Ottone III
Imperatore del Sacro romano impero e re di Germania (Kessel, Cleve, 980-Castel Paterno 1002). Figlio di Ottone II e di Teofano; incoronato re a Verona nel 983, lo stesso anno rimase orfano del padre. La tutela del fanciullo e il governo dell’impero furono assunti dalla madre, ma Enrico il Litigioso, sottrattosi alla custodia del vescovo di Utrecht, al quale era stato affidato dopo la rivolta contro Ottone II, riuscì a impadronirsi del fanciullo con l’intento di assumerne egli stesso la tutela e di cingere la corona; la sua lotta contro i sostenitori di O. si concluse però con la sua sottomissione nel 985: in compenso riebbe il ducato di Baviera. Da allora Teofano, coadiuvata dall’arcivescovo di Magonza, Villigi, resse con mano ferma e abile le sorti dell’impero, garantendo il proseguimento della politica di Ottone I e II. Morta ancor giovane Teofano nel 991, la tutela di O. fu assunta dalla nonna Adelaide. Gli anni fino al 994, quando O., raggiunta la maggiore età, assunse personalmente il governo, furono caratterizzati da cruente lotte ai confini settentrionali e orientali della Germania, terminate non sempre vittoriosamente per le armi regie. Fin dagli inizi O. si mostrò fedele alla tradizione carolingia: scese in Italia nel 996, chiamatovi contro Giovanni Crescenzio dal papa Giovanni XV e, morto nel frattempo quest’ultimo, fece eleggere alla tiara suo cugino Brunone (Gregorio V), dal quale nel gennaio 996 fu incoronato imperatore. Quindi, con l’aiuto del re di Polonia, condusse due vittoriose spedizioni contro gli slavi che avevano oltrepassato l’Elba (997); a Roma tornò nel 998, quando Gregorio V fu costretto a lasciare la città per le minacce di Crescenzio (che, catturato dopo un duro assedio dell’esercito imperiale in Castel Sant’Angelo, fu ucciso), e ancora nel 999 per l’elezione a papa del suo precettore Gerberto di Aurillac (Silvestro II). In Italia trascorse la massima parte di quegli anni, ma non per questo egli trascurò gli interessi del regno di Germania, anche se la sua politica si differenziò sostanzialmente da quella dei predecessori. La renovatio imperii Romanorum, da lui promossa, si rifaceva, al di là dell’esempio stesso di Carlomagno, all’autentica tradizione imperiale romana, da Augusto in poi. L’edificazione da parte di O. di un nuovo palazzo imperiale sul Palatino prova la volontà del giovane sovrano di rifare di Roma l’autentica sedes imperii, dove doveva risiedere una vera corte imperiale, nella quale l’aristocrazia romana e quella germanica fossero in un certo modo unificate da un cerimoniale misto, romano antico e bizantino. L’idea imperiale di O. era inoltre nutrita da una fede cristiana così intensamente sentita da farlo giungere a un’identificazione completa della missione temporale dell’impero con quella spirituale della Chiesa: identificazione cui egli ambiva forse anche per influenze culturali bizantine innegabili. Così egli volle assumere il titolo di servus Iesu Christi, nel 1000, allorché istituì l’arcivescovato di Gniezno per la Polonia e poi quello di Strigonia per l’Ungheria: l’ingresso nella comunità cristiana di quelle due nazioni corrispose anche a un riconoscimento limitato della sovranità dell’impero su di esse. La dottrina ottoniana, peraltro appena abbozzata, dei rapporti tra impero e papato, condotta alle sue estreme conseguenze (O. non volle riconoscere la validità della cosiddetta donazione di Costantino), non poteva non condurre a divergenze tra O. e Silvestro II: la tensione, risultata evidente nel 1001, non provocò un aperto conflitto solo perché in quell’anno i romani, malcontenti della benevolenza imperiale verso la vinta Tivoli, cacciarono tanto il papa quanto l’imperatore dalla città. Né O. riuscì più a rimettere il piede nella sua capitale: di lì a qualche mese infatti morì, forse di vaiolo, mentre presso il Soratte attendeva dalla Germania i rinforzi con i quali riconquistare Roma.