PACINO di Buonaguida
PACINO di Bonaguida. – Ignoti sono il luogo (probabilmente Firenze) e le date di nascita e di morte di questo artista, figlio di Bonaguida, attivo come pittore e miniatore a Firenze nella prima metà del XIV secolo.
La laconica documentazione d’archivio su cui poggia la biografia di Pacino è ferma a due notizie reperite nel primo Novecento: l’atto notarile del 20 febbraio 1303, che concludeva il rapporto professionale durato un anno con il non meglio noto Tambo di Serraglio (Offner, 1930, 1987, p. 64), e l’iscrizione alla matricola dell’Arte dei medici e degli speziali di Firenze, all’incirca del 1329-30 (Hueck, 1972), anni centrali della sua carriera.
L’unico dipinto firmato da Pacino è il polittico della Galleria dell’Accademia di Firenze (Cristo crocifisso tra Maria, s. Giovanni dolente e santi, inv. 1890, n. 8568), commissionato dal presbitero Simone per la chiesa di S. Firenze, come dichiara l’iscrizione chiusa dall’anno di esecuzione, lacunoso però delle ultime cifre, così da lasciare indeterminata la datazione dell’opera. Da questi esili appigli la messa a fuoco della figura di Pacino è stata compiuta da Richard Offner tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso (Offner, 1922, 1927, 1930, 1956), con rigorosi esercizi di connoisseurship.
La comparazione con il polittico firmato ha permesso di ritrovare altri dipinti del pittore e di far luce sulla sua personalità, predisposta verso il medio-piccolo formato, in parte condizionata da Giotto e orientata verso un’idea di pittura scorrevole, cordiale e di agevole fruizione. Secondo Offner e Boskovits (1984) la figura di Pacino va inserita in quella eterogenea corrente pittorica fiorentina sviluppatasi nella prima metà del Trecento per cui Offner coniò la definizione tuttora usata di «tendenza miniaturistica», intendendo sottolineare la propensione di questi maestri per un’arte delicata, affatto monumentale e con aperture verso l’estetica gotica. Se l’attribuzione dei dipinti riferiti alla mano di Pacino (una ventina) non è controversa, lo stesso non vale per la cronologia delle opere e l’evoluzione dello stile, tutt’altro che sgombri da dubbi. La pubblicazione di una monografia sull’artista potrebbe chiarire alcuni punti essenziali, per quanto una recente mostra (Florence at the dawn, 2012) abbia riconsiderato globalmente l’artista, presentando molte novità.
Merito di Offner è stato inoltre di dimostrare, confronti alla mano e senza conferme storiche, che Pacino oltre che pittore fu miniatore: il vasto catalogo di codici, fogli o ritagli recuperati in raccolte pubbliche e private (arricchitosi negli ultimi anni) ne attesta l’attività fervida nell’illustrazione libraria, dove il ruolo dell’artista fu incisivo.
Nonostante le differenze di tecnica, destinazione e formato, il collegamento tra miniature e dipinti è risultato evidente ai più, almeno relativamente alle opere di impegno elevato, e Pacino è stato additato come il più rappresentativo miniatore fiorentino del secondo quarto del Trecento (Salmi, 1954). La questione non è tuttavia pacifica: in qualche occasione il metodo di Offner è stato criticato, contestando l’inclusione nel catalogo di Pacino di opere mediocri e di autografia dubbia, che già lo studioso prudentemente etichettava come «pacinesche» o «Bottega di Pacino». Si sono pertanto distinte dal maestro generiche personalità di collaboratori anonimi (Chelazzi Dini, 1977; Ciardi Duprè Dal Poggetto, 1984; Alidori Battaglia, 2009) ovvero si sono estratte dalla costola di Pacino delle individualità ritenute autonome, ma rivelatesi fittizie, quali il «Maestro di Piteglio» (Conti, 1969) e il «Maestro della Bibbia Trivulziana» (Spagnesi, 1994, 2001-2002). La visione accorpatrice di Offner ha però prevalso (Boskovits, 1984; Kanter, 1994; Labriola, 2004; Pasut, 2006 e 2013; Florence at the dawn, 2012), riconoscendo in Pacino un artefice dalla spiccata imprenditorialità, che si circondò di un numero imprecisato di collaboratori alieni dall’avere spirito proprio, cui delegare parte dei lavori, e che approdò a una concezione moderna della bottega d’artista. Sorprende a queste date (1325-50 circa) la marcata cifra di serialità che distingue tanti codici miniati nell’entourage pacinesco, corali liturgici e manoscritti di altro genere (come le prime copie della Divina Commedia), spia dell’urgenza con cui l’artista fronteggiò le richieste di un mercato fiorente e in sviluppo. Del resto, i meccanismi produttivi tipici dell’illustrazione libraria sono congeniali a un’impostazione del lavoro così strutturata e fluida. In quest’ottica si comprendono le collaborazioni, frequenti a partire dagli anni Venti e confinate nell’ambito della miniatura, di Pacino con maestri indipendenti da lui e suoi concorrenti (il Maestro delle Effigi Domenicane, il Maestro di San Giovanni Fuorcivitas, il Maestro del Dante di Petrarca), talora analogamente impegnati sul fronte della pittura su tavola e su pergamena. Collaborazioni che non generarono particolari influenze stilistiche.
Dalla visione d’insieme del catalogo pacinesco, si ricava l’impressione (Boskovits, 1984) che il maestro si fosse specializzato verso la tarda maturità (1330-40 circa) nella produzione libraria, a fronte di un impegno calante nella pittura, cui si era dedicato in precedenza (fino al 1325-30). Una scelta verosimilmente determinata da opportunità di lavoro, sempre più difficili da accaparrare nel panorama fortemente rinnovato della pittura fiorentina del secondo quarto del Trecento, risultando il suo linguaggio progressivamente fuori moda.
Nulla di certo si conosce sul training artistico di Pacino: noto come pittore nel 1303, come si evince dal documento citato, si formò ancora alla fine del Duecento. Arduo è individuare le opere della stagione degli esordi (1300-10), tolto il debole punto di riferimento del 1314 desunto da un codice (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plutei 39. 39: Vegezio, De disciplina militari), la cui malconcia decorazione miniata gli è stata erroneamente attribuita (Boskovits, 1984). Dipinti arcaici sarebbero il Dossale con la Madonna con il Bambino, santi e un donatore di Baltimora (The Walters Art Museum, inv. 37.2494) e i Quattro santi di Firenze (Collezione Cassa di Risparmio), forse provenienti da S. Maria Novella, dove nel convento annesso si conserva un S. Silvestro di datazione forse precoce (Sciacca - Szafran,in Florence at the dawn, 2012, pp. 388-390), la cui attribuzione andrà forse rivista. A un momento subito successivo risalirebbero i Tre Santi della Galleria dell’Accademia di Firenze (inv. 1890, nn. 8698-8700).
Gli ideali fin dall’inizio inseguiti furono di pacatezza espressiva, di misurata eleganza e semplicità formale: uno stile chiaro e privo di virtuosismi descrittivi, che spoglia degli elementi più colti il formulario tipico del Maestro della Santa Cecilia (il presunto Gaddo Gaddi), l’artista dal quale il giovane Pacino dipese fortemente (Boskovits, 1984; Labriola, 2004). La Madonna col Bambino in trono e santi di S. Michele a Castello (Firenze), presumibilmente degli anni Dieci, denuncia un debito mentale con il Maestro della Santa Cecilia, sicuramente intenso (Boskovits, 1984), poiché andò forse a coinvolgere anche l’iniziale pratica di Pacino nella miniatura, come indicano le iniziali di un corale per la badia di Settimo (Firenze), del 1315-20 (Roma,S. Croce in Gerusalemme, Biblioteca Sessoriana, Graduale D; Boskovits, 1984), legate alla cerchia del Maestro della Santa Cecilia e già ricche di componenti pacinesche.
Gli avvii di Pacino nella miniatura sono esemplificati da opere di nicchia (è dal quarto decennio che fu coinvolto in committenze librarie pubbliche e di alto tenore) e da uno stile timido ed essenziale (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Riccardiano 1466: Zucchero Bencivenni, Trattato dei sette peccati; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conventi Soppressi 219: Innarioe Roma, Biblioteca Vallicelliana, A 43: Volgarizzamento delle Meditiationes Vitae Christi, gli ultimi due codici qui attribuiti).
Nel secondo decennio del Trecento la visibilità di Pacino crebbe fortemente. Oltre a piccoli altaroli (Delaware, Collezione Alana; Altenburg, Lindenau-Musem, n. 25) e tavole più grandi (Croce dipinta, Firenze, S. Felicita), è l’epoca dell’Albero della vita, tabellone narrativo ispirato al Lignum vitae di S. Bonaventura (Firenze, Galleria dell’Accademia, inv. 1890, n. 8459) e, all’avviso di molti, del sopracitato polittico firmato. Il primo, per le clarisse di Monticelli, ne palesa le doti di narratore, propenso a divagazioni prive di retorica e a un vistoso senso decorativo. Il polittico, forse del 1315-20 (Pasut in Florence at the dawn, 2012), testimonia una maturazione nello stile ed è un unicum nella ricerca di toni solenni, benché non manchino le ingenuità espressive. All’origine ci sarebbe un confronto più consapevole con l’arte di Giotto, possibile anche senza il coinvolgimento diretto di Pacino al fianco del grande maestro nell’esecuzione delle vetrate in S. Croce, ipotizzato invece da Boskovits (1984).
Per i francescani di S. Croce negli stessi anni Pacino realizzò le iniziali miniate di due antifonari (Firenze, Archivio di S. Croce, Corali G e Q; Ciardi Duprè Dal Poggetto, 1984). Parallelamente al polittico, i riquadri a piena pagina dipinti nel codice con la Vita di Cristo e del Beato Gherardo da Villamagna (New York, The Pierpont Morgan Library, M 643) ripropongono un approccio al racconto sacro emotivo, spontaneo e antidrammatico, alleggerito dai colori brillanti. Dispersi sono purtroppo gli Ordinamenti e statuti della Compagnia di Via San Gallo (già Lione, collezione Gillet; Offner, 1956), con una miniatura di Pacino databile al 1317, importante punto fermo per comprendere tale momento, sguarnito di agganci cronologici.
Il terzo decennio del Trecento (Dittico del Metropolitan Museum of art di New York, 64.189.3ab; la Crocifissione della Fondazione Longhi di Firenze) coincise con l’accoglimento di spunti di gotica eleganza. In miniatura ciò si traduce in una sapiente esuberanza decorativa, in un’inventiva originale, nello studio di raffigurazioni più complesse che in passato, in un disegno diligente. Apice, verso il 1325-30, fu l’articolata campagna decorativa della Bibbia conservata a Milano (Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, Trivulziano 2139; Pasut, 2013). Lo stile di Pacino non cambia, ma viene ingentilito e acquisisce una freschezza inedita.
Da questo momento in poi l’influenza di Bernardo Daddi si fece probabilmente determinante, e non senza riflessi furono i contatti con il poetico Maestro Daddesco e le fortunate collaborazioni con il Maestro delle Effigi Domenicane. Fu con quest’ultimo che Pacino portò a termine due capolavori negli anni Trenta: l’illustrazione di un Laudario oggi ridotto in fogli sciolti (Sciacca in Florence at the dawn, 2012), che si reputa realizzato per la Compagnia di S. Agnese in S. Maria del Carmine a Firenze, e il ciclo di antifonari per S. Maria a Impruneta (Museo del Tesoro, Corali III-VII). Nella serie imprunetina, le scene comprese nelle lettere sono mosse e l’espressività è abbastanza marcata, ma si avverte un divario tra iniziali rifinite ed altre corsive, per intervento della bottega.
Negli ultimi quindici anni di attività (1330-45 circa) spesso si ripropose una situazione identica, sia in pittura, con creazioni singolari (il tardo Tabernacolo del Beato Chiarito, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, 85. PB. 311) alternate a tavolette devozionali popolareggianti (Tabernacolo, Tucson, The University of Arizona Museum of art, 61.118), sia nella produzione libraria, specie nei corali eseguiti per le chiese cittadine e del contado.
Due codici miniati con certezza attribuibili a Pacino risalgono agli anni Quaranta del Trecento (le iniziali figurate nella copia scritta nel 1343 degli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo da San Concordio, Milano, Biblioteca nazionale Braidense, Castiglioni 3 e quelle del Graduale già a Capraia, oggi all’Archivio vescovile di Pistoia, senza segnatura, del 1347) e provano la sua longevità e il protrarsi fino al quinto decennio di una carriera avviata a inizio Trecento. Si ritiene (Pasut, 2006) che Pacino sia intervenuto anche in un’iniziale inedita di un volume delle Decretali di Gregorio IX (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vaticano latino 1388, c. 48v), ultimato a Firenze nell’agosto del 1342.
Affrontando più volte nel corso della sua attività l’illustrazione dei nuovi testi in volgare, che iniziavano a circolare discretamente sul mercato, l’artista fu sperimentatore di nuove iconografie in manoscritti di lusso, molto curati esteticamente: basti citare le Vite dei Santi Padri di Domenico Cavalca, (Roma, Biblioteca nazionale centrale, Vittorio Emanuele 1189), miniato con il Maestro delle Effigi Domenicane e il Maestro del Dante di Petrarca, e la Nuova Cronica di Giovanni Villani (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica vaticana, Chigiano L VIII 296; Zanichelli, 2005). In particolare nella produzione di codici miniati della Divina Commedia di Dante (Pasut, 2008, 2012), l’impegno di Pacino fu massimo, al punto da riuscire ad allestire con l’aiuto della bottega ben venticinque copie del poema, di livello discreto e significative per la fortuna del testo.
Fonti e Bibl.: R. Offner, P. di B., a contemporary of Giotto, in Art in America, XI (1922), 1, pp. 3-27; Id., The shop of P. di B., in Id., Studies in Florentine painting: the Fourteenth century, New York 1927, pp. 3-21; Id., A critical and historical Corpus of Florentine painting III. The Fourteenth century,II, 1, Elder contemporaries of Bernardo Daddi, (New York 1930), nuova ed. a cura di M. Boskovits, Firenze 1987, pp. 3-21 e schede catalogo; M. Salmi, La miniatura fiorentina gotica, Roma 1954, pp. 6-17, 35-40; R. Offner, A critical and historical Corpus of Florentine painting III. The Fourteenth century, VI, Close following of the S. Cecilia Master, New York 1956, pp. III-XIV e schede catalogo; A. Conti, Un disegno del Trecento, in Paragone, XX (1969), 231, pp. 61-63; I. Hueck, Le matricole dei pittori fiorentini prima e dopo il 1320, in Bollettino d’arte, s. 5, LVII (1972), pp. 117, 120; G. Chelazzi Dini, Osservazioni sui miniatori del Panegirico di Roberto d’Angiò nel British Museum, in Scritti di storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, a cura di M.G. Ciardi Duprè Dal Poggetto - P. Dal Poggetto, I, Milano 1977, pp. 140-145; M. Boskovits, The painters of the miniaturist tendency, in A critical and historical Corpus of Florentine painting, III, IX, The Fourteenth century, Firenze 1984, pp. 48-54 e schede catalogo; Id., Introduction, in R. Offner, A critical and historical Corpus… III,II, 1, cit., Firenze 1987, pp. 9-14; M.G. Ciardi Duprè Dal Poggetto, I francescani a Firenze: due antifonari della scuola di Pacino, in Studi di storia dell’arte in memoria di Mario Rotili, I, Napoli 1984, pp. 243-249; A. Spagnesi, Per il pacineso Maestro della «Bibbia Trivulziana», in Antichità viva, XXXII (1994), 1, pp. 34-39; Painting and illumination in Early Renaissance Florence 1300-1450 (catal.), a cura di L.B. Kanter et al., New York 1994 (in partic. L.B. Kanter, P. di B, pp. 44 s.; L.B. Kanter- B. Drake Boehm, The Laudario of the Compagnia di Sant’Agnese,pp. 58-80); A. Spagnesi, Immagini della Bibbia Trivulziana, Ms. 2139 della Biblioteca Trivulziana di Milano, in Rivista di storia della miniatura, 2001-2002, nn. 6-7, pp. 123-132; A. Labriola, P. di B., in Dizionario biografico dei miniatori italiani. Secoli IX-XVI, a cura di M. Bollati, Milano, 2004, pp. 841-843; G.Z. Zanichelli, La «Cronica» di Giovanni Villani e la nascita del racconto storico illustrato a Firenze nella prima metà del Trecento, in Il Villani Illustrato: Firenze e l’Italia medievale nelle 253 immagini del ms. Chigiano L VIII 296 della Biblioteca Vaticana, a cura di C. Frugoni, Firenze 2005, pp. 59-76; F. Pasut, P. di B. miniatore: studi sullo sviluppo artistico e un catalogo ragionato, tesi di dottorato di ricerca in Storia dell’arte (XVIII ciclo), relatore prof. Miklós Boskovits, Università degli studi di Firenze, 2006; Ead., P. di B. e le miniature della «Divina Commedia»: un percorso tra codici poco noti, in Da Giotto a Botticelli. Pittura fiorentina tra Gotico e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale… 2005, a cura di F. Pasut - J. Tripps, Firenze 2008, pp. 41-62; L. Alidori Battaglia, Due manoscritti inediti della bottega di P. di B., in Rivista di storia della miniatura, XIII (2009), pp. 62-72; S. Panayotova, New miniatures by P. di B. in Cambridge, in The Burlington Magazine, CLI (2009), 1272, pp. 144-48; D. Guernelli, A new manuscript for P. di B., in Manuscripta, LV (2011), 2, pp. 1-12; Florence at the dawn of the Renaissance: painting and illumination, 1300-1350 (catal.), a cura di C. Sciacca, Los Angeles 2012 (in partic. F. Pasut, Florentine illuminations for Dante’s Divine Comedy: a critical assessment, pp. 155-169 e schede pp. 104-107, 206-215; C. Schmidt Patterson - A. Phenix - K. Trentelman, Scientific investigation of painting practices and materials in the work of P. di B., pp. 361-375; C. Sciacca, Reconstructing the Laudario of Sant’Agnese, pp. 219-235 e schede pp. 237-281; Ead., P. di B. and his workshop, pp. 285-303; Y. Szafran - N. Turner, Techniques of P. di B., illuminator and panel painter, pp. 335-355); F. Pasut, La Bibbia Trivulziana di P. di B. La decorazione miniata del codice Trivulziana 2139: una impresa di équipe, in Libri e documenti, XXXIX, (2013), pp. 27-50.