ortodossia
Termine che storicamente designa la Chiesa greca, cioè la Chiesa «ortodossa». È anche il nome di una solennità della stessa Chiesa, che si celebra la prima domenica di quaresima, istituita dal Concilio di Costantinopoli (842), in ricordo della vittoria sull’iconoclastia; con l’andar del tempo la festa assunse il significato generale di celebrazione della vera fede contro l’eresia. La storia della Chiesa ortodossa ha inizio quando, staccatesi dalla Chiesa bizantina le Chiese nestoriane e monofisite, caduti i patriarcati di Antiochia e Alessandria sotto la dominazione araba e ridotti d’influenza, il patriarca di Costantinopoli diventò l’autorità ecclesiastica più importante dell’Oriente; influì sopra l’elezione dei vescovi, attirando nella sua orbita regioni prima rette dal papa di Roma; esercitò attività missionaria specialmente tra i popoli slavi, unificando largamente quelle Chiese nei riti (liturgia bizantina, bizantino-slava), nella disciplina e nella fede. Stabilendo il principio che a Costantinopoli competeva il primato per essere la Chiesa della capitale dell’impero, il patriarca si pose in antagonismo con Roma e pretese giurisdizione unica su tutto l’Oriente. Tale giurisdizione egli esercitò di fatto per molti secoli per lo scarso rilievo politico degli altri Stati, e soprattutto dalla fine dell’impero bizantino quando i sultani turchi riconobbero il patriarca di Costantinopoli anche capo civile dei cristiani ortodossi a loro soggetti. In epoca contemporanea si può parlare di un’unica Chiesa ortodossa solo in senso improprio, perché nelle Chiese orientali non cattoliche non si avverte l’esigenza di darsi una struttura ecclesiastica unica, saldamente organizzata e gerarchizzata. In generale può dirsi che se la concezione della Chiesa quale «comunità di uomini, predisposta da Dio, riuniti dalla fede ortodossa, dalla legge divina e dai sacramenti» (come suona il catechismo ortodosso) è abbastanza simile a quella cattolica, in sede di dottrina teologica dal sec. 19° in poi si è genericamente attribuita la qualifica di Chiesa a «tutti coloro che dovunque credono in Cristo»; capo ne può essere solo Gesù Cristo e non vi è un unico vicario – come nella Chiesa cattolica, impersonato dal pontefice – ma nelle singole Chiese ne sono vicari i vescovi; contro la concezione che distingue, come nel cattolicesimo, Chiesa docente (vescovi e clero) e Chiesa discente (fedeli), per gli ortodossi da un secolo a questa parte ha avuto il predominio la dottrina teologica della sobornost′ (propr. «comunione»): la Chiesa viene considerata come un unico organismo che non ha bisogno di un’autorità infallibile – sia essa un papa o il concilio – in materia di fede, perché la Chiesa stessa (o chiunque dei suoi fedeli) è illuminata dallo Spirito Santo e le sue decisioni devono essere approvate dai fedeli come «corpo». Da questa concezione discende la conseguenza che la Chiesa o meglio le Chiese ortodosse arrivano a riconoscere al sommo pontefice un primato d’onore e non anche di giurisdizione, ma non ne ammettono ovviamente il dogma dell’infallibilità nelle questioni di fede e di morale così come è stato definito dal Concilio vaticano I. Di fatto le Chiese ortodosse possono rivendicare un’unità interiore, tutta spirituale, a scapito di un’unità visibile e gerarchica: proprio per l’assenza di quest’ultima la Chiesa ortodossa si presenta come un insieme di Chiese legate da un vincolo di comunione che riconoscono nel patriarca di Costantinopoli la qualifica onorifica di primus inter pares. In generale, tendenza dominante fra le Chiese ortodosse, specie in epoca moderna, è una sorta di nazionalismo religioso, vale a dire l’indirizzo a prendere come base della giurisdizione ecclesiastica la nazionalità, indipendentemente dal fatto che essa costituisca un organismo statale. È quello che si chiama filetismo o nazionalismo religioso, secondo il termine usato nel 1870 dal patriarca di Costantinopoli nel lanciare la scomunica (revocata solo nel 1945) contro i bulgari, che nel marzo 1870 avevano ottenuto dal sultano la costituzione di un esarcato proprio, indipendente e autocefalo rispetto al patriarcato ecumenico. Il filetismo, come tendenza delle singole Chiese a costituirsi in autocefalie, per i progressi che ha compiuto si può dire che rappresenti la caratteristica fondamentale del mondo ortodosso. Il caso limite è rappresentato dalla costituzione di vescovati «filetici», vale a dire nazionali, da parte delle varie Chiese autocefale per i connazionali emigrati all’estero. A questo proposito va sottolineato che il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, pur considerato il centro spirituale dell’ortodossia, è in realtà una delle autocefalie più piccole, limitato com’è ai pochi cristiani ortodossi di Istanbul e della Turchia, con alcune metropoli nell’Europa occidentale, in America e in Australia (spetta comunque al patriarca di Costantinopoli prendere iniziative d’interesse comune). Tra le Chiese nazionali ortodosse più significative occorre ricordare: la Chiesa greca, diretta da un santo sinodo, staccatasi dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1833, con giurisdizione su tutti i territori greci (dal 1945 anche sulle isole dell’Egeo); la Chiesa nazionale bulgara, sottrattasi alla giurisdizione del patriarca di Costantinopoli nel 1870 con la creazione di una gerarchia e di un clero esclusivamente bulgari; la Chiesa nazionale serba, divenuta autocefala nel 1878 e retta dal patriarca; la Chiesa nazionale romena, retta da un patriarca istituito nel 1925; la Chiesa ortodossa albanese, autocefala dal 1937; la Chiesa autocefala di Cipro, retta da un santo sinodo e avente per capo un arcivescovo, il quale, prima che Cipro ottenesse l’indipendenza nell’ambito del Commonwealth (1960), aveva anche il titolo e le funzioni di etnarca, cioè di capo civile dei cristiani ortodossi con poteri di rappresentanza prima nei confronti del sultano, poi verso l’autorità britannica. In Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria esistono piccole Chiese ortodosse che dopo la Seconda guerra mondiale si sono sottoposte alla giurisdizione del Patriarcato di Mosca. Circa gli Stati baltici, in ognuno di essi, in relazione alla raggiunta indipendenza dopo la Prima guerra mondiale, si costituirono delle Chiese ortodosse nazionali: quella lituana continuò a rimanere in comunione col patriarca di Mosca; quella lettone nel 1936 fu riconosciuta autocefala dal patriarca ecumenico di Costantinopoli; analogamente la Chiesa estone divenne autocefala con alta giurisdizione del patriarca ecumenico; dopo l’annessione degli Stati baltici da parte dell’URSS al termine della Seconda guerra mondiale, queste due Chiese sono state sottoposte alla giurisdizione del Patriarcato di Mosca; in Finlandia, gli ortodossi sono retti da una Chiesa autocefala, con alta giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.
Costituisce ancor oggi, per numero di fedeli e per il prestigio che le deriva dal fatto di avere l’appoggio del più grande e potente Stato di stirpe slava e di formazione religioso-culturale ortodossa, la comunità religiosa ortodossa più importante. Rimasti lungamente in comunione con Roma anche dopo lo scisma di Michele Cerulario (1054), almeno sino alla seconda metà del sec. 15°, i russi se ne staccarono a poco a poco: nel 1448 si ebbe l’autocefalia della Chiesa russa e nel 1589 venne costituito il Patriarcato di Mosca (la «terza Roma»). Nel 1596 invece, con l’unione di Brest-Litovsk, parte degli ortodossi ucraini si unirono a Roma conservando il loro rito. Sotto Pietro il Grande, col regolamento ecclesiastico del 1721 che sopprimeva del tutto il patriarcato, la Chiesa russa fu strettamente legata e subordinata allo Stato, con un santo sinodo che riproduceva, in chiave ecclesiastica, le funzioni dei collegi o ministeri civili, ma nel novembre 1917, dopo la caduta dello zarismo, fu ripristinato il Patriarcato di Mosca e di tutta la Russia, con l’elezione del patriarca Ticone. Dilaniata per secoli da scismi tenaci, quale quello del raskol′, percorsa da influenze protestanti, dal 1917 per oltre un ventennio la Chiesa russa dovette subire la durissima persecuzione bolscevica nonché scismi e divisioni come quello della Chiesa sinodale e altri minori. Solo con la Seconda guerra mondiale, che vide la gerarchia e il clero assumere un atteggiamento altamente patriottico, accanto ai soldati e al popolo, nella difesa della patria comune, la persecuzione cessò; nel 1945 fu assicurata l’elezione del patriarca, nella persona di Alessio (a cui successe nel 1971 Pimen), mentre veniva creato un commissario (civile) per gli affari della Chiesa ortodossa. Da allora la Chiesa patriarcale russa, nell’appoggiarsi secondo la tradizione bizantina allo Stato sovietico, ne condivise interamente gli orientamenti, rappresentando una delle forze di collegamento e d’influenza politico-religiosa ovunque esistessero comunità «ortodosse». Naturalmente la Rivoluzione bolscevica e la diaspora russa all’estero resero spontanea l’esigenza di creare una gerarchia per i russi «bianchi», e dopo varie discordie e reciproche scomuniche, la situazione si complicò con ulteriori divisioni. A partire dal 1989 la Chiesa russa si è avviata a riprendere la sua piena libertà d’azione, che è stata poi sancita dal nuovo ordinamento statale alla fine del 1993, mentre alla morte del patriarca Pimen gli è succeduto nel 1990 Alessio II. In Ucraina dopo il 1989 sono state costituite tre Chiese ortodosse ucraine che tendono all’indipendenza e in Armenia e in Georgia vi sono altre due Chiese ortodosse indipendenti: la Chiesa armena retta da un katholikòs con sede a Ečmiadzin, e la Chiesa georgiana retta essa pure da un katholikòs con sede a Tbilisi.