Pacifismo
di Bert Klandermans
Il pacifismo è un movimento sociale che si batte per la realizzazione della pace perpetua e contro l'uso della violenza, in particolare della guerra, quale mezzo di risoluzione dei conflitti politici.
Nei due secoli della sua esistenza il movimento pacifista si è impegnato in varie cause, tra cui l'istituzione di un arbitrato internazionale per la risoluzione dei conflitti (attraverso istituzioni quali la Lega delle Nazioni, la Corte di giustizia internazionale, le Nazioni Unite), l'esonero dal servizio militare per gli obiettori di coscienza, la cessazione di diverse guerre (la guerra di Crimea, i due conflitti mondiali, la guerra del Vietnam e, in tempi più recenti, quella del Golfo), e la sospensione della costruzione e dell'impiego delle armi nucleari.
Sono tre le tradizioni di pensiero cui si è ispirato - in forme sempre diverse - il movimento per la pace: il pacifismo sia cristiano che laico, l'antimilitarismo e l'internazionalismo.
Le origini della dottrina pacifista risalgono alle prime sette cristiane europee - come ad esempio gli anabattisti e i quaccheri - che propugnavano l'unità di tutti gli uomini e condannavano la guerra considerandola un crimine contro l'umanità. Successivamente dal pacifismo religioso si sviluppò come corrente separata un pacifismo laico di orientamento riformista, che ispirò una serie di movimenti comunitari quali quelli guidati da Thoreau negli Stati Uniti (1845) e da van Eeden nei Paesi Bassi (1898). Questi movimenti - che avevano le proprie radici culturali in certe forme di socialismo etico e utopistico, quali il cartismo e le dottrine di Saint-Simon e del suo allievo Thierry - ispirarono personaggi famosi come Gandhi, fautore della resistenza non violenta, e l'abbé Pierre nella sua opera di lotta contro la povertà e a favore della pace. Nell'ambito del cattolicesimo furono i francescani a propugnare il pacifismo in opposizione ai domenicani, che difendevano invece il principio della 'guerra giusta'. Ai primi si dovette in larga misura la nascita (nel secondo dopoguerra) del movimento pacifista cattolico Pax Christi. Sia la religione che il socialismo utopistico continuarono ad avere un ruolo importante nel movimento pacifista.La seconda fonte di ispirazione del movimento pacifista fu l'antimilitarismo, molto spesso di impronta rivoluzionaria, anarchica o socialista. Oltre a dichiarare guerra al capitalismo, gli antimilitaristi sostenevano che ogni tentativo di eliminare la guerra senza tener conto delle sue origini economiche sarebbe risultato vano, si opponevano a un esercito permanente e appoggiavano gli obiettori di coscienza.
L'internazionalismo - la terza dottrina da cui trasse ispirazione il pacifismo - si ricollegava al liberalismo in quanto i suoi fautori erano favorevoli al libero scambio e mettevano in guardia contro i pericoli dell'isolazionismo. La guerra quale mezzo per risolvere i conflitti internazionali era considerata eccessivamente costosa e dannosa per il benessere economico, mentre l'arbitrato costituiva l'alternativa ideale per la risoluzione dei conflitti.
Il pacifismo verrà considerato qui come un movimento sociale. Secondo la definizione proposta da Tarrow (v., 1994, p. 3), i movimenti sociali sono "sfide collettive avanzate da individui uniti da scopi comuni e da vincoli di solidarietà, capaci di sostenere l'interazione con le élites, gli avversari e le autorità". Due sono gli elementi di questa definizione sui quali soffermeremo la nostra attenzione, in quanto rivestono un'importanza particolare per l'analisi del pacifismo nella sua evoluzione storica: 1) la capacità di sostenere l'azione collettiva e 2) gli scopi comuni e i vincoli di solidarietà che spingono gli individui a partecipare ai movimenti sociali.
La storia del pacifismo dimostra che i movimenti sociali sono fenomeni ricorrenti, e soprattutto che hanno natura ciclica. Periodi di attività febbrile si alternano a periodi di relativa quiete - uno schema che accomuna il pacifismo a tutti i grandi movimenti del XIX e del XX secolo.
Nella loro analisi del movimento pacifista olandese Everts e Walraven (v., 1984) operano a questo riguardo una distinzione tra i 'movimenti di coalizione' - definiti come organizzazioni aperte che hanno come obiettivo la mobilitazione di ampi gruppi di persone - e le 'minoranze profetiche', ossia gruppi fortemente motivati che non hanno però un seguito di massa. Everts e Walraven osservano che sono i movimenti di coalizione a predominare nelle fasi attive dei cicli, mentre le minoranze profetiche si pongono alla guida dei movimenti durante gli inevitabili periodi di declino (v. Taylor, 1989, per un'osservazione analoga relativa al movimento delle donne negli Stati Uniti).
Secondo Tarrow (v., 1994) tali cicli hanno origine dall'apertura, dalla diffusione e dalla chiusura delle opportunità politiche. Si tratta di un'ipotesi interessante, in quanto ci aiuta a comprendere perché i cicli dei movimenti non corrispondano all'intensità dei problemi in risposta ai quali nascono i movimenti. Il fattore essenziale è l'assenza o la presenza dell'opportunità politica di esprimere la protesta. Le opportunità politiche per i movimenti di protesta in generale, e per il pacifismo in particolare, aumentano quando il sistema politico si apre all'opposizione, quando diminuisce il sostegno politico dei detentori del potere, quando l'opposizione guadagna alleati influenti, e infine quando si creano divisioni all'interno delle élites. Naturalmente, queste circostanze valgono per ogni movimento in un periodo specifico, ma possono avere un impatto differente da movimento a movimento. Di norma, vedremo numerosi movimenti comparire nello stesso momento e passare attraverso cicli analoghi. Il meccanismo psicologico che sta alla base di questo fenomeno è in via di principio piuttosto semplice: le opportunità politiche favorevoli incoraggiano gli individui a partecipare all'azione collettiva perché suscitano aspettative di successo, laddove le opportunità politiche sfavorevoli scoraggiano la partecipazione ai movimenti.
Sebbene le aspettative di successo abbiano un ruolo importante nel motivare la partecipazione all'azione collettiva, non sono però l'unico fattore che la determina. Klandermans e Oegema (v., 1987) hanno indicato quattro condizioni necessarie affinché gli individui prendano parte a un movimento sociale, e cioè essi devono: 1) condividere gli obiettivi del movimento; 2) essere raggiunti dagli sforzi di mobilitazione; 3) essere motivati a partecipare, e infine 4) essere in condizione di partecipare. Ciascuna di queste condizioni mette in primo piano il processo di mobilitazione dei partecipanti. La prima concerne la formazione del potenziale di mobilitazione, la seconda la creazione e l'attivazione di reti di reclutamento, la terza l'incentivazione della motivazione a partecipare, la quarta la rimozione degli ostacoli alla partecipazione.
Nella formazione del potenziale di mobilitazione i movimenti devono acquistare il sostegno ideologico e il favore dei potenziali aderenti. Il potenziale di mobilitazione di un movimento sociale è costituito da tutti gli individui di una società che in via teorica possono essere mobilitati. Esso costituisce la riserva alla quale un movimento può attingere per l'azione di massa - una riserva che non si forma automaticamente ma è frutto della mobilitazione del consenso, ossia di campagne per la diffusione delle idee del movimento.
Nella formazione e nell'attivazione delle reti di reclutamento i movimenti devono accrescere la probabilità che la mobilitazione raggiunga tutti coloro che simpatizzano con il movimento. Per quanto numerosi siano i simpatizzanti del movimento, se questo non dispone della rete di reclutamento necessaria per raggiungere queste persone il potenziale di mobilitazione non può essere messo all'opera. Le proporzioni del potenziale di mobilitazione raggiunto da un movimento forniscono un'indicazione sulla sua struttura organizzativa e sulla sua rete di reclutamento. Quanto più sono estese le ramificazioni del movimento, e quanto più sono interconnesse con altre organizzazioni, tanto maggiore sarà il numero di persone raggiunte dal tentativo di mobilitazione.
Nel sollecitare la motivazione a partecipare, un movimento deve influenzare favorevolmente le decisioni degli individui raggiunti dal tentativo di mobilitazione. La motivazione a partecipare è una funzione dei costi e dei benefici attesi dalla partecipazione.
Rimuovere gli ostacoli alla partecipazione significa aumentare le probabilità che gli individui motivati alla fine aderiscano al movimento. La disponibilità alla partecipazione da sola non è una condizione sufficiente perché questa avvenga effettivamente.
Infine, occorre sottolineare che la partecipazione a un movimento è partecipazione a un'azione collettiva. Dal punto di vista della motivazione ciò aggiunge un'ulteriore complicazione, in quanto l'esito dell'azione collettiva dipende, per definizione, dal comportamento degli altri. Marwell e Oliver (v., 1993), tuttavia, hanno messo in luce l'esistenza di due tipi di interdipendenze, cui hanno dato il nome di 'funzioni di accelerazione' e 'funzioni di decelerazione'.
Le funzioni di accelerazione hanno valori-soglia, ossia l'azione collettiva è efficace se e solo se vi partecipa un numero minimo di individui. Una volta che tale soglia è superata, ogni nuovo partecipante accresce le probabilità di successo. Le dimostrazioni e gli scioperi sono esempi di azione collettiva in cui il rapporto tra partecipazione e aspettative di successo adotta una funzione di accelerazione. Fino a che i potenziali partecipanti credono che la soglia non sarà oltrepassata la loro motivazione a partecipare sarà nulla, mentre una volta che la soglia è oltrepassata ogni nuovo partecipante aumenta la motivazione.
Le funzioni di decelerazione invece non hanno valori-soglia. In questo caso il primo, ristretto nucleo di partecipanti fornisce il maggior contributo alla probabilità di successo, mentre il contributo di ogni nuovo partecipante è via via minore. Esempi di azione collettiva che adottano una funzione di decelerazione sono la pubblicazione di una rivista, la costituzione di un gruppo di interesse, il mantenimento di una organizzazione finalizzata all'azione. Una volta che è stato reclutato un numero sufficiente di partecipanti, il successo è assicurato ed è difficile motivarne altri. In questo caso la tentazione di beneficiare dei risultati dell'azione collettiva senza parteciparvi in prima persona (il cosiddetto free ride) diventa molto forte.
Ogni movimento, compreso quello pacifista, conosce entrambe le forme di partecipazione. La sollecitazione della motivazione a partecipare pone problemi differenti a seconda del tipo di partecipazione (v. Klandermans, 1996).
Sino all'inizio del XIX secolo la guerra e la pace erano prerogativa dei capi di Stato. Nella misura in cui i cittadini comuni se ne occupavano, si trattava in genere di singoli filosofi che scrivevano trattati sulla pace (come Erasmo o Kant), oppure di sette religiose (ad esempio i quaccheri, i mennoniti, le Chiese dei fratelli) che rifiutavano ogni forma di violenza e, quindi, difendevano i diritti dei propri membri. Non esisteva dunque una sfida organizzata e sostenuta da una base rivolta alle élites, alle autorità o, più in generale, allo Stato. La situazione cambiò allorché in Europa e negli Stati Uniti i cittadini fondarono associazioni pacifiste come reazione alle guerre napoleoniche e, successivamente, a quella franco-prussiana.
Sino a quel momento la dottrina pacifista aveva fatto sentire la propria voce nell'arena politica a volte con forza, a volte debolmente. Negli anni successivi il pacifismo conobbe fasi alterne in concomitanza con il variare delle opportunità politiche. I movimenti pacifisti sorgevano quando le opportunità politiche erano relativamente favorevoli, ma erano anche le prime vittime di ogni nuova guerra. Quando scoppiava una guerra o aumentava la tensione internazionale, il movimento veniva represso e i suoi sostenitori perseguitati in quanto considerati alla stregua di traditori.
Il pacifismo come movimento sociale ha conosciuto dunque fasi alterne, che possono essere schematizzate in tre periodi: dal 1815 alla prima guerra mondiale, il periodo tra le due guerre, e il secondo dopoguerra.
Le prime organizzazioni pacifiste nacquero negli Stati Uniti (la New York peace society, fondata nel 1815) e in Gran Bretagna (la Society for the promotion of permanent and universal peace, fondata nel 1816), per iniziativa di gruppi di cittadini sgomenti per le guerre che sconvolgevano il mondo. Tuttavia le organizzazioni pacifiste modellate sull'esempio angloamericano ebbero scarso successo nel continente europeo, e lo stesso si può dire dei congressi internazionali che i britannici cercarono di organizzare seguendo il modello della riuscita convenzione mondiale per l'abolizione dello schiavismo. In seguito diversi congressi vennero organizzati a Londra (1843), a Bruxelles (1848), a Parigi (1849) e a Francoforte (1850). L'arbitrato e l'istituzione di una Corte di giustizia internazionale quale strumento alternativo alla guerra per risolvere i conflitti internazionali furono i temi più importanti discussi in queste conferenze, ma nonostante gli accesi dibattiti non venne raggiunto alcun accordo in merito.
Vent'anni più tardi vennero costituite nell'Europa continentale le cosiddette Ligues de la paix (per esempio a Parigi e a Ginevra nel 1867), i cui fondatori speravano di riprendere il filo delle conferenze internazionali per la pace. La Ligue internationale et permanente de la paix, fondata a Parigi da Passy, era composta principalmente da ricchi liberali e imprenditori, i quali affermavano che la pace era un interesse nazionale ed era vantaggiosa per il commercio internazionale, mentre la guerra danneggiava l'economia mondiale. La Ligue internationale de la paix et de la liberté, fondata a Ginevra da Lemonnier e Goegg, aveva un orientamento assai più radicale della lega parigina, ed era composta da un variopinto gruppo di esiliati, profughi, nazionalisti e socialisti. Un elemento di novità era costituito da una significativa presenza femminile. Sia l'organizzazione di Parigi che quella di Ginevra ebbero un ruolo importante nel movimento pacifista europeo, ma lo scoppio del conflitto franco-tedesco, nel 1870, segnò la loro fine.
Il movimento per la pace acquistò nuova forza allorché gli Stati Uniti e la Gran Bretagna accettarono la soluzione arbitrale per il loro conflitto collegato alla guerra civile americana. In tutta Europa sorsero associazioni pacifiste in favore dell'arbitrato e di una giurisdizione internazionale, ma il movimento per la pace all'epoca ebbe un impatto limitato, in parte perché i suoi aderenti erano in prevalenza liberali di orientamento progressista, e in parte perché le superpotenze europee erano alle prese con tutt'altri problemi: il rafforzamento del protezionismo e la graduale occupazione dell'Asia e dell'Africa.
Fu in questi anni che Émile Arnaud, il successore di Lemonnier alla guida della Ligue internationale, usò per la prima volta il termine 'pacifismo' per designare l'ideologia del movimento, che al volgere del secolo conobbe un rigoglioso sviluppo. In tutta Europa migliaia di persone aderivano a oltre 100 associazioni per la pace. Organizzazioni pacifiste nacquero in quasi tutte le nazioni, incluse quelle di nuova formazione quali la Germania e l'Italia. Per la prima volta il movimento fu in grado di assumere personale a tempo pieno e alla fine i tentativi di creare una rete transnazionale di associazioni pacifiste nel continente europeo furono coronati dal successo. Nacquero così due organizzazioni internazionali - la Interparliamentary Union, un'organizzazione di deputati tuttora esistente, e il Bureau international permanent de la paix - che tra il 1889 e il 1939 (con l'eccezione degli anni della prima guerra mondiale) organizzò vari congressi per la pace universale (con il sostegno finanziario di numerosi premi Nobel). A partire dal 1890, inoltre, si verificò un rapido incremento della partecipazione femminile, fortemente incoraggiata dal movimento. L'arbitrato e il disarmo furono i principali temi attorno ai quali si mobilitò in quegli anni il movimento pacifista, ma occasionalmente faceva la sua comparsa nell'ordine del giorno anche l'abolizione del servizio di leva obbligatorio (in particolare in Francia e nei Paesi Scandinavi).
La fase espansiva del movimento terminò con lo scoppio della prima guerra mondiale, che dimostrò quanto fosse infondata la fiducia dei pacifisti nei compromessi ragionevoli e nella consapevolezza di un interesse comune per la risoluzione pacifica dei conflitti. I successivi sviluppi dimostrarono inoltre come l'opinione pubblica in sé non sia una forza in favore della pace.
La prima guerra mondiale fu una grave sconfitta per il movimento pacifista, ma nello stesso tempo gli diede nuovo slancio. Nello slogan 'mai più guerre!' può essere sintetizzato il sentimento dominante tra il potenziale di mobilitazione del movimento, da cui derivò nuovo impulso la battaglia in favore di una giurisdizione internazionale per la regolamentazione dei conflitti. Il risultato fu una rinascita in Europa e negli Stati Uniti del movimento per il diritto internazionale; con la costituzione della Società delle Nazioni l'obiettivo del movimento venne raggiunto ed esso perse così la sua rilevanza. Con grande costernazione del movimento pacifista americano, il Senato votò nel 1935 contro l'adesione alla Società delle Nazioni. Preoccupate dalla tendenza all'isolazionismo che si andava sempre più accentuando negli Stati Uniti, le organizzazioni pacifiste si unirono formando la più estesa coalizione per la pace che la storia americana avesse mai conosciuto, coalizione che però si sciolse nel 1937 a causa di dissidi interni.
In questo periodo il movimento pacifista ricercò nuovamente l'appoggio dei socialisti, poiché anche i suoi attivisti si andavano convincendo sempre più che l'ineguaglianza e l'ingiustizia nei rapporti internazionali fossero le vere origini della guerra. La cooperazione tuttavia restava difficile, poiché agli occhi dei pacifisti i socialisti non erano abbastanza decisi nel rifiuto della violenza - certamente non della violenza rivoluzionaria - mentre dal canto loro i socialisti ritenevano che i pacifisti non fossero sufficientemente anticapitalisti e rivoluzionari.
Già nel corso della guerra l'obiezione di coscienza era diventata un problema di grande rilievo. In Gran Bretagna gli obiettori erano 16.500, negli Stati Uniti 4.000. Nacquero così nuove organizzazioni: negli Stati Uniti l'American friends service committee, la Fellowship of reconciliation e la War resisters league, e a livello mondiale la International fellowship of reconciliation e la War resisters international.Egualmente importante fu l'affermarsi all'interno del movimento pacifista della corrente femminista, che diede vita a una serie di organizzazioni tra cui la Women's international league for peace and freedom (WILPF).La minaccia di una nuova guerra in Europa portò a un rapido deterioramento del clima per il movimento. In Germania tutte le organizzazioni pacifiste vennero dichiarate illegali a partire dal 1933, mentre in altri paesi, tra cui l'Olanda, il movimento cadde sempre più in discredito e per lungo tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale gli fu attribuita la colpa di aver indebolito la difesa nazionale.
Dopo la seconda guerra mondiale il disarmo nucleare e la sospensione degli esperimenti nucleari divennero i temi principali attorno ai quali si mobilitò il movimento pacifista, ma anche il diritto all'obiezione di coscienza e la protesta contro le guerre in atto (la guerra del Vietnam e in anni più recenti quella del Golfo) costituirono un capitolo importante di questa fase. Il secondo dopoguerra fu contrassegnato inoltre dalla guerra fredda, che poneva il movimento pacifista tra due fuochi e gli rendeva spesso difficile non essere incorporato o collocato nello schieramento dell'una o dell'altra delle due superpotenze.
Gli anni dal 1945 in poi furono caratterizzati da quattro ondate di protesta: la prima contro gli esperimenti nucleari (tra la metà degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta), la seconda contro la guerra in Vietnam (tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta), la terza contro la progettazione e l'impiego di una nuova generazione di armi nucleari (tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta) e la quarta, infine, contro la guerra del Golfo (all'inizio degli anni novanta). I movimenti di protesta di questo periodo sono stati movimenti transnazionali a tutti gli effetti, e hanno lasciato traccia di sé in quasi tutte le democrazie occidentali. Il ciclo di protesta del secondo dopoguerra ha avuto senza dubbio la sua fase culminante nel movimento antinucleare degli anni settanta-ottanta, ma furono le ondate di protesta precedenti a crearne le basi. La protesta contro la guerra del Golfo è stata l'ultima campagna di massa del ciclo postbellico. Il movimento pacifista di questo periodo era parte di un ciclo di protesta più ampio di cui il movimento per i diritti civili, il movimento studentesco, il movimento delle donne e quello ambientalista costituivano altri, importanti, elementi. In un certo senso ognuno di questi movimenti si è avvantaggiato della presenza degli altri.
Mentre l'Occidente organizzava dimostrazioni contro le armi nucleari, nel mondo comunista si andava sviluppando, nonostante una forte opposizione, una corrente di democratizzazione portata avanti da movimenti quali Solidarność e Charta 77, e dai dissidenti dell'Unione Sovietica e della Germania dell'Est. Questi movimenti cercarono sin dall'inizio di mantenere i contatti con i movimenti pacifisti occidentali, ma un fattore di complicazione in questi rapporti era costituito dai movimenti per la pace ufficiali, fondati e appoggiati dai regimi comunisti. Il rapporto tra i movimenti pacifisti occidentali e quelli ufficiali dell'Est europeo continuava a riscuotere il plauso degli attivisti nei congressi internazionali per la pace, mentre gli esponenti dell'opposizione nell'Europa dell'Est accusavano i movimenti pacifisti occidentali di ingenuità nei confronti dei regimi comunisti.
La protesta antinucleare. - Sebbene negli anni cinquanta gli esperimenti nucleari suscitassero in varie occasioni manifestazioni di protesta, i movimenti antinucleari che si svilupparono negli Stati Uniti, nel Commonwealth, nell'Europa continentale e in Giappone non erano diretti solo contro gli esperimenti, ma avevano come obiettivo più generale il disarmo e l'abbandono delle strategie difensive basate sulle armi nucleari. Tuttavia l'impatto di questi movimenti fu piuttosto limitato, ed essi ebbero un ruolo del tutto marginale nella conclusione di due importanti trattati in materia (il Trattato per la limitazione degli esperimenti nucleari, stipulato nel 1963 da URSS, USA e Gran Bretagna, e il Trattato di non proliferazione del 1968). Non si può peraltro negare che il movimento pacifista abbia contribuito a sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema.
Sebbene la protesta antinucleare avesse una dimensione transnazionale, i movimenti di ciascun paese connotarono la propria campagna sulla base delle opportunità politiche nazionali. Questo periodo vide la nascita di importanti organizzazioni pacifiste nazionali, che ebbero un ruolo di primo piano in tutto il ciclo di protesta del dopoguerra. I tentativi di creare una rete internazionale si scontrarono con il problema della posizione da assumere nei confronti del World Peace Council, dominato dall'elemento comunista. Nonostante queste difficoltà poté nascere la Confederazione internazionale per il disarmo e la pace, che nel 1964 tenne la sua prima conferenza in Svezia.
Negli Stati Uniti le prime manifestazioni antinucleari furono inscenate dalle organizzazioni pacifiste tradizionali (i quaccheri, il WILPF). Nel 1957 fu fondato il National committee for a sane nuclear policy (SANE), un'organizzazione che avrebbe dato la sua impronta al movimento pacifista americano sino agli anni ottanta. Importante fu anche la creazione del movimento Women strike for peace, il predecessore dei gruppi femministi pacifisti che sarebbero nati in seguito.
Nel Regno Unito l'evento più importante fu probabilmente la fondazione della CND (Campaign for nuclear disarmament), che rimase la principale organizzazione del movimento pacifista britannico nel ciclo di protesta del secondo dopoguerra. I pacifisti canadesi seguirono l'esempio britannico fondando una CND del Canada. Le iniziative più significative della CND furono le cosiddette 'marce di Pasqua' verso Aldermaston (un centro per la costruzione di armi nucleari). Queste marce, che partivano da Londra e duravano quattro giorni, si svolsero regolarmente ogni anno a partire dal 1959; quella di maggior successo si ebbe nel 1961, con ben 150.000 partecipanti. L'esempio delle marce di Pasqua fu imitato in molti paesi europei tra cui Germania, Olanda, Svezia, Danimarca, Svizzera, Italia, Austria, Grecia, in cui la protesta antinucleare si associava a temi di interesse nazionale: il riarmo e l'ingresso nella NATO in Germania, l'installazione di basi militari americane in Grecia, e così via.
La maggior parte degli esperimenti nucleari avvenne nell'Oceano Pacifico, e dunque non sorprende che nei paesi di quell'emisfero (Australia, Nuova Zelanda, Giappone) sorgessero movimenti antinucleari. A rafforzare la protesta in Giappone contribuì l'incidente del Lucky Dragon, un peschereccio che si trovava accidentalmente a navigare nell'area dove venivano condotti gli esperimenti e fu esposto a una dose eccessiva di radiazioni.
La guerra del Vietnam. - Sebbene il movimento di protesta contro la guerra in Vietnam avesse per ovvie ragioni il proprio epicentro negli Stati Uniti, esso ebbe però anche una dimensione transnazionale e investì l'Europa, il mondo anglosassone e il Vietnam. Negli Stati Uniti un ruolo importante fu svolto dalle organizzazioni pacifiste preesistenti: il SANE, il WILPF, la Fellowship of reconciliation (FOR) e la War resisters league. L'obiezione di coscienza divenne epidemica e la FOR iniziò una campagna per incitare la popolazione a non pagare le tasse. La protesta assunse i caratteri di una contrapposizione frontale soprattutto nelle università, e culminò nell'uccisione di quattro studenti da parte della polizia durante una dimostrazione nel campus della Kent State University. La fine della guerra segnò anche la fine di questo movimento di protesta, che però lasciò in eredità alle ondate di protesta successiva un prezioso patrimonio di esperienza organizzativa e di innovazione tattica.
Una nuova generazione di armi nucleari. - La seconda e più imponente ondata di protesta antinucleare fu innescata da una serie di eventi internazionali, tra cui i più importanti furono la recrudescenza della guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, la messa a punto di una nuova generazione di armi nucleari, la retorica bellicistica del presidente americano Ronald Reagan e la decisione della NATO di installare in Europa i missili cruise. Quest'ultimo fatto, in particolare, creò opportunità politiche interamente nuove, poiché i governi dei paesi in cui era prevista l'installazione dei missili avrebbero dovuto dare il loro assenso. Ciò fece sì che in tali paesi il problema delle armi nucleari diventasse una questione di interesse nazionale, e fornì ai movimenti di protesta un obiettivo concreto, ossia i governi, spesso divisi al loro interno.
In Europa e negli Stati Uniti la protesta prese direzioni diverse. Negli USA si sviluppò una campagna per il cosiddetto 'congelamento degli armamenti', in cui l'accento veniva posto sul disarmo bilaterale, mentre i movimenti europei erano favorevoli a iniziative unilaterali e si fecero promotori di una serie di campagne contro la bomba al neutrone e successivamente contro i missili cruise. Sebbene i movimenti pacifisti d'Europa fossero contrari all'installazione di nuove armi nucleari nell'Unione Sovietica (gli SS20), un eventuale attacco russo all'Europa non veniva percepito come una reale minaccia; preoccupazioni assai più serie destavano invece la strategia della cosiddetta 'capacità di primo colpo' propugnata dalla NATO e la messa a punto di armi nucleari utilizzabili sul campo di battaglia. Si temeva che gli Stati Uniti avrebbero combattuto una guerra contro l'Unione Sovietica sul territorio europeo facendo uso di armi nucleari.
Questi nuovi sviluppi, cui si aggiungeva la forza propulsiva di un più ampio ciclo di protesta che già da qualche tempo aveva cominciato a profilarsi, fecero sì che questa seconda ondata di protesta assumesse in molti paesi dimensioni sconosciute in passato (v. Kriesi e altri, 1995).
Preludio del movimento di massa contro i missili cruise che si sviluppò in Europa furono le campagne contro la bomba al neutrone in paesi quali l'Olanda, la Germania, la Danimarca e la Norvegia. La sospensione della produzione della bomba al neutrone fu rivendicata dagli attivisti del movimento pacifista come una propria vittoria. Anche se forse non rispondeva al vero, ciò contribuì nondimeno a radicare nell'opinione pubblica l'idea che la protesta antinucleare potesse essere realmente efficace. Il centro focale del movimento contro i missili cruise era costituito dai cinque paesi in cui ne era prevista l'installazione: Belgio, Germania, Gran Bretagna, Italia e Olanda, ma numerose furono le manifestazioni di solidarietà in altri paesi quali l'Austria, la Grecia, la Turchia, i Paesi Scandinavi e la Svizzera.
La caratteristica saliente di questa ondata di protesta fu il livello di coordinazione internazionale e la diffusione delle forme di protesta. Una testimonianza eloquente in proposito fu data dalle successive dimostrazioni di massa nelle capitali europee e dalle manifestazioni pacifiste presso le località in cui era prevista l'installazione dei cruise. Le dimostrazioni organizzate tra il 1976 e il 1993 dai pacifisti europei fecero storia, e lo stesso vale per le manifestazioni pacifiste che vennero organizzate, sull'esempio di quella femminista di Greenham (Gran Bretagna), a Comiso in Italia e a Woensdrecht in Olanda. Un ruolo importante nel coordinamento internazionale della protesta contro i cruise fu svolto da alcune organizzazioni nazionali, tra cui il Consiglio olandese interchiese (IKV), per iniziativa del quale poté nascere la International peace communications and coordination network, e la CND britannica, che contribuì alla fondazione dell'END (European nuclear disarmament appeal).
Seguendo l'esempio americano, molte città europee si proclamarono denuclearizzate. Negli Stati Uniti, dopo il declino del movimento contro la guerra in Vietnam, i movimenti pacifisti adottarono una strategia più orientata verso le iniziative locali. Nel tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica al problema, il movimento organizzò una serie di azioni contro fabbriche e depositi di armi. Nel 1977 venne creato l'MfS (Mobilization for survival), con funzioni di centro di coordinamento per i gruppi pacifisti locali e regionali. L'MfS si trasformò ben presto in un'estesa rete di gruppi che avrebbero avuto un ruolo cruciale nella campagna per il 'congelamento degli armamenti' iniziata nel 1980 - la più imponente campagna pacifista che gli Stati Uniti avessero mai visto. Oltre alle dimostrazioni di massa - come quella organizzata a New York, cui partecipò un milione di persone - e all'intensa opera di pressione e di sensibilizzazione tra i membri del Congresso, un elemento importante della strategia dell'MfS fu l'istituzione di regioni, aree e città denuclearizzate.
L'installazione dei missili cruise in Europa e la conclusione del trattato sulle armi nucleari a gittata intermedia (il cosiddetto trattato INF) segnò la fine dei movimenti pacifisti di massa. È vero che la maggior parte delle organizzazioni pacifiste continuarono a esistere in un modo o nell'altro, ma non si verificarono più mobilitazioni su vasta scala come quelle che si erano avute negli anni ottanta, nemmeno in occasione di quello che è stato per ora l'ultimo ritorno di fiamma del movimento pacifista, la protesta contro la guerra del Golfo.
La guerra del Golfo. - Sebbene le organizzazioni pacifiste di tutto il mondo cercassero di inscenare manifestazioni di protesta contro la guerra del Golfo, tali iniziative ebbero successo solo in pochi paesi, e risultarono fallimentari proprio in quelle che un tempo erano state le roccaforti del movimento pacifista - gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Olanda. Una protesta di massa contro la guerra si ebbe invece in Germania, in Italia e in Spagna, e su scala più ridotta in paesi come l'India, il Canada, la Francia, il Belgio, la Norvegia e la Turchia.
(V. anche Movimenti non-violenti; Movimenti politici e sociali).
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