PAFLAGONIA (A. T., 88-89)
Regione montuosa, impervia e poco popolata dell'Asia Minore settentrionale, situata fra la Bitinia a O., la Galazia a S., il Ponto a E. e il Mar Nero a N. Le coste sono alte, regolari e importuose, sia perché battute dai venti e senza ripari, sia perché prive di comunicazioni con l'interno. Un'ininterrotta catena montuosa infatti separa la costa dalla regione interna elevata e già scarsa di piogge, a differenza dei monti costieri a precipitazioni abbondanti, quanto mai ricchi di boschi di querce, di faggi, di pini, di betulle e di platani e anche con importanti giacimenti di carbon fossile a O., i cui prodotti (950.000 tonn. nel 1926) vengono esportati dai porti di Eraclea e di Zonguldak. Al di là della catena costiera si stende il vasto altipiano di rocce paleozoiche e terziarie, con piogge scarse, coperto di steppe frequentate dai pastori di pecore e nel S. anche dalle gregge di capre d'Angora. Questa zona è incisa da O. a E. da tre profonde vallate longitudinali, in fondo alle quali scorrono i fiumi più notevoli (Gök Irmak, Ulu Çay, Devrez Çay), che segnano le uniche vie naturali, e lungo le quali sono distribuiti tutti i campi e il maggior numero dei centri. Prodotti notevoli dell'agricoltura sono il frumento, il cotone, le frutta, il riso, il tabacco, l'uva, lo zafferano. Allevato è pure il baco da seta. Numerosi sui monti sono gli orsi bruni, che insidiano spesso le gregge. La popolazione è scarsa e vive in piccoli centri rurali. Numerose lungo i corsi d'acqua, specialmente della zona montuosa costiera, le piccole segherie. Fra le industrie, oltre queste, di un certo interesse sono anche quelle del tannino e la tessitura. Il capoluogo è Kastamonu (790 m.), nell'interno, in una conca poco ampia e già di clima continentale. Altri centri da ricordare sono: sulla costa, oltre Eraclea e Zonguldak, Inebolu, da cui parte la strada più breve che unisce Kastamonu col mare, e Sinop più a E.; poi Bartin, sul fiume omonimo, che esporta legname, frutta, legumi e pollame, e nell'interno Safranbolu, la città dello zafferano; Güre, che ha miniere di rame non sfruttate; Çankiri (730 m.), nota per le sue miniere di sale assai redditizie.
Storia. - Oscure le origini e le prime vicende del popolo che i Greci chiamarono Paflagoni. I Paflagoni furono un popolo rozzo, guerriero, famoso per la cavalleria, ritenuta la migliore dell'esercito persiano, dedito alla caccia, molto amante della propria indipendenza; professavano un culto naturistico. Nell'Iliade essi appaiono come alleati dei Troiani, con a capo un Pilemene. I Greci, che ebbero rapporti con la Paflagonia fin dall'età omerica e ne traevano muli e schiavi, ne colonizzarono la costa in due riprese. La prima colonizzazione fu sommersa nel sec. VII a. C. dall'invasione dei Cimmerî. Ma per la seconda volta e solidamente i Milesî si stabilirono sulle coste della Paflagonia: Sinope risorse dalle sue rovine verso il 630 a. C. Le colonie greche, fra cui celebre anche Sesamos, vissero una loro vita indipendente, senza esercitare dominio sulla popolazione dell'interno, con cui furono in relazione ora d'amicizia ora d'inimicizia. Nel sec. VI la Paflagonia entrò nella sfera di dominio dei sovrani della Lidia, senza perdere però completamente la sua autonomia, già fin dal tempo di Aliatte e poi per effetto delle conquiste di Creso. Dal 547 o 546 fece parte dell'impero persiano: sottomessasi volontariamente a Ciro, conservò i suoi diritti; Dario I l'assegnò alla III satrapia. Anohe il legame di dìpendenza dal re di Persia non fu molto stretto, e sotto Artaserse Mnemone si dovette spezzare, per effetto della ribellione di Ciro il Giovane. Infatti, al tempo della ritirata dei Diecimila (400), Corylas, che governava la Paflagonia, non aveva risposto all'appello del re persiano ed estendeva la sua autorità fino al Termodonte. Il successore di Corylas, Otys o Thuys, ne continuò la politica di indipendenza e strinse nel 395 con Agesilao un'alleanza, però di brevissima durata. Contro Thuys agì in seguito il satrapo della Cappadocia Datame, che lo condusse prigioniero alla corte di Artaserse e sottomise la Paflagonia, occupando anche Sinope. Durante la spedizione di Alessandro Magno, la Paflagonia fece ad Ancira atto di sottomissione ad Alessandro, che non passò per la regione, la esentò dal tributo (334) e nel 333 l'unì alla Frigia ellespontica, il cui satrapo Calas dovette prendere le armi contro i Paflagoni, che avevano partecipato a un moto antimacedone, e li assoggettò, ma non durevolmente. Alla morte di Alessandro, nella prima divisione delle satrapie a Babilonia (323), la Paflagonia, unita alla Cappadocia, fu assegnata ad Eumene, che però doveva conquistarla; nella seconda ripartizione di Triparadiso (321) non si trova più nominata. In seguito non sappiamo con sicurezza se o quando effettivamente la Paflagonia venne a dipendere da Antigono Monoftalmo e, dopo il 301, da Lisimaco; è certo solo che caddero in potere di quest'ultimo le città greche che appartenevano al dominio d'Eraclea, fra cui Sesamos, divenuta Amastri. Senza dubbio la Paflagonia si rese del tutto indipendente alla morte di Seleuco I (281). Essa aveva già prima subito gravi perdite di territorio, perché, per effetto delle conquiste di Mitridate Ctiste, che nel 301 si era stabilito a Cimiata sull'Olgassys, la valle dell'Amnias era entrata a far parte del futuro stato del Ponto che assorbiva poi anche la Fazimonitide e a poco a poco le città della costa (Amastri nel 279). La Paflagonia interna era divisa fra parecchi dinasti, che pare partecipassero al patto stretto fra Nicomede I di Bitinia e i Galati. Nel sec. III perdeva qualche territorio anche ad occidente: Ziela di Bitinia s'impadroniva di Cressa (Cratia?). Dei signori della Paflagonia all'inizio del sec. II ci sono noti il galato Gaizatorix e il re indigeno Morzio, che risiedeva a Gangra e riuscì a riunire tutta la regione interna sotto il suo dominio. Morzio avversò l'influenza romana e, durante la campagna di Cn. Manlio Vulsone (189), mandò in aiuto dei Galati contingenti che furono insieme con gli alleati sconfitti sul monte Magaba; dopo probabilmente si tenne fuori da ogni alleanza con Roma. Egli difese l'indipendenza del suo stato dalle mire di conquista del re del Ponto Farnace I, contro il quale sostenne una lunga guerra, irisieme con i re di Bitinia, di Pergamo e di Cappadocia. Nella pace del 179, Farnace fu costretto a restituire a Morzio la parte della Paflagonia che aveva occupata; conservava però Sinope, da lui presa nel 183. Posteriormente la Paflagonia dovette entrare nell'orbita d'influenza di Roma: il successore di Morzio, Pilemene (Evergete?) fu alleato dei Romani nella guerra contro Aristonico (132). La Paflagonia cadde poi sotto il controllo del Ponto, per l'abile diplomazia di Mitridate Evergete, a cui Pilemene morendo lasciò in eredità il sua stato. Ma l'esecuzione del testamento fu impedita dai Romani. Le aspirazioni non mai abbandonate dai re del Ponto al dominio sulla Paflagonia furono naturalmente riprese da Mitridate Eupatore, che, messosi d'accordo con Nicomede di Bitinia, si gettò sulla Paflagonia e la divise col suo socio (fine del sec. II). L'intervento del Senato romano non ebbe effetto: Nicomede nella parte da lui occupata proclamò il suo bastardo Socrate re di Paflagonia col nome di Pilemene. Ma nel 95, per ingiunzione del Senato, Mitridate e Nicomede sgombrarono la Paflagonia, che da Roma fu dichiarata libera. Nell'88 i Paflagoni inviarono soldati nell'esercito di M. Aquilio in guerra con Mitridate. Questi, dopo la vittoria dell'Amnias, invase la Paflagonia e la fece sottomettere non senza fatica dai suoi luogotenenti. Ma Silla gliela fece abbandonare col trattato di Dardano (85). Mitridate nell'accordo con Sertorio ottenne la cessione della Paflagonia, che occupò di nuovo all'inizio della III guerra contro Roma, per vedersela poi togliere definitivamente da Lucullo (72), che conquistò anche le città della costa (Sinope nel 70). Nel 64 Pompeo diede la Paflagonia interna con Gangra ad Attalo e Pilemene, mentre la regione della costa, il territorio di Pompeiopoli e la Fazimonitide con Neapoli entravano a far parte della provincia di Ponto e Bitinia. I due ultimi distretti ritornarono alla Paflagonia quando, morto Attalo, Antonio nel 40 diede la Paflagonia, unita alla Galazia, a Castore II. Gli successe, nel 36, ma solo nella Paflagonia, il figlio Deiotaro Filadelfo, che alla vigilia d'Azio tradì Antonio e fu perciò mantenuto sul trono da Augusto. Alla morte di Deiotaro, nel 6 o 5 a. C., la Paflagonia interna, comprendente Gangra, Pompeiopoli e Neapoli (dal sec. I d. C. Neoclaudiopoli), fu annessa alla Galazia da Augusto, che tuttavia le lasciò autonomia amministrativa e religiosa; nel 3 a. C. i Paflagoni gli giurarono fedeltà. La regione della costa continuò ad appartenere alla provincia di Ponto e Bitinia. Un tale stato di cose subì forse qualche mutamento solo nel sec. III d. C., finché nell'ordinamento di Diocleziano la Paflagonia formò provincia a sé, arrivando fino al mare, privata però di alcune parti.
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