ORISTANO
(Aristanis, Arestano nei docc. medievali)
Città della costa occidentale della Sardegna, capoluogo di provincia, situata presso la foce del fiume Tirso, fra gli antichi abitati di Othoca (od. Santa Giusta) e di Tharros, nella penisola del Sinis.Le attestazioni archeologiche dimostrano che il centro, sorto in vicinanza di un importante incrocio viario, ebbe una continuità di insediamento dall'epoca romana fino a età bizantina. Nel Medioevo O. divenne capitale del giudicato d'Arborea, perdurando in tale funzione fino alla definitiva conquista aragonese (1478).A età bizantina deve riportarsi la dignità urbana di O., attestata dalla menzione di un ᾽ΑϱιστιάνηϚ λιμήν nella Descriptio orbis Romani di Giorgio Ciprio (prima metà del sec. 7°), che assicurò l'esistenza anche di uno scalo portuale (Besta, 1908-1909). La più antica menzione di un arcivescovo di O. è del 1110 (Condaghe di S. Maria di Bonarcado). Secondo Fara (In Sardiniae chorographiam, 1580 ca.), il titolo vescovile arborense fu qui traslato nel 1070 con l'abbandono di Tharros, sede episcopale almeno dalla fine del 6° allo scadere del 7° secolo. Forse la primitiva cattedrale tharrense fu la ecclesia Sancti Marci ricordata in fonti medievali, identificabile nella basilica trinavata con abside a O e annesso battistero a vasca esagonale individuata in scavi dell'area urbana (Testini, 1966). Secondo alcuni il titolo cattedralizio con dedica a s. Giovanni Battista sarebbe passato, già nel sec. 7°, alla chiesa extra moenia di S. Giovanni, edificio con pianta a croce greca inscritta (secc. 6°-7°), modificata nel sec. 11° con l'innesto di un corpo longitudinale a tre navate.La cattedrale oristanese della Vergine Assunta, settecentesca nell'aspetto attuale, insiste su un'area di rinvenimenti archeologici tardoantichi, bizantini e altomedievali, sovrapponendosi all'originaria ecclesia, scoperta con il rinnovo del pavimento e la ristrutturazione del sagrato (Sebis, Zucca, 1987). A questa fase apparterrebbe il frammento marmoreo parallelepipedo decorato a girali, databile al sec. 9° (Coroneo, 1988), riutilizzato come base della statua gotica della Madonna del Rimedio nell'omonima cappella del duomo.La cattedrale romanica rivela tre fasi: alla prima risale l'impianto, della fine del sec. 11°-inizi 12°, ipotizzato trinave con abside a E e tetto ligneo sulla navata centrale (I Catalani in Sardegna, 1984), cui potrebbe riferirsi il recinto presbiteriale marmoreo del quale rimangono i due plutei con leoni che adunghiano cerbiatti e con Daniele nella fossa dei leoni e il frammento di un altro, reimpiegato in S. Chiara per l'epigrafe tombale di Costanza di Saluzzo (m. nel 1348), moglie di Pietro III giudice d'Arborea (Tasca, 1986). Documentano un secondo intervento i picchiotti bronzei, ora nelle Raccolte dell'Opera del Duomo, firmati nel 1228 da Magister Placentinus, che realizzò la nuova copertura lignea e le nuove porte, mentre erano attive nei giudicati d'Arborea e di Torres maestranze pisano-pistoiesi (Delogu, 1953). Una maestranza pisana, entro la metà del sec. 14°, effettuò, infine, l'innesto di un transetto gotico con coro quadrangolare affiancato da due cappelle per lato, di cui tre sole superstiti. Forse appartenevano al nuovo arredo del presbiterio ristrutturato le tre sculture telamoniche (Vergine Annunciata, arcangelo Gabriele, profeta), oggi a Francoforte sul Meno (Liebieghaus), accettabilmente accostate all'arca di S. Eulalia nel duomo di Barcellona (Seidel, 1977), che è di artista pisano della prima metà del sec. 14°, ora identificato con Lupo di Francesco (Bracons i Clapés, 1993). Probabilmente in questa occasione si procedette a smontare le lastre del recinto presbiteriale romanico, poi riutilizzate da un artista della cerchia di Jaume Cascalls per scolpirvi sul verso gli scomparti di un retablo di tipo catalano, che includeva la statua in pietra policromata della Madonna del Rimedio, di maestro iberico gotico cortese (Alcoy, 1992).Ricalcano le strutture gotiche del duomo, in città la chiesa di S. Martino, nell'aspetto attuale databile al sec. 14° - benché appaia già in documenti del 1228 quale possesso di una comunità benedettina -, e quella di S. Chiara, pertinente a un convento di Clarisse, consacrata nel 1428 ma edificata presumibilmente fra il 1343 e il 1348 (Pau, 1994), e nel sobborgo di Silì quella di S. Maria Maddalena. Inspiegabilmente privo di documentazione è l'isolato e imponente campanile a canna ottagona della cattedrale, dove si riconoscono un impianto gotico, formalmente databile al sec. 15°, e un radicale rimaneggiamento tardosettecentesco, dovuto al piemontese Francesco Davisto (Maltese, Serra, 19862).Dell'originaria chiesa di S. Francesco, abbattuta nel 1835 e ricostruita in forme neoclassiche, sussistono esigue tracce, oltre a preziosi cimeli come una croce astile della fine del sec. 14° e una statua marmorea del 1360-1368 firmata "Ninus magistri Andree de Pisis me fecit". Per i Francescani oristanesi sembrerebbero eseguiti i codici liturgici ora nel Seminario Arcivescovile: i più antichi, decorati con iniziali miniate, sono da attribuire ad artefici operanti ad Arezzo nella seconda metà del 13° secolo. A questo flusso sono ascrivibili altre due opere presenti a O.: nel duomo la celeberrima Annunciata lignea, una volta ritenuta di Nino Pisano, ma in realtà di scultore attivo a Lucca e Siena fra i secc. 14° e 15°, e nel palazzo Arcivescovile, pervenuto dalla cattedrale di S. Giusta, nel sobborgo omonimo, il dossale con Madonna e santi attribuito al senese Memmo di Filippuccio.O. era protetta da una cinta fortificata che, per volere del giudice Mariano II (1243-1299), fu munita della torre di S. Cristoforo, porta urbica epigraficamente datata al 1290 (Casini, 1905), di quella di Portixedda, assai rimaneggiata, e, a tutela della porta a mare, di quella di S. Filippo, ora distrutta, che una superstite iscrizione conservata all'Antiquarium Arborense assegna al 1293 (Stefani, 1988).A breve distanza dalla città sorge la cattedrale di S. Giusta, costruzione romanica del pieno sec. 12° a tre navate su colonne, in parte di spoglio, e abside unica, percorsa da arcature cieche su colonne con capitelli scolpiti. La facciata si incentra sul portale con capitelli e rilievi pisaneggianti, e sulla trifora che lo sormonta.Dalla chiesa dipendeva nel Medioevo una diocesi, in seguito accorpata a quella oristanese.
Bibl.:
Fonti. - Giorgio Ciprio, Descriptio orbis Romani, a cura di H. Gelzer, Leipzig 1890, pp. 35, 110; Condaghe di S. Maria di Bonarcado, a cura di E. Besta, Cagliari 1933 (rist. a cura di M. Virdis, Oristano 1982); G.F. Fara, In Sardiniae chorographiam, I, a cura di E. Cadoni, Sassari 1992, p. 190.
Letteratura critica. - V. Angius, Oristano, in A. Casalis, Dizionario geograficostorico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, XIII, Torino 1845, pp. 310-384; D. Scano, Scoperte artistiche in Oristano. Contributo alla storia dell'arte in Sardegna, L'Arte 6, 1903, pp. 15-30; T. Casini, Le iscrizioni sarde del Medioevo, Archivio storico sardo 1, 1905, pp. 302-380, nrr. 31, 34; E. Besta, La Sardegna medioevale, Palermo 1908-1909, I, p. 14 n. 4 (rist. Bologna 1966); Toesca, Medioevo, 1927, pp. 833 n. 41, 1140; M. Salmi, La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, pp. 64, 116 n. 5; R. Delogu, Mostra di antica arte sacra, Oristano 1952; id., L'architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953, pp. 39, 165, 222-228; P. Testini, Il battistero di Tharros, "Atti del XIII Congresso di storia dell'architettura, Cagliari 1963", Roma 1966, pp. 191-199; R. Bonu, Oristano nel suo duomo e nelle sue chiese, Cagliari 1973, p. 17; M. Seidel, Die Provenienz dreier gotischer Säulenfiguren im Liebieghaus, Städel-Jahrbuch 6, 1977, pp. 33-40. R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, Roma 1980, p. 39 nr. 1; I Catalani in Sardegna, a cura di J. Carbonell, F. Manconi, Cagliari-Barcellona 1984; J. Ainaud de Lasarte, La pittura sardo-catalana, ivi, pp. 111-123: 118; C. Maltese, R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in Arte in Sardegna, Milano 19862 (1969), pp. 133-364; C. Tasca, Le influenze pisane nella produzione epigrafica sarda e catalana nel XIV secolo, Archivio storico sardo 35, 1986, pp. 61-80; A. Franco Mata, Influenza catalana nella scultura monumentale in Sardegna, AC 75, 1987, pp. 225-246; A. Sari, Il Cristo di Nicodemo nel S. Francesco di Oristano e la diffusione del Crocifisso gotico doloroso in Sardegna, Biblioteca francescana sarda 1, 1987, 2, pp. 281-322; S. Sebis, R. Zucca, ΑΡΙΣΤΙΑΝΗ, Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Province di Cagliari e Oristano 4, 1987, 2, pp. 125-149; R. Coroneo, Per la conoscenza delle scultura altomedioevale e romanica a Oristano, Biblioteca francescana sarda 2, 1988, pp. 69-107; R. Serra, Antichi argenti arborensi. Inediti e riproposte, ivi, pp. 137-161; G. Pau, Retabli e trittici, in L'Antiquarium arborense e i civici musei della Sardegna, a cura di G. Lilliu, Cinisello Balsamo 1988, pp. 34-37; G. Stefani, Le schede del materiale lapideo e degli stemmi, in Pinacoteca nazionale di Cagliari. Catalogo, I, Cagliari 1988, p. 145; R. Serra, La Sardegna (Italia romanica, 10), Milano 1989, pp. 137-141, 143-156; id., Pittura e scultura dall'età romanica alla fine del '500 (Storia dell'arte in Sardegna), Nuoro 1990; P. Gaviano, Le mura di Oristano, Quaderni oristanesi 26-27, 1991, pp. 19-32; G. Nieddu, R. Zucca, Othoca. Una città sulla laguna, Oristano 1991; R. Alcoy, Escultura i pintura sardes i art medieval català, Lambard 5, 1992, pp. 201-248: 212; F. Fois, Castelli della Sardegna medioevale, a cura di B. Fois, Cinisello Balsamo 1992, pp. 114-127; J. Bracons i Clapés, Lupo di Francesco, mestre pisà, autor del sepulcre de Santa Eulàlia, D'Art 19, 1993, pp. 43-51; C. Pau, Un monastero nella storia della città. Santa Chiara di Oristano nei documenti dell'archivio - Parte Prima 1343-1699, Biblioteca francescana sarda 5, 1994.R. Serra