PACIFISMO
. Nel suo significato teoretico, il pacifismo è quella dottrina che intende dimostrare la possibilità e il dovere di abolire definitivamente la guerra, instaurando una perpetua pace fra tutti i popoli; nel suo significato pratico, è quel movimento dell'opinione pubblica e quell'organizzazione sociale che svolge un'azione più o meno direttamente politica allo scopo di propagare tale dottrina e ottenerne l'effettiva attuazione.
Enunciazioni pacifiste, nel primo senso, s'incontrano sparse anche nelle più antiche religioni e filosofie (v. per es., tra i profeti ebrei, Isaia, II, 4); spesso però in modo alquanto vago, come reazione immediata del sentimento contro i dolori che la guerra cagiona, o come semplice corollario del precetto dell'amore del prossimo fondamentale negl'insegnamenti di Gesù Cristo. La dottrina cristiana, sempre fautrice di pace nel senso spirituale, ammette la possibilità di una guerra giusta e anche santa. Solo alcune sette, come quelle dei Mennoniti e dei Quaccheri, si attennero rigidamente alla condanna assoluta della guerra, considerando empia qualsiasi uccisione. Questa forma di pacifismo, che fu detta ascetica, è stata sostenuta nei tempi moderni specialmente da L. Tolstoj.
D'altra parte, l'ideale di una durevole pace è stato affermato anche da guerrieri e conquistatori, antichi e moderni, come scopo ultimo della guerra e della conquista, ossia come effetto di una universale dominazione (concezione imperialistica o assolutistica della pace). Tale sarebbe stato ad es., secondo Plutarco e altri, l'ideale di Alessandro Magno, ripreso dagl'imperatori romani. Dante Alighieri nel trattato Monarchia (I, 1v [v]) sostenne la necessità di una "pax universalis", da ottenersi mercé l'unità politica che l'impero romano, per divina missione, avrebbe dovuto instaurare nel mondo. Simili dottrine sostennero altri scrittori medievali.
Un'altra forma di pacifismo è quella detta empirico-politica, secondo la quale la pace dovrebbe essere assicurata da un sistema di alleanze, dirette essenzialmente a consolidare lo stato di fatto esistente in un dato momento. A questo concetto s'informarono specialmente varî disegni proposti nei secoli XVII e XVIII. Così quello di E. Crucé (Le nouveau Cynée, 1623); quello del duca di Sully (Mémoires des sages et royales Oenomies d'estat, 1638), che attribuì la paternità del disegno stesso al re Enrico IV, del quale era stato ministro; e quello, più celebre, di Charles Irenée Castel, abate di Saint-Pierre (Mémoires pour rendre la paix perpétuelle à l'Europe, 1712; indi col titolo Projet de traité pour rendre la paix perpétuelle entre les souveracs chrétiens, 1716), il quale fu oggetto di un importante commento critico del Rousseau, che a sua volta diede occasione allo scritto del Kant, Zum ewigen Frieden, 1795.
Col Rousseau e col Kant, e in parte anche con J. Bentham (A plan for an Universal and Perpetual Peace, 1789), s'iniziò una trattazione più approfondita del problema, in quanto si riconobbe che né la generica avversione alla violenza, né il fatto di un temporaneo dominio quantunque esteso, né lo stipularsi di un accordo, aneh'esso contingente, tra i varî governi valgono a eliminare del tutto le cause delle guerre; le quali possono derivare anche da necessità di vita e da fondamentali esigenze etiche delle nazioni. Si delineò così quella concezione della pace, che poi fu detta giuridica, perché subordina l'ideale della pace a quello della giustizia, così nelle costituzioni interne dei singoli stati, come nelle relazioni internazionali. A questa concezione fu ispirata, tra l'altro, la Déclaration du droit des gens, proposta dall'abate H. Grégoire alla Convenzione francese (nel 1793 e nel 1795). Secondo il Kant, la pace può essere garantita soltanto da una federazione di stati liberi, ognuno dei quali abbia una costituzione legittima; e una tale federazione si fonda non su un atto d'arbitrio, ma su un imperativo categorico, ossia su una necessità razionale. Le successive elaborazioni del pacifismo si svolsero generalmente in connessione coi tentativi di avveramento di questa idea; non senza, però, che i suoi fautori ricadessero in posizioni teoriche superate.
Il movimento pacifista, nel significato pratico sopra definito, può dirsi che abbia avuto inizio negli Stati Uniti d'America, con la New York Peace Society, fondata nell'agosto 1815 da David L. Dodge, e con le altre simili società che vi pullularono subito dopo (Ohio Peace Society, Massachusetts Peace Society, ecc.); nel 1828, per opera di William Ladd, esse si fusero in un, unica American Peace Society, che continuò la sua azione ancora nel nostro secolo. Analoghe associazioni furono fondate, nel medesimo periodo, in Inghilterra (Peace Society, Londra 1816, per opera di Allen e Price), in Svizzera (Ginevra 1830, per opera del De Sellon), e in altri paesi. Un congresso pacifista internazionale, però quasi esclusivamente anglo-americano, ebbe luogo a Londra nel 1843; il primo congresso veramente internazionale per la pace fu quello di Bruxelles (1848), cui seguirono quelli di Parigi (1849), di Francoforte (1850), di Londra (1851), ecc. In questi congressi s'insistette particolarmente sull'idea dell'arbitrato e della giurisdizione internazionale, come mezzo da sostituire alla guerra. Un'iniziativa concreta in tal senso, proposta da R. Cobden nel parlamento inglese (1849), fu però respinta. Altre iniziative pacifiste (tra le quali un manifesto di Garibaldi nell'ottobre 1860, dopo la spedizione dei Mille) risultarono parimente inefficaci.
Una nuova serie di congressi per la pace mondiale cominciò a Parigi nel 1889 (sotto la presidenza di F. Passy), mentre s'iniziava anche, parallelamente, la serie delle conferenze interparlamentari. Nelle riunioni congeneri degli anni successivi (Londra 1890 e 1891; Roma 1891, sotto la presidenza di R. Bonghi; Berna 1892; Chicago 1893; ecc.) si ribadirono i postulati già espressi, cercando di estendere e perfezionare i modi di conciliazione e di collaborazione tra i varî popoli. Nel 1891 fu fondato a Berna un Bureau international permanent de la Paix, come organo centrale del pacifismo; esso pubblicò anche un periodico trilingue. Sono di questo tempo alcuni dei libri che ebbero maggior eco (Bertha von Suttner, Die Waffen nieder, 1890, trad. in sedici lingue; Jehan de Bloch [russo], La guerre future aux points de vue technique, économique et politique, voll. 6, Parigi 1898-1900; Norman Angell [pseudonimo di Ralph Lane], The Great Illusion, 1910, trad. in molte lingue; ecc.).
Nel 1898 lo zar Nicolò II, con un manifesto diretto dal suo ministro M. M. Murav′ev a tutti ì governi rappresentati a Pietroburgo, promosse una conferenza, allo scopo di porre un termine agli armamenti e assicurare la pace mondiale. La conferenza, nonostante qualche freddezza e difficoltà, si riunì, per invito del Governo olandese, a l'Aia nel 1899, e condusse, tra l'altro, a formulare un disegno di convenzione per il regolamento pacifico dei conflitti internazionali, riveduto poi in una seconda conferenza, che ebbe luogo egualmente a l'Aia nel 1907. Tale convenzione, ratificata da quasi tutti i governi, comprendeva l'istituzione di una corte permanente d'arbitrato, senza però che il ricorso ad essa avesse carattere obbligatorio.
Nonostante tutti gli sforzi dei pacifisti e di molti uomini di stato, in luogo dell'auspicata pace mondiale sopravvenne la più vasta e terribile guerra che la storia del mondo ricordi (1914-1918). Nondimeno, nel corso della guerra medesima, specialmente negli Stati Uniti d'America e anche in varî paesi europei, non esclusi i belligeranti, si prepararono numerosi disegni di pace definitiva e di organizzazione giuridica universale. Le dichiarazioni in tal senso del presidente Wilson, enunciate la prima volta in una riunione della League to Enforce Peace a Washington (1916), assunsero particolare importanza verso la fine della guerra (1918), e soprattutto durante la conferenza di Parigi per i trattati di pace Da quella conferenza uscì il Patto della Società delle nazioni (1919) inserito come parte integrante nei trattati che conclusero la guerra mondiale. La creazione della Società delle nazioni, come grande e permanente organismo internazionale, virtualmente aperto a tutti gli stati e accettato effettivamente dalla maggior parte di essi, aveva lo scopo dichiarato di "sviluppare la cooperazione tra le nazioni e garantire loro la pace e la sicurezza". In virtù di tale Patto (entrato in vigore il 10 gennaio 1920), fu costituita la Corte permanente di giustizia internazionale, accessibile non ai soli stati aderenti alla Società, ma anche a quelli estranei.
Queste istituzioni parvero attuare, in una certa misura, i postulati fondamentali del pacifismo giuridico. Nel medesimo senso possono essere interpretati altri accordi successivamente conclusi tra alcuni stati, come quelli di Locarno (1925), intesi ad assicurare maggiormente la paee tra le potenze occidentali, e il cosiddetto Patto Kellogg o di Parigi (1928), che contiene, per gli stati contraenti, un'espressa "rinuncia a ricorrere alla guerra come strumento della loro politica nazionale". Tali accordi furono, in massima, concepiti come integrazioni del Patto della Società delle nazioni.
Sennonché questo medesimo patto, pur rispondendo essenzialmente ad un'alta e insopprimibile esigenza spirituale, incontrò difficoltà non lievi nella sua applicazione, e rivelò nella sua struttura parecchi difetti, derivati in parte dalle circostanze della sua origine. La Società delle nazioni non riuscì, effettivamente, a impedire il sorgere di conflitti bellici in diverse parti del mondo; e parecchi stati, anche dei maggiori, rifiutarono di farne parte, mentre altri, dopo avervi aderito, dichiararono di ritirarsene. Gravi cagioni di dissenso permangono tuttora tra i popoli, e un pacifismo superficiale o sentimentale non basta ad eliminarle: anzi può, contro il suo proposito, costituire esso stesso un pericolo o un elemento perturbatore, diminuendo con propaganda inconsiderata la vigoria e la concordia interna delle nazioni. Né è da tacere che in certi casi il pacifismo umanitario e universale, così come l'ostentato rispetto di una presunta immutabilità dei trattati e dello stesso Patto della Società delle nazioni, servono solamente d'insegna alla tutela d'interessi particolari, assai più pericolosi per la pace che non la serena e franca disamina dei contrasti esistenti e la sincera volontà di procedere alle necessarie riforme nell'assetto internazionale. Facendosi banditore, con dogmatico semplicismo, dell'ideale della pace "a qualunque costo", il pacifismo troppo spesso dimentica le condizioni etiche e giuridiche, alle quali lo stesso ideale è subordinato, e che sole dànno alla pace un vero valore. Dopo la guerra il movimento pacifista, per opera di associazioni e istituzioni politiche, sindacali, scolastiche, pedagogiche, ha cercato di penetrare nella scuola e improntare di sé insegnamento e libri di testo.
Bibl.: M. Jähns, Über Krieg, Frieden und Kultur, 2ª ed., Berlino 1893; H. La Fontaine, Bibliographie de la Paix et de l'Arbitrage international, I: Mouvement pacifique, Monaco 1904; A. H. Fried, Handbuch der Friedensbewegung, voll. 2, 2ª ed., Berlino 1911-13; G. Del Vecchio, Il fenomeno della guerra e l'idea della pace, 2ª ed., Torino 1911; id., La Société des Nations au point de vue de la Philosophie du droit international, in Recueil des Cours de l'Académie de droit international, 1931, IV, Parigi 1932; J. Ter Meulen, Der Gedanke der internationalen Organisation in seiner Entwicklung, voll. 2, L'Aia 1917-1929; K. Lenz e W. Fabian, Die Friedensbewegung. Ein Handbuch der Weltfriedensströmungen der Gegenwart, Berlino 1922; C. L. Lange, Histoire de la doctrine pacifique et de son influence sur le développement du droit international, in Recueil des Cours de l'Académie de droit international, 1926, III, Parigi 1927; J. Moór, Zum ewigen Frieden, Lipsia 1930. Cfr. inoltre: La révision des Manuels scolaires contenant passages nuisibles à la compréhension mutuelle des peuples, pubbl. dall'Institut international de Coopération intellectuelle, Parigi 1933, e G. Volpe, Pacifismo e storia, Roma 1934.