RESPIGHI, Ottorino
RESPIGHI, Ottorino. – Nacque il 9 luglio 1879 a Bologna, terzogenito di Giuseppe (1840-1923) e di Ersilia Putti.
La madre proveniva da una famiglia di scultori: Massimiliano il padre e, più noto, Giovanni il nonno. Il nonno paterno di Ottorino, Tommaso, era violinista e organista nel duomo di Borgo San Donnino (oggi Fidenza), città d’origine della famiglia. Il padre, impiegato alle poste, coltivò lo studio del pianoforte con Stefano Golinelli, fino a conseguire il diploma al liceo musicale di Bologna e a divenire un dignitoso concertista, insegnante apprezzato e consigliere dell’Accademia Filarmonica. Da lui Ottorino apprese i primi rudimenti dello strumento: su questa base sviluppò da autodidatta notevoli capacità esecutive (anni dopo confidò tuttavia di non saper eseguire le scale e di evitarle perciò nelle proprie composizioni).
La sorella Amelia lo descrisse come carattere chiuso, «spietatamente sincero», sensibile e generoso. Cresciuto in una famiglia borghese con propensioni artistiche, il giovane Ottorino, ragazzo serio e pensoso, si accostò fin da bambino alla musica. A otto anni imbracciò il violino e mise le mani sul pianoforte. Assai presto sviluppò anche altre passioni coltivate per il resto della vita: le carte geografiche, la fisica (che a 16 anni gli valse la simpatia del celebre Augusto Righi) e le scienze esoteriche, i libri, la pratica poliglotta (in biblioteca ebbe poi le grammatiche araba, ebraica, finnica, francese, inglese, persiana, portoghese, russa, spagnola, svedese e ungherese).
Nel 1891, morto il nonno materno, la famiglia si trasferì nell’abitazione ereditata da quest’ultimo, al numero 2 di via Castagnoli, dove il ragazzo poté disporre di uno studio dove appartarsi, che egli conservò fino alla morte del padre (1923). Nello stesso anno, conclusi gli studi al ginnasio Guinizelli, passò al liceo musicale, dove seguì i corsi di violino e viola con Federico Sarti (primo violino del Quartetto bolognese), di contrappunto e fuga con Cesare Dall’Olio e di composizione, prima con Luigi Torchi e poi con Giuseppe Martucci. Nel giugno del 1899 si diplomò in violino, eseguendo nel saggio finale un brano di alto virtuosismo, Le streghe di Niccolò Paganini. A seguire, sbrigò un paio di stagioni nella fila dell’orchestra del teatro Comunale, prima di essere ingaggiato, alla fine del 1900, come prima viola nell’orchestra del teatro Mariinskij di Pietroburgo, dove suonò in allestimenti di opere italiane e francesi, del Tannhäuser di Richard Wagner e – il titolo lo interessò particolarmente – dell’Evgenij Onegin di Pëtr Il′ič Čajkovskij. In Russia si fece conoscere da Nikolaj Rimskij-Korsakov, che per cinque mesi gli impartì lezioni di composizione e orchestrazione e lo guidò nel completamento di un Preludio, Corale e Fuga, con il quale nel 1901 ottenne a Bologna il diploma di composizione.
A Bologna, dal 1903 al 1910, si esibì in prevalenza come strumentista: violinista nell’orchestra del Comunale; viola nel Quintetto Mugellini (dal 1906); pianista accompagnatore di cantanti, soprattutto Chiarina Fino-Savio, l’amica e interprete prediletta delle prime liriche per voce e pianoforte (di cui alcune su testi di Ada Negri: Nebbie, Nevicata, Notte). Vantava anche rare qualità nell’uso della viola d’amore, per la quale nel 1906 trascrisse due Sonate in duo con il clavicembalo da composizioni originali del bolognese Attilio Ariosti.
Mettendo a frutto l’insegnamento di Torchi, intensificò lo studio di musiche italiane del Sei-Settecento conservate nel liceo musicale. Manifestò anche interesse per il teatro musicale: nel 1905, con un gruppo di studenti universitari, imbastì un’opera comica, Re Enzo (testo di Alberto Donini), e nel novembre del 1910 ottenne il primo allestimento ‘professionale’ al Comunale con Semirâma, «poema tragico» di Alessandro Cerè.
Negli anni bolognesi Respighi frequentò il Cenacolo delle beffe, un gruppo di artisti, musicisti, letterati e critici che si riuniva nella libreria di Francesco Bongiovanni, l’editore della maggior parte delle sue liriche. Iniziò allora a coltivare amicizie aristocratiche (come la contessa Carmelita Zucchini), la cui frequentazione rimase una costante nella sua vita. Tenne anche rapporti con intellettuali e politici russi, fra cui Anatolij Lunačarskij, futuro Commissario del popolo all’istruzione nel governo Stalin, venuto a Bologna per creare una scuola per lavoratori del Partito operaio socialdemocratico russo.
Nel 1908-09 a Berlino fu pianista accompagnatore nella scuola di canto del soprano Etelka Gardini Gestner. Qui incontrò Ferruccio Busoni oltre a musicisti di reputazione internazionale come Max Bruch, Bruno Walter, Ignacy Paderewski, Enrico Caruso. Presentò con successo alla Filarmonica la trascrizione di una pagina fino ad allora ignota di Claudio Monteverdi, il Lamento d’Arianna, diretta da Arthur Nikisch.
Nel 1911 l’esecuzione della più riuscita lirica del periodo (Aretusa per voce e orchestra, testo di Percy B. Shelley, autore ricorrente nel catalogo respighiano) – le memorie postume di Elsa Respighi la descrivono come «cosa fresca e lieve», che la voce fluida della Fino-Savio rese «piacevolmente monotona» (Ottorino Respighi, 1954, 19853, p. 68) – gli procurò l’occasione di una collaborazione con Gabriele D’Annunzio, che Respighi non volle cogliere. Avrebbe però attinto ai versi del poeta più precocemente dei compositori coetanei per liriche come O falce di luna calante (dal Canto novo; 1912), La donna nel sarcofago, le quattro Liriche dal poema paradisiaco (1919), affrancandosi dal vecchio tipo della romanza da salotto e inclinando verso inflessioni musicali discorsive.
Nel 1911 sostituì Torchi come docente di composizione nel liceo musicale. Nel gennaio del 1913 prese la cattedra di armonia e contrappunto nella Regia Accademia di S. Cecilia di Roma; da allora visse fra la capitale (per l’insegnamento) e Bologna (per le vacanze). Nella classe di Respighi si formarono poi i compositori Daniele Amfiteatrov, Carlo Alberto Pizzini, Ennio Porrino, Gianluca Tocchi e Vittorio Rieti, i direttori d’orchestra Antonio Pedrotti e Mario Rossi, il pianista Pietro Scarpini, l’organista Fernando Germani, il critico Mario Labroca.
A Roma coltivò le amicizie del direttore d’orchestra Bernardino Molinari (che nel gennaio del 1914 presentò Aretusa, la Suite antica per archi e organo e alcune liriche nei concerti dell’Augusteo, tempio nascente del sinfonismo italiano) e con il critico Sebastiano Arturo Luciani (con il quale, nel 1925, produsse l’unico suo scritto, un sunto teorico e storico della musica, Orpheus: iniziazione musicale, edito da Barbèra a Firenze). Frequentava inoltre gli intrattenimenti musicali del marchese Misciattelli, del conte Lovatelli e del barone Kanzler (dove partecipò a sessioni di polifonia antica insieme a Molinari, Raffaele Casimiri, Lorenzo Perosi, Vincenzo Tommasini). Fu assiduo nei circoli dei russi residenti in città e strinse un’amicizia durevole con Amfiteatrov, come lui cultore di scienze occulte: nella sua casa poté conoscere artisti di passaggio come Djagilev, Fokine, Nižinskij, Stravinskij. Ciononostante visse con un certo disagio l’ambiente romano, e la depressione lo colse alla dichiarazione di guerra (maggio 1915), terrorizzato all’idea di poter essere richiamato alle armi; il malessere si accrebbe alla morte della madre (marzo 1916).
Nel febbraio del 1915 l’editore Tito Ricordi si interessò a Respighi, sotto contratto con il concorrente Sonzogno. Ne scaturì l’edizione delle trascrizioni di musiche di Frescobaldi, Porpora, Veracini, Tartini. La pratica della trascrizione fu da allora uno dei campi fondamentali della sua produzione artistica. L’esecuzione all’Augusteo, nel dicembre 1917, della prima serie delle Antiche arie e danze per liuto (una libera trascrizione di pezzi di Simone Molinaro, Vincenzo Galilei e anonimi cinquecenteschi) segnò un punto di successo di questo versante ‘antiquario’ del Respighi compositore.
L’affermazione come autore di musica sinfonica originale (fino allora aveva composto una Sinfonia drammatica, datata 1914) venne nel febbraio del 1918, con la ripresa a Milano del poema sinfonico Fontane di Roma, diretto da Arturo Toscanini (la ‘prima’ romana dell’anno precedente gli aveva fatto sorgere il sospetto che fosse un lavoro mancato).
Con quest’opera Respighi trovò la propria dimensione compositiva, in una riformulazione originale del genere del poema sinfonico, che in Italia contava poco fortunati e sporadici precedenti (Adriano Lualdi, Francesco Balilla Pratella, Perosi, Ildebrando Pizzetti). Fontane di Roma rivelò un sinfonista capace di calibrare quadri paesaggistici, architettonici e perfino atmosferici oscillando tra rarefazioni timbriche vagamente impressionistiche e smisurati accumuli sonori: una formula che egli ripropose poi nei Pini di Roma (1924) e nelle Feste romane (1929).
Nel luglio del 1918 Respighi si fidanzò con l’allieva Elsa Olivieri Sangiacomo (1894-1996), pianista, cantante e compositrice, che sposò nel gennaio successivo: a lei, poi compagna di una vita, dedicò le Quattro liriche dannunziane e le Quattro liriche sui testi di poeti armeni (1920). Tra l’inverno e la primavera del 1921 i coniugi fecero i primi giri concertistici in duo canto e pianoforte.
Consapevole delle proprie competenze linguistiche, Respighi progettò, ma non realizzò, una serie di traduzioni in italiano di trattati stranieri, fra cui la Harmonielehre di Arnold Schönberg, che definì l’«ultima parola della modernità» (lettera a Elsa del 24 luglio 1918).
Raggiunta una certa notorietà come sinfonista, nel dopoguerra affrontò vari aspetti dello spettacolo musicale. Nel 1919 e nel 1920 collaborò con i Ballets Russes di Djagilev per La Boutique fantasque (balletto in un atto, composto sulle più burlesche tra le Œuvres posthumes di Gioachino Rossini) e per le Astuzie femminili (rielaborazione dell’omonima opera di Domenico Cimarosa). Nel 1922 realizzò per I Piccoli, la compagnia di marionette di Vittorio Podrecca, la fiaba musicale La bella dormente nel bosco (testo di Gian Bistolfi), e nell’aprile del 1923, su incarico di Casa Ricordi, mise in scena alla Scala di Milano la commedia lirica Belfagor, frutto della prima collaborazione con il letterato e poeta romano Claudio Guastalla, da allora suo librettista stabile.
Le opere strumentali coeve contribuirono in modo determinante alla formulazione di uno stile musicale ‘italiano’ fondato sul diatonismo modale del canto gregoriano. Il Concerto gregoriano per violino e orchestra (1921), che nel secondo movimento cita la sequenza «Victimae paschali laudes», e quello in modo misolidio per pianoforte (1924), i Tre preludi per pianoforte «su melodie gregoriane» (1921, poi trascritti nelle Vetrate di chiesa per orchestra), il Trittico botticelliano (1927), e le Metamorphoseon XII toni (1930), ossia variazioni nei 12 modi ecclesiastici, rappresentano il versante ingenuamente incantato della produzione di Respighi, che dall’antichità attinge figure e sensazioni sonore con un atto sentimentale esente da implicazioni nazionalistiche.
Fra il 1924 e il 1926 diresse l’Accademia di S. Cecilia. Numerose tournées in Europa e nelle Americhe, come direttore delle principali orchestre e come pianista in duo con Elsa, fecero di Respighi uno dei compositori italiani più apprezzati all’estero. Al Concertgebouw di Amsterdam gli dedicarono manifestazioni monografiche nel marzo del 1926; un vero e proprio Festival Respighi si tenne in Belgio nel marzo del 1931. Ad Amburgo, nel novembre 1927, fu creata (in tedesco) La campana sommersa, nella quale, nonostante l’insuccesso toccato a Belfagor, Respighi e Guastalla continuarono a far prevalere il registro della fantasia su quello del sentimento. Temi più austeri sono affrontati nella produzione teatrale dell’ultimo periodo: Maria Egiziaca (New York, marzo 1932) è una specie di oratorio agiografico; La fiamma (Roma, gennaio 1934) un vero e proprio «melodramma», che allo sperimentalismo novecentesco oppone l’intreccio dei drammi di una serie di figure tragiche.
Nel 1932, da poco nominato accademico d’Italia, Respighi fu coinvolto nelle polemiche suscitate dal Manifesto di musicisti italiani per la tradizione dell’arte romantica dell’800, di cui fu il primo firmatario, seguito da esponenti autorevoli della musica del periodo fascista come Ildebrando Pizzetti, Alceo Toni, Giuseppe Mulè: una rivendicazione antimodernista dei valori del patrimonio operistico italiano che Alfredo Casella e Gian Francesco Malipiero intesero come attacco personale. Negli anni seguenti fu in contrasto con Toscanini e al centro di polemiche giornalistiche (che lo dipinsero come ‘accademico quattrinaio’) per la sua revisione dell’Orfeo di Claudio Monteverdi, data alla Scala nel marzo del 1935.
Morì di endocardite a Roma, il 18 aprile 1936, nella villa I Pini, la residenza immersa nel verde della periferia romana dove i Respighi abitavano dall’autunno del 1930.
Lasciò incompiuta la partitura di Lucrezia, una «istoria» concepita nel mito (allora ricorrente) della romanità, poi portata a termine da Elsa e rappresentata a Milano il 24 febbraio 1937.
Oltre alle opere menzionate, sono da ricordare: Ballata delle gnomidi per orchestra (1914); La sensitiva per mezzosoprano e orchestra (1915); La primavera per solo, coro, orchestra e organo (1922); Antiche danze e arie per liuto, seconda (1923) e terza suite (1931); Poema autunnale per violino e orchestra (1925); Rossiniana per orchestra (1925); Trittico botticelliano (1927) e Gli uccelli (1928) per piccola orchestra; Toccata per pianoforte e orchestra (1928); Impressioni brasiliane per orchestra (1928); Lauda per la natività del Signore per soli, coro, strumenti pastorali e pianoforte a 4 mani (1930); Concerto a cinque per oboe, tromba, violino, contrabbasso, pianoforte e orchestra (1933).
Gli autografi di Respighi sono conservati nel fondo omonimo della Fondazione Giorgio Cini a Venezia, nel Museo della Musica di Bologna, nell’Accademia Chigiana di Siena e nell’Archivio storico del teatro Regio di Torino; elenchi dei fondi, compilati da Potito Pedarra, sono consultabili nella Biblioteca del Conservatorio di Milano. Si vedano inoltre i cataloghi delle opere curati da Mario Labroca (Milano 1965) e da Potito Pedarra (http://ottorino respighi.it/catalogo.php).
Fonti e Bibl.: S.A. Luciani, Belfagor di O. R.: guida attraverso la commedia e la musica, Milano 1923; R. De Rensis, O. R., Torino 1935; O. R., dati biografici ordinati da Elsa Respighi, Milano 1954, 19853; C. Guastalla, L’opera di O. R. nei ricordi di Claudio Guastalla, in Ricordiana, n.s., I (1955), pp. 44-47; L. Bragaglia - E. Respighi, Il teatro di R.: opere, balli e balletti, Roma 1978; Musica italiana del primo Novecento. “La generazione dell’80”, a cura di F. Nicolodi, Firenze 1981 (in partic. i saggi di S. Martinotti, R. tra modernità ed arcaismo, pp. 111-124; M. Modugno, Fortuna e sfortuna di O. R., pp. 125-134); A. Cantù, R. compositore, Torino 1985; O. R., a cura di G. Rostirolla, Torino 1985; P. Alverà, R., New York 1986; L.G. Barrow, O. R.’s “Lauda per la natività del Signore”: a historical investigation and a conductor’s analysis, diss., University of Miami, 1985, Ann Arbor (Mich.) 1988; Il Novecento musicale italiano. Tra neoclassicimo e neogoticismo, a cura di D. Bryant, Firenze 1988; P. Pedarra, Il pianoforte nella produzione giovanile di R., Milano 1995; L.G. Barrow, O. R. (1879-1936), an annotated bibliography, Lanham (Md.) 2004; V. Bernardoni, Incroci di tendenze nell’opera d’inizio Novecento, in Tendenze della musica teatrale italiana all’inizio del secolo XX, a cura di L. Guiot - J. Maehder, Milano 2005, pp. 55-67; C. Flamm, O. R. und die italienische Instrumentalmusik von der Jahrhundertwende bis zum Faschismus, Laaber 2008; D. Gambaro, O. R. Un’idea di modernità del Novecento, Varese 2011; L. Bragaglia, O. R. e i suoi interpreti, Bologna 2012; E.A. Corazza, La collaborazione di O. R. con Sergej Djagilev, in Il Saggiatore musicale, XXI (2014), pp. 45-67.