Militare, organizzazione
1. Elementi generali
La definizione dell'organizzazione militare - denominata anche ordinamento militare - è compito di una branca dell'arte militare denominata 'organica' (le altre sono la strategia, la tattica e la logistica). Essa deriva non soltanto da condizionamenti esterni - tecnologici, sociali, finanziari e così via - ma anche, in primo luogo, dai compiti che le sono affidati in un particolare contesto politico-strategico. L'organizzazione militare non è indipendente, ma è raccordata all'ordinamento istituzionale dello Stato. In un qualsiasi paese democratico non esiste un potere militare a sé stante: non esistono pertanto attribuzioni riservate all'esclusiva competenza dell'apparato militare, che possano essere contrapposte alle autorità politiche preposte alla difesa e limitare le loro funzioni di comando.
Beninteso, i responsabili militari ai vari livelli devono possedere l'autonomia tecnica e le responsabilità specifiche per l'esecuzione delle funzioni e dei compiti a essi attribuiti istituzionalmente o contingentemente.L'organizzazione militare è influenzata dal livello di sviluppo tecnologico, dalla situazione sociale e politica, dalle risorse disponibili e dalle dottrine strategica, operativa e tattica connesse ai compiti affidati alle forze armate.
La tecnologia degli armamenti e degli altri mezzi bellici ha influito sulle organizzazioni militari determinandone una progressiva complessificazione e diversificazione, analoghe a quelle verificatesi in campo economico: sono sempre esistite infatti forti correlazioni fra i modi di fare la guerra e quelli di produrre ricchezza.L'organizzazione politica e sociale influisce sugli ordinamenti militari determinando, ad esempio, i sistemi di reclutamento possibili: volontario, o professionale, oppure basato sulla coscrizione obbligatoria. Quest'ultima è strettamente collegata con il concetto di cittadinanza, a cui è connesso il diritto-dovere di portare le armi.
Le risorse umane e finanziarie disponibili influiscono sulla composizione sia qualitativa che quantitativa delle forze armate nonché sul loro grado di 'prontezza operativa'. Quest'ultimo è espresso dalla percentuale di personale, mezzi, dotazioni e livello addestrativo esistenti rispetto a quelli previsti dalle 'tabelle organiche' delle singole unità. In altre parole esso costituisce il grado di efficienza di un'unità e indica la possibilità di impiegarla con immediatezza oppure la necessità di subordinarne l'impiego a operazioni di completamento o di miglioramento dell'addestramento. La prontezza operativa è completa quando viene mantenuta permanentemente, in tempo di pace, un'organizzazione uguale a quella del tempo di guerra. È invece ridotta quando le capacità operative vengono completate, in tutto o in parte, solo in caso di necessità con la mobilitazione dei riservisti in congedo e con la requisizione di mezzi civili (ad esempio autocarri) utili anche per le forze armate. La prontezza operativa in tempo di pace non risulta mai completa, anche per realizzare nell'organizzazione un miglior rapporto efficacia-costo: tutte le forze armate prevedono operazioni di mobilitazione.
I compiti delle forze armate, l'ambiente in cui devono operare (sia naturale che relativo al nemico potenziale) e i concetti strategici, operativi e tattici a essi legati determinano l'organizzazione delle loro componenti operative: la difesa statica su una frontiera fortificata richiede un tipo di unità diverso da quello necessario per intervenire all'estero. La difesa del territorio contro un nemico che dispone di una schiacciante superiorità può indurre ad adottare una resistenza territoriale basata sulla guerriglia, e quindi un'organizzazione molto più decentrata, diffusa in superficie e capace di sopravvivere e operare in territorio occupato, anziché una difesa di tipo tradizionale alla frontiera, volta a bloccare un attacco per impedire l'occupazione del territorio. L'ordinamento militare deve essere coerente con i fattori interni ed esterni che lo determinano, per impedire il sorgere di vulnerabilità che l'avversario non mancherebbe di sfruttare.
Anche se rispetto ai tempi antichi si è verificata una convergenza fra le diverse organizzazioni militari, ne esistono comunque di molti tipi, ciascuna specifica di un paese e in possesso di caratteristiche particolari, anche a seguito delle tradizioni militari proprie di ciascun popolo, che tanta importanza hanno per la coesione delle unità e in definitiva per la loro capacità di combattimento.
Negli Stati moderni le organizzazioni militari si sono configurate in due branche: da un lato le forze armate, destinate al combattimento, e dall'altro l'amministrazione della difesa, destinata al supporto logistico e amministrativo, agli approvvigionamenti, alla ricerca e allo sviluppo, alle infrastrutture, alla gestione del personale e così via. La specificità degli ordinamenti militari si riferisce soprattutto alle forze armate.
2. Evoluzione storica delle organizzazioni militari
Le organizzazioni militari sono specifiche di ciascuna epoca e di ciascuno Stato. Sono influenzate non solo dalle tecnologie degli armamenti, ma anche dal tipo delle società e delle economie e dai compiti strategici che sono destinate ad assolvere. L'evoluzione tecnologica ha provocato nelle organizzazioni militari una progressiva complessificazione e diversificazione, ad esempio con il passaggio dalla spada al missile e dal cavallo al carro armato. Le funzioni di supporto sia specialistico che logistico hanno assunto un peso crescente rispetto a quelle proprie di combattimento.
Per quanto riguarda l'impatto delle varie organizzazioni sociali, basti considerare che la coscrizione obbligatoria è stata resa possibile dalla Rivoluzione francese, che trasformando i sudditi in cittadini ha attribuito loro il diritto-dovere di portare le armi. Michael E. Howard (v., 1976), ponendo in correlazione le influenze congiunte delle componenti tecnologiche e sociali sulle strutture militari, distingue le guerre dei cavalieri del Medioevo da quelle dei mercenari, dei mercanti, dei professionisti, delle rivoluzioni, delle nazioni e dei tecnologi, per giungere a quelle attuali dell'età nucleare. Le disponibilità economiche consentirono l'arruolamento delle 'compagnie di ventura' da parte delle ricche città-Stato italiane e, nella seconda metà del XV secolo, la trasformazione dell'esercito francese in un esercito permanente, che impresse una svolta decisiva alla guerra dei Cento anni. La rivoluzione industriale permise la mobilitazione degli eserciti di massa della seconda metà dell'Ottocento e del Novecento.Influiscono poi sull'organizzazione militare i compiti che essa è destinata ad assolvere in un determinato contesto geopolitico-strategico. Tale influsso non riguarda solo le dimensioni delle strutture, ma anche la loro qualità e tipologia. Le organizzazioni militari con compiti limitati alla semplice difesa del territorio di uno Stato sono diverse da quelle destinate a dare sicurezza anche ad altri Stati, che infatti devono disporre di capacità offensiva. Gli eserciti delle guerre coloniali o di decolonizzazione erano diversi da quelli destinati a operare sui campi di battaglia europei.
Nella Grecia classica gli eserciti erano organizzati attorno a un nucleo di 'opliti' armati di lancia, che combattevano in falangi serrate, normalmente della profondità di otto righe. La falange era sostenuta da truppe leggere e da cavalieri che svolgevano funzioni sussidiarie, esplorative e di protezione dei fianchi. Nella Macedonia di Filippo II e di Alessandro la falange era molto più profonda (fino a sedici righe di opliti rispetto alle otto della falange greca) ed era sostenuta da battaglioni di arcieri, frombolieri e peltasti (fanti leggeri). Esisteva poi un corpo di fanteria di élite, gli ipaspisti, capace di operare come fanteria sia pesante che leggera. Essi collegavano in combattimento la falange con la cavalleria. Quest'ultima, molto più numerosa di quella della Grecia classica, svolgeva in battaglia il ruolo fondamentale di sfruttare la breccia aperta nello schieramento avversario dall'urto della falange, travolgendo le resistenze residue del nemico e dilagando in profondità per annientarlo, attaccandolo ai fianchi e alle spalle.L'esercito romano subì nel corso della sua storia secolare numerose trasformazioni. Le legioni (da 3.500 a 5.200 legionari a seconda dell'epoca) nei primi secoli di Roma combattevano in formazioni molto serrate, analoghe a quelle della falange greca. I legionari erano ripartiti, a seconda dell'età, dell'esperienza e del valore, in veliti, astati, principi e triari, che si schieravano in linee successive. In seguito la legione si suddivise in coorti e poi queste ultime si articolarono in manipoli. Delle coorti facevano parte anche nuclei di fanteria leggera e di cavalleria. In combattimento i manipoli si schieravano a scacchiera, in modo che gli intervalli della prima linea venivano coperti dalle linee successive. Ciò conferiva alle legioni grande flessibilità e ottima adattabilità alla morfologia del terreno. La riforma di Mario, della fine del II secolo a.C., eliminò la distinzione fra i legionari e semplificò la struttura delle legioni, organizzandole in dieci coorti, ciascuna formata da sei centurie di 80 uomini. La cavalleria e le truppe ausiliarie furono tolte alle coorti e raggruppate in coorti indipendenti, che venivano assegnate alle legioni a seconda della necessità. L'ordinamento 'mariano' rimase inalterato fino ai tempi di Diocleziano. Nel basso Impero l'esercito si divise progressivamente in due componenti: le truppe di frontiera o 'limitanei', costituite da unità di milizia per il presidio delle fortificazioni di confine, e i 'comitanei' e i 'palatini' (guardia imperiale), su base professionale, massa di manovra mobile, che disponeva di consistenti reparti di cavalleria ed era destinata a rafforzare i confini minacciati dell'Impero e a contrattaccare gli invasori.
Nel periodo medievale gli eserciti non avevano, a differenza di quelli di Roma, un'organizzazione formale. Con l'eccezione dell'Impero bizantino, non esistevano eserciti permanenti come quelli romani; si costituivano solo temporaneamente e si scioglievano al termine di ogni campagna di guerra. La loro coesione si basava sui legami personali o di clan, famiglia e tribù. Le organizzazioni militari, largamente decentralizzate e disomogenee, rispecchiavano le strutture delle società feudali. Un esercito feudale veniva di solito suddiviso in tre raggruppamenti o 'battaglie': l'avanguardia, che in combattimento si schierava a destra; il 'grosso'; la retroguardia che si schierava a sinistra. La struttura elementare era costituita dal cavaliere pesantemente armato, coadiuvato da uno scudiero e da due-quattro paggi e uomini d'arme, di solito con archi e armi leggere.
A partire dalla fine del XIII secolo in Italia e dal XV secolo in Inghilterra e poi in Francia cominciarono a essere costituiti eserciti mercenari: 'compagnie di ventura' in Italia, reclutate da condottieri che si ponevano al servizio delle città-Stato italiane; 'unità di ordinanza' in Francia, che venivano pagate dal re, utilizzando anche il denaro che i suoi vassalli gli versavano per essere esentati dall'obbligo personale di prestare servizio militare. Sempre nel XV secolo incominciò a entrare in servizio l'artiglieria, inizialmente con compiti limitati all'assedio delle fortezze, data la scarsa mobilità dei cannoni. Essa in seguito fu integrata con i reparti di fanteria ed in ultimo anche di cavalleria e partecipò direttamente ai combattimenti. Dallo stesso periodo si verificò una crescente specializzazione delle forze, con la comparsa di reparti esplorativi formati da unità di cavalleria leggera, da unità del genio, destinate sia alla costruzione di ponti sia all'attacco delle fortezze con mine esplosive, e da organi e reparti di supporto logistico. Quest'ultimo inizialmente venne dato in appalto a ditte civili, poi fu progressivamente militarizzato e inquadrato in reparti di trasporto, d'intendenza, di sanità e così via. Le organizzazioni militari divennero così analoghe, nelle loro strutture fondamentali, a quelle della nostra epoca.L'amministrazione della difesa è simile alle altre amministrazioni dello Stato, anche se una parte del suo personale è costituita da militari ed è titolare di un particolare status giuridico, che caratterizza la 'condizione militare' soprattutto in termini di disciplina.
Possono far parte delle forze armate, come avviene in Italia, particolari forze di polizia (Arma dei carabinieri e Guardia di finanza). Inoltre, lo status militare può essere attribuito in circostanze eccezionali ad altro personale (dei trasporti, delle telecomunicazioni, della protezione civile, ecc.) che viene militarizzato e impiegato per garantire sia il supporto delle forze armate sia il funzionamento delle essenziali attività pubbliche, amministrative, di governo e di difesa civile.
3. Costituzione della difesa e ordinamenti militari
L'organizzazione istituzionale a cui fanno capo i settori della sicurezza e della difesa viene denominata 'costituzione della sicurezza e della difesa' di un determinato ordinamento statuale. Essa consiste nella definizione, al massimo livello normativo, dei principî che regolano l'organizzazione pubblica e l'attribuzione di responsabilità ai titolari del complesso delle varie funzioni dello Stato collegate in un modo o nell'altro con le finalità della sicurezza e della difesa e con il comando delle forze armate. Tale ripartizione di competenze riflette il generale assetto di governo, organizzativo e funzionale dello Stato, con i necessari adeguamenti connessi con la specificità delle esigenze da soddisfare, ad esempio in termini di tempestività di decisione e di azione e di flessibilità strutturale, necessaria per l'imprevedibilità delle situazioni da fronteggiare.
Nell'organizzazione militare di uno Stato occorre quindi distinguere due livelli: il primo è di natura politica, coinvolge le supreme istanze dello Stato e richiede un coordinamento interministeriale risalente al capo del governo e nelle repubbliche presidenziali al capo dello Stato (vertice politico-strategico); il secondo è relativo all'organizzazione del vertice tecnico-militare, cioè delle forze armate e dell'amministrazione della difesa.
Tra i due livelli si colloca il ministro della Difesa. I suoi ruoli e le sue attribuzioni sono generalmente diversi in tempo di pace e in caso di emergenza o conflitto. In tempo di pace il ministro della Difesa rappresenta il punto di collegamento fra il potere politico e le forze armate e ha piena autorità su di esse. Invece, in caso di emergenza o conflitto in quasi nessuno Stato è previsto questo anello intermedio fra il vertice politico-strategico e il comando supremo delle operazioni, anche per evitare inutili duplicazioni e garantire maggiore tempestività alle decisioni e alla trasmissione degli ordini fra il vertice politico-strategico e quello tecnico-militare. Quest'ultimo, a cui viene attribuita la direzione strategica delle operazioni, passa in tal caso alle dipendenze dirette del capo del governo, rimanendo solo l'organizzazione di sostegno logistico e quella territoriale, cioè l'amministrazione della difesa e la parte delle forze armate non impegnata nelle operazioni belliche, alle dipendenze del ministro della Difesa. In Italia tale distinzione non è ben chiara, anche se i tempi stanno maturando per un miglioramento della funzionalità degli assetti istituzionali del settore.
Molti degli aspetti caratterizzanti l'organizzazione di vertice del Ministero della Difesa - quali ad esempio la posizione del ministro e del capo di Stato Maggiore della difesa in pace e in guerra, il significato della partecipazione degli organismi militari di vertice ai consessi in cui vengono elaborate le decisioni politico-strategiche (come in Italia il Consiglio supremo di difesa) e la consulenza dei militari al potere politico - derivano direttamente dal modello di 'costituzione della difesa' adottato.
Le differenze fra gli ordinamenti di pace e quelli di emergenza, conflitto o guerra non si riferiscono solo ai raccordi e alle modalità di collegamento fra il vertice politico-strategico e quello politico-militare, ma anche alle strutture e alla ripartizione dei compiti all'interno di quest'ultimo. Le esigenze dell'impiego delle forze armate in situazioni di crisi e di conflitto sono diverse da quelle delle situazioni normali, in senso sia di unitarietà di indirizzo e di comando, sia di tempestività decisionale. Ciò comporta l'esigenza di un maggiore accentramento delle responsabilità e dell'autorità corrispondente, da attuarsi in caso di emergenza o conflitto per l'adeguamento e le trasformazioni dell'organizzazione preesistente.
Da ultimo, sono da sottolineare gli influssi che la contingente situazione politica esistente nei vari paesi ha sulla stessa organizzazione del vertice militare. In caso di potere governativo molto forte rispetto a quello legislativo, come in Francia o in Gran Bretagna, l'organizzazione militare è fortemente unitaria, integrata in senso interforze. In caso invece di un bilanciamento di poteri fra esecutivo e legislativo, come ad esempio negli Stati Uniti e anche in Italia, esiste la tendenza a creare dei 'contrappesi' che ostacolano un'unificazione interforze effettiva. In tal caso le tre forze armate - esercito, marina e aeronautica - posseggono una larga autonomia. È infatti più facile il controllo politico di un'organizzazione militare ripartita per forza armata, che di una integrata e verticalizzata.
Sul livello di integrazione influiscono anche la situazione internazionale e il grado di stabilità dei 'modelli di difesa' adottati dai vari paesi. In caso di stabilità, come ad esempio in caso di adeguate disponibilità finanziarie per la difesa, le decisioni da assumere sono essenzialmente di routine e possono essere elaborate in maniera tutto sommato soddisfacente anche da organismi scarsamente integrati. Ciascuna forza armata può infatti continuare, senza particolari difficoltà e interferenze, ad attuare i suoi programmi sia di funzionamento (dimensioni delle strutture e grado di prontezza operativa), sia di investimento. Qualora invece predominasse l'instabilità, come ad esempio nel caso di forti carenze finanziarie o di cambiamenti di contesto strategico e di compiti assegnati alle forze armate, una struttura troppo decentrata non potrebbe adeguarsi in maniera ragionevolmente efficace e tempestiva ai mutamenti di situazione.Il maggiore o minore grado di integrazione interforze del vertice militare si traduce, all'interno del Ministero della Difesa, nel 'peso' relativo dell'organo tecnico-politico di stretta collaborazione con il ministro (Gabinetto, Office of Secretary of Defence negli Stati Uniti, ecc.) e degli organismi militari di vertice. In assenza di integrazione interforze, il 'peso' di tali organismi tecnico-politici è maggiore poiché essi divengono luoghi di mediazione e di composizione dei conflitti e delle divergenze fra le singole forze armate.
4. Specificità degli ordinamenti: amministrazione della difesa e forze armate
Nelle istituzioni militari, alle specificità derivanti dalle esigenze proprie della difesa in situazioni di pace e soprattutto in caso di conflitto, si sovrappongono motivi di carattere tradizionale, che hanno un rilevante peso, perché costituiscono uno degli elementi chiave della loro solidità ed efficienza.
L'ordinamento della difesa rappresenta uno dei settori in cui la teoria dello Stato di diritto di derivazione liberale e le corrispondenti codificazioni costituzionali hanno formalmente recepito, e talvolta anche esplicitamente ammesso nella prassi, una configurazione degli assetti, sia generali che particolari, improntata a criteri di spiccata specificità e talvolta anche di atipicità.
Vittorio Bachelet (v., 1962, pp. 68-79), riprendendo le tesi di Santi Romano sugli ordinamenti interni nell'ambito della dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici, ha approfondito le caratteristiche distintive delle istituzioni militari rispetto alle altre branche dell'amministrazione statale. "L'ordinamento militare, pur tendendo a divenire un vero e proprio ordinamento interno - cioè una parte della struttura organizzativa dello Stato - ha costituito storicamente anche un'istituzione avente in sé una propria forza vitale e proprie regole di condotta che lo Stato di diritto ha piuttosto riconosciuto che imposto" (ibid., p. 69). Tale specificità dell'ordinamento militare è confermata nel nostro paese dal fatto che, mentre il Regno d'Italia fu costituito per legge, l'esercito italiano (successivamente 'Regio esercito') fu creato nel marzo 1860 con semplice circolare interna del ministro della Guerra, Manfredo Fanti, che mutò la denominazione di Armata sarda in quella appunto di Esercito italiano.
La stessa Costituzione repubblicana, quando prescrive all'art. 52 che "l'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica", ammette implicitamente di considerare un'individualità e quindi una differenziazione dell'ordinamento militare, anche se esprime la generale tendenza all'assoggettamento dell'organizzazione militare ai principî generali dell'ordinamento giuridico dello Stato e quindi alla sua trasformazione in un semplice ordinamento interno, assimilabile a quelli delle altre istituzioni che fanno capo allo Stato stesso.
La specificità dell'ordinamento militare deriva dalle peculiari esigenze operative e strutturali delle forze armate. A differenza infatti delle altre branche dell'amministrazione dello Stato che producono soprattutto atti formali, l'organizzazione militare produce, particolarmente in caso di impiego, un'attività di carattere operativo, che come tale non è sottoponibile a veri e propri controlli giuridici di legittimità o di convenienza. Le stesse decisioni governative in materia di politica di sicurezza e di difesa, pur ispirate a principî generali sanciti dalle stesse carte costituzionali (come ad esempio nell'art. 11 della Costituzione italiana, che sancisce il ripudio della guerra e la rinuncia all'uso della forza armata nelle relazioni internazionali), mal si prestano a un'applicazione in sede giurisdizionale. La cultura giuridica dei vari ordinamenti ha pertanto elaborato in proposito alcune figure di filtro ('political question doctrine', 'act of state doctrine', 'teoria dell'atto politico o di governo'), attraverso le quali gli stessi organi giurisdizionali esercitano una sorta di autodisciplina ('giuridical self-restraint') e si astengono di fatto dal dare un giudizio giuridico sul comportamento politico degli organi di indirizzo.
Diversi sono poi i principî organizzativi delle istituzioni militari rispetto alle altre amministrazioni. Allo schema tendenzialmente rigido dell'assetto formale delle amministrazioni civili dello Stato, fa riscontro una prassi organizzativa più elastica, cioè una maggiore flessibilità degli ordinamenti militari rispetto a quelli del resto dell'amministrazione. I primi sono infatti condizionati più degli altri dai mutamenti della tecnologia, della situazione politico-strategica e delle risorse allocate alla difesa
Esistono inoltre esigenze specifiche fondamentali che l'ordinamento militare deve soddisfare, quali l'immediata esecuzione degli ordini in operazioni e il mantenimento di un'elevata coesione nell'organismo, per evitare sbandamenti nelle condizioni di tensione estrema in cui può trovarsi in combattimento. Per poter essere efficiente l'organismo militare fa ricorso a particolari valori anche simbolici - l'onore, il dovere, lo spirito di sacrificio, lo spirito di corpo e così via - e a un sistema gerarchico che assicura la massima flessibilità, condizione necessaria per diminuire la vulnerabilità in operazioni, per reagire a situazioni impreviste e per garantire il funzionamento della scala gerarchica anche in caso di indisponibilità dei titolari o di distruzione di parte delle strutture.Per questo, come sottolinea sempre Bachelet, mentre "negli uffici civili, per garantire l'oggettività, l'imparzialità e l'ideale immedesimazione nello Stato, l'ufficio tende a spersonalizzarsi in modo da diventare il centro di imputazione astratta delle funzioni attribuitegli, nelle organizzazioni militari la gerarchia militare è personalizzata"; "gli stessi rapporti tra gli uffici sono spesso rapporti tra persone"; "esistono due tipi di gerarchie: una di grado e una di comando. La prima è tipicamente personale" (v. Bachelet, 1962, pp. 108-128). Questo spiega anche perché, mentre nella burocrazia civile il potere disciplinare è qualcosa di accessorio rispetto al rapporto che lega il titolare dell'ufficio allo Stato, nelle forze armate la disciplina costituisce il fondamento dell'esercizio del comando e dell'ordine gerarchico, base della funzionalità dell'organismo e della sua coesione.La personalizzazione dei rapporti fa sì che le organizzazioni militari siano sostanzialmente autoritarie anche negli Stati più democratici. Se così non fosse, non solo non potrebbero essere funzionali a una rapida risposta alla variabilità delle esigenze operative, ma non potrebbero neppure garantire la subordinazione dei militari ai responsabili istituzionali dello Stato. Di conseguenza, l'organizzazione militare è caratterizzata da una struttura unitaria e verticale, con la definizione di precisi responsabili ai vari livelli, dal singolo soldato ai vertici militari, e l'adozione di una disciplina particolare, che conferisce solidità a tale principio gerarchico.Il ricorso a valori tradizionali e simbolici e l'accentuato spirito di corpo, con il quale si tende a conseguire una forte coesione interna, costituiscono rilevanti ostacoli all'integrazione fra le diverse forze armate (esercito, marina e aeronautica). Ciò contrasta con le esigenze funzionali della difesa, che imporrebbero fin dal tempo di pace un'accentuata unitarietà, cioè l'integrazione interforze.
5. Caratteristiche, tipi fondamentali e problemi di fondo
L'organizzazione militare comprende un insieme integrato di componenti informative, decisionali, operative e logistiche. È costruita, come qualsiasi altra organizzazione, in modo da facilitare il flusso delle comunicazioni e il controllo ai vari livelli gerarchici, e per disporre a ogni livello di un'autonomia operativa e logistica calibrata ai casi medi di previsto impiego. Assomiglia quindi a una piramide in cui procedendo verso l'alto aumentano man mano l'estensione del comando e il controllo.
L'organizzazione militare è un'organizzazione prevalentemente gerarchica, data la priorità che l'unità di comando ha ai fini della proiezione di potenza e dell'impiego massiccio e concentrato delle forze e l'importanza che riveste il tempo, vero e proprio moltiplicatore di potenza e fattore fondamentale per realizzare la sorpresa. La moderna tecnologia dell'informazione consente peraltro di affiancare al principio organizzativo gerarchico quello funzionale 'a rete', accrescendo l'autonomia decisionale dei livelli in sottordine. Tale provvedimento trova però un limite, rispetto alle organizzazioni civili, nella flessibilità che devono possedere gli organismi militari per far fronte all'imprevisto, determinato in particolare dalle iniziative dell'avversario, che obbliga ad esempio a diminuire la potenza esprimibile per tenere in riserva parte delle forze e delle risorse disponibili. Le dimensioni e il peso di ogni livello sono condizionati dal grado di autonomia che gli è conferita, soprattutto in termini logistici. Quanto maggiore è l'autonomia di un reparto, tanto minore è la sua mobilità. Operazioni molto mobili richiedono unità di combattimento molto leggere e quindi la loro alimentazione logistica da parte dei livelli superiori. Il contrario capita nel caso di operazioni meno dinamiche, in cui possono essere ammassati preventivamente i rifornimenti (munizioni, carburanti, viveri e così via).
Nell'organizzazione militare esiste una distinzione fondamentale fra dipendenza organica e dipendenza operativa. L'organizzazione organica è quella normale, del tempo di pace. La struttura, la composizione e le dipendenze gerarchiche mirano a ottimizzare le funzioni di pace, cioè l'addestramento, il mantenimento in efficienza dei mezzi, le tradizioni e lo spirito di corpo. L'organizzazione operativa è quella utilizzata in caso di impiego; trae la sua origine da quella organica, e viene realizzata con la costituzione di gruppi o formazioni di impiego, costituiti da elementi tratti dalle varie unità e posti sotto il comando di quella che fornisce la massa delle forze e garantisce le funzioni di staff e generalmente anche il supporto logistico. Soprattutto ai massimi livelli e specie in caso di operazioni multinazionali o interforze, le unità passano alle dipendenze di comandi operativi precostituiti ed esistenti in tempo di pace a fianco di quelli organici o creati ad hoc per quella determinata azione.
Questa duplice organizzazione - organica e operativa - deriva in primo luogo dall'impossibilità di prevedere in tempo di pace le esigenze di guerra e di calibrare preventivamente la composizione dei vari elementi specialistici in relazione ai compiti assegnati ai singoli gruppi di impiego e alla situazione particolare (zona, nemico, profondità e durata dell'azione, ecc.). Deriva in secondo luogo dall'antieconomicità di un frazionamento eccessivo delle varie componenti specialistiche, soprattutto ai fini dell'addestramento e della manutenzione dei mezzi. Ogniqualvolta ciò sia possibile si tende a far coincidere i due tipi di organizzazione, accettando anche una diminuzione del rendimento e dell'economicità dell'addestramento e del sostegno logistico, pur di realizzare i vantaggi derivanti dal mantenimento della coesione dell'insieme e delle linee di dipendenza gerarchica. La stabilità di quest'ultima facilita infatti la personalizzazione del comando, importante soprattutto nelle forze terrestri, dove la coesione delle unità dipende dai legami psicologici e sociali che uniscono i comandanti con i loro subordinati ai vari livelli gerarchici. Generalmente, nel decidere l'organizzazione operativa si tende a salvaguardare l'unitarietà delle unità base, che sono le compagnie e i plotoni (e talvolta anche i battaglioni). In alcuni casi questi ultimi non sono costituiti da elementi omogenei (ad esempio solo da compagnie alpine o di fanteria meccanizzata), ma sono già organizzati organicamente in complessi misti definiti sulla base delle esigenze medie di impiego (gruppi tattici precostituiti). Il comando organico è sempre un comando completo sotto tutti gli aspetti: disciplinari, logistici, addestrativi e d'impiego. La dipendenza operativa è invece graduabile a seconda dell'estensione dell'autorità attribuita a un particolare comando operativo nei confronti delle unità poste alle sue dipendenze.
Al riguardo si distinguono quattro 'gradazioni' di autorità: comando pieno, comando operativo, controllo operativo e controllo tattico. In caso di comando pieno le unità componenti vengono trasferite sotto la completa autorità del comandante operativo. È una soluzione di carattere eccezionale che si applica solamente qualora sia il comandante operativo che il comandante organico appartengano alla medesima nazione. Tale soluzione può comunque essere temperata soprattutto nel campo giurisdizionale e disciplinare, in cui l'unità distaccata mantiene vincoli di dipendenza da quella che la origina. In caso di comando operativo viene trasferita l'autorità dell'impiego operativo (compresa la determinazione dei compiti che deve assolvere il reparto distaccato), mentre generalmente il supporto logistico e sempre quello disciplinare rimangono affidati all'unità di origine. Il controllo operativo consiste nell'attribuzione dell'autorità di impiegare l'unità distaccata per un determinato compito; di fissarne cioè gli obiettivi di dettaglio e le modalità di azione per il loro raggiungimento. Il controllo tattico è una semplice autorità di coordinamento entro limiti ben precisi, concernenti non solo il compito, ma anche le modalità tattico-tecniche da seguire per la sua attuazione.
Esistono due tipi differenti di organizzazioni militari, che hanno caratterizzato i vari periodi storici e che talvolta convivono nel medesimo paese: l'esercito permanente e quello di milizia. Il primo è quello che non solo esiste anche in tempo di pace nelle sue principali strutture operative e di supporto, ma dispone anche di una capacità operativa permanente e può entrare in combattimento senza effettuare preventivamente operazioni di mobilitazione. Gli eserciti di milizia sono invece quelli che fondano la loro capacità operativa sulle operazioni di mobilitazione, mentre in tempo di pace il loro personale non è sotto le armi ma attende alle sue normali occupazioni. In tal caso l'organizzazione di pace è limitata a enti di comando, addestrativi e logistici territoriali. Le unità operative vengono costituite per mobilitazione o, temporaneamente, in occasione di richiami per addestramento.
Eccetto casi del tutto eccezionali, le organizzazioni realmente esistenti sono miste: una parte ridotta delle unità è permanente, dotata cioè di 'prontezza operativa' completa, e può venire immediatamente impiegata. Il resto delle unità dispone di una bassa prontezza operativa, con una organizzazione di pace ridotta rispetto a quella prevista per la guerra e dipende, per divenire operativa, da operazioni di completamento (se le unità sono già in vita con ridotti livelli di forza) o di mobilitazione completa (se le unità appartengono alla categoria 'quadro' o sono di milizia). In tal caso talune unità, che divengono operative in guerra, svolgono in pace compiti solo addestrativi.
Mentre gli eserciti permanenti si prestano alla proiezione esterna di potenza, come quella richiesta per interventi all'estero, quelli di milizia sono impiegabili generalmente per la sola difesa del territorio, anche se possono rinforzare, ma soltanto in tempi successivi, l'azione esterna delle unità permanenti.
Le organizzazioni militari sono condizionate dal tipo di reclutamento adottato. Esistono due tipi di reclutamento: il volontariato e la coscrizione obbligatoria. Entrambi possono dare luogo a unità sia permanenti che di milizia. Generalmente la milizia si fonda sul reclutamento obbligatorio ed è adottata dai piccoli paesi neutrali, come la Svizzera e i Paesi Scandinavi, per massimizzare la capacità difensiva nazionale con la mobilitazione di tutte le risorse demografiche disponibili. Le unità permanenti possono essere formate da volontari a lunga ferma su base professionale, ma anche da coscritti, purché la durata della ferma di leva sia sufficientemente lunga per consentire non solo l'addestramento ma anche un adeguato periodo di utilizzazione operativa presso le unità. Per ragioni di economicità, la 'ferma operativa' deve avere una durata pari almeno al doppio di quella della ferma addestrativa.La proporzione fra le unità dotate di completa prontezza operativa e quelle con prontezza operativa ridotta o nulla dipende dalla situazione strategica: in particolare dai tempi di preavviso disponibili prima che si manifesti un'aggressione. Quanto minori sono i tempi di preavviso tanto più elevata deve essere la prontezza operativa. In caso contrario l'attacco nemico potrebbe mettere in crisi le forze armate nella delicata fase di mobilitazione.
Le organizzazioni militari sono articolate in forze armate distinte. Generalmente sono tre: esercito, marina e aeronautica. Negli Stati Uniti si aggiunge il corpo dei Marines; in Germania la Sanità militare; nell'ex-Unione Sovietica erano forze armate indipendenti anche la difesa contraerea e le forze missilistiche.
La tecnologia moderna impone una sempre maggiore integrazione, almeno aeroterrestre e aeromarittima. I medesimi sistemi d'arma possono essere montati a bordo di piattaforme terrestri, navali o aeree. Con l'avvento dell'aviazione si sono attenuati i condizionamenti geografici che consigliavano nel passato la separazione fra gli eserciti e le marine. È quindi sempre più forte la tendenza a unificare le forze armate. Dopo il secondo conflitto mondiale in tutti gli Stati si è proceduto all'unificazione dei Ministeri della Difesa, che prima erano suddivisi fra esercito, marina e aeronautica. Nell'ambito dei ministeri unificati le singole forze armate hanno cercato però di mantenere una certa autonomia, estendendola anche all'amministrazione della difesa.
La resistenza all'integrazione interforze non è motivata solo dalle tendenze naturali di ciascuna tecnostruttura a espandere o quanto meno a mantenere il proprio potere e le proprie competenze. Deriva anche da fattori tradizionali e simbolici, che rendono più agevole il mantenimento della coesione interna in organizzazioni separate per forza armata, nonché dalla volontà di valorizzare le peculiarità specialistiche di ciascuna forza armata. Tuttavia il processo di integrazione si è notevolmente approfondito dopo il secondo conflitto mondiale, non solo per le ragioni tecnologiche di cui si è prima parlato, ma anche per migliorare la capacità di gestione unitaria dell'organismo militare in un periodo di rapidi mutamenti politico-strategici, sociali e tecnologici, per ottimizzare l'utilizzazione delle risorse globalmente assegnate alle forze armate e per condurre operazioni combinate che utilizzino in modo coordinato componenti terrestri, navali e aeree. I provvedimenti a cui si ricorreva in passato per garantire una certa unitarietà allo sforzo bellico (definizione della ripartizione dei compiti fra le tre forze armate, per evitare duplicazioni o carenze di capacità essenziali, e armonizzazione delle loro scelte e del loro impiego con comitati interforze saltuari, a livello sia politico-strategico che tecnico-militare) non sono più adeguati alle esigenze attuali.In nessun paese l'integrazione fra le forze armate si è tradotta in una vera e propria unificazione, eccetto in Canada, dove fu effettuato un interessante - ma fallito - esperimento di radicale fusione non solo delle organizzazioni centrali, ma anche di quelle periferiche - operative, territoriali e logistiche - delle forze armate, unificandone il reclutamento, la formazione, l'addestramento e le stesse uniformi. Ogni sforzo di integrazione 'orizzontale' comporta una diminuzione dell'autonomia e del potere interno dei vertici delle singole forze armate e indebolisce quindi le loro capacità di comando e di controllo 'verticali' sulla rispettiva organizzazione. Se l'integrazione può assicurare una maggiore coerenza globale nella preparazione e nell'impiego dell'intero strumento militare, essa comporta anche un allentamento della coesione interna, conseguente alla sostituzione dell'ordinamento gerarchico con uno funzionale. Un potente freno all'integrazione interforze è quindi costituito dal timore di indebolire la coesione tradizionale delle singole forze armate. Le esigenze del coordinamento orizzontale sono infatti contrastanti e almeno in parte incompatibili con quelle del coordinamento verticale. Sottraendo poteri ai capi di Stato Maggiore di forza armata, che dovranno comunque continuare a gestire il rispettivo organismo, secondo taluni si indebolirebbe la loro autorità interna, oltre a determinare paralizzanti tensioni e contrapposizioni con il vertice interforze.
Le considerazioni precedenti evidenziano che i problemi dell'organizzazione militare non possono essere esaminati in astratto, ma debbono tener conto delle situazioni concrete d'esercizio dell'autorità in una struttura gerarchizzata come quella militare.
In tutte le organizzazioni militari occorre distinguere un'organizzazione centrale da quelle territoriale, addestrativa, logistica, amministrativa, operativa e tecnico-industriale. L'organizzazione centrale è costituita dai vertici della forza armata che generalmente sono due: uno è tecnico-operativo e fa riferimento ai capi di Stato Maggiore della difesa, dell'esercito, della marina e dell'aeronautica; l'altro è amministrativo, tecnico e industriale, costituisce l'amministrazione della difesa e fa capo a un segretario generale della difesa e a un direttore nazionale degli armamenti, cariche che in Italia sono unificate nella stessa persona. In taluni casi, come negli Stati Uniti, anche l'organizzazione amministrativa, tecnica e industriale è ripartita per forza armata. Generalmente è però accentrata e integrata a livello interforze.
L'organizzazione centrale, sia operativa che amministrativa, è caratterizzata da una spiccata complessità tecnica e funzionale. Sotto quest'ultimo aspetto comprende anche organismi consultivi, di intelligence, di polizia militare, di ispezione e di controllo, nonché organi specialistici, che talvolta sono veri e propri comandi centralizzati di particolari settori specialistici (guerra elettronica, aviazione dell'esercito e della marina, ecc.). Nelle forze armate moderne i responsabili di vertice sono denominati capi di Stato Maggiore della difesa, dell'esercito, della marina e dell'aeronautica, anche se esercitano una vera e propria attività di comando. Di solito tale loro autorità di comando non è completa in tempi normali. Diviene tale solo in caso di emergenza oppure viene trasferita, sempre in tal caso, dai comandi 'organici' dei capi di Stato Maggiore di forza armata ai comandi 'operativi', sia di forza armata che interforze.
L'organizzazione territoriale ha lo scopo di fornire supporto alle forze armate, di provvedere al loro sostegno logistico, amministrativo e di reclutamento, e di garantire la cooperazione civile-militare nei settori in cui le forze armate forniscono un concorso alle autorità civili: ad esempio negli interventi per calamità o per ordine pubblico. Le organizzazioni logistica, amministrativa, ecc. sono solitamente componenti specializzate dell'organizzazione territoriale. L'organizzazione operativa è costituita dalle unità di combattimento e dai comandi operativi a esse preposti. In tempo di pace le unità operative, specie negli eserciti basati sulla coscrizione obbligatoria, svolgono anche compiti addestrativi. L'organizzazione addestrativa dipende in parte dagli organi centrali e in parte da quelli territoriali o operativi.
Generalmente esistono due catene di comando organico: una territoriale e una operativa. Esse tendono sempre più a coincidere ai livelli più elevati, con l'attribuzione ai comandi territoriali anche di funzioni operative o a quelli operativi anche di funzioni territoriali. L'organizzazione di comando organico operativo comprende per l'esercito tutti o parte dei seguenti livelli: armata, corpo d'armata, divisione, brigata, reggimento, battaglione, compagnia, plotone e squadra; per la marina: flotta o squadra navale, divisioni, gruppo navale; per l'aeronautica: comandi specializzati delle varie componenti delle forze aeree e organi di comando e controllo a cui fa capo la rete radar e, ai livelli inferiori, divisione aerea, aerobrigata, stormo, gruppo di volo e squadriglia. A fianco delle organizzazioni di comando nazionale, nelle alleanze permanenti è presente una interforze composta, ad esempio, nella NATO dai Maggiori Comandi Subordinati (MSC), nell'ex Unione Sovietica dai Comandi di fronte (TVD). L'organizzazione di comando territoriale è solitamente di forza armata e comprende per l'esercito: Regioni militari (negli Stati Uniti: Armate) e Comandi territoriali di vario livello generalmente coincidenti con le ripartizioni amministrative del territorio (fino al livello provincia); per la marina: Comandi di dipartimento marittimo e Comandi marina, subordinati ai primi e da cui dipendono basi e arsenali; per l'aeronautica: Comandi di regione aerea da cui dipendono le basi aeree, il cui comando può coincidere con quello degli stormi stanziati su di esse.
A qualsiasi livello, eccetto a quelli più bassi (per l'esercito fino al livello compagnia compreso), l'organizzazione militare comprende una line e uno staff. La line comprende le varie unità di combattimento, i reparti e gli organismi di supporto. Lo staff o Stato Maggiore riunisce gli elementi che assistono direttamente il comandante nella sua attività decisionale, sia con funzioni di pianificazione, emanazione di ordini, coordinamento e controllo (staff generale), sia di impiego di elementi di supporto, come artiglieria, genio, logistica, supporto aereo o navale, ecc. (staff specializzato).Lo Stato Maggiore è diretto da un capo di Stato Maggiore che è il più diretto collaboratore del comandante. Al riguardo esistono due modelli organizzativi diversi: uno, di derivazione francese e specificamente napoleonica, in cui il capo di Stato Maggiore è un semplice esecutore di ordini e un realizzatore delle concezioni operative del comandante; l'altro, proprio della tradizione prussiana e tedesca, è fondato sulla pratica della collegialità fra il comandante e il suo capo di Stato Maggiore. Tale modello è stato ripreso in Unione Sovietica e ora in Russia, in cui esistono uno Stato Maggiore e un Corpo di Stato Maggiore generale, considerato una categoria a parte, che riunisce ufficiali provenienti dalle varie forze armate e destinati a ricoprire gli incarichi di maggiore responsabilità. Gli Stati Maggiori non esercitano autorità di comando, anche se talvolta possono esercitare un comando per delega e a nome del comandante, ovvero quando sono preposti a branche specializzate (artiglieria, genio, trasmissioni, ecc.).
Le organizzazioni militari più complesse sono quelle terrestri, anche perché, a differenza della marina e soprattutto dell'aeronautica, le unità dell'esercito incorporano un supporto logistico sempre più articolato a mano a mano che cresce il livello ordinativo. Il grosso del supporto logistico della marina e dell'aeronautica è dislocato invece su basi fisse presso cui le unità si riforniscono o effettuano lavori di riparazione e di revisione.
Gli eserciti moderni sono organizzati in modo simile, poiché assolvono le stesse funzioni che si ripetono ai vari livelli gerarchici. Peraltro ai minori livelli non esistono unità specifiche per le varie funzioni, ma esse sono assolte da personale che ricopre anche altri incarichi. A mano a mano che si sale di livello, invece, tali funzioni sono assolte da componenti separate, caratterizzate da una propria specificità. Le funzioni sono: comando e controllo; manovra; intelligence, esplorazione e ricognizione; supporto di fuoco terrestre; difesa contraerea; genio; trasmissioni; logistica e amministrazione; aviazione leggera. A esse possono aggiungersene altre come: la polizia militare; la difesa nucleare, biologica e chimica; le unità complementi, destinate a rimpiazzare le perdite in personale; e così via.
Le unità più semplici sono monoarma e monospecialità. Ormai quasi tutte, anche ai minimi livelli come le squadre, combinano nel loro interno fuoco e manovra, nel senso che sono suddivise in due aliquote, di cui la prima protegge la seconda mentre quest'ultima si muove, e viceversa. Tale combinazione è derivata direttamente dalla maggiore gittata delle armi a tiro diretto. L'evoluzione degli ordinamenti terrestri non è stata altro che un processo di progressiva differenziazione e complessificazione delle strutture, a mano a mano che la tecnologia consentiva di assolvere in modo più efficace le varie funzioni di combattimento.
Data la loro specificità, le forze armate sono sottoposte a particolari codici penali di pace e di guerra, a disposizioni amministrative interne, come i regolamenti di disciplina militare, e a regole scritte o non scritte, spesso in quest'ultimo caso veri e propri codici d'onore, che ne regolano la vita interna e costituiscono la base della loro coesione e solidità.
6. Il futuro delle organizzazioni militari
Le organizzazioni militari sono fortemente influenzate dall'evoluzione della tecnologia e del sistema delle relazioni internazionali, in particolare dall'utilità e strumentalità della guerra per conseguire obiettivi politici, proprie di ciascuno Stato e di ciascuna epoca storica. Esse diventeranno in futuro ancora più complesse e articolate delle attuali, per l'aggiunta della dimensione spaziale e di quella elettronica, e per l'incorporazione nelle strutture, a fianco delle armi tradizionali, di armi non letali. Inoltre, si svilupperà la convergenza fra le strutture organizzative militari e quelle civili, per effetto della crescente importanza della tecnologia. Le organizzazioni militari, pur rimanendo più gerarchizzate di quelle civili, incorporeranno in misura sempre maggiore principî organizzativi funzionali (e manageriali), anche per la crescente differenziazione e complessità dei loro componenti. Non si potranno però trasformare completamente in organizzazioni 'a rete', data l'esigenza che hanno gli organismi militari di garantire la rapida esecuzione degli ordini in operazione. Essi infatti sono destinati comunque a operare in situazioni incerte e imprevedibili, in cui la gestione contingente ha maggiore importanza dei piani standardizzati e delle attività di routine, predominanti invece nelle attività economiche civili.
Le forze armate avranno dimensioni minori rispetto al passato e diminuirà ancora la percentuale fra i veri combattenti, che giungono a contatto con l'avversario, e il numero totale degli effettivi. Le funzioni di supporto avranno un'importanza determinante e si verificherà anche nelle forze armate un fenomeno di 'terziarizzazione' simile a quello che si è già verificato nelle economie avanzate. La conoscenza e la capacità di gestire l'informazione costituiranno veri e propri moltiplicatori di potenza, e assumeranno un ruolo centrale nelle forze armate del futuro. Alle forze armate verrà richiesta una grande flessibilità in modo da poter dar vita a complessi di forze di composizione e dimensioni 'calibrate' ai compiti specifici che saranno loro assegnati. La loro struttura sarà caratterizzata da una maggiore modularità rispetto a quella attuale, mentre i sistemi di comando, controllo e comunicazione saranno caratterizzati da una spiccata flessibilità sia orizzontale, in modo da assumere alle dipendenze un numero variabile di unità, sia verticale, in modo da poter attribuire a un livello gerarchico funzioni proprie dei livelli superiore o inferiore a seconda delle esigenze particolari di ciascun caso di impiego.Si generalizzerà l'impiego delle forze armate in compiti non strettamente militari, come gli interventi umanitari, quelli in caso di calamità, o le operazioni di polizia per la pacificazione di territori esteri: tutti compiti che le forze armate per la loro struttura, addestramento ed equipaggiamento sono più idonee a effettuare di qualsiasi altra organizzazione. Non è escluso infine che vengano costituite unità militari internazionali, poste a disposizione dell'ONU, a somiglianza dei reparti multinazionali costituiti in ambito NATO o dell'Unione Europea (Brigata franco-tedesca, Eurocorpo, e così via).
(V. anche Armamenti; Armi; Guerra: politica; Guerra: storia; Militari).
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