Paesi Bassi
Stato dell’Europa occidentale.
Il territorio costituente l’attuale regno dei P.B. forma un complesso unitario dal 1579, quando con l’Unione di Utrecht sorse la Repubblica delle Province unite dei Paesi Bassi. Prima di allora le vicende del territorio furono intimamente legate a quelle del Belgio: ambedue i territori furono designati nel Basso Medioevo con il nome comune di Fiandre (➔ Fiandra) o, in senso lato, Paesi Bassi. Tra il sec. 1° a.C. e l’inizio dell’era volgare i territori degli attuali P.B., abitati da popolazioni germaniche, furono conquistati dai romani, che vi si mantennero fino al sec. 4°, quando la pressione delle stirpi germaniche, e soprattutto dei franchi, li costrinse ad abbandonare tutta la linea del Reno inferiore. Terminata l’epoca delle migrazioni, sul territorio dell’odierno regno dei P.B. si erano stabilmente fissati i franchi (in Brabante, in Olanda meridionale e in parte della Gheldria), i sassoni (soprattutto nell’Overijssel, nella Drenthe, e anch’essi in parte della Gheldria) e i frisoni (nell’Olanda settentrionale, nella Frisia e lungo le coste). Sassoni e frisoni, dopo la predicazione dei santi Willibrord e Bonifacio, furono cristianizzati da Carlomagno ed entrarono a far parte del suo impero. Sotto i successori di Carlomagno la carenza dell’autorità regia favorì la formazione di vasti feudi e la lotta delle investiture rese i loro titolari sempre più indipendenti dal potere imperiale. La posizione geografica fu di particolare importanza per lo sviluppo delle relazioni commerciali e per la fondazione di nuove città. Nel sec. 15° il duca Filippo il Buono di Borgogna estese la sua sovranità sulla contea di Olanda propriamente detta (1433), ma non sulle altre regioni. I P.B. settentrionali e meridionali furono riuniti sotto la sovranità di Carlo V, tra il 1524 e il 1543, anni nei quali l’imperatore s’impossessò della Frisia, di Utrecht, Overijssel, Groninga, Drenthe e Gheldria: nel 1548 tutti i P.B. entrarono a far parte dell’impero (col nome di Circolo di Borgogna). La diffusione del protestantesimo (soprattutto calvinismo) segnò per i P.B. l’inizio di una nuova era. Le persecuzioni religiose, dopo l’avvento di Filippo II sul trono di Spagna, assunsero particolare violenza e, falliti i tentativi di accomodamento con la reggente Margherita d’Austria, provocarono gravi tumulti. La situazione peggiorò dopo l’arrivo del duca d’Alba, che domò la rivolta, condannò a morte centinaia di calvinisti, ne fece confiscare i beni e inasprì le imposte. Il duca riuscì così apparentemente a ristabilire la calma, ma, dopo il suo richiamo, l’ammutinamento delle truppe spagnole nelle Fiandre e nel Brabante (1576) favorì la riconciliazione tra i cattolici dei P.B. meridionali e i ribelli dell’Olanda e della Zelanda, guidati da Guglielmo d’Orange-Nassau (pacificazione di Gand). Fu un accordo temporaneo, stretto con l’intento di preservare il Paese dalle soldatesche straniere; esso venne meno a motivo dell’intolleranza religiosa dei calvinisti che non si attenevano ai patti convenuti. Del contrasto trasse profitto il nuovo governatore (dal 1578) Alessandro Farnese, il quale con la promessa del ritiro delle truppe spagnole convinse i P.B. cattolici a riconoscere la sovranità di Filippo II (unione di Arras, genn. 1579). Da parte sua, Guglielmo d’Orange, timoroso della riscossa spagnola, promosse la formazione di un legame più stretto tra le province ribelli e l’Unione di Utrecht (egualmente del genn. 1579). Egli era tuttavia favorevole al mantenimento dell’unione di tutti i P.B., e la lega tra le province non cattoliche doveva costituire solo un espediente temporaneo, in opposizione alla politica del Farnese. L’Unione di Utrecht segnò invece l’inizio di un nuovo Stato indipendente e inflisse un colpo mortale alla politica di Guglielmo. Le operazioni militari intraprese dal Farnese per ricondurre all’obbedienza spagnola le province ribelli accelerarono il processo di secessione definitiva: nel 1581 gli Stati generali dell’Aia rifiutarono Filippo II come loro sovrano. Il periodo immediatamente successivo fu estremamente critico: l’assassinio di Guglielmo d’Orange (1584) coincise con notevoli successi militari del Farnese che riuscì a riconquistare tutto il territorio a sud dei grandi fiumi. Le Province unite furono salvate dal loro predominio sul mare e dal fatto che Filippo II rinunciò a un’azione a fondo contro di esse per tentare invece la conquista delle isole britanniche: la distruzione dell’Invincibile Armata (1588), alla quale contribuirono anche le Province unite, allontanò l’incubo di una prossima capitolazione. Il decennio 1588-98 modificò sostanzialmente la situazione. Il genio militare di Maurizio di Nassau e l’abilità politica di J. van Oldenbarneveldt portarono alla vittoria le armi olandesi: tutto il Paese a nord dei grandi fiumi fu liberato dal dominio spagnolo. Francia e Inghilterra contrassero un’alleanza con le Province unite, riconoscendo l’indipendenza del Paese e il suo inserimento nella comunità internazionale. Dopo la Pace di Vervins (1598) tra Francia e Spagna, le Province unite continuarono la guerra, pur essendo stata nel frattempo concessa ai P.B. meridionali l’indipendenza sotto gli arciduchi Alberto d’Austria e Isabella; ma né la vittoria di Maurizio a Nieuport (1600), né la conquista di Ostenda da parte degli arciduchi assicurarono un chiaro vantaggio a uno dei due contendenti. Dopo la pace fra Inghilterra e Spagna (1604) parve perciò opportuna la conclusione di una tregua, firmata nel 1609 per un periodo di dodici anni, sulla base dell’uti possidetis. Ancora una volta la vita interna delle Province unite fu sconvolta da contrasti religiosi: in seno al calvinismo scoppiò la lotta tra arminiani e gomaristi. Il conflitto divenne ben presto politico, poiché la pretesa dei gomaristi di demandare al giudizio di un sinodo nazionale la soluzione della controversia sollevò l’opposizione degli Stati generali, che avevano accordato la loro protezione agli arminiani. Fallito il tentativo di Oldenbarneveldt, coadiuvato dagli Stati di Olanda, di Utrecht e di Overijssel, di impedire l’espulsione degli arminiani, il sinodo convocato condannò le dottrine eterodosse. Accusato di alto tradimento, Oldenbarneveldt fu condannato a morte (1619). Ripresa la guerra nel 1621, morto il Nassau (1625), il comando delle operazioni fu assunto dal fratellastro Federico Enrico, nuovo statolder. Tutt’altro che facile fu il suo compito: gli Stati generali, e più particolarmente il partito aristocratico, erano gelosi della fama dello statolder, temendo una restaurazione della monarchia in suo favore, ed erano anche timorosi delle conseguenze che potevano derivare ai loro interessi economici e commerciali dall’annessione di Anversa. A quattro riprese (1637-46) lo statolder assediò il porto alla foce della Schelda, ma la conquista non gli riuscì proprio per l’aiuto accordato da Amsterdam agli assediati. Più fortunata fu la guerra sul mare: ripetute volte (celebre la battaglia delle Dune, 1639) la flotta spagnola fu sconfitta. La virtuale eliminazione della minaccia spagnola e il timore della nuova potenza francese agevolarono le trattative di pace, che fu firmata a Münster (30 genn. 1648); alle Province unite fu riconosciuta la più assoluta indipendenza. Con la successiva Pace di Vestfalia esse cessarono di far parte dell’impero. Così terminò la cosiddetta guerra degli Ottant’anni. La conclusione della pace non fu favorevole a Gugliemo II, statolder dal 1647, poiché il congedo delle truppe mercenarie, richiesto dagli Stati generali, tendeva chiaramente al suo spodestamento. Egli risolse il conflitto con la forza, ma la sua morte prematura (1650) tolse ogni ostacolo alle aspirazioni egemoniche dei reggenti, che imposero alle altre province le vacanze delle cariche di capitano generale e di statolder (eccetto che in Frisia e Groninga). Il partito orangista, forte soprattutto dell’appoggio popolare, non disarmò, anche se l’erede diretto del defunto statolder era un bambino in fasce (Guglielmo III era nato otto giorni dopo la morte del padre). La popolarità della casata si manifestò durante la prima guerra inglese (1652-54), quando le sconfitte causate dalla flotta di Cromwell provocarono difficoltà economiche e tumulti a favore degli Orange e contro i reggenti. Il disastroso esito della guerra obbligò gli Stati generali a votare l’Atto di esecuzione, con cui essi si impegnarono a non eleggere mai l’Orange statolder della loro provincia (Guglielmo III per parte di madre era nipote dello Stuart pretendente al trono inglese). L’Atto di navigazione (1651), che negli intendimenti degli inglesi doveva inferire un colpo mortale al commercio marittimo delle Province unite, raggiunse solo in parte il suo intento. La rivalità sul mare tra le due potenze sfociò nella seconda guerra inglese (1665-67), quando gli Stuart con Carlo II erano ritornati sul trono. Stavolta la vittoria, grazie soprattutto alla valentia dell’ammiraglio M.A. de Ruyter, rimase alle Province unite, e la Pace di Breda la sanzionò con la parziale modifica dell’Atto di navigazione. Molto del merito di tutti questi successi spettò a Johan de Witt, gran pensionario dal 1653, la cui abilità politica e diplomatica elevò le Province unite, sotto l’egemonia olandese, a grande potenza. Negli affari interni, egli da una parte cercò l’appoggio del ceto mercantile, dall’altra ridusse i poteri dello statolder (1667). Credeva di avere così escluso una volta per sempre gli Orange dalla signoria, ma errati furono i suoi calcoli di fronte alle mire di Luigi XIV, desideroso di estendere la sua sovranità sulle Province unite. La guerra scoppiò nell’apr. 1672: le Province unite, di fronte alla coalizione costituita dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’elettore di Colonia e dal vescovo di Münster, si trovarono in grave difficoltà. Guglielmo III fu nominato capitano generale per una sola campagna, poi eletto statolder; e, grazie all’appoggio e al patriottismo della popolazione, il Paese riuscì a superare la grave crisi. Luigi XIV e i suoi alleati furono costretti a una precipitosa ritirata, quando ormai credevano di aver debellato la Repubblica; le Province unite passarono al contrattacco: Bonn fu conquistata, l’elettore di Colonia e il vescovo di Münster chiesero la pace, seguiti dall’Inghilterra (Trattato di Westminster, 1674) e dalla Francia (Nimega, 1678). Il piano di Luigi XIV era fallito, ma la rivalità personale tra il Re Sole e Guglielmo III costituì, da allora in poi, un elemento determinante della politica europea. La politica di Luigi XIV favorì i disegni dello statolder e della grande coalizione antifrancese del 1686 (Lega di Augusta) di cui egli fu l’ispiratore. Nel 1689 Guglielmo d’Orange salì sul trono d’Inghilterra e da allora alla sua morte (1702) la Repubblica si trovò pressoché ininterrottamente coinvolta nei conflitti europei, riducendosi in posizione di dipendenza politica dall’Inghilterra e decadendo rapidamente. Partecipò alla guerra di Successione spagnola, al cui termine, con il Trattato della Barriera, le fu riconosciuto il diritto di tenere guarnigioni in diverse città dei P.B. meridionali, soggetti ora alla sovranità austriaca, come garanzia contro nuove invasioni francesi. Quell’apparente successo politico, come pure l’estensione della sovranità olandese su Venlo e su Stevensweert in virtù della Pace di Utrecht, non impedì il decadimento delle sette province da grande potenza. Molteplici motivi vi concorsero, tra i quali il timore di una restaurazione degli Orange. Da quando, alla morte di Guglielmo III, gli Stati delle Province decisero di non nominare più un nuovo statolder, l’oligarchia dominante cercò di isolarsi in una rigorosa politica di neutralità nel timore che la partecipazione alla guerra potesse offrire al partito orangista l’occasione di ritornare al potere. Ciò si verificò infatti durante la guerra di Successione austriaca, quando la popolazione si sollevò accusando l’oligarchia dei mercanti di aver sacrificato l’interesse pubblico al tornaconto personale: Guglielmo IV, statolder di Frisia, di Drenthe e di Gheldria, assunse la stessa carica in tutte le altre province (1747), trasmissibile per eredità alla sua discendenza maschile e femminile. Sotto il suo successore Guglielmo V (1751-95) si accentuò la crisi in politica estera e interna. Durante la guerra dei Sette anni, essendo reggenti prima Anna di Hannover, madre del nuovo statolder, e quindi il duca di Brunswick, il commercio subì gravi restrizioni; altre ripercussioni negative sull’economia del Paese derivarono dalla rivolta delle colonie inglesi d’America, poiché l’Inghilterra impedì i rapporti commerciali della Repubblica con i ribelli, fino a giungere alla guerra (1780-84). Contemporaneamente nel Paese la richiesta di riforme divenne sempre più pressante soprattutto da parte del partito dei cosiddetti «patrioti», schieratisi apertamente contro lo statolder.
Guglielmo V divenne sempre di più il simbolo del conservatorismo; fallito un tentativo dei patrioti di insediarsi al potere per l’intervento dell’esercito prussiano, i sostenitori delle riforme, abbandonata la Repubblica, si rifugiarono in Francia, dove parteciparono alla Rivoluzione. A loro richiesta la Francia rivoluzionaria mosse nel 1793 guerra alle Province unite. L’esercito francese fu costretto a ritirarsi, ma due anni dopo invase nuovamente e occupò il Paese. Così si giunse nel 1795 alla proclamazione della Repubblica batava: la Repubblica delle sette Province unite aveva cessato di esistere. Con la nuova Costituzione del 1798 l’esecutivo fu affidato a un direttorio, quindi si ebbe a capo del governo un gran pensionario fino al 1806, e infine una monarchia sotto Luigi, fratello dell’imperatore Napoleone. Costui conservò la corona fino al 1810, quando i P.B. furono incorporati nell’impero francese. La campagna di Russia alimentò il movimento di liberazione e già verso la fine del 1813 si procedette alla formazione di un governo provvisorio, che fece proclamare principe sovrano il figlio di Guglielmo V e provvide all’emanazione di una nuova Costituzione nel 1814. L’unione dei P.B. austriaci e del vescovato di Liegi, insieme al conferimento del granducato di Lussemburgo a Guglielmo I, portò alla costituzione del regno dei P.B., deliberata al Congresso di Vienna. Il nuovo Stato non durò tuttavia più di quindici anni: il contrasto tra il dispotismo illuminato del sovrano e il liberalismo degli ex P.B. austriaci, e tra i protestanti del Nord e i cattolici del Sud, era troppo profondo. Anche dal punto di vista economico l’unione fu poco felice, perché il liberoscambismo dei P.B. danneggiava direttamente il Belgio bisognoso di una politica protezionistica. Si giunse così alla rivolta dei belgi, che nel 1830 si ribellarono apertamente e proclamarono la separazione dai Paesi Bassi. Invano Guglielmo I si oppose alla scissione approvata dalle grandi potenze europee e solo nel 1839 rinunciò ai suoi diritti, dopo aver gravemente compromesso, con la sua ostinazione, la stabilità economica del Paese. Il sovrano, che si era ormai del tutto alienate le simpatie della nazione, l’anno dopo (1840) ritenne opportuno rinunciare al trono. Il successore Gugliemo II, dopo aver in buona parte risanato le finanze statali, sotto la spinta del movimento liberale concesse nel 1848 una nuova Costituzione che sanciva la responsabilità ministeriale e istituiva, per ambedue le camere degli Stati generali, il sistema rappresentativo. Il lungo regno del suo successore Guglielmo III (1849-90) fu caratterizzato dal progressivo rafforzamento del sistema parlamentare, di cui il merito spettò soprattutto al capo dei liberali, J.R. Thorbecke. Morto costui nel 1872, cattolici e calvinisti, acerrimi nemici fino ad allora, iniziarono concordi la lotta per le sovvenzioni statali alle loro scuole confessionali e, dopo la riforma costituzionale del 1887, che estese il diritto di voto a categorie rimaste prima escluse, un governo di coalizione cattolico-antirivoluzionario (così era detto quello dei calvinisti) fece approvare una legge che prevedeva sussidi eguali per le scuole private e per quelle governative. Nel 1887 entrò in Parlamento il primo deputato socialista e la questione sociale assunse sempre maggiore importanza. Da diverse parti si fece viva la richiesta di una democratizzazione dell’ordinamento dello Stato: i liberali e i socialdemocratici rafforzarono notevolmente la loro posizione e videro accolte le loro richieste nel 1917 con l’introduzione del suffragio universale maschile e con l’adozione della proporzionale per le elezioni al Parlamento. Già nelle elezioni del 1913 i due partiti progressisti erano stati vittoriosi, ma impossibile riuscì la formazione di un governo di coalizione per il rifiuto socialista di assumere gli oneri del potere. Assai difficile e precaria fu la posizione dei P.B. durante la Prima guerra mondiale; il Paese, pur mantenendosi strettamente neutrale, soffrì moltissimo e dovette sopportare sacrifici perfino maggiori di quelli sostenuti dagli Stati belligeranti. Nel dopoguerra sorsero screzi con il Belgio che aspirava a un plebiscito nel Limburgo. La coalizione di governo, composta di elementi cattolici, antirivoluzionari e cristiano-storici, si mantenne al potere fino al 1925, quando si sfasciò in seguito all’abolizione della rappresentanza politica presso il Vaticano. Dal 1926 al 1939 riuscì impossibile la formazione di un governo stabile e i ministeri che si susseguirono furono tutti extraparlamentari. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, i P.B. si mantennero neutrali, ma l’invasione tedesca del maggio 1940 segnò l’inizio di un periodo assai doloroso nella loro storia. L’occupazione straniera, aggravata da atti d’imperio della Germania nazista (sfruttamento economico, persecuzioni, deportazioni), rovinò l’economia del Paese.
La regina Guglielmina e il governo, rifugiatisi a Londra, tornarono in patria nel 1945. Nel 1946 il Partito socialdemocratico si fuse con l’ala sinistra del movimento di resistenza di W. Schermerhorn e con altri gruppi e assunse il nome di Partij van de Arbeid (PVDA). Insieme al Katholische Volkspartij (KV), esso costituì una coalizione di governo rimasta in vita sino alla fine degli anni Cinquanta: i singoli ministeri furono di volta in volta guidati dai due leader W. Drees (laburista) e L.J. Beel (cattolico). In politica estera i P.B. abbandonarono decisamente la neutralità. Nel 1944 avevano costituito, insieme al Belgio e al Lussemburgo, il Benelux, entrato in opera nel 1948, quindi aderirono all’Unione europea occidentale (Trattato di Bruxelles, 1948) e alla NATO (1949). Sempre nel 1948 saliva sul trono la regina Giuliana. Il dopoguerra segnò anche la fine dell’impero coloniale. Falliti i tentativi di domare con le armi i ribelli dell’Indonesia, anche a seguito dell’intervento delle Nazioni unite, si dovette riconoscere l’indipendenza della nuova Repubblica (1949). Nel 1950 si procedette alla costituzione di un’unione tra la madrepatria e l’ex colonia, che nel 1954 cessava di esistere. Inoltre, nello stesso anno, i possedimenti delle Indie occidentali (Suriname e Antille olandesi) divenivano autonomi in un’associazione con i P.B. (il Suriname sarebbe divenuto indipendente nel 1975). Pur mantenendo il dominio sulla Nuova Guinea o Irian, poi ceduto all’Indonesia con un accordo del 1962, i P.B. subivano i contraccolpi di una difficile crisi di assestamento in una dimensione esclusivamente europea. A questa nuova situazione fecero fronte rafforzando i rapporti con l’Europa: fu meglio definita l’unione economica del Benelux (1958), furono sancite le adesioni all’OECE (poi OCSE), alla CEE e all’EURATOM. Al periodo della ricostruzione, caratterizzato da governi basati sull’alleanza di cattolici e laburisti, seguì un periodo di governi di centrodestra (1958-73), basati sull’alleanza dei partiti confessionali con il Volkspartij voor Vrijheid en Democratie (VVD) e altre formazioni di ispirazione liberale. Nei primi anni Settanta le affermazioni della sinistra riportarono il PVDA a responsabilità di governo in una coalizione di sinistra (1973-77) cui successero (1977-81, 1982-89) alleanze di governo tra VVD e Christen-Democratisch Appèl (CDA), nuova formazione che raccoglieva i partiti cristiani. Nel 1989 CDA e PVDA varavano un nuovo centrosinistra mentre, dopo le elezioni del maggio 1994, si formava nell’ag. sotto la guida del leader del PVDA ed ex dirigente sindacale, W. Kok, un governo di coalizione fra laburisti, liberali ed esponenti del partito di centrosinistra, Democraten 66 (D66). Per la prima volta dal 1917 i democristiani passavano all’opposizione, ma il cambiamento della dirigenza politica del Paese non mutò sostanzialmente il quadro generale: il dibattito politico continuò a essere sempre imperniato sul problema dei costi dello Stato sociale (particolarmente difficili erano già stati i negoziati che avevano preceduto la formazione del nuovo governo, proprio a causa del disaccordo esistente fra laburisti e liberali sulle modalità della riduzione delle spese per il welfare). Il nuovo esecutivo procedette così, in una linea di compromesso fra le opposte istanze, a privatizzare parzialmente, nel 1995, il settore delle poste e delle telecomunicazioni, mentre l’anno successivo realizzò il progetto di un esercito professionale di dimensioni ridotte. Tra il 1996 e il 1997, di fronte alle proteste avanzate da molti Paesi dell’Unione Europea che chiedevano un maggior controllo del traffico delle sostanze stupefacenti, il governo Kok fu costretto a rivedere la sua politica estremamente liberale nei confronti delle droghe leggere, introducendo maggiori controlli nel loro consumo. Le elezioni politiche del maggio 1998 videro il successo dei laburisti, che passarono da 37 a 45 seggi, e dei liberali (da 31 a 38 seggi). I democristiani continuarono a perdere posizioni passando dai 34 seggi del 1994 a 29, mentre anche D66 perdeva 10 seggi. Il partito Groen Links, nato nel 1991 da un’alleanza tra piccoli partiti di sinistra, radicali, socialpacifisti, comunisti, ottenne un discreto successo passando dai 4 seggi conquistati nel 1994 a 11. Il nuovo ministero, entrato in carica nell’ag. del 1998 e guidato ancora una volta da Kok, era costituito dalla stessa coalizione che aveva governato fin dal 1994: laburisti, liberali ed esponenti del D66. Nell’estate del 1999 una crisi investì la maggioranza governativa: di fronte al rifiuto, da parte del VVD, di avallare la richiesta del D66 di introdurre un emendamento costituzionale che avrebbe consentito il ricorso al referendum popolare anche per le questioni politiche, gli esponenti di governo del partito di centrosinistra si ritirarono dalla coalizione, e fu solo dopo un accordo di compromesso, che escludeva interventi sulla Costituzione, che la crisi rientrò (giugno). I contrasti nella maggioranza penalizzarono tuttavia i partiti di governo: nelle elezioni europee del giugno 1999 il PVDA perse due seggi e così il D66, il VVD mantenne i suoi sei seggi, mentre le opposizioni registrarono aumenti significativi (Groen Links passò da un seggio a quattro, e il Socialistische partij ottenne un seggio, avendo conquistato il 5% dei voti rispetto all’1,3% del 1994). Sul piano della legislazione sociale, il governo Kok si distinse per tre rilevanti decisioni: nell’ott. 1999 fu approvata dal Parlamento la legalizzazione delle case chiuse, nel sett. 2000 fu riconosciuta la validità civile dei matrimoni tra omosessuali e nell’apr. 2001, dopo mesi di acceso dibattito politico e con l’opposizione dei democristiani e di alcuni piccoli partiti confessionali, fu varata una legge che legalizzava per la prima volta al mondo l’eutanasia. Nella primavera del 2002 il governo cadde in seguito alle polemiche scoppiate intorno al massacro di Srebrenica, in Bosnia, avvenuto nel 1995 quando la città era sotto la protezione di un contingente olandese. Le conseguenti elezioni anticipate furono macchiate dall’assassinio di P. Fortuyn, postosi alla guida di un movimento politico contro l’immigrazione. Il voto vide la vittoria dei cristiano-democratici, seguiti dalla Lista Fortuyn. Si formò una coalizione di governo di centrodestra guidata dal cristiano-democratico J.P. Balkenende. Tuttavia nel giro di pochi mesi le divisioni tra gli eredi di Fortuyn provocarono nuove elezioni anticipate, vinte ancora una volta dai cristiano-democratici (2003). Seguirono complesse trattative politiche, che si conclusero con la formazione di un nuovo governo di centrodestra sempre guidato da Balkenende, che si impegnò sul fronte della riforma del welfare e dei tagli alla spesa pubblica. In politica estera, si decise l’invio di un contingente di soldati in Iraq con compiti di peacekeeping (la missione durò fino al 2005). Nel nov. 2004 l’uccisione del regista T. van Gogh da parte di un estremista islamico alimentò le tensioni già presenti nella società sui problemi dell’immigrazione e tra la primavera e l’estate del 2006 la coalizione al potere si divise sul tema delle politiche migratorie: Balkenende formò un governo di minoranza con il compito di condurre il Paese a nuove elezioni. Il voto portò alla formazione di una nuova maggioranza formata da cristiano-democratici, laburisti e dall’Unione cristiana; alla testa dell’esecutivo rimase Balkenende, attestandosi su una linea più moderata riguardo sia alle riforme economiche sia a quelle del welfare, che avevano generato una diffusa protesta sociale. Nel 2010 disaccordi in politica estera e, sul fronte interno, le tensioni derivate dalle pressioni dell’opposizione di estrema destra e dalle difficoltà economiche conseguenti alla crisi globale hanno portato alle dimissioni di Balkenende, sostituito da M. Rutte del VVD.