ORO (fr. or; sp. oro; ted. Gold; ingl. gold)
È uno dei pochi elementi conosciuti fino dalla più remota antichità. Ha peso atomico 197,2; numero atomico 79; il suo simbolo chimico è Au.
Sui monumenti della quarta dinastia egizia (4000 a. C.) si trovano indicazioni riguardanti il lavaggio delle sabbie aurifere; nel secondo secolo a. C. lo si sapeva raffinare mediante la coppellazione, e all'epoca di Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) l'amalgamazione col mercurio era ben conosciuta. Gli alchimisti lo rappresentavano col Sole.
Mineralogia.
L'oro cristallizza nella classe oloedrica del sistema monometrico, per il solito in forme ottaedriche, e si può ottenere allo stato colloidale.
I minerali utilizzati per la sua estrazione, si possono distinguere in oro allo stato nativo e sue leghe, tellururi e minerali auriferi.
L'oro allo stato nativo è quasi sempre più o meno argentifero; ha peso specifico oscillante fra 15,6-19,3; durezza 2,5-3. Colore giallo caratteristico, lucentezza metallica, opaco. Se in cristalli, questi sono spesso irregolarmente distorti, con predominio di facce ottaedriche, spesso incavate, che si accompagnano a faccette di {100}, {211}, {110}, {210}, {311}, generalmente subordinate. Frequenti i geminati secondo il piano (111), spesso schiacciati, e costituenti, per plurigeminazione, delle forme dendritiche. Si ritrova anche in lamine, fili, granuli, in masse a struttura quasi spugnosa, e nei giacimenti alluvionali in sabbie, pagliuzze, ciottoli, pepite. Queste sono in generale piccole, ma eccezionalmente possono essere anche molto grandi, come quelle di alcuni placers californiani e australiani, citandosene di quelle di peso superiore ai 90 kg.
Fra le leghe naturali si devono ricordare: auroamalgama (Au, Hg, Ag); porpezite (Au, Pd), rodite (Au, Rh) e specialmente quelle con l'argento, dette elettro e kustelite, la prima molto più frequente e conosciuta, anche nell'antichità (v. moneta: La moneta nell'antichità), con 16-36% di argento; la seconda con oltre il 36% di Ag. È pure una lega, secondo alcuni, la maldonite, che, secondo altri, sarebbe invece un bismuturo (Au2Bi). I tellururi sono al tempo stesso minerali di oro e di argento come petzite, krennerite, silvanite, calaverite; uno di essi, la nagyagite (v.), ha composizione notevolmente complessa, non è argentifero e contiene, oltre il tellurio, dello zolfo e con l'oro dell'antimonio e del piombo (Au2Sb2Pb10Te6S15). Si presentano tutti con colori bianco-argentini, grigio piombo, giallo bronzino; non furono conosciuti dagli antichi, anzi il loro ritrovamento è recente e provengono quasi esclusivamente dai giacimenti auriferi della Transilvania (Zlatna, Ofenbăia, ecc.) Colorado (Cripple Creek) California e Australia (Kalgoorlie).
In quanto ai minerali auriferi, bastando minime tracce di oro (1 per 100,000 parti) per renderne, in condizioni opportune, fruttifero il trattamento, si può dire che essi sono assai numerosi: si possono ricordare il platino e l'argento allo stato nativo, tellururi, solfuri, solfosali, ecc. Fra tutti, importanti i solfuri, specialmente le piriti, siano esse di ferro o di rame, arsenicali o no, cioè pirite, calcopirite, arsenopirite, ecc., e fra tutti è minerale aurifero per eccellenza la pirite propriamente detta (FeS2). Di essi la pratica industriale ha condotto a una ripartizione basata sulla facilità più o meno grande del loro trattamento per l'estrazione del metallo, che si ritiene corrispondere a sue forme di combinazioni differenti. L'oro nativo può essere in polvere, grani, pepite, cristalli, ecc., amalgamabili con il mercurio, e in lamine così sottili, che galleggiando sull'acqua, non lo sono (floating gold). Oppure si può trovare nell'interno dei quarzi, piriti, arsenopiriti, ecc., ed essendo amalgamabile si deve ritenere allo stato libero. Può essere accompagnato da una varietà detta arrugginita (rouillé), nella quale i minuti cristalli non si amalgamano, perché ricoperti da una camicia di ossido di ferro, di silice o di altra sostanza, che impedisce l'amalgamazione. Si ha poi la maggiore quantità dell'oro che si produce oggi, e che si ottiene da minerali che non risentono, o risentono soltanto parzialmente, l'azione del mercurio, sono cioè ribelli o refrattarî ad esso, e nei quali l'oro deve essere in combinazioni che non si arriva a determinare quali siano, perché non si possono avere campioni mineralogici sufficientemente grandi da potere essere studiati. E queste combinazioni devono essere diverse, perché si ottiene da esse l'oro sottoponendo i minerali che lo contengono ora a un arrostimento clorurante, ora alla cianurazione, mentre né l'uno, né l'altro processo è sufficiente: restano inutilizzati e potranno costituire una riserva per l'avvenire. L'associazione della pirite con l'oro è talmente costante, che lascia supporre l'esistenza di un solfuro di oro, associato al solfuro di ferro, in una medesima fase di precipitazione; dalle piriti si estrae tutto l'oro del Transvaal, quasi tutto quello di Australia, California, Alasca, Montana, Messico, ecc.
Giacimenti primarî. - I giacimenti auriferi possono essere in posto e di trasporto; per i primi è assai comune la forma di filoni di fenditura in rocce sedimentarie e massicce; spesso riuniti in fasci, con potenza da pochi centimetri a più decine di metri; matrice abituale il quarzo; più rare baritina, calcite, dolomite. Agli affioramenti si ha l'oro allo stato nativo insieme con ocre di ferro, carbonati di rame, di piombo, ecc., e il quarzo della matrice ha l'aspetto cariato, mentre nelle parti profonde è compatto e l'oro si trova generalmente incluso nei solfuri di altri metalli, specialmente pirite, dall'alterazione dei quali si formano i minerali che si ritrovano agli affioramenti. L'oro liberatosi dai solfuri, ecc., sembra avere subito una soluzione e susseguente concentrazione nel tempo che si liberava, ritrovandosi in dendriti, masserelle, cristalli, di dimensioni tali che non si può ammettere esistessero nei singoli cristalli di pirite o nelle masse di questa o di altri minerali; verosimilmente a tale concentrazione non fu estraneo il solfato di ferro formatosi nell'ossidazione della pirite. In questi filoni non si ha, come da qualcuno fu detto, impoverimento in oro con l'approfondirsi; si ha soltanto talora la diminuzione (con l'aumentare delle difficoltà dell'estrazione e con la necessità di più complessi processi metallurgici per ottenerlo dai minerali) del tornaconto industriale. Nei paesi dove la civiltà è più antica, le parti dei giacimenti in posto, ove l'oro era allo stato nativo, sono generalmente esaurite; si sfruttano perciò le piriti e in pochissime località i tellururi. Anche gli Stati Uniti e l'Australia orientale, si possono considerare, sotto questo aspetto, come paesi ormai vecchi alla civiltà, essendo subentrato allo sfruttamento irregolare dei ricchi affioramenti, il metodico sfruttamento delle piriti. Per l'oro non mancano esempî anche di filoni di contatto, specialmente fra rocce scistose e graniti, o porfidi felsitici, così nel distretto di Gundagai (Nuova Galles del Sud), ecc. Importanza grande hanno in varî casi i filoni-strati, come quelli di Bendigo nello stato di Victoria (Australia) e sono famosi quelli del Witwatersrand nel Transvaal. Si hanno in questa regione, oggi la più produttiva di tutto il mondo, indicata con il nome abbreviato di Rand, estesissimi conglomerati (accessoriamente arenarie grossolane o quarziti), a elementi quarzosi più o meno rotolati, riuniti da una pasta silicea, contenente piccoli grani di quarzo, con grani di pirite, con i quali l'oro, sempre invisibile ad occhio nudo, è in correlazione, e con i quali, in fine polvere microscopica, sembra essere stato originariamente associato. Si può notare che il Rand non ha conosciuto la fase ordinaria per la quale s'inizia in generale la storia di un campo aurifero, quello cioè dello sfruttamento dei giacimenti alluvionali o di trasporto, derivati dall'alterazione di quelli in posto, forse perché l'oro, in polvere finissima, fu nel fenomeno erosivo trasportato molto lontano e non concentrato.
Come altri esempî di filoni-strati si possono considerare anche le itaberiti e lejacutinge aurifere del Brasile. Le rocce incassanti i filoni di fenditura e i filoni-strati sono di natura e di età svariatissime, per il solito però metamorfiche (scisti cristallini), o cristalline (graniti), le une e le altre generalmente antichissime. Ai filoni si connettono dighe o ammassi di rocce ipogee, il più spesso acide, quando non siano addirittura fra mezzo ad esse: predominano oltre i graniti, porfidi quarziferi, dioriti, daciti, lipariti; l'acidità loro si può ritenere cagione della matrice quarzosa, ammettendosi derivata da queste rocce la loro mineralizzazione. Nelle rocce massicce però, specialmente se eruttive, si hanno più facilmente ammassi reticolati, che non veri e proprî filoni quarzosi, specialmente dove la roccia sia decomposta e l'oro nativo, per la decomposizione di questa, originariamente aurifera, si sia accumulato nelle fenditure. A dimostrare l'origine diretta dell'oro dalla roccia incassante, stanno le piriti, nelle porzioni intatte di essa: così al Giappone, Transilvania, ecc. Riepilogando si può dire che sempre nelle rocce ipogee si deve ricercare la prima sorgente dell'oro, sia che i suoi giacimenti si trovino in esse, o in rocce sedimentarie, sia che sembrino prodotti da soluzioni, ovvero da segregazioni o estrazioni magmatiche: resterebbe a decidere in quale stato l'oro per azione di acque o di vapori venne estratto dalle rocce originariamente aurifere e concentrato nelle fessure, spaccature, strati, ecc., se, come vogliono alcuni, allo stato di cloruro, oppure di silicato, se non di solfuro, o in altre combinazioni.
Giacimenti secondari. - Dal disfacimento dei filoni auriferi si formarono i giacimenti di trasporto o alluvionali, che furono certamente i primi sfruttati, e che occupano ora il letto dei fiumi, come il Serio, il Ticino, ecc., in Italia; il Reno in Germania; la Lena, l'Amur, ecc. in Siberia; il San Joaquín e il Sacramento in California, ecc., sia che si distendano sui fianchi delle loro vallate attuali, sia che occupino vallate maggiori di quelle attuali, come per il Macquarie (Nuova Galles del Sud), sia che formino rilievi di zone pianeggianti, indipendenti dagli odierni corsi d'acqua. Questi giacimenti, indicati generalmente con il nome di placers, sono ora superficiali, ora più o meno sepolti, anche per decine e decine di metri, e ricoperti talora anche da rocce vulcaniche: ne porgono bellissimi esempî la Russia, gli Stati Uniti, l'Australia. Sono quasi tutti recenti, in generale non più antichi del pliocene, ma se ne citano, per l'Australia, anche di cretacei e di carbonici.
Le proporzioni dell'oro rispetto al materiale sterile variano grandemente nei giacimenti alluvionali; per il solito sono più ricche le alluvioni profonde delle superficiali, e fra queste più le asciutte, di quelle che occupano il letto attuale di torrenti e di fiumi.
Giacimento in acque marine. - Come ultimo e più grandioso tipo di giacimento è da citarsi l'acqua del mare, nella quale fu dal Sonstadt determinato nelle proporzioni di grammi 0,065 per tonnellata, onde si possono presupporre nel mare miliardi del prezioso metallo, se si calcoli, con il Murray, il volume dell'acqua marina ad oltre 1367 milioni di kmc. Anche le ricerche su campioni raccolti sul fondo dell'Oceano Atlantico dalla nave Albatross, degli Stati Uniti d'America, dimostrarono che contengono quantità apprezzabili di oro. L'utilizzazione dell'uno e dell'altra, può essere riserbata all'avvenire, forse assai prossimo, quando si sia trovato un processo economicamente redditizio, e già esperienze sono state fatte in proposito, così a Guernesey (Isole Britanniche) dal Sea Gold Syndicate Limited.
Se l'oro si ritrova in qualche punto della superficie terrestre in concentrazioni che sembrano straordinariamente ricche, per il fatto che sono pochissimo frequenti, e si cita sovrattutto il Witwatersrand, dove si può supporre l'esistenza di 10-15 mila tonnellate, se in correlazione alla grande cura con la quale sempre si è notato sulle carte minerarie la più piccola apparizione del prezioso metallo, può sembrare che esso sia molto diffuso nel mondo, in realtà esso è sostanza molto rara, tanto è vero che anche nelle annate di produzione più favorevole, tutto il formidabile sforzo umano, di più che un milione e mezzo di persone, non arriva a produrne che circa 700 tonnellate. Questa rarità è in correlazione con il suo elevato peso specifico, e la sua piccola affinità chimica; per il primo, essendo verosimile che si sia concentrato originariamente nelle zone più profonde del nostro pianeta; per la seconda, la mancanza o scarsità di combinazioni volatili con i metalloidi, gli ha impedito poi di venire alla superficie in notevoli quantità. Secondo il De Launay, il tenore medio in oro della crosta terrestre dovrebbe essere compreso fra 0,0000025 e 0,00000025% o da 1 su 40 milioni a 1 su 400 milioni.
Distribuzione geografica dei giacimenti auriferi. - Il Humboldt disse che l'oro provenne sempre dai confini della civiltà e seguendo infatti passo a passo il cammino di essa dall'altipiano asiatico e dall'Egitto, attraverso la Macedonia, l'Italia, la Francia e la Spagna fino ad arrivare in America e quindi ritornare verso l'Oriente in Africa, si segue incessantemente la storia dello sfruttamento dei giacimenti auriferi.
Sia la mitologia, sia le tradizioni storiche ci conducono ad ammettere che esistesse una grande ricchezza in oro nei paesi dell'Asia occidentale, anche se si può ritenere che parte dell'oro posseduto dai popoli che l'abitavano fosse d'origine africana, ma non egiziana. Però nella regione del Nilo si riconoscono tracce di antichi lavori, e si hanno documenti che spiegano il modo con il quale si procurava l'oro e l'uso ehe se ne faceva, documenti che risalgono a 1500 anni a. C. Si può ricordare che il piano minerario più antico fino ad ora conosciuto è un papiro del sec. XIV a. C. posseduto oggi dal Museo di antichità di Torino, con le carte topografiche delle miniere d'oro sfruttate dagli Egiziani fra il Nilo e il Mar Rosso. Dalla Macedonia trassero gli antichi Greci larga copia del prezioso metallo, così come buone produttrici d'oro furono la Spagna, nella quale Giustino narra che l'oro si trovava nei campi lavorando con l'aratro, la Francia che fu detta Gallia aurifera, e l'Italia. Se oggi i giacimenti auriferi del Piemonte dànno una produzione modestissima (poco più di 50 kg. all'anno) ebbero invece grandissima importanza nel passato. Ci risulta fra l'altro, da un passo del libro XXIII della Naturalis Historia di Plinio, che nell'Agro Vercellese era fatto divieto d'impiegare più di 5000 uomini nell'escavazione dell'oro (sec. I d. C.). Nelle cave di questa regione si estraeva l'oro dalle sabbie alluvionali della Sesia e simile estrazione si è sempre fatta nelle alluvioni dei fiumi Malone, Arco, ecc. Ma oltre a tali escavazioni in giacimenti alluvionali, al tempo dell'impero romano si avevano nelle alte valli vere e proprie miniere di oro lavorate dai prigionieri di guerra. La regione della Bessa presso Mongrando nel Biellese fu gran campo di lavatura di sabbie aurifere all'epoca romana ed è tutta coperta, su una superficie di 7 kmq., di grandi cumuli di ciottoli torrentizî. Altra plaga analoga di remote coltivazioni alluvionali, con una serie di cumuli, però meno imponenti di quelli della Bessa, si trova in provincia di Alessandria lungo il torrente Gorzente presso la confluenza col Roverno in comune di Casaleggio Boiro.
Oggi piccolissime pesche di oro si praticano in alcuni pochi affluenti di sinistra del Po e di miniere aurifere sono in coltivazione nel Piemonte quelle del gruppo Pestarena (Macugnaga), ove si fa soltanto lo spoglio di vecchi lavori, e così dicasi pure per la miniera di Cani (comuni di Vangone con S. Carlo, provincia di Novara), e per quelle del gruppo di Prabernardo e Locasca, nonché di Mottone e Mee (comuni di Schieranco e Antronapiana, provincia di Novara). Sono tutti giacimenti di tipo filoniano a ganga quarzosa con oro nativo, pirite e arsenopirite aurifere, qualche volta accompagnate da blenda, galena e calcopirite. Sono incassati negli scisti talcoso-micacei, gneiss e gneiss granitoidi del pretriassico. A Gorzente (Alessandria) si hanno esili e irregolari filoncelli nelle serpentine eoceniche; a Monte Loreto in Castiglione Chiavarese (provincia di Genova), la mineralizzazione è in vene presso il contatto diabaseserpentina. Ma di tutti i ricordati l'unico gruppo di qualche importanza in coltivazione è quello di Pestarena sul Monte Rosa in Valle Anzasca, comune di Macugnaga (provincia di Novara).
Oggi in Europa non vi sono di stati produttori d'oro che la Romania (Transilvania) nella quale si sfruttano i tellururi che non furono in antico conosciuti, e la Russia, la quale se si può politicamente considerare come stato europeo, deve però la sua grande produzione aurifera ai numerosi giacimenti siberiani e quindi al continente asiatico. Verso la fine del Medioevo l'Europa sentiva già penuria di oro, quando con la scoperta e la conquista dell'America Meridionale nuovi giacimenti auriferi vennero a sostituire quelli già esausti del mondo antico. Nell'America Settentrionale, i coloni provenienti dagli Stati Uniti si spingono verso occidente, sino alle Montagne Rocciose. Uno di essi, al principio del 1848, James W. Marshall, al servizio di Sutter, commerciante svizzero di legnami, nelle vicinanze di S. Francisco, meschino borgo di poco più di 400 abitanti, scopre in un piccolo affluente del Sacramento, la prima pepita di oro, mentre è intento a impiantare una segheria idraulica. La notizia della scoperta si diffonde e l'immigrazione, incurante di ogni pericolo, di ogni stento, comincia incessante, potente, per terra e per mare. In diciotto mesi la popolazione della California da 1500 abitanti sale a più di 100 mila. I bastimenti a centinaia, restano abbandonati nella rada, perché gli equipaggi hanno tutti disertato per andare alla ricerca dell'oro. La vita si fa carissima, la confusione grandissima; gli omicidî e i furti diventano abituali, il giuoco sfrenato. Poi la vita a poco a poco si normalizza, allo sfruttamento dei giacimenti alluvionali si aggiunge quello dei giacimenti in posto che il caso o la costanza della ricerca ha fatto ritrovare e San Francisco in breve diviene la regina del Pacifico, e una delle città più fiorenti dell'America.
Quasi contemporaneamente, nel 1851, E. H. Hargraves, minatore di ritorno dalla California, sorpreso dall'analogia dei terreni dei Monti Azzurri in Australia con quelli delle Montagne Rocciose cerca e trova l'oro. A Sydney e a Bathurst, sul Macquarie, nella Nuova Galles del Sud e poi a Ballarat, nello stato di Victoria, nuovi giacimenti auriferi vengono ritrovati. Alla scoperta tiene dietro l'immigrazione; in un anno più di 100.000 persone si precipitano sui campi auriferi di Ballarat e dove un operaio intaccò un giorno con la zappa una pepita di 90 kg. sorse in breve la città popolosa e fiorente.
Nel 1858 si sparge a San Francisco la voce che ricchi giacimenti di oro si sono trovati sulle rive del Fraser nella Columbia Britannica: alla sola notizia succede un esodo grandissimo di minatori: 23.428 ne partirono dal 20 aprile al 9 agosto e già si dubitava che la città di Victoria togliesse lo scettro del Pacifico a San Francisco. Ma le delusioni subentrarono ben presto alla speranza e la maggior parte dei minatori ritornò ai placers e alle miniere della California.
Non tutti però ritornarono e i pochi rimasti in quelle solitudini, camparono la vita alla meglio sempre ricercando l'oro, sempre spingendosi più verso il nord. Ed è merito soprattutto di questi pochi e dei loro discendenti, la scoperta avvenuta finalmente dell'oro in gran quantità nello Stewart River affluente dello Yukon. A poco per volta la voce torna a circolare insistente negli Stati Uniti e nel 1892 tutti parlano delle immense ricchezze che si trovano sul confine fra l'Alasca e la Columbia Britannica e lo Yukon diviene famoso come un giorno il San Francisco.
L'immigrazione comincia di nuovo, ma questa volta difficilissima, perché il clima è polare, il paese coperto di ghiacci; il passaggio del Chilkot è difficilissimo, i minatori seminano la strada di cadaveri, ma quelli che arrivano non contano i rimasti indietro e in pochi anni la nuova, estesissima regione aurifera è discretamente popolata, la produzione in continuo aumento, ed oggi l'Alasca è fra i paesi maggiormente produttori in America, insieme con la California, il Colorado e il Nevada.
Dall'America e dall'Australia, il ciclo dello sfruttamento attraverso il mondo si compie con il ritorno verso Oriente, verso il continente nero, dove i giacimenti anticamente sfruttati, e ora in gran parte negletti, sono soppiantati dai nuovi che si scoprono, e soprattutto da quelli del Transvaal.
Nel 1884 il minatore Arnoold trovò l'oro nel Witwatersrand, che doveva fornire annualmente più oro di ogni altro paese.
Chimica.
È l'unico metallo giallo quando è puro; piccole quantità di altri metalli allegati ne cambiano notevolmente il colore. Fuso, diventa verde, e allo stato gassoso è giallo-verdastro. Quando è precipitato in polvere fina, dalle soluzioni dei suoi sali appare bruno rosso, violetto, rubino o porporino a seconda del suo stato di divisione. Ridotto in foglia sottilissima con la battitura, rimane giallo alla luce riflessa; osservato per trasparenza, appare verde.
Dopo il platino e qualche elemento della famiglia del platino l'oro è il più pesante fra i metalli: il suo peso specifico è 19,3. Il volume atomico è 10,2. Cristallizza nel sistema cubico, e si trova sovente in natura in forma di cubi, ottaedri e rombododecaedri, ma quasi sempre i cristalli sono imperfetti o distorti. Nelle lastre ottenute per laminazione la struttura microscopica cristallina, che questa operazione aveva distrutta, riappare dopo un'esposizione di pochi secondi a 200°. La polvere bruna di oro preparata per precipitazione chimica, quando è riscaldata si agglomera, e verso i 600° riacquista l'aspetto e lo splendore metallico. L'oro, simile in ciò al ferro, si può saldare a sé stesso per semplice riscaldamento al disotto del suo punto di fusione che è 1063°. Poco al disopra di questo, l'oro emana quantità sensibili di vapore, come fu dimostrato per la prima volta nel 1709 da Homburg, che dorò una lastra di argento esponendola all'azione di oro fortemente riscaldato per mezzo di uno specchio ustorio. H.-É. Sainte-Claire-Deville riuscì a condensare il vapore di oro, e H. Moissan nel suo forno elettrico ne distillò parecchie decine di grammi. Nelle zecche la perdita di oro per volatilizzazione nei forni di fusione ammonta a circa 0, 15‰.
L'oro è meno duro dell'argento e più dello stagno. È il più duttile e malleabile di tutti i metalli tanto a freddo quanto a caldo; con la battitura si possono ottenere foglioline di spessore inferiore a un millesimo di millimetro. È meno tenace del rame e dell'argento e meno sonoro di quest'ultimo.
La resistenza dell'oro al passaggio della corrente elettrica è maggiore di quella del rame e dell'argento; così pure l'oro conduce il calore meno bene dell'argento. La conducibilità elettrica dell'oro a 0° è 45,5 × 104; il suo coefficiente di conducibilità termica a 18° è 0,7003: il coefficiente di dilatazione lineare tra 0° e 100° è 0,0000144. Il calore specifico è 0,0297 tra −188° e + 20°; 0,03103 a 18°; 0,03114 a 100°; 0,0345 a 900° e 0,0352 a 1020°. Il calore latente di fusione è 16,3.
L'oro è diamagnetico, e il suo magnetismo specifico è circa 3,5% di quello del ferro. Nella scala di Berzelius l'oro è il meno elettropositivo fra i metalli e sta accanto all'idrogeno; viene quindi precipitato dalle soluzioni dei suoi sali e in esse sostituito da tutti gli altri metalli. Alla minima elettropositività dell'oro è congiunta la sua scarsa affinità per l'ossigeno, che lo rende inossidabile a freddo e a caldo, e quindi gl'impedisce di prendere la patina sia sotto l'azione degli agenti atmosferici o terrestri, sia sotto quella dei reagenti chimici; viene perciò considerato come un metallo nobile. Le monete d'oro antiche dissepolte si ritrovano intatte, mentre quelle di argento e di rame si presentano rivestite di una crosta più o meno spessa. Questi due metalli accompagnano l'oro nel primo gruppo della classificazione degli elementi, nel quale l'affinità per l'ossigeno e in genere l'attività chimica diminuiscono dal rame all'oro col crescere del peso atomico.
L'oro si allega con quasi tutti i metalli; trovano applicazione pratica le leghe formate con rame, argento, palladio, nichelio, ferro, piombo, zinco, mercurio. L'oro e il rame si mescolano in tutte le proporzioni tanto allo stato liquido quanto allo stato solido, e cioè i due metalli fusi insieme formano sempre un liquido omogeneo, e questo per raffreddamento dà luogo a un solido costituito da cristalli misti dei due componenti. Quando questi son puri, nei lingotti ottenuti nelle condizioni ordinarie della pratica non si osservano differenze di composizione tra un punto e l'altro del lingotto, al contrario di quanto accade per le leghe argento-rame. Tutte queste leghe sono lavorabili eccetto quella che contiene: oro 82, rame 18, che fra tutte ha il punto di fusione più basso (884°) ed è fragile. Minime quantità di piombo o di bismuto rendono fragili anche le altre. Le leghe di oro e rame sono meno malleabili, più dure ed elastiche dell'oro e hanno tinta rossiccia. I titoli più usitati nell'oreficeria e ammessi nelle leggi delle varie nazioni sono: 22 carati (916‰), 20 carati (833‰), 18 carati (750‰), 15 carati (625‰), 12 carati (500‰), 9 carati (375‰); in genere nei lavori di oreficeria una parte del rame (150‰) è sostituita da altrettanto argento per migliorarne la malleabilità e il colore. Le monete invece sono composte soltanto di oro e rame, e queste leghe s'incominciarono ad adoperare dagl'imperatori romani, mentre in epoche anteriori si coniavano le monete di oro fino. Quest'ultimo fu adoperato nuovamente nel Medioevo, come nel fiorino di Firenze e nelle monete bizantine. In Inghilterra il titolo 998,8 che era stato adottato nel 1343, fu nel 1526 sostituito col titolo 916,6. Nel 1794 fu adottato in Francia il titolo 900‰, come conseguenza dell'introduzione del sistema decimale; poco dopo esso fu introdotto anche in Italia e venne poi consacrato per il regno d'Italia dalla legge del 1862. Questi due titoli sono ora i più comunemente usati in tutti i paesi, salvo rare eccezioni, e le due leghe hanno proprietà quasi uguali. La superficie delle leghe di oro e rame si scurisce con l'andar del tempo, e annerisce per riscaldamento a causa dell'ossidazione cui va soggetto il rame. La pellicola di ossido può essere asportata immergendo l'oggetto in acidi diluiti; quest'operazione è designata nella pratica di officina col nome di imbianchimento. Un effetto analogo, allo scopo di conferire all'oggetto un colore che si avvicini a quello dell'oro puro, si ottiene mediante riscaldamento di esso nei mordenti, che sono soluzioni concentrate di sali.
L'oro e l'argento si mescolano allo stato liquido e allo stato solido in tutte le proporzioni, e il punto di fusione si abbassa continuamente da quello dell'oro a quello dell'argento. Tutte le leghe sono omogenee, malleabili, duttili e poco dure. Il colore giallo dell'oro cambia gradatamente verso il verde con l'aumentare della proporzione di argento. Le leghe più usate in gioielleria sono l'oro verde acqua (oro 750, argento 250) e l'oro foglia morta (oro 700, argento 300). L'elettro, molto usato per ornamenti e per monete nella Grecia antica e che si trova allo stato nativo, contiene da 15 a 35‰ di argento. Tanto l'acido nitrico quanto il solforico sciolgono l'argento contenuto nelle sue leghe coll'oro, ma la dissoluzione dell'argento avviene intieramente e lasciando tutto l'oro indisciolto soltanto quando la lega contiene circa 3 parti di argento per 1 di oro. Si usa quindi preparare questa lega per la separazione dei due metalli preziosi mediante gli acidi, e l'operazione prende il nome di inquartazione.
Le leghe dell'oro col palladio e col nichelio, nelle quali l'oro abbia un titolo non superiore a 750‰, hanno un colore simile a quello del platino, e si usano in oreficeria come sostituto del platino col nome di oro bianco. Le leghe dell'oro col ferro sono talvolta usate nell'oreficeria francese col nome di or gris (15 a 20% di ferro) e di or bleu (25% di ferro).
Le leghe dell'oro col piombo e con lo zinco hanno importanza in metallurgia per l'estrazione dell'oro da quei minerali di piombo che contengono piccole quantità di metalli preziosi, e per il ricupero dell'oro dai cascami delle officine di oreficeria.
Tutte le suindicate leghe si ottengono per fusione dell'oro insieme con l'altro componente; le leghe di oro e mercurio si ottengono invece per assorbimento di quest'ultimo da parte del primo. Un pezzo di oro strofinato con mercurio è immediatamente penetrato da questo, e diventa fragilissimo, perdendo anche il suo colore; si esprime questo fatto dicendo che l'oro si è "amalgamato" col mercurio. A seconda che l'azione del mercurio sull'oro è più o meno prolungata, la quantità di mercurio assorbita è più o meno grande e può arrivare fino al 60%. Queste amalgame rimangono sempre allo stato solido e, riscaldate, perdono nuovamente il mercurio, che distilla. Messe a contatto con un eccesso di mercurio vi s' incorporano facilmente, rimanendo solide, e dando origine a una massa che appare pastosa, ma che in realtà è composta di particelle solide immerse in un liquido. Quest'ultimo non è altro che mercurio, il quale alla temperatura ordinaria scioglie solamente quantità minime di oro, e cioè 0,11 a 0, 12%. Se s'introduce la massa pastosa entro un sacco di pelle di camoscio, la parte liquida filtra e la filtrazione è facilitata dal suo stesso peso. Tali sono i fenomeni sui quali è fondata la separazione dell'oro dalle sabbie aurifere mediante l'amalgamazione col mercurio, praticata fino dall'antichità. Nella pratica odierna la parte solida che rimane nel sacco di pelle dopo la filtrazione contiene di solito 1 di oro per 2 di mercurio. N. Parravano ha dimostrato che nelle loro amalgame mercurio e oro formano almeno due composti, Au2Hg8 e Au3Hg, e inoltre una serie di soluzioni solide.
L'oro non viene attaccato se non in minime proporzioni dagli acidi comuni, viene invece disciolto in un tempo più o meno lungo da tutti i liquidi capaci di generare cloro, bromo o iodio allo stato nascente. Il più comunemente impiegato fra questi è l'acqua regia (v. App., p. 102), miscuglio di 3 parti di acido cloridrico con 1 parte di acido nitrico concentrati; la soluzione si verifica in pochi minuti dando origine a un liquido di colore giallo. La solubilità dell'oro nei cianuri di potassio e di sodio in presenza di ossigeno fu accertata verso la metà del secolo XIX, e diede poi origine a un processo di estrazione, oggi largamente adoperato. Occorrono 130 parti in peso di cianuro di potassio in presenza di 8 parti di ossigeno per sciogliere 197 parti di oro; perciò la quantità di ossigeno contenuta nei liquidi adoperati e nella massa pastosa di minerale polverizzato e inumidito è ampiamente sufficiente. L'oro si discioglie pure negl'iposolfiti di sodio, di potassio e di calcio, nell'acido selenico e nei solfuri alcalini.
L'oro si distingue per la sua spiccata indifferenza all'azione chimica delle altre sostanze; scarso è l'elenco dei suoi composti, i più semplici dei quali si formano con difficoltà e sono assai instabili, specie sotto l'azione del calore; in conseguenza di ciò, l'oro si trova in natura principalmente sotto forma di metallo. I pochi composti che si possono citare si raggruppano in due serie, in una delle quali l'oro è monovalente, nell'altra è trivalente. Così dalla soluzione dell'oro in acqua regia, concentrata e mandata a secco a bassa temperatura, si può estrarre con l'etere il tricloruro d'oro AuCl3, di colore rosso brillante, che si prepara anche per azione diretta del cloro gassoso secco sull'oro a 2000 e a questa temperatura volatilizza facilmente. Si combina con l'acqua per dare un sale rosso aranciato AuCl3, 3H2O, e con l'acido cloridrico per dare il composto giallo HAuCl4, 3H2O. Tutti questi sali sono facilmente solubili in acqua, e, riscaldati moderatamente, perdono il cloro trasformandosi in una polvere giallo canarino, insolubile in acqua, di formola AuCl, la quale, a sua volta, riscaldata più fortemente, si trasforma intieramente in oro. Più stabili sono i sali doppî del tricloruro coi cloruri di sodio e di potassio, pure solubili in acqua e che trovano applicazione in fotografia per intonare i positivi, nei quali l'argento viene in tal modo sostituito dall'oro che fornisce tinte più ricche e più varie. Anche la soluzione acquosa del tricloruro è poco stabile; l'oro ne precipita facilmente liberando il cloro. Quindi tutte le sostanze capaci di fornire combinazioni con il cloro, come l'anidride solforosa, il solfato ferroso, l'acido ossalico, il cloruro stannoso, precipitano intieramente e rapidamente a freddo o a caldo l'oro dalla detta soluzione. Quando questa è molto diluita il cloruro stannoso produce un precipitato di colore rosso porpora noto col nome di porpora di Cassio costituito di un miscuglio di oro colloidale e d' idrossido di stagno. L'oro in soluzione colloidale si ottiene anche con altri metodi e si adopera in farmacia per iniezioni sottocutanee. L'ammoniaca produce nella soluzione del tricloruro un precipitato di color giallo sporco che, allo stato secco, sottoposto a percussione o a riscaldamento, si decompone con esplosione, ed è perciò noto come oro fulminante; quando è umido si scioglie facilmente in una soluzione di cianuro di potassio, dalla quale per concentrazione si possono ottenere cristalli del sale complesso KAuCy2. La soluzione serve per i bagni di doratura galvanica. Dalle sue soluzioni nel cianuro di sodio o di potassio l'oro può venire riprecipitato allo stato metallico dallo zinco o da altri metalli. Dalle sue soluzioni negl'iposolfiti l'oro può essere riottenuto sotto forma di solfuro nero per azione dei solfuri alcalini.
Da questa sommaria rassegna delle principali proprietà chimiche dell'oro risulta la sua tendenza a ritornare costantemente e facilmente allo stato metallico, e a mantenervisi stabilmente e senza alterazioni. Questa proprietà, che permette la facile rigenerazione dell'oro dai suoi composti, e la sua inalterabilità, congiunte con le proprietà fisiche sopra indicate, e cioè il forte peso specifico, la malleabilità, che gli permette di ricevere agevolmente le più delicate impronte, la durezza, che gli è conferita dalla lega con poco rame e che lo rende resistente all'usura, l'omogeneità per la quale può essere ridotto in piccoli pezzi tutti esattamente uguali nel peso, nella composizione e nel valore, e finalmente la bellezza, lo splendore e il suono, che ne fanno una merce preziosa e avidamente ricercata per tutti gli oggetti di ornamento, rendono l'oro fra tutti i metalli il più adatto per gli usi monetarî. L'inalterabilità e la facilità del ricupero sono le cause che permettono l'accumularsi incessante del capitale oro estratto dalle miniere attraverso i secoli. Quindi il suo valore non dipende da una più o meno abbondante produzione dell'annata come accade per tutte le altre merci, bensì dalla quantità totale che esiste a disposizione dell'umanità, e per questa ragione rimane per lunghi periodi sensibilmente costante. In conseguenza di ciò l'oro si presta in modo eccellente a fornire la misura comune per tutti i valori mercantili. Finalmente la facilità della sua conservazione in spazî ristretti come le casseforti lo rende eminentemente adatto come garanzia della carta moneta.
Usi. - Gli usi nelle arti e nelle industrie sono assai limitati, e ciò appunto ne permette l'impiego monetario che è della massima importanza. Nei tempi antichissimi servì soltanto come sostanza ornamentale (v. appresso) in grazia del suo colore, dell'inalterabilità all'aria e della sua facile lavorazione; fu solo in seguito che divenne strumento di cambio e simbolo di ricchezza.
Per determinare la quantità di oro puro contenuto nelle sue leghe si può ricorrere all'analisi chimica e presso gli uffici di saggio governativi dei varî stati viene fatto il saggio dei metalli preziosi per conto dei privati; oppure si può fare una determinazione approssimativa, generalmente presso gli orefici con il saggio della pietra del paragone: strisciando su questa, che è di natura silicea, e quindi dura, l'oggetto da saggiare, questo vi lascia una riga lucente, che bagnata con un acido si assottiglia e diminuisce più o meno, a seconda della maggiore o minore quantità di rame e di argento che la lega contiene.
Una notevole quantità di oro si consuma anche nei processi galvanoplastici di doratura di altri metalli, specialmente argento, oppure per farne foglie sottilissime battute, per ricoprire legno (cornici) e anche metalli e leghe di statue, monumenti, ecc. Alcuni suoi sali hanno limitate applicazioni in fotografia, come il cloruro; i Giapponesi lo adoperano nelle loro lacche, e ridotto in fili sottili serve nella fabbricazione di galloni, trine, stoffe, ecc.
Industria.
Estrazione. - Fino dalla più remota antichità si è ottenuto l'oro per lavaggio delle sabbie fluviali, eseguito a mano con l'aiuto di scodelle di legno (il gold pan della California e la batea del Messico; v. fig. 2), e di altri attrezzi rudimentali. Più avanti, per lo sfruttamento di depositi sia a cielo aperto sia in galleria e situati in regioni in cui l'acqua è abbondante, si sono usati canali di legno (long tom e sluice; vedi figg.1, 3, 4, 5), lunghi da 2 a 4 m. e larghi da 30 a 60 cm. e muniti di traverse, di scanalature nel fondo e di altri ostacoli destinati ad arrestare l'oro. Una corrente d'acqua trasporta il materiale aurifero entro il canale inclinato, dove un operaio lo smuove continuamente; le particelle di oro, pesanti, cadono nel fondo dove vengono trattenute dagli ostacoli, mentre le parti sabbiose molto più leggiere vengono trascinate dalla corrente d'acqua. Nella regione montuosa della Spagna, situata presso l'attuale frontiera portoghese, i Romani con giganteschi lavori descritti da Plinio praticarono la disgregazione e l'abbattimento di enormi banchi auriferi per mezzo della pressione idraulica. Pure antichissimo è il procedimento che consiste nel triturare in un mortaio di pietra, di ferro o di bronzo una piccola quantità di sabbia aurifera insieme col doppio del suo peso di mercurio; le particelle di oro si amalgamano e s'incorporano nella massa del mercurio. L'eccesso di questo viene asportato per filtrazione attraverso una pelle di camoscio; l'amalgama rimasta viene liberata dal mercurio per distillazione entro piccoli forni; l'oro rimane nella storta, il mercurio che distilla va a condensarsi in un recipiente. Questo metodo primitivo, rudimentale e costoso, è stato successivamente perfezionato sia ponendo mercurio nel fondo dei suindicati canali inclinati, sia mediante l'impiego di molini di varia foggia, nei quali la triturazione del minerale e l'amalgamazione vengono eseguite con l'aiuto della forza animale o meccanica.
I procedimenti suaccennati, applicati nel mondo antico e nel continente americano immediatamente dopo la sua scoperta, permettevano l'estrazione dell'oro su piccola scala, con forte spesa di mano d'opera e con scarso rendimento, perché i mezzi rudimentali lasciavano nei residui della lavorazione una parte notevole del metallo prezioso. L'esplorazione continua della superficie del globo mise in luce immensi giacimenti inesplorati, e la tecnica moderna risolse il problema del loro compiuto sfruttamento in maniera economica, applicandovi tutte le risorse dell'arte mineraria e della meccanica, e introducendo nuovi metodi dovuti al progresso della chimica. I processi attuali hainno permesso anche di estendere e di approfondire la coltivazione di antiche miniere europee. Così oggi si ottiene per intero, o quasi, tanto il contenuto in oro dei depositi alluvionali quanto quello delle vene e dei filoni che si trovano nelle rocce quarzose primitive, e si riesce a estrarre tanto l'oro nativo mescolato alle sabbie quanto quello conglobato nei minerali sulfurei e arsenicali di rame e di piombo, che si dicevano refrattarî perché non cedevano il metallo prezioso al mercurio. Oggi al Congo e in California si scava il fondo dei corsi d'acqua auriferi mediante draghe capaci di estrarre mensilmente 50 mila mc. di sabbia; questo materiale contiene l'oro in polvere e in grani di dimensioni diverse, da quelli impalpabili che possono galleggiare sull'acqua fino alle pepite; lavato entro canali di legno con una corrente d'acqua di volume decuplo di quello della sabbia, abbandona il metallo prezioso, a eccezione di una piccola quantità (2%) che viene trascinata dalla corrente, mentre l'oro rimasto sul fondo è accompagnato da minerali pesanti. Quando invece si devono disgregare banchi auriferi sopraelevati sul fondo delle vallate è spesso vantaggioso proiettare contro le pareti del banco getti di acqua alla pressione di 15 atmosfere, per mezzo di lance mobili sul loro piano orizzontale e sul verticale. L'orifizio della lancia ha un diametro di 12 cm. e la portata di 70 mc. al minuto. Le rocce così disgregate vengono sottoposte all'azione di potenti frantumatori, sminuzzatori e polverizzatori meccanici, che le riducono in polvere finissima allo scopo di staccare le particelle di oro dalla ganga che le racchiude. Il materiale ottenuto viene assoggettato a un trattamento complesso, che comprende un'amalgamazione col mercurio, eseguita entro apparecchi a lastre di rame elettrolitico argentate, combinata con una decantazione automatica delle parti argillose, oppure in apparecchi rotanti in cui l'amalgamazione avviene per forza centrifuga (v. fig. 6), talvolta una seconda amalgamazione e un arricchimento dei residui per concentrazione meccanica oppure per mezzo dei moderni processi di fluitazione. A seconda della loro natura, i cosiddetti concentrati possono venire fusi entro storte (v. fig. 7) o entro forni metallurgici (v. fig. 8) muniti di depuratori elettrostatici per il ricupero delle polveri, e in tal modo si ottengono metalline ricche di metallo prezioso, piombo che ne contiene una piccola quantità e scorie. I concentrati, come anche altri residui dell'amalgamazione, o addirittura i minerali polverizzati, come sopra si è detto possono venire trattati anche con procedimenti chimici, che hanno lo scopo di far passare l'oro in soluzione acquosa. Le origini di questi processi risalgono alla metà del secolo XIX.
Nel 1848 K. F. Plattner propose l'impiego del cloro gassoso, reattivo potente che attacca l'oro e lo trasforma in cloruro, per il trattamento dei minerali auriferi non lavorabili col mercurio. Variamente modificato il procedimento di Plattner fu applicato durante mezzo secolo soprattutto in California e in Australia a tali minerali, e anche ai residui dell'amalgamazione, ma è ora del tutto abbandonato.
Nel 1886 J. S. Mac Arthur, R. W. Forrest e W. Forrest intrapresero una serie di ricerche sistematiche sui varî metodi fino allora proposti per l'estrazione dell'oro mediante reagenti chimici. Nel corso dei lavori misero in luce gl'inconvenienti del cloro e rivolsero la loro attenzione alla ricerca di un reattivo capace di sciogliere i metalli preziosi più facilmente che non i metalli comuni; dopo ripetuti tentativi con varie sostanze trovarono il reattivo desiderato nel cianuro di potassio. L'azione solvente di questo sale sull'oro e sull'argento era nota da lungo tempo, ma si riteneva che non fosse possibile servirsene in pratica senza l'ausilio della corrente elettrica; inoltre a quell'epoca il cianuro era costoso e si temeva la sua azione tossica. Malgrado tali difficoltà, gl'inventori del nuovo processo lo introdussero nella pratica con risultati sorprendenti, dimostrando che soluzioni molto diluite di cianuro sciolgono i metalli preziosi con sufficiente rapidità, quando siano coadiuvate dall'azione dell'ossigeno dell'aria, e quando si mantenga costantemente alcalina la reazione del bagno.
Il processo al cianuro provato nel 1889 nella Nuova Zelanda e nel 1890 al Transvaal, si è oggi diffuso dappertutto, e si applica sia ai minerali già trattati col mercurio sia ai minerali vergini, quando non contengono sostanze che ne rendano l'impiego troppo oneroso, perché decompongono il cianuro. Mentre in principio si trovava in commercio soltanto cianuro potassico molto impuro, si ottiene oggi con processi più economici cianuro di sodio puro (1 kg. di questo ha il valore di 1 gr. di oro). Frattanto i proprietarî delle miniere di mercurio cercarono di abbassarne il prezzo perfezionandone l'estrazione; tuttavia nella competizione tra mercurio e cianuro quest'ultimo guadagnò e guadagna continuamente terreno; p. es., nelle miniere del SudAfrica l'oro si estrae oggi per il 38% mediante l'amalgamazione e per il 62% mediante la cianurazione, mentre alcuni anni orsono si estraeva col mercurio il 50% di oro. In generale, combinando opportunamente i due processi insieme coi suaccennati mezzi meccanici nei paesi in cui le condizioni naturali ed economiche sono favorevoli, si riesce oggi a lavorare enormi quantità di materiali auriferi poveri, estratti a profondità superiori a 1000 m., ricavandone il 95 % dell'oro in essi contenuto.
Nella pratica della cianurazione la polvere aurifera triturata molto finemente viene anzitutto introdotta, insieme con la soluzione che contiene 300 a 500 g. di cianuro di sodio per mc. di acqua, entro speciali apparecchi nei quali tale soluzione viene agitata continuamente, sia mediante organi meccanici, sia mediante una corrente di aria sotto pressione (v. fig. 9), e sia finalmente mediante i due sistemi, meccanico e ad aria in pressione, opportunamente combinati insieme (v. fig. 10).
Dagli agitatori la polpa aurifera viene pompata entro apparecchi, nei quali circola a controcorrente la soluzione di cianuro; questa viene chiarificata per decantazione (fig. 11) o per filtrazione (fig. 12), disaerata e fatta passare entro vasche contenenti frammenti di zinco. Questo metallo si scioglie nel cianuro, sostituendo l'oro, che precipita sotto forma di polvere, la quale viene depurata per lavaggio con acido solforico (figg. 13 e 14).
L'oro grezzo ottenuto con l'uno o con l'altro dei processi suindicati deve anzitutto essere fuso e gettato in lingotti del peso di una decina di chilogrammi, allo scopo di poterne accertare il contenuto esatto in metallo prezioso mediante l'analisi chimica, e di poterlo trasportare e vendere; in questo stato viene venduto alle raffinerie, le quali lo separano dall'argento, che ordinariamente contiene, e dalle piccole quantità di metalli ignobili, che lo inquinano e lo renderebbero improprio a ogni uso. La separazione dall'argento è comunemente chiamata spartimento, e viene oggi per lo più praticata col metodo dell'inquartazione. Da ciò si comprende come la raffinazione di due metalli preziosi provenienti da miniere diverse venga eseguita negli stessi stabilimenti, che preparano anzitutto per fusione la lega anzidetta. Questa viene ridotta in "granaglia" per colata entro acqua, e quindi sottoposta entro caldaie di ghisa speciale all'azione di acido solforico concentrato bollente. L'argento vi si scioglie e ne viene poi ricavato con metodi varî, mentre le piccole quantità di metalli ignobili (rame, piombo, stagno, zinco, ferro e poco argento) rimangono per lo più allo stato di solfati insieme con l'oro, e ne vengono in seguito eliminati mediante ripetuti lavaggi con acido solforico diluito e acqua calda.
L'argento può venire separato dall'oro anche mediante l'elettrolisi in un bagno di nitrato di argento; questo si separa puro al catodo e l'oro rimane all'anodo in forma di spugna o di fango. Finalmente si può separare elettroliticamente l'oro dall'argento in un bagno di cloruro d'oro, quando l'anodo contenga oltre 800‰ di oro, e in tal caso si ottiene al catodo oro puro, mentre l'argento precipita come cloruro insolubile. L'oro che rimane all'anodo nel bagno di nitrato contiene da 920 a 950‰ di fino, e deve essere ulteriormente raffinato; quello proveniente dall'inquartazione contiene da 990 a 998‰ di fino, e quello ottenuto elettroliticamente in un bagno di cloruro contiene soltanto da 3 a 4 decimillesimi d'impurezze. Nei due ultimi casi l'oro è duttile e malleabile; fuso e gettato in lingotti, può essere senz'altro adoperato per gli usi monetarî e per la gioielleria.
Produzione. - La produzione dell'oro durante l'antichità e nel Medioevo è minima in confronto della produzione posteriore e soprattutto dell'attuale, e il valore dell'oro era molto più elevato che non ora; si reputa che all'epoca romana si potesse ottenere una data quantità di prodotti usuali con la decima parte dell'oro necessario allo stesso scopo attualmente. Le invasioni barbariche produssero l'abbandono quasi totale delle miniere, che furono poi di nuovo coltivate dagli Arabi in Spagna e più tardi dai Tedeschi in Germania e in Austria. Il capitale in oro esistente in Europa alla fine del Medioevo è valutato dai più autorevoli studiosi a 300 milioni di franchi dell'anteguerra, che corrispondono a circa un miliardo di lire attuali. Nei 350 anni che vanno dalla scoperta dell'America alla metà del sec. XIX si calcola che siano state estratte nel Nuovo Mondo circa 3000 tonnellate di oro pari a circa 10 miliardi di lire oro; aggiungendovi le quantità estratte in Europa e nelle altre parti del mondo si arriverebbe a un totale di circa 14 miliardi, come dimostra il seguente specchietto:
Le cifre seguenti dànno la media annua della produzione mondiale a partire dal 1493 fino al 1850:
La cifra massima raggiunta verso la metà del sec. XVIII diminuisce progressivamente nei cento anni successivi, e specialmente al principio del sec. XIX per le sfavorevoli condizioni politiche che si verificano nel Nuovo Mondo. L'aumento che si nota a partire dal 1821 è dovuto esclusivamente alla Russia e alla Siberia.
Verso la metà del secolo XIX incomincia nella produzione dell'oro un nuovo portentoso periodo che coincide nel tempo e nelle dimensioni con quello che segna lo sviluppo del moderno capitalismo. Nel 1848 in California e nel 1851 in Australia vennero scoperti i giacimenti alluvionali, verso i quali si preciptò la folla dei cercatori che in pochi anni rovesciarono nel mondo notevoli quantità di oro. Nel 1853 i depositi alluvionali di più facile sfruttamento erano già esauriti, e malgrado la scoperta di altre miniere nelle regioni a occidente delle Cordigliere, l'estrazione diminuì a partire dal 1860 fino al 1892. In questo anno fu trovato l'oro a Cripple Creek nel Colorado, e di qui ebbe inizio un secondo forte aumento nella produzione. Questa ricevette un nuovo impulso dall'introduzione del processo al cianuro, che permise lo sfruttamento dei giacimenti poveri, dallo sviluppo dell'estrazione con le draghe in California e dall'impiego di altri potenti mezzi meccanici e di forti capitali nelle miniere. Tutto ciò è dimostrato dalle cifre seguenti che dànno la produzione media annua dal 1850 al 1900.
Le suaccennate cause e la scoperta nel 1904 di nuovi giacimenti nell'Alasca provocarono a partire dal 1901 un ulteriore considerevole aumento nella produzione mondiale annua, aumento che, appena turbato da deboli fluttuazioni, continuò fino al 1915, come si vede dai seguenti dati:
Dal 1915 al 1929, per le sfavorevoli condizioni create dalla guerra mondiale, la produzione è stata in costante regresso; nel 1915 si estrassero negli Stati Uniti 150.033 kg. di oro, mentre nel 1927 se ne estrassero kg. 65.854.
In Australia si nota una diminuzione nell'estrazione dell'oro già a partire dal 1904, e nel 1929 la quantità di oro ricavata fu la ottava parte di quella ottenuta nel 1906. I depositi dell'Unione Sudafricana furono scoperti nel 1853, e lo sviluppo della produzione si verificò a partire dal 1888; dopo una breve interruzione durante la guerra boera nel 1900, riprese a crescere su vasta scala fino al 1912, e da allora rimase stazionaria fino al 1929. La situazione è rimasta stazionaria anche in Siberia, mentre è peggiorata nell'Africa occidentale, nelle Indie e nel Messico.
Dal 1930 a oggi la produzione generale ha ricevuto un nuovo stimolo dalla svalutazione della sterlina. Le cifre seguenti mostrano la produzione mondiale annua a partire dal 1916.
La produzione odierna nelle varie parti del mondo è così ripartita:
In Europa, la Romania che nel 1919 produsse kg. 700 di oro, nel 1932 raggiunse kg. 3538; la Francia che nel 1929 ne produsse kg. 1500 riuscì nel 1932 ad estrarne kg. 2862. La produzione italiana, quasi tutta proveniente dal lavaggio delle sabbie dei fiumi alpini, fu nel 1924 di kg. 48, nel 1929 di kg. 106, nel 1933 di kg. 85. Nella Colonia Eritrea si sfruttano con mezzi ancora rudimentali piccoli filoni di quarzo aurifero che possono raggiungere il tenore di 15 a 20 grammi per tonnellata; la produzione che era stata fino a poco tempo fa di pochi chili annui ha raggiunto ora una media di una diecina di chilogrammi mensili.
Bibl.: G. Jervis, Dell'oro in natura, Torino 1881; A. G. Lock, Gold, its extraction and occurrence, Londra 1882; A. D'Achiardi, I metalli, loro minerali e miniere, I, Milano 1883; C. Roswag, L'argent et l'or, Parigi 1889; L. De Launay, Les mines d'or du Transvaal, ivi 1896; id., L'or dans le monde, ivi 1907; J. Malcom Maclarin, Gold, Londra 1908; L. De Launay, Gites minéraux et métallifères, III, 1913; T. K. Rose, The metallurgy of gold, Londra 1915; V. Tafel, Lehrbuch der Metallhüttenkunde, Lipsia 1927; Pascal, Traité de chimie minerale, Parigi 1933; N. Parravano, Sulle amalgame di oro, in Gazzetta chimica it., XLVIII, ii, p. 213, e XLIX, i, p. i; v. inoltre le pubbl. della Società delle nazioni.
Farmacologia.
In tempi remoti l'oro fu considerato rimedio portentoso, perché si pensava che, inalterabile, re e sole dei metalli, esso dovesse racchiudere miracolose virtù. Paracelso vantava l'oro potabile e G. Falloppia nel secolo XVI lo consigliava nella cura della sifilide. Dimenticato, è tornato in auge nella cura chemoterapica della tubercolosi e, dopo che P. Koch ebbe proposto nel 1890 il cianuro doppio d'oro e di potassio, molte altre preparazioni sono state indicate a questo scopo: la sanocrisina (aurotiosolfato sodico), il trifal (ac. aurotiobenzinimidazolcarbonico), il krisolgan (ac. tetraamminobiaurofenolcarbonico) e inoltre s'è associato l'oro al fosforo (aurofos) o all'arsenico (neocrisolo), ecc. Ma le recenti ricerche di varî autori stranieri e italiani (E. Meneghetti) hanno dimostrato che l'oro non si può considerare un vero farmaco chemoterapico e che se può avere un'azione íarmacologica essa è ancora incerta e, comunque, contro la tubercolosi, di esito dubbio.
Vedi anche colloidali, metalli.
Arte.
Antichità. - Il paese classico dell'oro era per i Greci l'Oriente: a questo riportano le leggende del vello d'oro, del fiume Pattolo e di Mida, le tradizioni, in parte veritiere in parte favolose, di Creso re di Lidia. Certo dall'Oriente i Greci traevano il più dell'oro che adoperavano, ma soprattutto nei paesi dell'Oriente, nelle corti dei re di Babilonia, di Assiria e di Persia, essi ne vedevano fatto l'uso più diffuso, quasi sfrenato in oggetti di ogni genere.
Peraltro, a giudicare sia dai poemi omerici sia dai rinvenimenti archeologici, largo uso di questo metallo aveva fatto già la civiltà cretese-micenea, come ne fece sempre, e soprattutto nei periodi delle più gloriose dinastie, l'Egitto. Nelle lettere di Tell el-Amarna spesso i piccoli sovrani di Siria, clienti del faraone, chiedono al re che mandi loro dell'oro. Più raro esso fu nella Grecia classica e a Roma, dove anzi alcune leggi tentarono frenarne l'abuso, specie per ciò che riguarda il lusso della persona.
Tuttavia si può dire che l'impiego dell'oro nell'antichità fu in generale assai più largo che nel Medioevo e nell'età moderna: non solo infatti si lavoravano con esso oggetti personali di ornamento (v. oreficeria), decorazioni di vesti, vasellame, utensili e doni votivi per i templi, ma lo si adoperava con molta frequenza anche nell'architettura e nella scultura.
I palazzi degli eroi omerici, come quelli dell'Egitto e della Mesopotamia, scintillavano d'oro non solo nei mobili, ma nei rivestimenti delle pareti, nella decorazione delle porte e dei soffitti: lo stesso ricco ornamento aveva un tempio costruito da Antioco Epifane. Tegole di bronzo dorato avevano il Pantheon e il tempio di Giove Capitolino: in questo anche le porte erano rivestite di lamine d'oro.
Di statue tutte in oro, anche di dimensioni colossali, abbiamo menzione da Plinio e da Erodoto, come esistenti in templi dell'Oriente e della Grecia: talvolta la figura era lavorata a martello, in un sol pezzo e senza alcun vuoto (ὁλοσϕύρατον), tal'altra a sbalzo e in più pezzi messi insieme (σϕυρήλατον). L'uso di figure cosiffatte fu soltanto però dei tempi più antichi. Più tardi si adoperò con più frequenza la tecnica criselefantina (v.), o le statue, in bronzo o in marmo, furono in tutto o in parte dorate: è da credere anzi che molte delle statue che erano dette d'oro fossero semplicemente placcate in oro (inauratae) o dorate (subauratae): tracce di doratura più o meno copiose abbiamo in molte statue fino a noi pervenute: citiamo fra tutte quella capitolina di Marco Aurelio, e il cosiddetto Ercole Righetti del Museo Vaticano.
Le statue in oro offerte nei templi, come i doni votivi di ogni genere in essi depositati: tripodi, vasi, armi, e talvolta anche verghe d'oro massiccio costituivano il tesoro dei santuarî, cui, in momenti di necessità, ricorrevano città e sovrani per fare fronte alle spese pubbliche: questo avvenne, p. es., ad Atene durante la guerra del Peloponneso.
Di oro e di altri metalli preziosi si faceva sfoggio nelle armi, a giudicare da quanto ci dice Omero delle armi di Achille, e dai pugnali ageminati rinvenuti a Micene e a Creta; i Romani non conobbero questo lusso che nel bottino preso da altri popoli, p. es., dai Galli.
L'oro aveva infine grande parte nelle cerimonie e nei riti funebri: basti ricordare le maschere funerarie di Micene e la descrizione, dataci da Diodoro, del trasporto della salma di Alessandro Magno da Babilonia ad Alessandria: la bara, il carro, il baldacchino: tutto era in oro o aveva dovizia di ornamenti aurei.
Medioevo ed età moderna. - Resta ricordo del largo uso dell'oro nel Medioevo negli ornamenti e negli arredi (mobilio della chiesa di S. Sofia a Costantinopoli; chrysotriclinium nel palazzo imperiale di Bisanzio; tavole e letti d'oro nella corte dei re normanni di Sicilia, ecc.), poi sempre più diminuito fino ai tempi nostri.
Come nel Medioevo gl'inventarî ecclesiastici, e fra tutti il Liber Pontificalis, nel Rinascimento, epoca in cui le corti gareggiavano per avere splendidi ornamenti aurei sopra le mense, gl'inventarî profani ricordano svariati oggetti d'oro (esempi nel tesoro degli argenti a Palazzo Pitti, nel British Museum, al Louvre, ecc.).
L'oro ebbe sul principio del Medioevo grande importanza per la decorazione delle vesti, ridotto a lamelle esilissime (bratteate) e ornato con fregi eseguiti a stampo, si appuntava o s'incollava ai bordi dei drappi (croci barbariche nei tesori di Nocera Umbra e di Castel Trosino, ecc.). Fu poi usato nelle stoffe di broccato dove l'oro, ridotto a fili esilissimi, entrs nella tessitura componendo motivi decorativi, oppure nei galloni di filo d'oro.
Nella gioielleria l'oro entrò come parte precipua per legare le gemme, per gli smalti, per l'agemina, per la filigrana. Quest'ultima, grandemente usata dai Bizantini e dai Veneziani, è rimasta ancora in grande uso presso gli Arabi e presso gli Armeni.
I popoli barbarici amarono grandemente l'oro e ne fecero collane massicce, bracciali, corazze e armi per i loro condottieri, e fibule, orecchini e altro per le loro donne. Nel Rinascimento tutti i gioielli sono d'oro ma la superficie spesso è smaltata oppure è interrotta da perle. Sempre più le gemme prendono posto a scapito dell'oro nel Seicento mentre nel Settecento l'oro ritorna commisto alle perle in deliziose applicazioni. Nell'Ottocento l'oro rosso impera nella gioielleria e si hanno pesanti collane, braccialetti e lunghi orecchini di gusto assai mediocre.
Modernamente la funzione dell'oro nella gioielleria per legare le gemme è stata spesso sostituita dal platino, o per imitarlo, dall'"oro bianco".
L'uso dell'oro è stato più costante nell'oreficeria sacra, durante tutto il Medioevo, benché sovente il bronzo e il rame dorato sostituissero il metallo più prezioso così come più tardi, nei secoli XVII e XVIII, lo sostituì l'argento, anche dorato. L'oro come l'argento dorato sono ancor oggi usati per le suppellettili sacre.
Le tecniche per la lavorazione dell'oro sono eguali a quelle dell'argento. Importante, a questo soggetto, è la Schedula diversarum artium del monaco Teofilo che espone le varie tecniche in uso nel Medioevo e il Trattato d'oreficeria di Benvenuto Cellini.
Per le varie tecniche nella lavorazione dell'oro usate nel corso dei secoli, v. oreficeria.
Bibl.: v. argento; oreficeria. L. De Launay, L'or dans le monde, Parigi 1907; Brocard, La production de l'or, ivi 1905.
Vedi anche metalli preziosi; moneta.