengono in tutto all'arte classica; ma altri, a granati e a gemme entro trafori e alveoli, sovrappongono a questa i modi di decorazione derivati dall'arte scitica e persiana.
Al tempo degli ultimi re goti della Spagna, Recesvinto e Svintila, appartiene il tesoro di ricchezza prodigiosa, trovato nel 1858 a Guarrazar, presso Toledo (Museo di Cluny, Parigi, e Armeria reale di Madrid) formato di corone, alcune votive, altre no, tutte d'oro, con trafori chiusi da vetri rossi, zaffiri e perle. Altre oreficerie di grande bellezza formano il tesoro di Szilágy-Somlyió (Şimleul Silvaniei, in Transilvania; Musei di Vienna e di Budapest), fra cui due tazze d'oro, con scarso, ma elegantissimo ornato; altre furono trovate nel 1842 nella Champagne: notevoli quelle del Museo di Troyes (secolo V). L'oreficeria barbarica in Italia è assai ben rappresentata. Gli oggetti trovati nelle necropoli barbariche, hanno mostrato quanto grande fosse l'uso dell'oro presso i barbari anche per uso personale. Spade con else d'oro furono trovate a Nocera Umbra (Museo delle Terme, Roma); d'oro era la corazza di Teodorico, rubata al Museo di Ravenna; moltissimi gioielli furono trovati a Castel Trosino (Museo delle Terme); altri si trovano a Brescia, a Bologna, a Trento, a Verona, a Cividale, ecc. Di lamina d'oro usavano piccole croci da ornare le vesti dei Goti cristiani e si facevano altri ornamenti per vesti e per bardature. Uno splendido tesoro di oreficerie di svariata origine conserva la cattedrale di Monza: ricordiamo un reliquiario (sec. VIII) di forma simile a quello di Enger (Berlino, Kunstgewerbe Museum), con una superficie fantasmagorica di gemme sparse sopra una sottile trama d'oro; la "corona ferrea" di dubbia datazione, più raffinata nella decorazione di smalti con alveoli di rapporto e di gemme ritmicamente sparse; la rilegatura d'oro (sec. VII) di rara bellezza, certo eseguita da un orafo esperto nel creare ritmi decorativi.
La decorazione miniata dei manoscritti irlandesi e inglesi dei secoli VI-VIII suggerì agli orafi nordici, massime agl'irlandesi, motivi decorativi a intrecci lineari e mostruosi. Di stile celtico è il calice Ardagh (sec. IX-X) di argento, di oro e smalto (Museo di Dublino). Nel reliquiario in rame dorato della cattedrale di Coira, si nota la stessa derivazione dai manoscritti irlandesi che si appalesa anche nel calice del convento di Kremsmünster ornato di placche di argento nichelato (donato dal duca Tassilone deposto nel 780) e nella rilegatura dell'evangeliario di Lindau (New York, collez. Morgan).
L'oreficeria carolingia. - Al rinnovamento generale delle arti favorito da Carlo Magno e dai suoi discendenti, l'oreficeria prese attiva parte. Essa mantenne le qualità pittoriche e le tecniche barbariche, ma aggiunse il rilievo figurato a sbalzo, di derivazione diretta dagli avorî e dai manoscritti.
Ne restano molti esempî, come il reliquiario di Pipino nel Tesoro di Conques; rilegature del salterio di Carlo il Calvo nella Bibliothèque Nationale di Parigi), di un evangeliario del duomo di Aquisgrana, del sec. IX, ecc. Ma il capolavoro dell'oreficeria del sec. IX è l'Altare d'oro della chiesa di S. Ambrogio a Milano eseguito al tempo dell'arcivescovo Angilberto (824-859) da un maestro Vuolvinio (v. altare; argento). Alla personale fantasia dell'artista, oltre che alle esperienze di bottega, si deve l'eleganza pittorica dell'opera, eseguita in lamina d'argento e argento dorato incorniciata da sottili galloni a smalti, a perle, a filigrane, l'armoniosa spartizione dell'ornato, il patetico ritmo dei rilievi rappresentanti fatti della vita di S. Ambrogio e di Cristo. Altre opere della stessa epoca eseguite in Italia, dove grande fu il numero delle corone e croci votive, non soltanto a Roma - come attesta il Liber Pontificalis - ma anche nelle piccole chiese, non hanno eguale bellezza. Si vedano, ad esempio, le due custodie argentee di reliquiarî conservate nel tesoro della Cappella detta Sancta, Sanctorum al Vaticano (una eseguita al tempo di Pasquale I, 817-824), la Pace del duca Orso nel duomo di Cividale (sec. VIII-IX), il cofanetto argenteo del duomo di Cividale, ecc.
Oreficeria bizantina. L'arte bizantina produsse capolavori non soltanto per la raffinata tecnica del lavorare metalli preziosi ma per l'uso squisito degli smalti e per il gusto della composizione. A Costantinopoli, presso la corte imperiale che favoriva tutte le industrie suntuarie, l'attività degli argentieri e degli orafi, organizzati in corporazione, era sorvegliata per assicurare la purezza della materia. Gli scrittori antichi attestano di quanti tesori d'oreficeria fossero piene la chiesa di S. Sofia, le altre chiese e il palazzo imperiale. Preziosi oggetti erano inviati in dono dagl'imperatori alle chiese di Occidente (croce di Giustino II nel tesoro di S. Pietro; reliquiario della S. Croce a Poitiers: oggetti ricordati dal Liber Pontificalis), erano commessi alle officine di Bisanzio (dall'abate Desiderio per Montecassino); furono poi depredati in grandissimo numero, nel 1204, dai crociati e distrutti oppure dispersi nelle chiese di Occidente. Anche il vestiario bizantino, specialmente aulico, sovraccarico di pietre preziose, favorì l'oreficeria. La quale nello stile risentì influenze orientali, specie persiane, nell'uso delle gemme e dei granati in castone (croce del Sancta Sanctorum a Roma; rilegatura della Bibl. Marciana) ma nelle opere più originali espresse quel classicismo, sovente esteriore (Padova, cattedrale: calamaio di argento), spesso connaturato con proprî caratteri come le altre forme dell'arte bizantina. E adoperò ogni varietà di tecnica: il rilievo, la filigrana, il traforo.
Ricordiamo oltre alle opere già ricordate, il reliquiario della croce nella cattedrale di Limburg s. L. (sec. X); la "croce degli Zaccaria" nel duomo di Genova (sec. XI); i calici, le lampade, i reliquiarî del tesoro di S. Marco di Venezia, la cui "pala d'oro" fu ricomposta nel 1105 con frammenti più antichi, rinnovata in modi bizantini nel 1209, e in modi gotici nel 1345; la legatura della Biblioteca di Siena, gli oggett) conservati nei monasteri del monte Athos.
Oreficeria romanica. - Dal 1000 al 1200 l'oreficeria partecipa al generale rinnovamento artistico. Mantenendo il gusto della pittoricità, comincia a ricercare effetti di volume, di chiaroscuro e di armonia. Continuò a usare le filigrane, le gemme, gli smalti ad alveoli, i cammei dell'oreficeria carolingia e bizantina, ma aggiunse lamine d'oro fortemente sbalzate e financo statuette, ora fuse, ora in legno ricoperto di lamina d'oro; compose con maggiore equilibrio la forma degli oggetti; creò una nuova tecnica per gli smalti. Il progresso delle oreficerie in questi secoli è sincrono nell'Italia, nella Spagna, nella Francia e nella Germania.
Italia. - Nell'Italia meridionale, più stretti rapporti con l'Oriente favorirono l'importazione di opere bizantine (croci di Gaeta, di Cosenza, della cattedrale di Napoli; di Velletri; Capua, cattedrale: rilegatura); ma in Sicilia la commistione di fantasie decorative e di perfette tecniche, si risolvette in un'originale e raffinata produzione che ha esempî nel braccio reliquiario della cattedrale di Messina, nella corona di Costanza II del tesoro della cattedrale di Palermo, nei sandali, nella spada e nel manto di re Ruggero (Vienna, Schatzkammer).
Nelle altre regioni d'Italia le scarse oreficerie sacre ora mantengono la semplice decorazione plastica in lamina d'argento e argento dorato, servendosi anche di stampi bizantini (paliotto della cattedrale di Città di Castello; pala d'argento del duomo di Cividale), ora mostrano una ricerca di nuove tecniche (legature dell'evangeliario di Ariberto nel duomo di Milano; pace di Chiavenna; legatura nel duomo di Vercelli).
Germania. - Le officine monastiche, ricevendo impulso d'opere bizantine per i rinnovati contatti con la corte di Bisanzìo, vi pervennero ad opere di grande originalità. Nuove tecniche preferite furono: gli smalti ad alveoli incavati con disegno figurativo, rilievo a fortissimo sbalzo, statuette a tutto tondo eseguite in legno con sovrapposte lamine d'oro; forme nuove antropomorfiche e architettoniche furono date ai reliquiarî, alle croci spesso con riquadri alle estremità dei bracci, ai candelieri, ai molti oggetti di oreficeria sacra. Con lavoro assiduo, svoltosi nelle officine dei conventi, l'oreficeria romanica tedesca giunse a subordinare la decorazione a una linea architettonica sobria e conclusa e diede alla decorazione un alto valore simbolico e illustrativo. L'oreficeria fu specialmente attiva a Hildesheim (secolo XI), a Essen (v. statuetta rappresentante la Madonna col Bambino, in legno ricoperto di lamina, nel tesoro di Essen), a Ratisbona, sotto Enrico II (altare d'oro della cattedrale di Basilea, oggi nel museo di Cluny a Parigi).
Tra gli orafi del principio del sec. XIII va ricordato il monaco Ruggero di Helmershausen (altare portatile del duomo di Paderborn, ecc.) che si è voluto identificare con Teofilo, autore della Schedula diversarum artium tanto importante per la tecnica dell'oreficeria medievale.
Nei paesi scandinavi l'oreficeria fu operosa nei secoli XII e XIII derivando motivi ornamentali dalle tradizioni irlandesi, e forme plastiche dalla Germania, come poi ancora nell'età gotica.
Francia. - Già al termine del sec. X la Francia vanta la preziosa statua di S. Fede nel Tesoro di Conques. Nei secoli XI e XII alcune abbazie, come quella di Saint-Benoît a Digione e le città di Parigi, Chartres, Limoges, produssero belle opere di oreficeria, dapprima legate alla tradizione bizantina, poi libere ed originali. Di gusto ancora bizantino sono le oreficerie donate da Suger abate di Saint-Denis (morto nel 1152), oggi al Louvre, il calice della cattedrale di Reims, elegantemente girato da un gallone di filigrana e gemme, l'ampolla del museo di Caen; poi, orefici espertissimi, ricchi di fantasia come Goffredo de Claire, Nicola di Verdun, Ugo d'Oignies, elaborarono genialmente i consueti motivi. I due primi raggiunsero potenti effetti di plastica decorativa e di colore, mentre Ugo d'Oignies, mostra una più delicata sensibilità pittorica.
A poco a poco, le botteghe di Limoges presero il sopravvento sulle altre; quivi, l'uso degli smalti ad alveoli incavati sostituì le filigrane e gli smalti alla bizantina, il rame dorato fu ampiamente usato anche per la decorazione plastica e si giunse così a una produzione meno costosa, di facile esecuzione e suscettibile a divenire industria, come poi divenne.
Spagna. - L'oreficeria romanica adoperò qui largamente la tecnica della filigrana, resa fragilissima dall'esperienza degli orafi arabi, e dello smalto in alveoli di tipo geometrico, secondo la tecnica romana barbarica; usò scarsamente il rilievo e la statua a tutto tondo.
Oreficeria gotica. - Nel corso del sec. XIII l'oreficeria si trasforma totalmente. La linea costruttiva dell'oggetto, fino allora trattata con scarso interesse, s'impose come indispensabile e prima ricerca. Il verticalismo, passando dall'architettura all'oreficeria, rinnova, illeggiadrendola, la forma di tutte le oreficerie sacre e profane e poiché l'architettura si accostava a una decorazione da oreficeria, questa ne trasse ampio partito e imitò guglie, pinnacoli, statuette, ampî trafori. Effetti pittorici si raggiunsero anche mediante gli smalti trasparenti e mediante un rilievo basso ed espanso. L'oro e l'argento furono le materie più usate; meno frequenti che nel periodo precedente gli oggetti di bronzo dorato.
Italia. - L'oreficeria gotica comincio alla fine del sec. XIII in Toscana, e quivi continuò fino alla fine del sec. XIV-prima metà del sec. XV; in altre regioni invece, rimase fino alla metà del sec. XVI. Pur avendo caratteri generali eguali, si diversificò secondo la natura e lo spirito delle varie regioni. Le corporazioni degli orafi ebbero statuti e marchî in molte delle maggiori città e anche in centri minori, importanti per la produzione delle oreficerie, come Sulmona e Aquila. Siena tenne il più alto posto nell'oreficeria gotica italiana come nell'interpretare in modo proprio le altre forme dell'arte gotica. Nel 1256 vi lavorava, con opere di tecnica ancora romanica, Pace di Valentino, ma nel 1290 l'orafo Guccio di Mannaia dettava il prototipo di tutti i calici gotici con il calice di Nicolò IV nel tesoro di S. Francesco ad Assisi, con decorazioni di smalti translucidi; più tardi, Ugolino e altri orafi eseguirono il reliquiario della cattedrale di Orvieto tutto a smalti, Giovanni Di Bartolo senese operava ad Avignone e a Roma ed eseguiva reliquiarî antropomorfici in lamina di argento dorata con ornati a sbalzo e a smalto (busto reliquiario di S. Agata nella cattedrale di Catania). La forza d'espansione dell'oreficeria senese, dovuta al mirabile accordo fra struttura e decorazione, fu grande. Giunse nell'Umbria dove operarono Paolo Vanni di Perusio (croce nella collegiata di S. Maria di Spello) e Cataluzio (calice e patena del museo di Perugia); in Sicilia, dove tutta l'oreficeria appare dominata dai suoi modelli (calice di Pietro II in S. Maria di Randazzo), ad Avignone con maestro Toro di Siena, in Ungheria per opera di Pietro di Simone, in Spagna, in Inghilterra. Anche le botteghe di Sulmona, e poi di Aquila e di Teramo, accolsero i modelli senesi; poi li elaborarono con fresca originalità e nel sec. XV l'orafo Nicola da Guardiagrele riunì tutte le esperienze tecniche in opere originali per forma, ricche di smalti, di altorilievi e di fregi, di gusto provinciale, ma sempre armoniose e vivaci (v. croci in S. Maria Maggiore in Lanciano, in San Massimo di Aquila, in S. Giovanni in Laterano ecc.). A Venezia, dove erano rimaste più costanti le tecniche e le qualità delle oreficerie bizantine e cioè la filigrana (opus veneticum), il rilievo e l'amore alla decorazione pittorica, nel sec. XV giunsero forme gotiche e germaniche. Le opere rimaste, come il calice del Victoria and Albert Museum a Londra, i candelieri di Cristoforo Moro nel tesoro di S. Marco dello stesso autore, la croce di S. Giorgio degli Schiavoni, la croce di S. Teodoro e molte altre nei tesori delle varie chiese d'Italia, mostrano con quale sensibilità e quale ricca fantasia gli orafi veneziani trattarono la materia, ottenendo, senza smalti e senza gemme, per via di trafori, di rilievi di gradina, di fogliette arricciate e cesellate, effetti di originale decorazione. Nella Lombardia (reliquiario dei Ss. Innocenti in S. Ambrogio di Milano; calice di G. Galeazzo Visconti a Monza, croce di Andreolo de Bianchi a Bergamo, ostensorio di Voghera nel castello di Milano), in Piemonte (oreficerie delle chiese di Aosta), in Liguria (reliquiario di Teramo di Daniele nella cattedrale di Genova), a Bologna (reliquiario nella chiesa di S. Domenico) restano molte ricche opere di oreficeria gotica.
Anche operosa fu Firenze, dove le opere principali sono quasi di pura plastica: il paliotto della cattedrale di Pistoia a cui lavorarono Andrea di Iacopo di Ogniabene, Leonardo di Giovanni da Firenze e molti altri orafi; quello del Battistero di Firenze (Museo dell'Opera) iniziato dalla parte frontale, nel 1366, da Betto di Geri e da Leonardo di Giovanni. L'oreficeria siciliana, dominata da forme senesi, fiorentine e catalane si accostò nel sec. XV più decisamente alle forme spagnole (calici nel tesoro di Geraci Siculo, cassa reliquiaria di S. Agata nel tesoro della cattedrale di Catania). Una più stretta aderenza ai modelli catalani mostra l'oreficeria gotica in Sardegna (croce della parrocchiale di Ales)
Francia. - Gli orafi francesi dei secoli XIII e XIV furono inimitabili per sapiente unione delle linee architettoniche con le forme plastiche, per grazia, per misura nell'ornato, per tecnica raffinata (urna di Saint-Taurin a Èvreux, calici, pastorali, reliquiarî con deeorazione a cesello e decorazione a smalti translucidi a colori azzurri e brillanti, statuette, oggetti suntuarî d'uso profano che s'indovinano ricchi e di capricciosa forma dalle descrizioni degli antichi inventarî). L'arte franco-fiamminga della fine del secolo XIV e del principio del sec. XV ha lasciato una serie di opere preziose e di rara tecnica: rilievi d'oro colorati a smalto tra cui il più celebre è il "cavallo d'oro" con Carlo VI inginocchiato a pié della Vergine (Altötting in Baviera), a cui s'accostano per consimile tecnica il "Calvario di Mattia Corvino" (cattedrale di Esztergom) nella parte superiore, le paci di Montalto (Roma, Palazzo Venezia), di Arezzo, di Vicenza, ecc.
Germania - L'oreficeria gotica, soverchiamente dominata dalla imitazione delle forme architettoniche e da eccessivo realismo nella decorazione plastica figurativa, s'irrigidì, in Germania, nella ripetizione di pochi tipi. Mantengono nel sec. XIII le alte qualità dell'oreficeria romanica i reliquiarî antropomorfici modellati con sommarietà di forma e potenza espressiva; scarse qualità decorative presentano invece i reliquiarî in cui la fusione dei motivi plastici, architettonici, naturalistici avviene raramente. Nell'Ungheria tutte le opere gotiche mostrano una diretta derivazione dalle forme germaniche, ma vi si trova anche sviluppata una maniera di smalto e filigrana forse derivata da Venezia.
Spagna. - Il trasferimento della corte di Siviglia e l'amore al lusso favorirono lo sviluppo dell'oreficeria assai più che nel periodo antecedente. Ricca e originale fu la produzione delle botteghe di Barcellona, di Saragozza, ecc., nelle quali furono assorbite ed elaborate influenze diverse francesi e senesi. Oltre ai busti reliquiarî (es. nella cattedrale di Saragozza) ebbero molto sviluppo le custodie di forma architettonica a grandi dimensioni (es. nella parrocchia del Salvador de Burriana di Las Cuevas de Cañart), le belle croci, ricche di ceselli e smalti (chiese di Cuencabuena, di Linares, di Porreras nell'is. di Maiorca, ecc.), i calici eleganti di forma e di ornato (es. nelle cattedrali di Tortosa, di Toledo).
Inghilterra. - Qui pure le forme gotiche si diffusero, ma sono assai rari i pezzi di oreficeria di quel periodo. Assai discussa è l'origine delle rare opere trecentesche. Le oreficerie del sec. XV mostrano un orientamento sicuro verso le tedesche e le francesi specialmente per gli oggetti di uso profano.
Oreficeria del Rinascimento. - Italia. - Più a lungo che nelle altre arti, persistettero nell'oreficeria in Italia la maniera gotica e il suo repertorio di ornati, e cioè fino verso il termine del sec. XV, quando cedettero, non senza lasciare residuo, di fronte all'arte del Rinascimento che diede anche agli orafi un nuovo senso di proporzioni, di rapporti plastici, e tutto un nuovo genere di decorazioni. Il repertorio decorativo, formatosi nel sec. XV con elementi tratti dalla nuova architettura e ispirati all'antichità, nel sec. XVI si ampliò in Lombardia, a Roma, a Firenze, anche alimentato da motivi introdotti da maestri fiamminghi e tedeschi. Erano ghirlande e cherubini, delfini e cavalli, figure mitologiche e cristiane, candelabri e festoni, maschere e fiori, nastri e volute, motivi ben noti ai pittori, agli scultori, ai maiolicari, che l'orafo accolse con l'unico intento di creare composizioni di ritmi ornamentali.
Gli orafi conobbero tutte le tecniche passate (come dimostra anche il Trattato sull'oreficeria di B. Cellini) e altre ne perfezionarona per raggiungere effetti coloristici, come quella dello smalto dipinto, del niello, dell'incisione nel cristallo di rocca e nelle gemme.
Le opere non erano eseguite nei conventi, ma nelle botteghe, e poiché per essere orafi occorreva una somma di esperienze nel disegno, nel modellare, nell'architettare, gli orafi potevano passare a qualsiasi altra arte avendo di tutte la perfetta esperienza tecnica. Furono orafi il Ghiberti, il Verrocchio, Antonio del Pollaiolo, il Francia, Luca della Robbia, ecc. In tutte le città e presso tutte le corti d'Italia si formarono botteghe assai attive, con orafi espertissimi. Scarso è oggi, in confronto al numero delle opere citate dagl'inventarî e ai nomi dei molti orafi, il numero di oreficerie del secolo XV e XVI conservate in Italia.
Firenze tenne il primato. La croce dell'altare del Battistero (Firenze, Museo dell'Opera), eseguita da Antonio del Pollaiolo con Miliano Dei e da Betto Betto (1457-1459) ha reminiscenze gotiche ma è più profondamente improntata al nuovo stile, poi spiegatosi (1478-1480) nei rilievi del Pollaiolo e del Verrocchio per i fianchi dello stesso altare. Alla fine del sec. XV per Lorenzo il Magnifico ebbe una produzione mirabile di oreficerie sacre e profane, poi continuata nel sec. XVI. Un esempio delle magnifiche saliere ricordate spesse volte negli inventarî, resta nella saliera di Benvenuto Cellini; tra le oreficerie sacre si possono rammentare quelle di S. Lorenzo e di S. Maria del Fiore; tra le profane, il superbo cofanetto Farnese nel Museo Nazionale di Napoli, opera del Manno fiorentino. Delle oreficerie venete del Rinascimento sono esempî assai belli il candeliere e la croce di Valerio Belli (Londra, Victoria and Albert Museum), la cassettina pure di Valerio a Palazzo Pitti, l'evangeliario del duomo di Padova, la rilegatura del breviario Grimani, ecc. Molti e famosi erano gli orafi: Ludovico Caorlino, Antonio M. Fontana. Luca da Sesto, Vittore Camelio. Anche in questi secoli il Rinascimento ebbe nelle varie regioni d'Italia caratteri proprî.
Nella Lombardia, l'ornato si sovrappone ai piani con un eccesso di vitalità sulla linea costruttiva, che pure risalta nel reliquiario di Lodi, nonché nel piedistallo del "Calvario di Mattia Corvino" (Esztergom, cattedrale) a smalti dipinti su fondo azzurro, attribuito da E. Toesca a orafo lombardo, mentre Francesco Gregorio di Gravedona goticheggiava ancora e Pietro Lierni da Como cercava una strana complicazione architettonica (croci nelle chiese di Buglio, di Teglio, di Varenna). Le opere di Cristoforo Foppa detto il Caradosso, eccellente e celebre argentiere, si accostavano invece a quelle toscane e venete e dovettero essere miracolose per finezza tecnica. Gli orafi milanesi furono esperti negli smalti, nei nielli; già nella prima metà del sec. XV Amadio da Milano fu al servizio degli Estensi e nella seconda metà del sec. XVI orafi lombardi tenevano il campo a Roma contendendo il primato ai Toscani.
A Brescia ebbero fama le argenterie di Giovanni Francesco delle Croci, fini ed eleganti nel rilievo, a Reggio, quelle di Bartolomeo Spani; ad Ascoli, a Osimo, a Bovino si diffusero le opere di Pietro Vanini. A Perugia C. e F. del Roscetto nel reliquiario dell'anello della Madonna 1511; cattedrale) si attengono a forme fiorentine. Nell'Abruzzo continuava la tradizione di Nicola da Guardiagrele e le oreficerie di Bartolomeo Romanelli e dei suoi figli dànno un largo sviluppo all'elemento plastico. In Sardegna come in Sicilia, forme toscane si sovrapposero alle catalane; alla metà del sec. XVI furono però vinte dalle forme barocche.
In Europa le forme del Rinascimento si diffusero nell'oreficeria assai tardi, nel sec. XVI, propagate anche per mezzo di libri di modelli.
Francia. - Prima ancora che vi giungessero Matteo del Nassarro (1528) e il Cellini, gli orafi sembra che avessero cominciato ad abbandonare le forme gotiche per le nuove, se si vuol credere di lavoro francese il calice della chiesa di Saint-Jean-du-Doigt (Bretagna); ma le opere son quasi tutte scomparse e le ordinanze reali, replicatesi per tutto il sec. XVI, contro i lavori in oro ostacolarono la produzione di oreficerie, mentre trovava fortuna quella degli oggetti in peltro.
In Germania, fu tardo ma largo l'avvento della rinascita, sebbene non fosse completamente inteso il valore della riforma operatasi nell'oreficeria italiana. Il virtuosismo tecnico a cui si erano addestrati gli orefici di Norimberga, di Augusta, di Monaco, impedì quella sobrietà e quella misura nell'ornato e quella rinunzia a ogni retorica decorativa che erano le più alte qualità italiane. Orafi tedeschi lavorarono in Italia, anche col Cellini, opere italiane erano trasportate in Germania, molti disegni e incisioni per oreficerie ideavano grandi artisti (il Holbein, l'Aldegrever); altri ne preparavano decoratori e orafi come Pietro Flötner, Virgilio Solis, Teodoro de Bry ecc. Il repertorio decorativo fu variato anche con motivi vegetali e animali derivati dall'oreficeria gotica e con ornati geometrici.
Furono portate all'estrema perfezione tutte le tecniche, specialmente quella del rilievo, ora concluso, ora espanso e cesellato in maniera egregia (piatti nella Schatzhammer di Monaco, nel tesoro di palazzo Pitti a Firenze, al Louvre ecc.); lo smalto ad alveoli incavato nell'oro, a colori verdi e rossi fu particolarmente in uso nell'officina di Augusta (servito in argento dorato e smaltato attribuito a Benvenuto Cellini a palazzo Pitti, Firenze). Molti e celebri furono gli orafi tedeschi. Fra tutti primeggiano Peter Flötner (1485-1545) e Wenzel Jamnitzer (1508-85) espertissimo tecnico e artista di ricca fantasia (trionfo da tavola nella collezione Rothschild a Francoforte), e dopo lui vanno ricordati Hans Petzolt (1551-1633) e Anton Eigenhoit (1544-1603). Strane e capricciose forme ebbero i centri da tavola, i bicchieri, le tazze coperte o pokal, queste ultime eseguite in lamina d'argento dorato con bozze circolari a sbalzo, non sempre di fine gusto.
Inghilterra e Ungheria. - In questi paesi restarono per tutto il sec. XV le forme gotiche, mentre nel sec. XVI entrano motivi ornamentali classicheggianti non direttamente imitati dalle opere italiane ma trasportati da disegni tedeschi e francesi. In Inghilterra le botteghe di Norwich lavorarono con molta abilità tecnica servendosi dei disegni italiani o delle incisioni dei molti libri di modelli, fiamminghi e tedeschi. Si eseguirono piatti e boccali in argento dorato con figurazioni a rilievo alla maniera italiana, si imitarono modelli tedeschi per tazze, bicchieri, saliere (v. oreficerie del sec. XVI nel collegio Corpus Christi di Oxford, nel Winchester College, nel Christus College a Cambridge, nel Victoria and Albert Museum di Londra).
Spagna. - Molto larga vi è l'importazione di oreficerie italiane, ma l'amore della ricca decorazione mantenne le decorazioni gotiche fino alla metà del sec. XVI (per es., la custodia nella chiesa di Játiva) poi, a poco a poco, gli orafi accolsero il repertorio classicheggiante e lo sostituirono al repertorio gotico con la stessa vivace esuberanza; modificarono alcune forme di oggetti sacri (i calici per es., come si vede nel Victoria and Albert Museum di Londra) e degli ostensorî, sempre di grandi proporzioni ma con architettura classica (ostensorio di Antonio de Arphe nella cattedrale di Jaén, 1534-1541, custodia di Juan de Arphe nella cattedrale di Siviglia, nella Seo di Saragozza, ecc.). Imitarono lo stile toscano nei piatti e nei bacili (anfora nella cattedrale di Siviglia, piatti nella cattedrale di Saragozza). All'oreficeria attesero moltissimi artisti (Antonio de Arphe, Juan de Orna, i Becerril) e ben prestto essa influisce sulla stessa architettura (nel cosiddetto stile plateresco).
Oreficeria barocca e rococò. - Il Barocco nell'oreficeria si manifesta con un'insistente ricerca di dinamicità e di fasto decorativo. Per ottenere una forma dinamica, l'orafo spezzetta l'architettura di un oggetto con modanature risentite o con una violenta inclusione o sovrapposizione di forme plastiche. Gli sviluppi lineari classici diventano più tormentati, ma le sculture, i rilievi, gli ornati gradatamente si vengono adattando alla nuova forma e partecipano alla stessa vita agitata e convulsa della struttura architettonica. La chiesa aveva molte esigenze: grandi candelabri e torcieri, grandi lampadarî, busti reliquiarî, statue d'argento, corone, gemme, calici, ostensorî. Gli orafi lavoravano in collaborazione con gli architetti per arricchire le chiese. In tanta necessità e urgenza di produzione, sono trascurate le tecniche più lente, scompaiono il minuto rilievo, la filigrana, i lavori di glittica, gli smalti, i fregi d'oro smaltati, si usa molto l'argento lumeggiato d'oro o in parte dorato, la tecnica preferita è lo sbalzo a superficie molto larga, eseguito su matrici, con un repertorio decorativo limitato a testine di cherubi, a rappresentazioni simboliche delle Virtù teologali e cardinali, a fatti della Bibbia o della vita dei santi, il tutto racchiuso in ampie e potenti incorniciature, o in un giuoco mistilineo di listelli aggettanti. Come la pittura s'interessa alle vedute prospettiche, anche l'oreficeria volle, nei paliotti, architetture di piazze e giardini, suggerendo colore per via di lamine d'oro sovrapposte a lamina d'argento oppure per mezzo di coralli. Così la materia fu battuta, tormentata per rendere ora la gravità di un colonnato, ora gli effetti chiaroscurali di un tessuto serico, e di tanta esperienza rimase il retaggio nel sec. XVIII.
Italia e Francia. - L'oreficeria barocca ebbe in Italia centri molto attivi. A Roma fu dominata dal Bernini e dal Borromini, datori di disegni; a Napoli, in Sicilia, la produzione fu grande come a Milano e a Genova; e si moltiplicò con caratteri analoghi anche fuori d'Italia in ogni paese.
L'eredità dell'oreficeria barocca italiana fu variata con fantasia ed eleganza, dagli orafi francesi del sec. XVIII.
Scompare la struttura architettonica, si annulla la rettilinea; la forma degli oggetti, la superficie, tutto l'ornato seguono concordemente un ritmo curvilineo vario, fluente, delicatissimo. Con martellature sapienti, con lavoro di gradina e di cesello, la lamina di argento acquista morbidità seriche, chiaroscuro, fluidità di onda.
Malgrado le ordinanze di Luigi XIV contro l'uso delle oreficerie, fu proprio durante il suo regno che Versailles, per opera di artisti orafi come C. Ballin, Gravet, Th. Merlin, diventa l'officina più sontuosa in cui si elaborano continuamente nuovi tipi, nuovi ornati per le opere di oreficeria che sotto la reggenza (1715-1727) prende uno straordinario rigoglio.
Per le grosserie fu usato l'argento e ne furono tratti grandi effetti pittorici. Le argenterie di Oppenard, Meisonnier, Thomas Germain, di François-Thomas Germain sono inarrivabili per linea ondulata, per superficie sfrangiate in modo da imitare la multipla varietà delle onde marine. L'oro ebbe largo uso nelle minuterie: tabacchiere, oggetti di toletta, orologi, agorai, pomi di mazza, occhialetti, ecc. e fu veramente prodigiosa l'abilità con cui le lamine d'oro furono cesellate, gradinate con multipli ornati vegetali, oppure furono trasformate, con i sottili e morbidi intagli, in delicate trine auree. L'oro, alternato con miniature e con perle, compose intrecci lineari per gioielli, raffinati e indispensabili compimenti della toletta tanto maschile quanto femminile. Sotto il regno di Luigi XVI, anche per l'influenza del rinnovato amore per la classicità, le oreficerie ritornano ad avere una salda struttura architettonica e classiche e riposate forme, superficie levigate e pulite con ornati classici di sfingi, di chimere, di ghirlande, di scanalature. Ma, in questo periodo, in Inghilterra e poi in Francia e in tutte le regioni, si cominciarono ad usare mezzi meccanici di lavorazione; si ebbe anche l'invenzione del similoro: l'oro di Mannheim, il metallo Leblanc (giallo oro); ciò facilitò molto la produzione.
In Italia la moda d'oltralpe fu seguita anche nell'oreficeria. Molte minuterie vennero importate, ma molte anche ne erano eseguite in Italia dove Venezia, per es., manteneva costantemente botteghe assai esperte nella filigrana e nel cesello; anche altre città, continuando le tradizioni e accogliendo ed elaborando le nuove forme, riuscivano ad avere espressioni d'arte assai geniali e gustose così a Genova, a Bologna, in Sicilia. Centro assai attivo, ancora inesplorato, fu Roma, dove botteghe fiorenti di orefici eseguivano le varie commissioni date dalle chiese dei gesuiti o dai privati anche per regioni lontane.
Germania. - Per tutto il sec. XVII le oreficerie mantennero quivi una linea costruttiva classica, ma si appesantirono di ornati; poi nel sec. XVIII, entrato lo stile Luigi XV, si riuscì a imitare le forme ma non mai lo spirito, l'agile e inquieta grazia dell'oreficeria francese.
Ungheria. - L'oreficeria vi mantenne nel sec. XVII un largo uso di perle, di gemme, di smalti, su forme statiche classiche; nel sec. XVIII invece si giunse a una pittoricità di sola materia mediante minuti intagli e delicati rilievi.
Inghilterra. - L'oreficeria sotto il regno di Carlo II non sentì per nulla l'influenza del Barocco italiano, e quando ai primi del sec. XVIII i contatti con la Francia introdussem lo stile Luigi XV, le botteghe inglesi ridussero a gelidi schemi le mirabili fantasie francesi e i varî tipi furono ripetuti con somma perfezione tecnica, ma senza fantasia. Né le opere dei fratelli Adam, che diedero nome all'Adam Style, si distinguono più che per corretta freddezza (v. argenterie nel British Museum e nel Victoria and Albert Museum di Londra). Perfezionatisi i mezzi meccanici di riproduzione e la tecnica della placcatura d'argento e d'oro, si continuò fino ai primi del sec. XIX a ripetere le stesse forme (manifatture di Birmingham).
Spagna. - La magnifica produzione di oreficeria venne interrotta nel sec. XVII. Dominavano allora forme grevi; la decorazione annientò la linea costruttiva, anche nei gioielli. Nel sec. XVIII i contatti dell'oreficeria francese e italiana non valsero a riportare il buon gusto (ostensorio nella cattedrale di Baeza, candelieri nella cattedrale di Maiorca; arca di S. Domenico di Silos). Quando Antonio Martinez introdusse gli aiuti meccanici e si formò la "plateria de Martínez" la raffinata esperienza di quelle antiche botteghe, inesauribili di risorse decorative, scomparve del tutto, e l'oreficeria divenne industria.
Oreficeria dal sec. XIX in poi. - Nel secolo XIX l'oreficeria, conservando la sua caratteristica d'essere uno tra i più vivi riflessi del gusto e delle tendenze decorative di un'epoca, fu alla sua volta esponente di quella compostezza stilistica e correttezza tecnica, che, già manifestatesi in Francia ai tempi di Luigi XV e di Luigi XVI, portavano alle più rigorose espressioni neoclassiche dello stile Impero. Gli studî e le scoperte archeologiche, con quel complesso di vicende sociali e politiche che caratterizzano il periodo, come influirono su ogni aspetto del gusto e della moda del primo Ottocento, così ricondussero all'imitazione dell'antico ogni forma ed ogni espressione di tale arte. Abbiamo dunque un rigore stilistico di pura derivazione greco-romana, che per un periodo indugiò anche in ripetizioni di motivi egiziani, in rispondenza al nuovo fervore destato dalla riesumazione di certi tesori di quell'antica civiltà. Tale rigore parve rendere inerte e inanimata l'arte dell'orafo, pur contribuendo in qualche modo a raffinarla dal lato tecnico, accostandola ai più nobili esempî del passato. Questa raffinatezza tecnica, specie in alcuni più fortunati centri di diffusione del gusto, come Parigi e Vienna, non mancò d'affermarsi con qualche carattere di distinzione personale: ciò che permette di affermare che non tutta l'oreficeria Impero fu una deliberata rinunzia ad ogni vivacità inventiva; come non furono, né quella del periodo della Restaurazione né quella Luigi Filippo. Si tratta, a ogni modo, di un'arte prevalentemente d'imitazione, che indugiò talora in semplici riproduzioni e falsificazioni.
Le correnti d'un gusto più vivo ed espressivo non si definirono se non oltre la metà dell'Ottocento, specie in qualche centro più progredito d'Europa e d'America, sia pure attraverso una certa influenza culturale, cioè, attraverso quanto rivelano studî e scoperte d'oreficeria d'ogni popolo, da quelli barbarici e medievali a quelli dell'Estremo Oriente. La mostra mondiale di Parigi del 1878 fu, anche in questo campo, una favorevole rassegna, mostrando come un diverso spirito andasse sciogliendo l'oreficeria da certo pericoloso retaggio ottocentesco. Successivamente l'Inghilterra, sia pure intonandosi a qualche antico esempio italiano, la Francia, meglio caratterizzando il suo predominio di centro di diffusione d'un gusto più mobile, l'America, e, più tardi, l'Austria sempre meglio andarono stabilendo le nuove tendenze tecniche e stilistiche dell'oreficeria, svincolandola da ogni dipendenza da forme passate. Si sentì più diretto l'intervento di artisti di spirito nuovo, in rispondenza alle esigenze di un gusto più attuale, nonché in relazione a quell'industrialismo, che non tardava a conquistare anche l'oreficeria, menomandone talvolta la distinzione attraverso una produzione a serie e attraverso l'imitazione della materia preziosa. Non mancarono affermazioni del tutto personali e indipendenti nell'esposizione di Torino del 1902; sebbene, a loro volta, ispirate a quella stilizzazione di motivi naturali, che portava a quel "florealismo" di così rapida diffusione e di altrettanto rapido tramonto, dove tuttavia qualche artista italiano si seppe distinguere. Tutto ciò meglio fu evidente nella mostra del 1906 di Milano, dove, a una specie di reazione ad ogni spunto d'oreficeria di stile nuovo, si contrapposero accenti sempre più personali, tali da ridare a quest'arte dignità d'invenzione e di lavoro.
Tutto ciò meglio si va definendo col progredire del sec. XX. L'oreficeria, vittima dell'industrializzazione e della sempre più viva mobilità dei varî atteggiamenti estetici. non ha certo trovato un proprio stile. Tuttavia essa va bilanciando il diminuito patrocinio che le viene dalla Chiesa, dalle corti e dalla nobiltà, con le risorse d'una più larga diffusione del gusto e d'una più viva attenzione che essa va ridestando in ogni suo campo d'attività. L'orafo moderno si va oramai raffinando attraverso più progrediti sistemi di lavoro e di produzione, nonché attraverso scuole, mostre, concorsi, ritornando così sotto ogni aspetto in prima linea nel campo dell'artigianato.
Gli atteggiamenti più recenti dell'oreficeria parvero, dal lato tecnico e stilistico, definiti nella grande mostra intermazionale delle arti decorative di Parigi del 1925, dove meglio si rivelò la tendenza a una novità assoluta, fuori da ogni legame tradizionale, rappresentata da puri accordi di toni, da un'evidente limpidezza di materia, sopra schemi geometrici, netti, angolosi, impensati, a penetrazione di piani, a deliberate asimmetrie, con la rinunzia più decisa ad ogni convenzione di tale arte: tendenza portata al massimo grado nella più preziosa oreficeria come nella più rara gioielleria; la quale ebbe franche e originali espressioni in ogni campo di quest'arte, e, particolarmente, nell'argenteria. Parve così caratterizzarsi quello stile "ultra-parigino", tosto assimilato e portato alle estreme sue espressioni ovunque, dall'America alla Germania, dilagando però spesso in imitazioni scadenti e generiche. Questo fu in certo modo confermato nelle successive manifestazioni che l'oreficeria poté offrire nelle mostre di Barcellona, Liegi e Stoccolma, e, in Italia, nella presentazione fatta di talune tra le sue principali espressioni, nel 1930, a Venezia, alla XVII Biennale internazionale d'arte. Da tale mostra, come da altre consimili manifestazioni che seguirono, ancor meglio si rileva che un modernismo assoluto, più che altro, può alimentare una produzione a serie, meno costosa e più soggetta alla moda; mentre, per tutto il resto, tornano a predominare o l'assoluta preziosità della materia messa in risalto dalla perfezione del lavoro, o la schietta personalità di qualche artista.
In questo ramo, dalla perizia di certi maestri napoletani come Avolio e Miranda alla sensibilità del tutto personale del noto orafo milanese Ravasco, a cui si deve anche la rinascita della scuola del corallo di Torre del Greco; dalla squisitezza di sbalzatori e incisori come Brozzi, Gerardi, Ghiretti, ecc. al gusto d'uno smaltatore come G. Guidi, e all'impeto modernissimo del fiorentino Thayat, e via dicendo, anche l'Italia va mostrando, nel modo più vario ed efficace, come si ritorni a una migliore tradizione in ogni campo di questa nobilissima arte. Ad essa partecipano, spesso con valore, sia pure attraverso un'attività meccanica, anche industrie private, come quelle che operano in quel fervido centro orafo che è Valenza in Piemonte. A seconda della maggiore capacità e influenza nel campo della modernità artistica, altre nazioni, naturalmente, contribuiscono a meglio stabilire nuove correnti nell'oreficeria. Anzitutto, la Francia, con uno spiccato senso d'avanguardia in ogni atteggiamento di moda: senso che però si va attenuando, per meglio rimettere in evidenza la squisitezza d'un gusto più affine alle sue ottime tradizioni in materia; l'Inghilterra con una tecnica raffinatissima, sempre di tendenza conservatrice dal lato stilistico, di cui sanno testimoniare gli orafi d'ogni genere che s' aggruppano intorno alla secolare organizzazione londinese della Goldsmiths' Company; il Belgio, con sue tendenze particolari di gusto e di lavoro, di cui possono essere buoni rappresentanti, anche nell'arte sacra, i fratelli Wolfers di Bruxelles, Altenloh, Cosemans ecc.; l'Olanda, essa pure con sue caratteristiche speciali di gusto e di sensibilità moderna, specie in taluni rami della produzione industriale; la Svizzera, che, tra l'altro, ha saputo efficacemente far entrare nel campo dell'oreficeria talune sue celebri fabbriche d'orologi; l'Austria e la Germania, con la loro tipica, e spesso gustosa, espressione di decisa modernità; nonché, in modo distinto, i paesi scandinavi, riprendendo, con una vivace sensibilità moderna, dal lato tecnico ed estetico, alcuni elementi ottocenteschi, specie nell'argenteria, di cui è ottimo rappresentante il danese Andersen.
Oreficeria nell'Estremo Oriente. - Nel Tibet l'oreficeria si sviluppò da modelli indiani medievali (nell'India, a Giava, ecc. essa fiorì altamente, specie in oggetti per ornamento della persona: braccialetti, diademi, ecc.), assumendo presto forme e motivi originali. Tra gli ornamenti della persona, notevoli gli anelli d'oro e d'argento, collane, bottoni, catene per chiavi, ecc. Questi oggetti sono ornati con pietre ornamentali incastonate, tra cui predominano perle, coralli, turchesi, giade, ecc. Fibbie, bottoni, braccialetti, sono talvolta finemente cesellati. Singolari le forme degli orecchini. Un orecchino portato da tutti i funzionarî al lobo dell'orecchio sinistro, pende da un anello d'oro con una perla in mezzo a cui segue una fila d'imitazioni di turchesi. Invece nel lobo dell'orecchio destro, persone d'ogni classe portano soltanto una turchese. Singolari le scatole d'oro e d'argento contenenti amuleti (ka-u) portate sulla persona specialmente dalle donne, e ornate con turchesi e altre pietre preziose. Sono stati oggetto di particolare attenzione gli arredi del culto, ornati talvolta con zaffiri e lapislazzuli, tabernacoli per le immagini sacre del Buddha, ecc. I rosarî buddhistici con 108 grani sono spesso formati di coralli, turchesi, ecc., legati in oro e in argento.
In Cina l'oreficeria non ha mai avuto un grande sviluppo. Sono ricordati dagli storici cinesi gioielli provenienti dall'Occidente, dalla Persia, dall'Asia centrale o dall'India, anelli d'oro con pietre, braccialetti. I geografi cinesi del sec. XIII notavano come una singolarità l'uso di anelli tra gli stranieri che giungevano a Canton. Marco Polo parla dei diamanti e pietre di valore ricevute in dono o acquistate dal gran khān e i principi mongoli. Tra i prodotti dell'oreficeria cinese hanno assunto importanza speciale fermagli per cintura, talvolta di bronzo ageminato di oro e argento, bottoni cesellati, spilloni da capelli. Caratteristiche dell'abbigliamento cinese sono lunghe collane di giada, corallo, cristallo, lapislazzuli, ecc. Molti oggetti d'oro e d'argento sono spesso decorati con smalti. Si è molto svluppata in Cina la produzione di filigrana d'oro e d'argento. Nel British Museum sono esposti diademi in filigrana d'argento dorato per spose, acconciature complicate con medaglioni dorati incrostati con penne azzurre di martin pescatore, che erano di moda tra le principesse dell'ultima dinastia Manciù. L'oreficeria, prima in Cina e poi in Giappone, ha avuto una parte notevole nella decorazione di guardie di sciabola, manichi e foderi di coltelli e di spade.
Nella letteratura classica cinese la giada figura come il principale e più desiderato ornamento delle persone e delle insegne ufficiali dei re, dei principi e dei funzionarî, sostituendo le oreficerie usate in Occidente.
L'arte religiosa buddhista, i contatti con l'Asia centrale e con l'India, il dominio mongolo e manciù, e infine il contatto con l'Europa, hanno introdotto in Cina un certo gusto per l'oreficeria (assai meno però che nel Tibet) adoperata per ornare reliquiarî buddhisti, statuette, amuleti, arredi del culto, ecc.
In Giappone l'arte del cesello si è sviluppata piuttosto per ornare guardie di sciabole (tsuba), manichi e foderi di coltelli, corazze, elmi, ecc. Per ornamento della persona, i Giapponesi, come i Cinesi, non hanno mai adoperato in grande misura oro, argento e pietre preziose, fino al contatto con l'Europa. I colori brillanti e vivaci delle stoffe e dei ricami di seta male si adattano al contemporaneo uso di gioielli di tipo europeo.
Nei popoli primitivi del SO. della Cina e dell'Indocina, Lolo, Miao-tze Shan, si è sviluppata un'oreficeria che conserva forme primitive, forse non ancora abbastanza studiate. Tra gli Shan, caratteristici cerchi da collo, orecchini, collane e anelli, châtelaines in forma di farfalle, d'argento con smalto azzurro, imboccature di pipe, d'oro e d'argento, ecc.
V. tavv. LXXIX-XC.
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Industria.
I metalli che vengono impiegati nella fabbricazione degli oggetti di oreficeria, sono: oro, argento e platino. Il platino viene sempre usato puro: l'oro e l'argento invece, devono sempre essere allegati, perché la loro duttilità allo stato puro ne impedirebbe la lavorazione. L'argento viene allegato con rame per ridurlo ai diversi titoli (generalmente 900 millesimi e 800 millesimi). L'oro viene allegato con argento, rame, nichelio, zinco e cadmio, secondo i diversi colori che si vogliono ottenere. L'oro allegato con solo argento, diventa verde; allegato con rame e argento, roseo; con nichelio e zinco, bianco.
La diversa quantità di lega dà i diversi titoli: i titoli legali sono: 750 mill., 500 mill., 333 mill., abitualmente indicati rispettivamente: 18, 12 e 8 carati.
La differenza delle leghe porta anche a una diversa malleabilità: l'oro verde è malleabilissimo: poco più duro del piombo; l'oro bianco, invece, è durissimo, più del nichelio. Ad ogni lega però, tanto l'oro quanto l'argento, possono facilmente essere ridotti in lastre e in fili anche sottilissimi, purché ricotti sovente.
La lavorazione dei gioielli, che ancora oggi è condotta quasi esclusivamente a mano (le macchine sono adoperate solo per gli oggetti di uso corrente), si può dividere in tre parti: preparazione del metallo, riproduzione degli ogetti e rifinitura.
Preparazione del metallo. - Comprende le operazioni che hanno per scopo la riduzione del metallo sotto forma di verghe, di lamiere o di fili adatti alla produzione degli oggetti di oreficeria. Tali operazioni sono tre: la fusione, il getto e la laminazione.
La fusione delle leghe di oro e rame e d'argento e rame si compie in crogiuoli di terra refrattaria o grafite. Per le leghe d'oro si fondono da 1 a 5 kg. per volta, per quelle d'argento circa 30 kg. Si possono mettere nel crogiuolo i diversi metalli contemporaneamente con un poco di borace, come materiale fondente, oppure prima il metallo prezioso e quando questo è fuso si aggiunge la lega col borace. Durante la fusione si agita con una bacchetta di terra refrattaria e quando la fusa ha raggiunto il punto preciso, si versa nella staffa. Le staffe sono generalmente di ferro fuso, meglio di ferro laminato, e s'aprono in due parti per liberare la lega raffreddata. Se la fusa è destinata per fogli, le staffe sono di forma rettangolare (fr. lingotières en fonte); se è destinata per fabbricare fili, le staffe, per l'oro, sono lunghe e strette a sezione quadra, se per l'argento a sezione circolare. Le staffe prima di essere adoperate, vengono riscaldate e ingrassate o affumicate. La forma, lo spessore dei lingotti, la temperatura di colata e la durata del raffreddamento sono fattori che influiscono sulla qualità della lega. È solo con la lunga pratica che il fonditore potrà regolarsi.
I lingotti in seguito passano alla prima laminazione di sgrossamento in laminatoi rotativi i cui cilindri girano lentamente, poi alla laminazione propriamente detta in laminatoi i cui cilindri sono più piccoli e girano più velocemente. Per la fabbricazione del filo, la fase di sgrossamento avviene in laminatoi i cui cilindri presentano scannellature sempre più piccole e nelle quali si fa passare successivamente il filo. In seguito questo passa al banco di trazione, sul quale gira una catena senza fine: il filo preso fra le morse di una tenaglia agganciata alla catena è costretto a passare successivamente attraverso i fori di una filiera, placca d'acciaio i cui fori sono a sezione (quadrata o circolare) decrescente.
Quando il filo ha raggiunto una sezione di 1 o 2 mm., passa a un altro banco di trafilazione sul quale girano due rocchetti di ferro ad asse verticale. Il filo si avvolge attorno ad essi passando attraverso una filiera posta fra l'uno e l'altro. Infine quando il filo deve essere di diametro piccolissimo (inferiore al millimetro), la filiera è formata con zaffiro o rubino e talora anche con diamante: queste pietre opportunamente forate sono generalmente montate su un disco di ottone o di bronzo e formano così la filiera.
Riproduzione degli oggetti. - Gli oggetti d'oro sono generalmente eseguiti a mano partendo dalla lastra laminata o dai fili trafilati; per certi tipi di catene si usano macchine speciali automatiche. La lavorazione naturalmente è svariatissima: dagli oggetti correnti per i quali si ricorre inizialmente allo stampo, fino agli oggetti di gioielleria finissimi, tutti fatti a mano e lavorati con la lima, con la sega o con i bulini. Gli oggetti d'oro vengono poi ultimati con cesellature o incisioni o con incassature di pietre di ogni qualità: dalle pietre false di trascurabile valore, alle più fini gemme: smeraldi, rubini, zaffiri e brillanti.
La lavorazione della merce d'argento, invece, s'inizia quasi sempre con la stampatura delle lastre o col tornio o con la fusione. La lavorazione col tornio prende il nome di "stozzatura" e si compie dando la forma voluta ai fogli di argento per mezzo di una forma di legno duro o di ottone, e di un ferro da stozzare. La stampa si compie a mezzo di uno stampo e di una matrice generalmente in acciaio che pressano la lastra che forma l'oggetto o semplicemente col martello o meglio con magli o col bilanciere. La laminatura si fa a mezzo di laminatoi speciali, con i cilindri variamente sagomati per ottenere lastre lavorate.
La lavorazione degli oggetti d'oreficeria si può fare anche direttamente per fusione su modello o getto. Per fondere oggetti in serie conviene adoperare matrici di ferro, composte di due parti. Per gli anelli le matrici sono composte di 3 parti: due laterali e una di mezzo, quest'ultima di varia grossezza, secondo lo spessore degli anelli. Le forme sono anche in terra refrattaria e gesso, per i getti a cera persa (oggetti internamente vuoti), oppure in sabbia. Le forme in sabbia sono costituite da una scatola senza fondo, riempita di speciale sabbia quarzosa che compressa da un oggetto ne riceve e mantiene l'impronta. Con ferri appositi si scavano gli sfiatatoi, piccoli canali per dare sfogo all'aria e ai gas, e la bocca, canale da cui deve entrare la fusa. Per piccoli oggetti d'oreficeria (anelli, spille, orecchini, di pochi cm. di grandezza) si adoperano, con lo stesso principio delle forme in sabbia, due ossa di seppia.
Per formare un oggetto occorre assai spesso saldare insieme più pezzi: le leghe usate per le saldature di oggetti d'oro sono generalmente d'oro, d'argento e di rame a tenore variabile: per fare più saldature in uno stesso oggetto occorrono leghe a varî tenori in oro, in modo che differiscano nel punto di fusione. Il titolo in oro delle varie saldature, con accanto la temperatura di fusione, è il seguente: 375, 720°; 500, 760°; 563, 790°; 625, 820°; 673, 855°. Le leghe per saldare oggetti d'argento sono costituite d'argento e ottone. Il titolo in argento va da 472 a 855 e la temperatura di fusione da 700° a 820°.
Rifinitura. - Per rifinire gli oggetti di oreficeria si compiono tre operazioni: imbianchimento, polimento e coloritura.
L'imbianchimento serve a togliere l'ossido dalla superficie dell'oggetto, ossidatosi nelle diverse arroventature durante la lavorazione: anzitutto, l'oggetto da imbianchire, posto in un vaso di rame su bragia di carbone di legna, o su fiamma a gas, si porta al color rosso; dopo raffreddato, l'oggetto, se d'oro, s'immerge in un bagno di acido solforico o acido nitrico in soluzione di 1/10 di acido e 9/10 di acqua e si fa bollire per 2-5 minuti; poi si lava in acqua pura e si fa asciugare nella segatura di bosso. Per gli oggetti d'argento si usa un bagno di 1 litro d'acqua con 30 grammi di acido solforico e si fa bollire per 10 minuti.
Il polimento si fa generalmente al tornio e serve a togliere all'oggetto i segni lasciati dagli utensili e a lucidarlo in parte. Il tornio per polire è fornito di spazzole di varia grandezza e rigidezza, di ruote di feltro, di cotone, di cuoio, ecc. Gl'ingredienti usati sono il tripolo, la pomice, il rossetto in polvere, ecc. L'argento, generalmente, invece della politura subisce la brunitura, con brunitoi d'acciaio o di pietra dura.
La coloritura, infine, serve a dare alle superficie degli oggetti d'oreficeria il vero colore dell'oro e dell'argento, rimasto alterato per la presenza del rame. Si compie in due modi: o con bagno di sali ed acidi che sciolgono la lega in superficie, o con la doratura galvanica (per gli oggetti d'oro). Il bagno coloritore è generalmente formato da salnitro, sale marino e acido cloridrico: dopo aver fatto bollire l'oggetto nel bagno, si lava in una soluzione di potassa caustica. Per gli oggetti d'oro molto leggieri è preferibile la doratura galvanica in un bagno di doratura di cloruro d'oro 2 g., cianuro di potassio 3 g., soda caustica 2 g. e un litro d'acqua.
Tanto l'oreficeria quanto l'argenteria viene arricchita con smalti, sia a colori uniti sia con miniature. Lo smalto è a base di vetro colorato: si applica sull'oggetto in polvere impalpabile che fonde, in apposite muffole, a circa 300-400°. Tale temperatura è inferiore a quella dei metalli e loro saldature, sicché lo smalto si può applicare senza pericolo di deteriorare l'oggetto.
Saggi. - Per conoscere il titolo dei metalli preziosi, bisogna procedere ai cosiddetti "assaggi chimici" i quali possono essere fatti con diversi procedimenti; per l'oro si procede alla "coppellazione" cioè fusione della "presa d'assaggio" mescolata a una certa quantità di piombo, nelle "coppelle", specie di crogiuoli composti di un impasto di polvere di ossa bruciate e compresse, che ha la proprietà di assorbire tutto il piombo e tutte le materie estranee contenute nella presa di assaggio escluso l'oro e l'argento; nella coppella resta così una piccola pallina di solo oro e argento puro; questa pallina laminata sottilissima, viene passata in un matraccio con acido nitrico che ne distrugge tutto l'argento: resta così il solo oro purissimo della presa di assaggio, il cui peso dà il titolo dell'oro contenuto nell'oggetto assaggiato. Per l'argento basta la coppellazione.
V. anche argento; oro.
Origini e sviluppo dell'industria in Italia. -L'oreficeria in Italia fu anzitutto un'arte ed ebbe il suo centro principale in Firenze. A fianco degli artisti sorse, però, ben presto una folta schiera di artigiani, che producevano non solo oggetti d'uso comune, ma anche ornamentali. Tale lavorazione artigiana verso la prima metà del sec. XIX, pur conservando criterî prevalentemente artistici, andò man mano assumendo un aspetto industriale, contribuendo a ciò la richiesta sempre maggiore di oggetti d'uso comune, specialmente oggetti d'argento. S'introdusse così la lavorazione meccanica, la quale non solo permise di ridurre il costo e d'aumentare quindi il consumo degli oggetti più comuni, ma anche di affinarne la lavorazione grazie a continui e geniali perfezionamenti tecnici.
Attualmente si contano in Italia circa 500 fabbriche d'oreficeria (escluse le botteghe artigiane) così suddivise: oreficeria e gioielleria 309; argenteria 103; argenteria galvanica 13; placcato oro 5; lavorazione pietre dure 63. I principali centri dell'industria orafa sono: Firenze, Milano, Torino, Roma, Napoli, Alessandria, Gallarate, Venezia, Verona, Vicenza, Genova, ecc. Firenze ne è il centro principale e ha una produzione assai varia, dalle imitazioni dello stile passato ai gioielli modernissimi. Milano e Torino si sono specializzate in gioielli di genere moderno, mentre a Roma si producono specialmente gioielli di stile antico. La filigrana si produce specialmente a Genova, Firenze e Roma; lo smalto e il musaico a Firenze, Milano e Roma. Il placcato oro e le miniature metalliche hanno i centri maggiori a Cremona, Padova, Milano e Torino. Per l'argenteria sono da segnalare Milano, Alessandria, Vercelli, Firenze, Brescia e Napoli.
La produzione industriale orafa italiana alimenta una buona corrente d'esportazione. La media di esportazione nel triennio 1931-33 è stata approssimativamente la seguente: gioielli d'oro e di platino 237 kg.; id., d'argento anche dorati 200; vasellame e posaterie d'oro e di platino 17; id. d'argento, anche dorato 2131; lavori per usi industriali o di laboratorio e utensili per arti e mestieri d'oro e di platino 33; id., d'argento 48; altri lavori d'oro 181; id., d'argento 1960.