Pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione
Il d.l. 8.4.2013, n. 35, convertito con modificazioni, dall'art. 1, l. 6.6.2013, n. 64, affronta l’ormai cronico ritardo nei pagamenti dei debiti commerciali da parte delle pubbliche amministrazioni nei suoi diversi aspetti. Si sbloccano i vincoli finanziari, “allentando” il patto di stabilità, che limita la gestione di Regioni ed enti locali anche quando dispongono di liquidità di cassa. Si soccorrono gli enti in crisi di liquidità con un apposito fondo di finanziamento per il pagamento dei debiti arretrati e si introducono misure organizzative e semplificazioni procedurali del ciclo passivo, imponendo la ricognizione dei debiti statali fuori bilancio e rendendo vincolante la certificazione dei debiti tramite piattaforma elettronica.
L'ammontare dei debiti arretrati delle pubbliche amministrazioni verso le imprese è dato incerto. Secondo quanto riferito nel corso dell’audizione della Banca d'Italia presso le Commissioni speciali riunite della Camera e del Senato il 28.3.2013 ciò è imputabile al fatto che gli attuali sistemi contabili delle pubbliche amministrazioni non permettono una rilevazione sistematica ed esaustiva dei debiti commerciali; la stima della Banca d’Italia è di circa 90 miliardi a fine 2011, di cui la metà in capo a Regioni e ASL. Molteplici sono le cause dei cronici ritardi nei pagamenti: dai vincoli finanziari imposti dal patto di stabilità, alla crisi di liquidità, in esito ai plurimi tagli lineari, alle lentezze nei trasferimenti di risorse, alla strutturale difficoltà delle pubbliche amministrazioni nella gestione del ciclo passivo.
1.1 La creazione di spazi finanziari: l’allentamento del patto di stabilità
L’art. 1 del d.l. 8.4.2013, n. 35, convertito con modificazioni, dall'art. 1, l. 6.6.2013, n. 64, prevede l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per gli enti locali e per le Regioni, al fine di liberare spazi finanziari che consentano agli enti che dispongono di liquidità di cassa ma non possono provvedere ai pagamenti a causa dei vincoli di finanza pubblica di spendere le risorse esistenti.
Il patto di stabilità interno per gli enti locali è disciplinato dall’art. 31 della l. 12.11.2011, n. 183, come da ultimo modificato dall’art. 1, co. 428-447, l. 24.12.2012, n. 228 e dall'art. 9, co. 6, d.l. 31.8.2013, n. 102, convertito con modificazioni in l. 28.10.2013, n. 124. L’impostazione del patto di stabilità si incentra, per gli enti locali, sul controllo dei saldi finanziari. L’obiettivo consiste nel raggiungimento di uno specifico livello di saldo finanziario, calcolato applicando alla spesa corrente media sostenuta da ciascun ente in precedenza determinati coefficienti. Il saldo finanziario è pari alla differenza tra entrate finali e spese finali, comprese le spese in conto capitale - con l’eccezione di alcune voci - espresso in termini di competenza mista. Si tratta di un criterio contabile che considera le entrate e le spese di parte corrente in termini di competenza e gli investimenti in termini di cassa. Il meccanismo ha indotto una compressione nel pagamento delle spese di investimento da parte degli enti locali.
Il patto di stabilità per le Regioni è invece incentrato sul tetto di spesa e prescinde dunque – in linea di principio e salvo specifiche eccezioni – dall’utilizzo della leva di entrata.
Il parziale svincolo dal patto di stabilità implica un aumento dell’entità del debito pubblico valutabile ai fini del rispetto dei parametri europei.
L’art. 1 del d.l. n. 35/2013 prevede l’allentamento del patto di stabilità per gli enti locali che hanno risorse finanziarie, per consentire loro il pagamento dei debiti in conto capitale certi, liquidi ed esigibili o per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento alla data del 31.12.2012, ovvero di quei debiti fuori bilancio che, alla medesima data, presentavano i requisiti per il riconoscimento di legittimità ai sensi dell’art. 194 TUEL o, infine, delle obbligazioni assunte in favore degli enti locali commissariati per infiltrazioni di tipo mafioso.
La norma prevede poi l’allentamento del patto di stabilità per Regioni e province autonome, consentendo a queste ultime di trasferire fondi agli enti locali senza che tali trasferimenti rilevino ai fini della verifica del patto di stabilità interno delle Regioni (art. 1, co. 7); con i trasferimenti devono essere pagati “preferibilmente” debiti nei confronti degli enti locali in conto capitale che abbiano le stesse caratteristiche di quelli suscettibili di pagamento da parte degli enti locali ai sensi del co. 1 dello stesso articolo, esclusi i debiti fuori bilancio e degli enti commissariati. Il duplice sblocco dovrebbe avere un effetto “volano” perché i pagamenti delle Regioni si traducono in ulteriore liquidità per gli enti locali.
Per sbloccare i pagamenti gli enti locali devono presentare richiesta al Ministero dell'economia e delle finanze (“MEF”) che provvede a ripartirli con apposito decreto, in ossequio al principio di leale collaborazione previa audizione della conferenza Stato-città e autonomie locali. Nelle more dell'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze (d.m. 14.5.2013, n. 41843), ciascun ente locale poteva effettuare pagamenti nel limite del 13% delle disponibilità liquide detenute presso la tesoreria al 3.3.2013 e, comunque, del 50% degli spazi finanziari che intendeva comunicare entro il 30.4.2013. Residua una criticità: ove l’ente che disponeva di liquidità abbia provveduto ai pagamenti nelle more dell’approvazione del decreto del MEF e, all’esito, si sia vista riconosciuta una capacità di spesa inferiore, sorge il dubbio sulla sorte di pagamenti che risultano aver violato i vincoli di finanza pubblica, pur essendo rivolti al saldo di debiti certi e scaduti.
Vengono inserite sanzioni e strumenti di controllo. Il collegio dei revisori deve segnalare alla Corte dei Conti gli amministratori che non provvedono tempestivamente a chiedere di fruire degli spazi finanziari liberati o che, dopo averli ottenuti, non ne sfruttano almeno il 90%. Trattasi di responsabilità sanzionatoria, non da danno erariale, le cui caratteristiche essenziali sono state delineate nella sentenza delle sezioni riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale del 27.12.2007, n. 12. Una responsabilità per omessa denuncia appare configurabile in capo ai revisori che non effettuano la prescritta segnalazione.
Ulteriori risorse vengono “liberate” aumentando la soglia dei pagamenti per investimenti co-finanziati dall’Unione Europea esentati dal patto di stabilità. L’esclusione è prevista dalla l. 183/2011, art. 32, co. 4, lett. n-bis) e vuole limitare il fenomeno del disimpegno automatico delle risorse comunitarie. I regolamenti che disciplinano i fondi strutturali comunitari, infatti, ne prevedono il disimpegno automatico se dopo 2 anni dall’assegnazione non sono stati spesi; ergo, i vincoli di finanza pubblica che bloccano la spesa possono comportare la perdita dei connessi finanziamenti comunitari.
L’art. 1 bis del d.l. n. 35/2013 incentiva, poi, con appositi stanziamenti, i patti di solidarietà territoriale o patti di stabilità verticale, favorendo la cessione di spazi finanziari dalle Regioni agli enti locali.
1.2 La creazione di un fondo statale di finanziamento
Per le amministrazioni che non dispongono di liquidità il d.l. n. 35/2013 istituisce un Fondo statale per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, con una dotazione di 10 miliardi di euro per il 2013 e di 16 miliardi per il 2014. Il Fondo è distinto in tre Sezioni, tra le quali possono essere effettuate variazioni compensative, dedicate rispettivamente ai debiti certi, liquidi ed esigibili di enti locali, Regioni e Province autonome ed enti del servizio sanitario nazionale.
L’utilizzo delle risorse del Fondo, per gli enti locali, comporta il trasferimento delle risorse ad un apposito conto corrente, acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, intestato al MEF, la cui gestione è demandata alla Cassa Depositi e Prestiti. I rapporti tra la Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e il MEF sono disciplinati da una convenzione stipulata il 23.12.2009, alla quale il d.l. n. 35/2013 prevede un addendum per regolamentare il nuovo fondo.
La richiesta di anticipazione di liquidità, da effettuarsi entro il 30.4.2013, opera, in deroga alle condizioni e ai limiti posti per il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali dal TUEL. La deroga è riferita agli artt. 42, 203 e 204 del d.lgs. 18.8.2000, n. 267. Pertanto resta escluso il controllo politico amministrativo del Consiglio, normalmente imposto sulla contrazione di mutui non espressamente previsti in atti fondamentali del medesimo; non costituisce presupposto per il prestito l’approvazione del rendiconto dell'esercizio del penultimo anno precedente quello in cui si delibera il ricorso all’indebitamento, né l’avvenuta deliberazione del bilancio annuale nel quale sono incluse le relative previsioni; non opera il livello massimo di indebitamento dell’ente locale dettato dall’art. 204 con riferimento all’incidenza degli interessi sulle entrate correnti degli enti locali.
Gli enti che si avvalgono di questi fondi sono tenuti a destinarli al saldo dei debiti in conto capitale certi liquidi ed esigibili, o per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente entro il 31.12.2012, all’atto di ciascuna erogazione e comunque entro i successivi 30 giorni, fornendone debita attestazione. Essi restituiscono il debito con un piano di ammortamento di massimo 30 anni, la cui prima rata decorre dall’anno successivo a quello di sottoscrizione del contratto. Il MEF applica un interesse pari al rendimento dei BTP quinquennali. In caso di mancata corresponsione della rata entro il 30 settembre di ciascun anno, l'Agenzia delle Entrate trattiene le somme non corrisposte, per i comuni, dall'imposta municipale propria e, per le province, dall'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Gli stessi enti devono aumentare il fondo di svalutazione crediti per i residui attivi con più di 5 anni e modificare il piano di riequilibrio finanziario eventualmente in corso, includendovi questo piano di ammortamento.
Le Regioni e Province autonome possono accedere alla “Sezione per assicurare la liquidità alle Regioni e alle Province autonome per pagamenti dei debiti diversi da quelli finanziari e sanitari” (art. 2, d.l. n. 35/2013) e alla “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale” (art. 3, d.l. n. 35/2013) del fondo del MEF che, per queste parti, è gestito direttamente dal Ministero. L'anticipazione può essere chiesta anche dalle Regioni che nell’anno precedente non hanno rispettato il patto di stabilità, nonché in deroga a quanto disposto dall'art. 10, co. 2, della l. 16.5.1970, n. 281. Tale comma, nell'ambito della disciplina della contrazione di mutui da parte delle Regioni, limita l'importo delle annualità di ammortamento per capitale e interessi dei mutui e delle altre forme di indebitamento rispetto all'ammontare complessivo delle entrate tributarie non vincolate della Regione.
La normativa sul punto sconta una evidente ambiguità che la pone a rischio di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 119 della Costituzione il quale vieta, anche per le Regioni, l’indebitamento finalizzato al saldo di spese correnti. Mentre, infatti, con riferimento ai debiti degli enti locali, la legge in commento costantemente precisa che deve trattarsi di spese in conto capitale, e quindi di investimento, la precisazione manca per le Regioni. Per di più, la massa dei debiti del servizio sanitario nazionale, che costituisce la parte più cospicua dell’arretrato, in gran parte costituisce spesa corrente. Tuttavia, poiché la legge, nel prevedere la deroga all’art. 10, l. n. 281/1970, non menziona il co. 1, che già fissava il divieto, poi costituzionalizzato, di contrarre debiti per spesa corrente da parte delle Regioni, potrebbe ritenersi, con una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, che essa ha inteso salvaguardarlo.
La durata, le caratteristiche, gli interessi del piano di ammortamento delle Regioni sono, in entrambi i casi, analoghi a quanto previsto per gli enti locali.
Le somme di cui disporrà la Regione sono definite in modo proporzionale o eventualmente in altro modo, secondo le indicazioni della Conferenza Stato-Regioni. Per quanto concerne i fondi per il pagamento dei debiti della sanità, il riparto prende come riferimento due grandezze finanziarie: ammortamenti non sterilizzati antecedenti all'applicazione del d.lgs. 23.6.2011, n. 118 e mancate erogazioni per competenza e/o per cassa delle somme dovute dalle Regioni ai rispettivi servizi sanitari regionali a titolo di finanziamento statale o regionale.
Per ottenere il finanziamento le Regioni devono dare copertura annuale, anche con misure legislative, al piano di ammortamento, presentare un piano dei pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili e stipulare con il MEF il contratto che fissa gli interessi e le modalità di restituzione o recupero in caso di inadempimento.
Ai sensi dell’art. 2, co. 4, del d.l. n. 35/2013 un apposito tavolo monitora gli adempimenti delle Regioni e, per i debiti della sanità, il monitoraggio è demandato al Tavolo di verifica degli adempimenti di cui all'art. 12 dell'Intesa fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 23.3.2005.
Per i debiti della sanità l’art. 3 del d.l. n. 35/2013 introduce anche una misura di carattere strutturale. Si prevede che, ai fini dell’ordinario accesso delle Regioni alle quote premiali del finanziamento del SSN, la Regione debba erogare, entro la fine dell’anno, almeno il 90% delle somme che incassa dallo Stato a titolo di finanziamento del SSN, nonché di quelle che essa stessa gli destina. La norma vuole contrastare il fenomeno per cui le Regioni non provvedono al trasferimento dei fondi destinati al SSN sicché gli enti che di quest’ultimo fanno parte, e che vivono di finanza derivata, risultano cronicamente insolventi.
Per le Regioni che abbiano sottoscritto i contratti per ottenere anticipazioni di somme per il pagamento dei debiti, l'art. 4 del d.l. n. 35/2013 condiziona la possibilità di sottoscrivere nuovi prestiti o mutui, oltre che all'osservanza del patto di stabilità, come previsto nella legislazione vigente, alla verifica che il bilancio regionale presenti una situazione “di equilibrio strutturale”. Non esiste una definizione univoca di equilibrio strutturale. L’art. 2, co. 1, lett. e) della l. 24.12.2012, n. 243, a tutt’altri fini, definisce “saldo strutturale” il saldo del conto consolidato corretto per gli effetti del ciclo economico, al netto delle misure una tantum e temporanee. Un concetto analogo si ricava poi dalla definizione di indebitamento netto strutturale rilevante ai fini dei vincoli di finanza pubblica di derivazione europea, riferita all’indebitamento netto corretto per gli effetti del ciclo economico e per gli effetti delle misure una tantum e temporanee. Le definizioni, per altro maturate in contesti non assimilabili, restano le uniche invocabili sul punto.
Viene, infine, ampliato il limite massimo di ricorso alle anticipazioni di tesoreria per gli enti locali, salve garanzie analoghe a quelle poste a carico di quelli che attingono al nuovo fondo.
1.3 La razionalizzazione dei debiti fuori bilancio dello Stato
L’art 5 del d.l. n. 35/2013 affronta il problema del pagamento dei debiti dei Ministeri.
Deve essere fatto un elenco dei debiti a fronte dei quali non sussistono al 31.12.2012 residui passivi, anche perenti. La perenzione dei residui passivi è un meccanismo puramente contabile: decorsi due anni dalla prima iscrizione il debito, anche non saldato, viene cancellato dalla contabilità, salvo diversa contabilizzazione tramite Fondo speciale per la riassegnazione dei residui perenti delle spese. Il fenomeno pacificamente non incide sull’esigibilità del credito. L’espresso riferimento ai debiti di cui manchi del tutto l’iscrizione contabile consente di ritenere che la disposizione presta specifica attenzione ai cosiddetti “debiti fuori bilancio”, con l’obiettivo di farli emergere. Ciò non comporta una corsia ingiustificatamente privilegiata se si tiene conto dei diversi interventi che, negli anni immediatamente precedenti (si veda infra, § 2), hanno interessato espressamente lo smaltimento dei debiti regolarmente contabilizzati.
Il co. 1 dispone che gli elenchi dei debiti scaduti, redatti in ordine cronologico e con l’indicazione dei relativi importi, sono trasmessi entro il 30.4.2013 al MEF. In apposito allegato i predetti debiti sono aggregati per il pertinente capitolo/articolo di spesa, con separata evidenza di quelli relativi a fitti passivi, posposti nella priorità di pagamento.
Gli stanziamenti previsti dal d.l. n. 35/2013 sono vincolati all’estinzione di questa tipologia di debiti e, ove lo stanziamento non risultasse sufficiente, i Ministeri competenti definiscono “un piano di rientro volto al conseguimento dei necessari risparmi attraverso misure di razionalizzazione e riorganizzazione della spesa, anche al fine di prevenire il formarsi di nuove situazioni debitorie”, che deve essere comunicato alle competenti Commissioni Parlamentari e alla Corte dei Conti. Il piano di razionalizzazione è seguito dai Nuclei di analisi e valutazione della spesa e, in caso di mancata adozione entro i termini previsti, il Ministro competente invia apposita relazione sulle cause dell’inadempienza alle competenti Commissioni Parlamentari e alla Corte dei Conti.
La problematica del ritardo dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali è stata oggetto di diversi interventi legislativi, anche in attuazione delle Direttive 2000/35/UE del Parlamento e 2011/7/UE, quest’ultima recepita in anticipo nell'ordinamento italiano, con il d.lgs. 9.11.2012, n. 192, che ha previsto, tra l'altro, per i contratti conclusi a decorrere dall’1.1.2013, un termine massimo per i pagamenti di 30 giorni, eccezionalmente prorogabile a 60, nonché l’incremento degli interessi moratori che decorrono automaticamente alla scadenza di detto termine. La recente normativa si segnala per aver definitivamente chiarito che la disciplina sui ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali dettata dal d.lgs. 9.10.2002, n. 231 è applicabile a tutte le amministrazioni aggiudicatrici individuate dal d.lgs. 12.4.2006, n. 163.
Molte delle misure che ricorrono nel d.l. in commento trovano precedenti in disposizioni analoghe.
L’art. 35 del d.l. 24.1.2012, n. 1 ha disposto specifici stanziamenti per l’abbattimento dei debiti arretrati risultanti dai residui passivi iscritti nei bilanci delle amministrazioni, attraverso un incremento dei fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti e ha configurato la possibile estinzione dei debiti commerciali maturati alla data del 31.12.2011, e ceduti, mediante assegnazione di titoli di Stato, su richiesta dei creditori cessionari.
Per accelerare lo smaltimento dei debiti degli enti territoriali, l’art. 31 del d.l. 31.5.2012, n. 78 ha poi introdotto la possibilità della compensazione dei crediti, non prescritti, certi, liquidi, esigibili e certificati, maturati nei confronti delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo. L’art. 13 bis del d.l. 7.5.2012, n. 52 ha esteso il meccanismo anche ai crediti vantati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali. L’art. 9 del d.l. n. 35/2013 amplia ulteriormente i margini della compensazione fiscale per i crediti commerciali debitamente certificati dalle competenti amministrazioni.
L’art. 9, del d.l. 1.7.2009, n. 78 (convertito in l. 3.8.2009, n. 102) aveva previsto l’obbligo per le PP.AA., rientranti nel conto economico consolidato, di adottare, entro il 31.12.2009, le opportune misure organizzative atte a garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute, con corredo di responsabilità disciplinare e amministrativa dei funzionari coinvolti.
Procedendo ulteriormente a ritroso, l’art. 9, co. 3 bis, del d.l. 29.11.2008, n. 185 aveva disciplinato la certificazione, da parte degli enti territoriali, dei crediti vantati dalle imprese per somministrazioni, forniture e appalti, anche ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi crediti nei confronti di banche o intermediari finanziari. La procedura, più volte modificata, prevede oggi che, su istanza del creditore, le amministrazioni certificano, nel rispetto delle disposizioni normative in materia di patto di stabilità interno, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile. Il termine per la certificazione, originariamente fissato in 60 giorni dalla data di ricezione dell'istanza, è stato ridotto a 30 giorni dall’art. 13 bis del d.l. 7.5.2012, n. 52. L’art. 13 della l. n. 183/2011 aveva anche previsto che, scaduto il termine, su nuova istanza del creditore, provvedesse alla certificazione la Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio, la quale, ove necessario, nominava un commissario ad acta con oneri a carico dell’ente territoriale. La nomina del commissario è poi divenuta obbligatoria. Il meccanismo della certificazione dei crediti per somministrazioni, forniture e appalti è stato esteso anche agli enti del Servizio sanitario nazionale dal d.l. 52/2012, e alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, dall’art. 12 del d.l. 2.3.2012, n. 16. Quest’ultimo ha, infine, stabilito che la certificazione possa essere finalizzata a consentire al creditore la cessione del credito a favore di banche o intermediari finanziari, oltre che pro soluto anche pro solvendo, il che implica per il cedente l’obbligo di rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore. Infine il sistema è stato corredato di un meccanismo di certificazione tramite piattaforma elettronica, originariamente alternativo a quello cartaceo.
Le misure adottate sino al 2012 non hanno dato i risultati sperati: il pagamento dei debiti ceduti con titoli di Stato non è stato accolto con interesse dai creditori (il d.l. n. 35/2013 prevede una possibile estinzione coatta dei debiti ceduti con titoli di Stato a partire dal 2014); la certificazione dei debiti ha scontato troppe esenzioni (Regioni con piani di rientro dai deficit sanitari, enti locali commissariati); la piattaforma elettronica ha avuto un avvio difficile, presupponendo una adesione volontaria da parte delle amministrazioni.
2.1 Disposizioni generali del d.l. n. 35/2013
Il d.l. n. 35/2013 introduce alcune disposizioni generali per ulteriormente semplificare i pagamenti della PA, cercando di risolvere le problematiche organizzative incontrate con i precedenti interventi. L’art. 7 mira ad assicurare l'integrale ricognizione e la certificazione delle somme dovute dalle amministrazioni, onerando queste ultime di produrre un elenco completo dei debiti da onorare (oltre che per somministrazioni, forniture e appalti anche per prestazioni professionali) e di comunicare ai creditori, entro 20 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, il piano dei pagamenti, con la relativa data. Viene resa vincolante la registrazione sulla piattaforma elettronica costituita presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato per il rilascio della certificazione dei debiti. L’inottemperanza a tali prescrizioni rileva ai fini della valutazione della performance individuale dei dirigenti e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare, nonché, per la mancata registrazione sulla piattaforma elettronica, l’applicazione di una sanzione pecuniaria a carico dei dirigenti responsabili. Chi non vede il proprio credito iscritto sulla piattaforma elettronica può fare istanza di inserimento/correzione, aprendo un procedimento che può portare alla nomina di un commissario ad acta.
L’art. 6 del d.l. n. 35/2013 detta priorità nel saldo degli arretrati, autoqualificandosi come volto ad “assicurare l'unità giuridica ed economica dell'ordinamento”, con l’intento di evitare interventi regionali che sovvertano i criteri dettati.
La priorità è assegnata ai crediti non oggetto di cessione pro soluto (in cui il cedente resta esonerato dal rispondere della solvibilità del debitore), in conformità all’indirizzo dato dalle Camere nella Risoluzione approvata dall’Assemblea della Camera dei deputati in data 22.4.2013. L’intento della manovra è fornire liquidità alle imprese, non alle banche.
Tra più crediti non ceduti si privilegiano i più antichi. Non è appropriato confrontare la norma con quanto previsto dall’art. 1193 c.c., che concerne l’ipotesi di più debiti verso lo stesso creditore. Nel caso di specie i creditori sono multipli e la ratio è quella di garantirne la par condicio per altro coerentemente, data la natura soggettiva del debitore, con l’imparzialità dell’azione amministrativa. L’obbligo di seguire nei pagamenti l’ordine cronologico, rispondente ad una prassi amministrativa, viene qui codificato e rievoca altre disposizioni; l’art. 11 del d.l. 18.1.1993, n. 8 subordina l’impignorabilità delle somme detenute dalle Regioni per il pagamento di determinate spese essenziali alla condizione, tra l’altro, che i titoli di pagamento emessi su dette somme seguano l’ordine cronologico. Il principio ha avuto avallo nella sentenza C. cost. 18.6.2003, n. 211, secondo cui integra una ingiustificata disparità di trattamento tra creditori una disposizione di impignorabilità analoga riferita alle aziende sanitarie che tuttavia non impone il vincolo dell’ordine cronologico. La regola posta si raccorda opportunamente con la contestuale previsione di impignorabilità dei fonti, su cui infra, § 3.
I co. 1-bis e 1-ter pongono vincoli di destinazione alle somme incassate con i pagamenti: ove creditori siano altre pubbliche amministrazioni dovranno devolvere l’incasso preferenzialmente al saldo dei propri debiti commerciali; il co. 1-bis promuove poi convenzioni con il sistema bancario e imprenditoriale affinché i saldi di debiti ceduti, frutto del complessivo intervento sui debiti arretrati, siano devoluti a sostegno dell’economia reale.
Per accelerare i pagamenti si può omettere di trasmettere alla Corte dei Conti i decreti di riparto delle anticipazioni di liquidità per il controllo preventivo ex l. 14.1.1994, n. 20 e il controllo preventivo di regolarità contabile deve concludersi entro la data di scadenza del pagamento.
La complessiva disciplina per il pagamento dei debiti della PA introdotta dal d.l. in commento viene anche presidiata con la possibilità, in caso di inerzia di Regioni ed enti locali interessati, della nomina di un commissario ad acta governativo.
La possibile devoluzione di fondi oggetto dei finanziamenti contemplati dal decreto al pagamento di debiti di spesa corrente può ingenerare dubbi di legittimità costituzionale rispetto all’art. 119 della Costituzione; si rinvia sul punto al § 1.2.
Anche le disposizioni dettate dall’art. 6, co. 5, del d.l. n. 35/2013 presentano criticità. La norma vieta, a tutela del vincolo di destinazione delle risorse stanziate, atti di sequestro o di pignoramento su tali somme. La disposizione si aggiunge alla pletora di norme che sanciscono l’impignorabilità di fondi pubblici per la loro specifica destinazione (ex pluribus ad esempio, art. 1, d.l. 25.5.1994, n. 313 sulle contabilità speciali delle prefetture, art. 1 co. 294, 294 bis e 294 ter, introdotto dal presente decreto, della l. 23.12.2005, n. 266); come tale non sembra porre problemi perché attiene ai fondi e non alla complessiva posizione del debitore.
L’articolo stabilisce che sono sospese sino al 30.6.2014 le azioni esecutive già intraprese sulla scorta degli accordi transattivi stipulati ai sensi dell’art. 11, d.l. n. 78/2010 con le Regioni sottoposte a piani di rientro di disavanzo sanitario. Benché la disposizione preveda una sospensione, e dunque non implichi né l’estinzione di giudizi esecutivi né la paralisi definitiva dei titoli (ipotesi già censurata dalla Corte costituzionale per violazione del diritto di difesa, C. cost. 7.11.2007, n. 364 e 12.7.2013, n. 186), essa resta discutibile. Secondo C. cost. 7.10.2003, n. 310 la paralisi di efficacia del titolo si giustifica solo ove transitoria ed eccezionale e, nel caso analizzato dalla Corte, anche perché volta a tutelare l’interesse all’abitazione di non abbienti. La norma in analisi, oltre ad inserirsi nell’ormai annoso contenzioso relativo al saldo dei debiti delle Regioni in disavanzo sanitario, invoca a proprio labile fondamento la libera iniziativa economica (art. 41 Cost.), cioè quello stesso bene giuridico leso in capo ai creditori la cui azione viene paralizzata.
Il decreto contiene infine alcune specifiche disposizioni concernenti l’esecuzione forzata dei crediti liquidati in applicazione della cosiddetta “legge Pinto”, sancendo l’impignorabilità presso le singole tesorerie. Eventuali atti di pignoramento possono essere notificati solo presso il Ministero debitore. La norma rievoca analoga disposizione del d.l. n. 313/1994, volta a favorire l’accentramento delle procedure esecutive, soluzione che ha superato il vaglio di costituzionalità nella pronuncia C. cost. 9.10.1998, n. 350.