OUVERTURE
. Termine francese, passato in forme affini nelle principali lingue europee, tranne l'italiana che ad esso attribuisce un'accezione del termine Sinfonia. La ricchezza di valori di questo termine italiano, assai maggiore di quella posseduta dal francese, revde opportuno, per chiarezza, di trattare direttamente sotto l'esponente Ouverture la forma di composizione strumentale diffusasi dalla scuola lullista (tardo Seicento), con varia fortuna e varî sviluppi nel tempo, ma sempre designata con il nome originario in tutta Europa. Delle forme praticate dopo il mezzo Settecento si farà qui menzione specialmente per i necessarî raffronti e per le reciproche interferenze, rimandandone l'illustrazione alle voci sinfonia; sonata.
Precedenti della forma ouverture si hanno già nel secolo XVI presso gli autori di musiche di danza: danceries, balletti, ecc., nelle quali a danze lente, p. es. alla Pavana (v.), succedono danze più rapide, p. es. la Gagliarda (v.). Nelle assunzioni a parte di spettacolo aulico (sec. XVI-XVII), specialmente alla corte di Parigi, ove danceries e balletti esigono maggiori sviluppi, determinati differentemente tra zona e zona del trattenimento (Ballet de cour), l'uso dei numerosi strumenti riceve una funzione propria abbastanza importante in preludî, interludî, ecc., oltre che, naturalmente, nei varî pezzi di danza, di cortei, di pantomime e così via. Così presso G. B. Lulli, dal 1653 "compositeur de la musique instrumentale du Roy", il Ballet de cour viene a comporsi con maggior cura tanto nell'economia scenica quanto nella fattura dei singoli pezzi. Secondo il carattere della corte di Luigi XIV, il trattenimento - cui spesso partecipa lo stesso monarca con i principi e i gentiluomini - richiede un esordio pomposo e brillante. G. B. Lulli attende così alla composizione del preludio con ricerca di forme bene squadrate e organiche, quasi si volgesse alla celebrazione di un solenne rito. I movimenti della massa sonora tendono a costanza di atti e di mutazioni; il giuoco di Lenti e di Allegri della vecchia dancerie e del vecchio balletto vi tende a coerente sistemazione. La quale, già prevedibile chiaramente nei balletti del 1657 (L'amour malade), del '58 (Alcidiane) e del '59 (La raillerie), sarà ormai fissa e normativa, come data forma componistica, nell'ouverture dell'opera propriamente detta; opera per molti aspetti partecipe dei caratteri di fastoso spettacolo che possedeva il ballet de cour. Così già nel 1660 il Lulli, postosi all'adattamento del Serse di P. Francesco Cavalli (v. caletti), fa precedere al melodramma un preludio di sua fattura, in quella forma che poi si rivedrà - oltre la produzione operistica lulliana - in sì gran parte delle musiche teatrali e anche strumentali d'Europa fino al mezzo Settecento e spesso anche più in qua.
Al primo esame di questa forma è già chiaramente visibile la ragione del ritorno della successione Adagio-Allegro del vecchio balletto cinquecentesco. L'ouverture comincia con un Adagio (o comunque un Sostenuto) in tempo pari (4/4 o 2/2), cui la prevalenza del procedimento omofonico e della figura ritmica a nota puntata (♩. ♪. ∣ ♩., ecc.) conferisce un carattere d'imponente, solenne marcia d'entrata. Si veda, nell'esordio del Phaëton (1683), il grandioso effetto di tale apertura di spettacolo:
All'esordio, che cadenzerà sull'accordo perfetto della dominante, seguirà un Allegro (che può essere anche in 6/8), in cui un breve tema di carattere vivace ed energico ripercuote la sua ritmica scansione di voce in voce, attraverso un brillante e conciso fugato nella tonalità fondamentale. Nell'ouverture del Phaëton vediamo succedere alle 16 misure del suaccennato Largo 26 misure d'Allegro:
Tale la seconda parte dell'ouverture, che - sfociante spesso in un conciso Adagio, simile nel carattere al primo - viene integralmente ripetuta. Nell'ouverture portata ad esempio il secondo Adagio compare, e si svolge per otto misure, confermando - mediante l'ordinato richiamo alle tonalità erette sui gradi corrispondenti alle tre funzioni cardinali della principale (tonica-sottodominante-dominante [→ tonica]) - il senso tonale dell'intera composizione:
L'interpretazione di questa forma è passibile di discussioni, cui conviene accennare in breve: l'intervento dell'ultimo Adagio sembra condurre a un generale schema ternario: A- ∥ : B-C: ∥ , che - per l'analogia di caratteri esistente tra A e C - potrebbe anche indicarsi come A- ∥ : B-A′: ∥ . Nel quale caso avremmo un semplice spostamento dell'Adagio dalla zona centrale (ove lo troviamo nella ouverture italiana annunziata già da S. Landi nella sinfonia del secondo atto del S. Alessio [1632], che sarà poi illustrata da A. Scarlatti) alle zone estreme del pezzo. Mentre la non rara assenza di questo secondo Adagio, come anche la sua inclusione - quand'esso compaia - nella parte da ripetersi in forza della chiusura tra i segni di ritornello, inducono a considerarlo in funzione del precedente Allegro. Così che lo schema può intendersi come binario: A- ∥ : B : ∥ , in cui B rappresenta il binomio b + c.
La forma dell'ouverture francese, quale ora s'è illustrata, ebbe da G. B. Lulli la decisiva determinazione, e infatti essa è legata, nella storia musicale, al nome di questo maestro. Ma, durante lo stesso periodo lullista, anche altri compositori di balletto o d'opera ne diedero esempî: tra gli altri possono essere notati, in ragione della data delle loro ouvertures, P. F. Cavalli (Ercole, 1662), M. A. Cesti (Il Pomo d'oro, 1666, in cui la sinfonia non giunge però al fugato se non dopo due [non uno] pezzi di carattere pomposo), R. Cambert (sinfonia per il primo atto di Pomone, 1671; in quella per il secondo atto il primo Adagio è sostituito da un Allegro). Nonostante il rigore e la ristrettezza dello schema, siffatto tipo di ouverture incontrava rapidamente il favore generale, né - come già s'accennava - soltanto in Francia: ché anzi spesso si rinunzia a quell'ultimo Adagio che comunque poteva dar luogo a varietà d'espressione lirica. Lo stesso G. B. Lulli vi rinunzia in ben otto ouvertures (cioè in più di metà della produzione operistica), e talvolta sa abilmente servirsi (come poi farà il Gluck) della prima scena dell'opera come meta del discorso sinfonico. Nell'opera o nella riassunzione di pezzi d'opera in balletti, in Suites e in partite strumentali, come anche in Suites e partite originali, l'ouverture francese si diffonde con fortuna, specialmente nella forma più semplice (senza l'ultimo Adagio), presso gli scolari e gl'immediati seguaci del Lulli: J. S. Kusser, J. Fischer, G. Muffat, o i maestri comunque simpatizzanti, come A. Lotti, J. Ph. Krieger, Ph. H. Erlebach, J. J. Fux, fino ai settecenteschi G. Ph. Telemann, G. F. Händel, J. S. Bach, C. W. v. Gluck, ecc.
Presso alcuni dei quali settecenteschi l'ouverture preposta alle danze o ai varî pezzi delle Suites passa spesso, nell'incerta terminologia del tempo, a designare l'intera Suite, ché anzi il termine avrà tanta fortuna da applicarsi, in Inghilterra, perfino alle sinfonie (vere e proprie sinfonie da concerto, in 4 tempi, e di forma diversa) di J. Haydn. L'ouverture francese propriamente detta ha notevoli esempî, presso questi maestri, specialmente nella musica teatrale e sinfonica del Telemann (che in un anno solo ne scrisse circa 200!), del Bach (Suites, Ouvertures, Partite, ecc.) e del Händel, il quale però pratica spesso anche la forma della sinfonia italiana di tipo Scarlatti e altre risultanti da varie modificazioni e contaminazioni della sonata corelliana da chiesa con quella da camera (oratorio Saul, con ouverture in 4 tempi: Allegro-Largo-Allegro-Minuetto). In confronto con G. B. Lulli il grande contrappuntista Händel sa dare alla 2ª parte dell'ouverture francese, cioè al Fugato, un maggiore sviluppo, sì da favorire un mutamento nelle proporzioni reciproche tra l'Adagio e l'Allegro: p. es. nella bella ouverture del Giulio Cesare (opera rappresentata a Londra nel 1725) la ripetizione non si applica al fugato (47 misure in 4/4) ma al Maestoso iniziale (14 misure), mentre nella VII Suite per clavicembalo la ouverture, già poderosa per l'effetto dei temi e della scrittura, ripete tanto la prima parte: 20 misure (in cui si noterà l'insistenza della figura ritmica a nota puntata, già cara al Lulli):
quanto la seconda: 37 misure di Allegro fugato in 2/2:
più 8 di Adagio in 4/4:
cosicché presso Händel non è frequente l'effetto d'introduzione, (più che di parte autonoma), con il quale nell'ouverture del Lulli il primo Adagio si presentava spesso. La potenza dell'intuizione architettonica händeliana sa evitare d'altra parte - specialmente nelle ouverture con Adagio finale (cfr. l'es. precedente) - il pericolo d'inorganicità che da siffatta ostentazione di dualismo, tra un Adagio e un Allegro di pari importanza, potrebbe ingenerarsi. Scarsa, dopo il mezzo Settecento, la produzione di ouvertures in tale forma: già in Francia J. R. Rameau si svincolava da quelle strettoie, tendendo a variare i movimenti dell'ouverture teatrale a seconda del senso drammatico dell'opera. Nell'ouverture del Zoroastre (rielaborazione del Samson) l'inizio è un Allegro tempestoso, cui succede un Andante tranquillo, con una conclusione in Allegro (secondo, cioè, il disegno tipico della sinfonia italiana), seguendo un'intenzione dal Rameau esplicitamente dichiarata: il quadro della barbara potenza di Arimane e del pianto dei popoli da essa oppressi, e quello del felice regno spirituale di Zoroastro. E anche altre opere (p. es. Zaïs, Naïs, Acanthe et Céphise) hanno ouvertures d'indirizzo esplicitamente narrativo e quindi abbastanza libere nella loro forma, tendendo però a preferenza verso il tipo a -B (cioè introduzione in tempo lento risolventesi nel vero corpo del pezzo, di solito in Allegro). E dopo il Rameau il distacco dell'ouverture dalla forma lulliana si fa sempre più deciso e diffuso: C. W. v. Gluck, che pur tanto simpatizzerà con la tradizione lulliana, fino al 1762 usa a preferenza il tipo scarlattiano Allegro-Adagio-Allegro o quello tolto a prestito dall'Allegro sinfonico del suo maestro G. B. Sammartini (p. es. nell'Orfeo), mentre nelle grandi opere successive varia i disegni dell'ouverture secondo intenti chiaramente drammatici: nell'Alceste troviamo una Intrada, in taglio binario (sonata italiana del primo Settecento) e in movimento assai sostenuto, che non si conclude in sé ma direttamente nel primo coro dell'opera; nell'Ifigenia in Aulide un vero e proprio Allegro di sonata ternaria, preceduto da un'introduzione e non concludentesi che nell'aria iniziale dell'opera (di cui l'introduzione è una fedele versione strumentale); in Paride ed Elena una sinfonia alla Scarlatti; nell'Ifigenia in Tauride una breve introduzione descrittiva (l'uragano) che si getta nel corpo della prima scena. Soltanto nell'Armida ritroviamo il disegno caratteristico dell'ouverture lulliana, e del resto questa ouverture passava all'Armida da opera assai anteriore. Intenti descrittivi (a programma) si notano poi nelle ouvertures di M. Grétry (cfr. quelle del Magnifique e del Panurge, esplicitamente dichiarate negli Essais, I).
Ormai il gusto del tempo s'era rivolto alle forme più complesse della musica strumentale, che in Italia, Germania e Francia s'andavano concretando a preferenza nel disegno della sonata ternaria. Il quale nel teatro veniva a variazioni, talvolta dietro intenti drammatici, senza per questo rinunziare al suo sicuro schema basilare. Così vediamo l'ouverture, come anche la sinfonia d'opera italiana, svolgersi ovunque secondo tale disegno, che comporta un Allegro tripartito (Esposizione (su due o tre temi) - Sviluppo - Riesposizione). Varianti principali, in tale riassunzione come ouverture, sono la maggior frequenza d'una introduzione (di solito in movimento lento), la mancanza del ritornello che nella sonata scolastica impone la ripetizione integrale dell'esposizione prima d'attaccare lo sviluppo, l'importanza, di gran lunga minore, dello sviluppo, la maggior frequenza della coda nei casi in cui l'ouverture non sbocchi direttamente nella prima scena dell'opera. Talvolta, infine, può presentarsi nell'ouverture, specialmente dopo il ponte (transizione dal 1° al 2° tema) o dopo l'esposizione, un'idea, apparentemente tematica, tratta o no dall'opera, a mo' di breve divagazione melodica o di annunzio a situazioni drammatiche. Tale, nelle sue varie possibilità, il disegno dell'ouverture teatrale che, dietro l'esempio dell'Ifigenia in Aulide, vanno preferendo, tra gli altri, W. A. Mozart (delle opere importanti fa eccezione il Ratto dal Serraglio, con sinfonia alla Scarlatti), D. Cimarosa, G. Paisiello, L. Cherubini, C. M. v. Weber (con eccezioni tendenti a forme del tutto libere: ouverture della Preziosa), L. v. Beethoven, G. Spontini, G. Rossini (raccordo anziché sviluppo, con il ponte assai ridotto nella riesposizione, e di solito risolvente l'effetto della coda in quello d'un dinamico crescendo, secondo esempî, tra gli altri, di L. Cherubini; eccezioni sono alcune ouvertures libere, tra le quali celebre quella del Tell). E nell'avanzare dell'Ottocento la stessa forma-sonata è sempre più di frequente vinta, specialmente in Italia e in Francia, dalle forme libere, avvicendanti pezzi tra loro in contrasto, generalmente tratti dall'opera, a mo' di Fantasie sinfoniche (dalla Preziosa e dal Tell a La Forza del destino, Carmen, ecc.). Per la trattazione delle quali v. sinfonia.
Specialmente nella sua forma ad Allegro di sonata ternaria l'ouverture ha larga fioritura anche fuori dello spettacolo d'opera, e cioè quale introduzione a un dramma o a una commedia, nello stesso piano della musica cosiddetta di scena (esempî presso Beethoven, Mendelssohn, Berlioz, ecc.), o addirittura quale composizione a sé stante, presso quasi tutti i compositori del secolo scorso. In questi casi il nome di ouverture non è, in pratica, sostituito, neanche in Italia, da quello di sinfonia.
Bibl.: Per l'ouverture francese v. specialmente: H. Riemann, Die französische Ouverture in der ersten Hälfte des 18. Jahrh., in Musikalisches Wochenblatt, 1899; H. Prunières, Notes sur l'ouverture française, in Sammelb. d. intern. Musikgesellschaft, 1910-11; H. Botstiber, Geschichte d. Ouverture, Lipsia 1913.