PAKISTAN (App. II, 11, p. 485)
Ordinamento. - Fino al febbraio del 1956 l'ordinamento costituzionale del P. si fondava su due documenti: il Government of India Act del 1935 con gli emendamenti e gli adattamenti stabiliti dal Pakistan Provisional Constitution Order del 1947; e l'India Indipendence Act del 1947 che uguagliava i poteri dei due nuovi dominions dell'India e del P. con quelli dei dominions già esistenti. Ma conclusisi i lavori dell'Assemblea costituente, insediata all'indomani dell'indipendenza, il 29 febbraio del 1956 veniva promulgata una costituzione che faceva del P. una "Repubblica Federale col nome di Repubblica Islamica del Pakistan" nell'ambito del Commonwealth britannico, riconoscendo nella regina del Regno Unito "il simbolo della libera associazione degli stati membri e, in quanto tale, il capo della Comunità". La definizione di "repubblica islamica" e la clausola che nessun cittadino non musulmano sarebbe stato eleggibile a presidente, dicono il carattere spiccatamente confessionale della nuova carta, che ebbe del resto vita breve. Difatti, nell'ottobre del 1958, il presidente della repubblica in carica abrogava la costituzione proclamando la legge marziale e il 27 ottobre dell'anno successivo il nuovo capo dello stato, Mohammed Ayyūb Khān, promulgava un decreto che istituiva nel P. il sistema della "democrazia fondamentale" (basic democracy). Tale decreto stabilisce l'istituzione di un sistema piramidale di consigli, in parte elettivi, in parte di nomina governativa.
Il vertice della piramide è costituito da due consigli consultivi provinciali per lo sviluppo (Provincial development advisory councils), uno per il P. occidentale e uno per il P. orientale. Al disotto dei due consigli provinciali vi sono i consigli divisionali (Divisional councils), uno per ciascuna delle divisioni amministrative del paese. Seguono i consigli distrettuali (District councils), i consigli dei thana o dei taḥṣīl (thana, o taḥṣīl, sono suddivisioni di distretto: la prima denominazione è in uso nel P. occidentale, l'altra nel P. orientale) e, da ultimi, i consigli o comitati locali (Local councils o Local committees), distinti in comitati d'unione (Union committees) o comitati cittadini (Town committees) per le zone urbane, e in consigli d'unione (Union councils) per le zone rurali. Secondo quanto dichiarato il 15 gennaio 1960 dallo stesso presidente Moḥammed Ayyūb Khān, i membri dei comitati o consigli locali urbani (Town, o Union, committees) saranno esclusivamente elettivi, mentre quelli dei consigli locali rurali (Union councils) saranno per un terzo di nomina governativa. I consigli locali resteranno in carica cinque anni. Elettori sono tutti i cittadini che abbiano compiuto il ventunesimo anno di età (salvo le normali esclusioni per i criminali, gli infermi di mente, ecc. previste da un apposito documento: l'Elective bodies disqualification order); eleggibili, tutti i cittadini elettori che abbiano almeno venticinque anni.
I consigli dei thana, o dei taḥṣīl, hanno il compito di coordinare le attività dei consigli locali compresi nei rispettivi thana o taḥṣīl. Essi sono composti per un terzo di membri designati dalle autorità governative e per due terzi di membri "rappresentativi". Sono d'ufficio membri rappresentativi i presidenti dei comitati o consigli locali.
I presidenti dei consigli dei thana, o taḥṣīl, i presidenti delle amministrazioni municipali comprese in un determinato distretto e tutti i rappresentanti della pubblica amministrazione espressamente specificati dal governo, fanno parte, d'ufficio, dei consigli distrettuali, il cui compito è il coordinamento delle attività dei rispettivi organi municipali e consigli locali. I membri di nomina govemativa sono, in questi consigli, di numero non inferiore a quello dei membri d'ufficio e per metà scelti tra i presidenti dei consigli locali compresi nel distretto in questione. Presidenti dei consigli distrettuali sono, d'ufficio, i capi stessi dell'amministrazione distrettuale chiamati collettori (collectors) con termine risalente all'amministrazione britannica.
I consigli divisionali, il cui compito è il coordinamento di tutti gli organi della zona di loro competenza e l'elaborazione di piani di sviluppo da sottoporre all'esame dei consigli provinciali, sono composti da membri ufficiali - quali i collettori e determinati funzionarî municipali e ministeriali designati dal govenno - e da un numero non inferiore di membri di nomina governativa scelti, almeno per metà, tra i presidenti dei consigli locali. Presidenti dei consigli divisionali sono, d'ufficio, i funzionarî preposti alle divisioni chiamati, con termine risalente anch'esso all'ordinamento amministrativo britannico, commissarî (commissiones). Infine, i consigli consultivi provinciali di sviluppo sono composti da membri d'ufficio e da membri di nomina governativa in una proporzione direttamente fissata dal presidente del Pakistan. Compito dei consigli provinciali è di fornire al governo pareri sul coordinamento delle attività degli organi provinciali, sulla concessione di sovvenzioni a tali organi, sulla costituzione di istituti per l'addestramento dei membri e dei dipendenti degli stessi, ecc.
Il decreto del 27 ottobre 1959 detta anche norme sull'amministrazione dei fondi finanziarî locali e definisce i rapporti tra consigli del medesimo grado.
Il 17 febbraio del 1960 fu intanto ufficialmente insediata una commissione di dieci membri (cinque per il P. occidentale e cinque per il P. orientale), presieduta da un magistrato della Suprema Corte, con il compito di redigere, nel più breve tempo possibile, una nuova costituzione grazie alla quale si possa porre termine al regime di legge marziale tuttora vigente. Lingua ufficiale è per il momento l'inglese, ma pare sia allo studio una lingua che, componendosi di elementi lessicali dell'urdū e del bengalico (ma non è chiaro come verranno armonizzate le differenze morfologiche esistenti tra le due lingue), dovrebbe diventare per tutto il paese la nuova lingua ufficiale. Il progetto, ventilato intorno al 1951, di fare dell'arabo la lingua ufficiale del P., sembra per il momento abbandonato.
Nell'ottobre del 1959 gli uffici governativi e, successivamente, le rappresentanze diplomatiche straniere, si trasferirono da Karachi a Rawalpindi, nei cui pressi è in corso di costruzione la nuova capitale che si chiamerà Islāmābād.
Popolazione. - Il censimento del 1951 valutava la popolazione del P. (esclusi i territorî dell'Āzād Kashmir, di Gilgit, del Baltistān, di Janagadh e di Manavadar) a 75.842.135 abitanti, con una densità di 80 abitanti per km2. La percentuale dei maschi (poco più di 40 milioni) appariva alquanto superiore a quella delle donne. Riguardo alla religione, l'85% della popolazione era di musulmani, con massima del 98,5% nel Belūcistān e minima del 76% nel Bengala orientale; gli indù assommavano a 9.239.000 circa nel P. orientale, a 220.000 circa nel P. occidentale; i cristiani erano 541.000, soprattutto concentrati nel Panjab (401.000). Gli stranieri presenti alla data del censimento erano 206.669, di cui 127.831 Indiani.
Secondo la divisione amministrativa allora vigente, la popolazione risultava così distribuita:
L'ordinamento amministrativo del 1955 ripartisce il P. occidentale in undici "divisioni" (divisions) e il P. orientale in tre, secondo il seguente specchietto:
Le città che nel 1981 censivano più di 100.000 abitanti erano, oltre quelle già indicate nella tabella, Lyallpur (Panjab) 179.127; Sialkot (Panjab) 167.506; Gujranwala (Panjab) 120.852. In base a dati provvisorî dell'ufficio del censimento per il 1961, la popolazione: del P. è valutata a 93.812.000 abitanti.
Economia. - All'indomani dell'indipendenza, il P. dovette provvedere a rendere le sue strutture economiche per quanto possibile autonome da quelle dell'Unione Indiana, con le quali avevano costituito una organica unità; e poi a integrare tra loro le economie delle sue due province, l'una dall'altra separate da centinaia di chilometri di territorio straniero. Pur disponendo di considerevoli ricchezze naturali e di una produzione agricola sufficiente al fabbisogno nazionale, e nonostante gli ingenti soccorsi dall'estero (S. U. A., Banca Mondiale, N. U.), i primi anni di vita del nuovo stato furono di notevole disagio economico, sia per il processo di assestamento di cui sopra si è detto, sia per l'aflusso di profughi dall'India, l'imperfetta amministrazione, l'instabilità politica. Si può dire che da questa crisi il P. sia veramente cominciato a uscire solo verso la fine del decennio in considerazione, ciò grazie alla riforma agraria, all'accordo con l'India per le acque del bacino dell'Indo, all'inaugurazione di un piano quinquennale e alla diminuita corruzione amministrativa.
Il regolamento per la riforma agraria nel P. occidentale (West Pakistan land reform regulation) fu promulgato il 7 febbraio del 1959 a norma dell'articolo 64 del Martial law regulation. Esso si applica a tutto il P. occidentale, inclusa l'area di Karachi, e prevede in primo luogo l'istituzione di una Commissione agraria per il P. occidentale (West Pakistan land commission).
Il regolamento considera quindi nulli i trasferimenti di proprietà fatti dopo l'8 ottobre 1958 (data del colpo di stato militare) da chiunque fino a quella data possedesse più di 200 ha di terra irrigua o un'area equivalente a 36.000 "unità indici di prodotti" (il Produce index unit è la media comparativa di produzione di una determinata zona). Nessuno può possedere più di 200 ha di superficie irrigua o di 100 ha di superficie non irrigua, ma può possederne oltre questi limiti qualora non raggiunga le 36.000 unità indici di prodotti, che sono il massimo della proprietà concessa. Sono esenti da tali limitazioni gli istituti d'istruzione e le università, cui è concesso di possedere quelle aree in più necessarie alla ricerca scientifica, nonché quelle istituzioni benefiche o religiose cui il governo ritenga di poter concedere quantità maggiori di terra. Se il pubblico interesse lo richieda, il governo può altresì autorizzare i proprietarî di allevamenti di cavalli, o bestiame, a possedere una maggiore estensione di terra. In aggiunta agli ettari concessigli, ciascun proprietario terriero può possedere una superficie, non superiore ai 150 acri, coltivata a orto. I jagir (dal persiano ǧaġīr), ossia i terreni, o il relativo reddito, assegnati dallo stato in compenso di servigi prestati, sono aboliti e ritornano allo stato. Le terre espropriate sono destinate a costituire piccole unità di proprietà contadina che gli assegnatarî, coltivatori diretti, dovranno riscattare con pagamenti dilazionati in 25 anni. Gli espropri, per i quali il Regolamento fissa i compensi, colpiscono circa 6.000 proprietà.
L'accordo indo-pakistano per la spartizione delle acque del bacino dell'Indo fu raggiunto a Karachi il 19 settembre del 1960 dopo alcuni anni di laboriose trattative.
Secondo proposte formulate (1954) dalla Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, esso assegna al P. le acque dell'Indo e degli affluenti Jhelum e Chenab, concedendone all'India solo un uso parziale, limitato al tratto di questi fiumi che scorre nel suo territorio. All'India l'accordo assegna le acque della Ravi, del Bias, del Satlej, ma essa non potrà interamente goderne prima dello scadere di un periodo di transizione di dieci anni (o al massimo di tredici) durante il quale il P. provvederà a rimpiazzare, con opportune opere, la perdita di quelle acque. In altre parole l'accordo concede al P. l'80% delle acque del bacino e all'India il restante 20%. Alle spese per i lavori che dovranno farsi in territorio pakistano, l'India contribuirà con 833 milioni di rupie, pari a 62,5 milioni di sterline; il contributo degli S. U. A., della Gran Bretagna, del Canada, della Nuova Zelanda, della Germania Occidentale e della Banca Internazionale ammonta complessivamente a 250 milioni di sterline.
Per la realizzazione del piano quinquennale con scadenza il 31 ottobre 1965, è stata prevista una spesa di 19 miliardi di rupie. Il 31 dicembre del 1960 il presidente del Pakistan, Mohammed Ayyūb Khām presentando il piano alla nazione, ne indicava i seguenti, principali obiettivi: aumento del reddito nazionale nella misura del 20% di quello individuale nella misura del 10%; aumento della produzione dei cereali in misura superiore al 20%, grazie alla riforma agraria e al potenziamento dell'irrigazione; aumento del 20% degli introiti di valuta estera per migliorare la bilancia dei pagamenti; potenziamento dell'industria leggera e aumento del 50% di quella pesante, accelerazione dello sviluppo economico delle zone più depresse, in particolare dei territorî di frontiera del P. occidentale; estensione a tutto il paese dell'organizzazione assistenziale (Village Aid Organization, dove Aid sta per agricultural, industrial development); riorganizzazione e potenziamento del sistema d'istruzione pubblica; miglioramento dell'assistenza medica e lotta contro la malaria, la tubercolosi, il colera, il vaiolo; definitiva sistemazione dei profughi dall'India; miglioramento delle condizioni dei lavoratori e introduzione di misure di sicurezza sociale; controllo delle nascite.
Per l'annata 1957-58 si hanno i seguenti dati relativi alla produzione agricola (in tonnellate inglesi): riso (lavorato), 8.461.409; grano, 3.659.000; mais, 441.858; foraggio, 711.000; gur, 12.258.000; ravizzoni e senape, 326.000; inoltre: cotone, 1.698.000 balle (nel 1948-49 circa 989.000 balle; 1 balla = 400 libbre); iuta, 5.700.715 balle (nel 1948-49 circa 5.479.095 balle); tè, 54 milioni di libbre (nel 1948-49 circa 41,9 milioni di libbre).
L'area forestale è di 25.540 km2, di cui 11.520 nel P. orientale. Quanto alla produzione mineraria, si hanno i seguenti dati (in tonnellate inglesi) relativi al 1957: cromite, 4.000; carbone, 516.000; gesso, 62.000; calcare, 1.000.000; petrolio, 300.000. Nell'agosto del 1959 la Pakistan Industrial Development Corporation annunziò di aver elaborato un piano per la completa riorganizzazione delle miniere di carbone nel P. occidentale. Una raffineria della capacità annua di 2 milioni di t inglesi è in corso di costruzione presso Karachi.
Commercio estero. - Tra le importazioni il primo posto è tenuto dai macchinarî (per 318.000.000 di rupie nel 1957), dal ferro e dall'acciaio (per 224.000.000 di rupie nel 1957), dai veicoli (per 14.000.000 di rupie nel 1957); seguono gli olî minerali, i manufatti e i filati di cotone, le attrezzature elettriche, frutte e verdure. Il primo posto tra le esportazioni è tenuto dalla iuta grezza (per 782 milioni di rupie nel 1957), dal cotone grezzo (per 340 milioni di rupie nel 1957) e dalla lana grezza (per 103 milioni di rupie nel 1957); seguono il tè, i pellami, il pesce. Gli scambî avvengono soprattutto con la Gran Bretagna e i paesi del Commonwealth.
Finanze. - I tratti più salienti delle finanze pakistane in quest'ultimo decennio possono essere individuati nel peggioramento delle ragioni di scambio e nell'espansione monetaria dovuta principalmente al continuo rîpetersi di disavanzi nel bilancio statale. In presenza di un esaurimento delle riserve valutarie e di un acceleramento del processo inflazionistico, il governo ha assunto come direttiva generale l'eliminazione dell'inflazione in atto e la riduzione del disavanzo statale; si è provveduto altresì ad annullale il ricorso del Tesoro alla banca centrale. E ciò grazie al più cospicuo apporto di aiuti e crediti dell'estero da cui, in definitiva, dipende ogni possibilità finanziaria del paese. Nel contempo è stato rafforzato il sistema di restrizioni all'importazione già operante ed inteso a limitare i pagamenti entro i margini delle risorse valutarie disponibili.
D'altra parte, un nuovo sistema di incentivi all'esportazione è stato introdotto nel gennaio del 1959: esso prevede l'assegnazione automatica di una parte della valuta estera a favore degli esportatori stessi (20% per le esportazioni di iuta e di cotone e 40% per altri prodotti).
In occasione della svalutazione generale del settembre 1949 il rapporto di cambio della rupia non subì alcun mutamento, ma nell'agosto del 1955 esso fu allineato con le altre valute al livello esistente prima del 1949 (in particolare con la sterlina inglese e la rupia indiana). L'attuale parità con il dollaro S. U. A. è di 4,762 rupie.
Il primo gennaio 1961 è entrato ufficialmente nell'uso il sistema metrico decimale.
Trasporti e comunicazioni. - Fino al marzo del 1958 la rete stradale era di 112.000 km. Nel P. occidentale i servizî ferroviarî sono gestiti dalla North-Western Railway, che dispone di 8446 km di strade ferrate, di cui 7307 a scartamento normale; nel P. orientale essi sono gestiti dall'Eastern Bengal Railway, che dispone di 2724 km di strade ferrate, di cui 870 a scartamento normale. I servizî marittimi fanno capo ai porti di Karachi, Chittagong e Chalna. Vi sono due compagnie aeree: la Pakistan International Airlines (dal 1953) e la Pakistan Aviation, Ltd. Al 31 dicembre del 1958 erano in funzione 63.905 telefoni statali e 10.165 uffici postali e telegrafici.
Ordinamento giudiziario. - La giurisdizione del Comitato giudiziario del Consiglio privato britannico cessò il 30 aprile del 1950. Vi sono due Alte Corti, una nel P. occidentale (Lahore) e una in quello orientale (Dacca) e una Suprema Corte.
Storia. - Morendo l'11 settembre 1948 a Karachi, il qā'id-i a‛ẓam (capo supremo) Moḥammed ‛Alī Jinnāḥ (v. App. II, 11, pp. 6-7), principale artefice del P. e suo primo governatore generale, lasciava dietro di sé un paese che sembrava avere ben scarse possibilità di sopravvivergli. Diviso in due tronconi distanti centinaia di chilometri l'uno dall'altro e non aventi in comune neppure la lingua, con un'economia in dissesto e una compagine amministrativa mal funzionante, con milioni di profughi da alloggiare e sfamare, con la minaccia sempre incombente di un conflitto armato con l'India per il Kashmir (v., in questa App.), con la necessità di inserirsi pienamente nella vita moderna da una parte e dall'altra di giustificare la sua esistenza rimanendo il più possibile fedele all'ortodossia islamica nelle istituzioni politiche e civili, il giovane stato sarebbe per certo crollato se a sorreggerlo non ci fossero stati motivi ideali più profondi di quelli che lo avevano all'apparenza generato. Se il desiderio di creare un'India musulmana politicamente separata dall'India indù lo si interpreta come aspirazione a svincolarsi dalla tradizione civile indiana (sentita come fondamentalmente estranea) per riannodarsi a quella dell'Occidente mediterraneo, allora il P. e la sua vitalità, che ha del miracoloso, si spiegano. È significativo, a questo proposito, che le maggiori minacce all'unità statale siano venute dal P. orientale, ossia dal Bengala, che condizioni geografiche e storiche rendono meno sensibile al richiamo dell'Occidente (quello musulmano mediterraneo, s'intende) con cui l'altra parte del paese si sente, o vuole sentirsi, affratellata. Ed è significativo altresì che nonostante il dissolversi, come forza politica, della Lega Musulmana (che può ritenersi incominciato con l'assassinio del suo capo, e allora primo ministro, Liyāqat ‛Alī Khān, il 16 ottobre 1951) cioè del partito che aveva voluto e imposto la creazione del P. e che era lo strenuo campione dell'ortodossia islamica, il P. continui ad avere la sua ragione d'essere, perché questa sta nel sentirsi partecipi di una tradizione, non meramente religiosa, ma culturale e civile, ossia storica nel senso più ampio, irriconciliabile con quella indù (a dispetto di tutti i tentativi in contrario fatti nel passato) e che può rimanere valida anche se il paese necessariamente si avvia a diventare uno stato laico.
Il primo decennio di vita del P. è stato dunque di grande travaglio politico ed economico. Si è trattato di costruire dal nulla lo stato, di definirlo nel suo carattere, di dotarlo di una burocrazia efficiente combattendo energicamente favoritismo e corruzione, di mantenere e rafforzare l'unità politica e territoriale contro le tendenze scissionistiche. Queste erano particolarmente tenaci in due punti del territorio: la frontiera afghana e il Bengala orientale. Le turbolenti tribù della frontiera, che già tanto filo da torcere avevano dato alle autorità britanniche, sobillate da Khān ‛Abd ul-Ġaffār Khān, capo del movimento delle Camicie Rosse (Khudā-i Khidmatgār), e appoggiate da Kābul, miravano a costituirsi in uno stato indipendente (Pathanistān o Pakhtunistān) tra Pakistan e Afghānistān. L'azione del governo di Karachi fu energica e fino a oggi le velleità di secessione sono rimaste soltanto tali. Più delicata la situazione nel Bengala, per la stessa posizione eccentrica di questo territorio rispetto al resto del paese. Le prime elezioni generali tenute nella provincia nel marzo del 1954 segnarono la sconfitta della Lega Musulmana, che ottenne soltanto 10 dei 237 seggi riservati a musulmani nell'Assemblea provinciale, mentre il Fronte Unito dei partiti di opposizione ne ottenne 223. Dei 72 seggi riservati a non musulmani, 4 andarono ai comunisti e i rimanenti a varî raggruppamenti indù. Ottenuta la maggioranza, il Fronte Unico cercò di attuare il suo programma, che era quello di ottenere una completa autonomia del P. orientale dal governo centrale, cui si sarebbero volute lasciare, come sfere di competenza, solo la difesa, la politica estera e le finanze. La Lega Musulmana accusò il Fronte Unito di voler vendere il Bengala all'India; ciò era senza dubbio un'esagerazione, ma le mire del Fronte contenevano certamente un pericolo per la saldezza della compagine statale. Perciò, appellandosi a un articolo del Government of India Act del 1935, il 30 maggio del 1954 il governo centrale sciolse il governo della provincia e inviò sul luogo come governatore, in pratica con pieni poteri, il segretario della Difesa generale Iskandar Mīrzā. La censura preventiva venne imposta a tutti i giornali di Dacca, parecchie persone furono arrestate e il Partito Comunista fu messo fuori legge, provvedimento che fu in seguito esteso a tutto il paese. Arginato in tal modo il pericolo di una secessione nel Bengala, si sentì la necessità di dare a tutto il paese un nuovo assetto amministrativo che giovasse a rinsaldarne l'unità meglio di quanto non facesse la vecchia suddivisione amministrativa britannica che aveva il grave difetto di tener vivi pericolosi regionalismi. Tale riordinamento amministrativo, annunciato sullo scorcio del 1954, fu attuato l'anno successivo. Nell'autunno del 1954, intanto, il P. aveva attraversato una grave crisi politica, conseguenza degli aspri contrasti sorti tra il governatore generale, generale Ġulām Moḥammed, e l'Assemblea costituente (con funzione di Parlamento) la quale, dominata dalla Lega Musulmana, si era mostrata assolutamente impari ai suoi compiti e non riscuoteva più il consenso della nazione. Avvertendo il pericolo, il 21 settembre l'Assemblea approvava una legge che limitava alcuni poteri del governatore generale, ma questi, un mese più tardi, proclamava lo stato di emergenza in tutto il paese e, avendo l'esercito dalla sua, sospendeva l'Assemblea stessa formando un governo di sua scelta. Il presidente dell'Assemblea, Tamīz ul-Dīn Khān, si appellava allora alla Suprema Corte del Sind la quale, il 9 gennaio del 1955, emanava un verdetto che dichiarava illegale il provvedimento del governatore generale, imponendo il rinsediamento nel suo ufficio di Tamīz ul-Dīn. Ma il 22 febbraio la Corte Federale ingiungeva alla Suprema Corte del Sind di sospendere la sentenza. Forte dei suoi pieni poteri e coadiuvato dal suo primo ministro Moḥammed ‛Alī, Ġulām Moḥammed poté allora procedere al riordinamento amministrativo del paese e alla convocazione di una nuova Assemblea costituente (o Convenzione Costituzionale) eletta dalle assemblee provinciali (nel Bengala l'Assemblea era stata ristabilita nel giugno del 1955). Questa elezione segnava un ulteriore declino della Lega Musulmana.
Il 5 agosto del 1955 Ġulām Moḥammed rassegnava le dimissioni per malattia (morirà il 29 agosto dell'anno successivo) e il suo posto era preso dal generale Iskandar Mīrzā che il 5 marzo del 1956, dopo l'approvazione da parte dell'Assemblea del progetto di costituzione, veniva eletto dall'Assemblea stessa primo presidente della Repubblica Islamica del Pakistan. Il 23 marzo la costituzione veniva solennemente proclamata a Karachi, ma era destinata ad avere, come si è di sopra accennato, vita breve. In effetti, tutta ispirata dalla preoccupazione di fare del P. uno stato "islamico", la carta apparve immediatamente anacronistica e, in fondo, superflua, perché è ovvio che si può partecipare del retaggio spirituale dell'Islam senza necessariamente dare carattere confessionale alle proprie istituzioni. Sta di fatto che, dopo oltre due anni dalla sua promulgazione, la costituzione non aveva creato nel P. l'auspicato equilibrio politico, né le condizioni di ordine e di sicurezza indispensabili per delle elezioni generali. Nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 1958 il presidente Iskandar Mīrzā abrogava perciò la costituzione e proclamava la legge marziale esonerando dal loro ufficio tutti i ministri, sia federali sia provinciali, e sciogliendo tanto l'Assemblea nazionale quanto le Assemblee provinciali. Tutti i partiti politici furono parimenti disciolti e ogni attività politica proibita. In un proclama alla nazione Iskandar Mīrzā giustificò il suo operato denunziando i mali di cui il paese soffriva: "la spietata lotta per il potere, la corruzione politica, lo sfruttamento delle masse laboriose, oneste e patriottiche, la mancanza di ogni dignità nazionale, la prostituzione dell'Islam a fini politici". Alcuni giorni più tardi, il 27 ottobre, Iskandar Mīrzā rassegnava le dimissioni dalla carica di presidente della Repubblica cedendo tutti i suoi poteri al comandante in capo delle forze armate, Moḥammed Ayyūb Khān, il quale formava un governo, composto in parte di capi di stato maggiore e in parte di civili, di cui assumeva personalmente la presidenza. Una volta ancora l'esercito, erede dei solidi reggimenti musulmani dell'India britannica, appariva come la forza più sana e matura del Pakistan. Il 27 ottobre 1959, nel primo anniversario della sua ascesa al potere, Moḥammed Ayyūb Khān promulgava un decreto istituente nel P. lo speciale ordinamento politico detto "democrazia fondamentale", le cui caratteristiche sono state descritte più sopra. Facendo il consuntivo di questi primi due anni di regime va riconosciuto che alcuni dei più urgenti e vitali problemi del paese, come l'eliminazione della corruttela amministrativa, la sistemazione dei profughi e la riforma fondiaria, sono stati felicemente risolti o decisamente avviati verso la soluzione. Del successo e della fiducia popolare riscossi dal regime di Ayyūb Khān si ebbe una prova il 14 febbraio 1960, quando 79.850 membri dei Consigli di Unione, invitati a pronunciarsi, con voto segreto, pro o contro il presidente, votarono per il 95,6% a favore. I voti contrarî furono solo 2.829, gli astenuti 1.130, i voti nulli 608.
Nella sfera della politica estera, il punto critico rimane tuttora quello dei rapporti con l'India, certamente migliorati dopo l'accordo per la spartizione delle acque del bacino dell'Indo, ma sempre alquanto tesi per quanto riguarda il Kashmir.
Verso i maggiori problemi politici internazionali l'atteggiamento del P. è stato quello di un chiaro allineamento, senza incertezze, con il blocco occidentale. La richiesta di aiuti militari agli S. U. A. (febbraio del 1954), la partecipazione all'organizzazione per la difesa collettiva dell'Asia sud-orientale (SEATO, settembre del 1954) e l'adesione al patto turco-iraqeno (Patto di Baghdād, settembre del 1955) sono altrettante conferme di questa linea politica.
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Archeologia.
Dopo la divisione tra India e P., a quest'ultimo sono rimasti, della vasta e complessa serie di documenti archeologici del subcontinente indiano, soprattutto quelli che si riferiscono all'età preistorica e protostorica e a quella che intercorre tra l'espansione dei regni indogreci e la fine dell'impero kuṣāṇa in cui si svolge l'arte del Gandhāra.
Le più antiche tracce di stanziamento umano in P. sono venute in luce da una collinetta pochi km a sud di Quetta, nella località di Kile Gul Muhammad. I livelli più profondi hanno conservato case di mattoni crudi da cui provengono numerosi oggetti di pietra, ma fino ad ora nessun frammento ceramico. A Rana Ghundai, nel Belūcistān settentrionale, l'esplorazione di un mound alto circa 35 metri ha consentito l'individuazione, nei livelli più profondi, di uno stanziamento, privo della correlazione con le abitazioni, ma documentato da un'abbondantissima ceramica rozza, non dipinta, e ossa di animali, tra cui spiccano, in via del tutto eccezionale, quattro denti di cavallo. Ben poco sappiamo, fino ad ora e in un periodo così antico, per il nord della valle dell'Indo e per quelle dei suoi affluenti. Un dato prezioso può essere offerto dai trovamenti effettuati dalla missione archeologica italiana nello Swāt, a Gogdara, dove è stata scoperta una parete di roccia con graffiti rappresentanti animali, soli o aggiogati al carro, di tipo molto antico, ma dei quali non può ancora essere data una cronologia assoluta, connessa con trovamenti ceramici o di strutture non essendo stato raggiunto il livello di occupazione corrispondente all'età in cui furono eseguiti i graffiti. Il "ductus" trova sorprendenti confronti con la decorazione della ceramica figurata di Rana Ghundai e con alcuni dei sigilli di Mohenjo Daro.
Nella bassa valle dell'Indo i trovamenti di gran lunga più importanti per un periodo molto antico sono i recentissimi scavi di Kot Diji, condotti dall'Archaeological Department of Pakistan, non lungi dalla moderna città di Khairpur. Qui infatti al di sotto degli strati riferibili alla cultura di Harappā sono venuti in luce i resti di uno stanziamento più antico, con una città ed un'acropoli cinta di mura in pietra, all'interno delle quali sono case costruite con mattoni crudi. Tipica la ceramica di ottima qualità con decorazione policroma a zone che si può accostare ad esemplari dell'area mediterranea mentre si differenzia da quelli del Belūcistān e dell'Iran orientale. Difficile risulta una precisazione cronologica assoluta di queste più antiche manifestazioni di vita; fino ad ora ci si è basati su confronti con materiale proveniente dagli scavi dell'Asia occidentale con le incertezze e le riserve metodologiche che ne derivano. I dati ottenuti con il metodo del Carbonio 14 nei pochi casi in cui è stato applicato sono relativamente bassi: una data intorno al 3300, con approssimazione di circa 500 anni, per gli strati preceramici di Kile Gul Muhammad. Si dovrebbe in conseguenza escludere fino ad ora la testimonianza di vita in epoca assai antica, per lo meno corrispondente a fasi già evolute nell'area mediterranea e dell'Asia occidentale.
A questi dati, relativi ai più antichi stanziamenti umani, fanno seguito quelli che ci documentano tra il quarto ed il terzo millennio il fiorire di un'alta civiltà nella valle dell'Indo, di cui possiamo cogliere i riflessi anche nella sfera dell'organizzazione politica e sociale, grazie all'abbondanza ed al valore dei trovamenti; le nostre conoscenze, accanto a località minori, sono soprattutto legate alle due città maggiori: Mohenjo Daro e Harappā. Gli strati più profondi hanno offerto dati poco conclusivi, che ora sono sostituiti da quelli di Kot Diji, mentre molto chiari sono i livelli in cui si sviluppa un largo impianto di città. Lo schema è ortogonale e vi spiccano gli edifici maggiori con i caratteristici magazzini a pianta rettangolare allungata, che trovano confronto con i palazzi mesopotamici. I trovamenti di questo tipo si estendono in un'area piuttosto vasta, tanto che il termine "civiltà della valle dell'Indo" risulta improprio e può essere più giustamente sostituito con quello di cultura di Harappā; l'unità è però tale che si può pensare ad un unico stato con due capitali.
Tra i trovamenti, a parte l'interesse per l'impianto urbanistico e per le organizzazioni che testimoniano un elevato standard di vita, particolarmente significativi la ceramica, i sigilli e le sculture. La ceramica di color rosso vivo presenta una decorazione in nero di ispirazione tessile, con motivi di origine naturalistica stilizzati e modificati, al di fuori di rigide ricorrenze geometriche. I sigilli trasformano una necessità pratica in un prezioso repertorio di rappresentazioni figurate di animali, reali e fantastici, accompagnati talvolta anche da figure umane. Assai importanti per un fresco gusto naturalistico le sculture, tra cui ricorderemo la famosa danzatrice in bronzo da Mohenjo Daro e un busto di steatite di sacerdote dall'intenzionale caratterizzazione fisionomica. Maggiore morbidezza plastica si nota nella testa di personaggio in calcare o nelle due statuette nude di Harappā per le quali ultime, però, non è senza discussione l'attribuzione al periodo della civiltà della valle dell'Indo. A questi pezzi si accompagna una produzione minore fittile tra cui interessantissime figurette di animali e il famoso carro a due ruote.
Si mette solitamente in relazione la fine violenta dei centri che documentano questa civiltà con l'arrivo delle popolazioni indoeuropee, all'inizio del 2° millennio, che portarono ad un radicale cambiamento di forme di vita, dando inizio ad un periodo storico di cui fino ad ora non possediamo una sufficiente documentazione archeologica. È soltanto con l'affacciarsi ai confini dell'India dell'Impero achemenide che possediamo qualche dato maggiore, anche se alle notizie storico-epigrafiche non fa fino ad ora riscontro una sicura ed abbondante documentazione archeologica.
Per questa ci comincia a soccorrere quello che possiamo chiamare il centro archeologico più notevole del P. e cioè Taxila. Gli scavi, iniziati dal Servizio archeologico dell'India Britannica nel 1913, hanno messo in luce un ampio sviluppo cittadino in varie località con una preziosa documentazione dal 6° secolo a. C. in poi. Nota alla più antica leggenda indiana, possiamo immaginare la città sotto il dominio, o per lo meno l'influsso, achemenide, nel 6° e 5° secolo. Già parecchi anni prima che Alessandro Magno (326) sottomettesse Āmbhi (Omphis) re di Takṣaśilā, la città doveva aver scosso il giogo achemenide. Comunque nel 4° secolo fu una città fittamente popolata. Dopo la morte di Alessandro e il conseguente indebolimento delle sue conquiste, Taxila entrò nell'impero di Candragupta alla fine del 4°, quell'impero che con Aśoka facilitò, intorno alla metà del 3° secolo, la diffusione del buddhismo nelle regioni dell'India, dal Gandhāra fino a Ceylon. Poi è conquistata dai Greci della Battriana tra la fine del 3° e l'inizio del 2° sec. a. C.; i re indogreci furono sostituiti, con Maues, dai Śaka che durano fin verso la metà del 1° sec. d. C. È il momento della grande espansione dell'Impero kuṣāṇa che arriva fino all'inizio del 4° sec. d. C. e continua ancora con i Kidāra dopo l'occupazione sasanide, fino al 6° secolo, quando è schiacciato dall'invasione degli Eftaliti o Unni Bianchi.
Il livello più antico raggiunto a Taxila è il 4° del Bhir Mound con strutture appartenenti alla fine del 6° sec. a. C., in una tecnica piuttosto rozza e massiccia. Questa più antica città doveva essere cinta di mura in mattoni crudi e presenta un tipo di pianta alquanto irregolare da ricondurre ad una tradizione indoariana piuttosto che achemenide. La città sorta nella zona di Sirkap, che si può far risalire all'intervento dei Greco-Battriani, all'inizio del 2° sec. a. C., è cinta di forti mura in pietra che comprendono, secondo un concetto che possiamo ricondurre alla poliorcetica ellenistica, il colle immediatamente soprastante. La pianta anche risponde a quei principî di regolarità tipici della pianificazione urbana del mondo ellenico. Tale pianta rimane come traliccio costante attraverso i rifacimenti successivi di età indoparta e kuṣāṇa. Del periodo kuṣāṇa è propriamente la terza città che è nota dal nome della località moderna come Sirsukh: presenta uno schema di impianto connesso con le città dell'Asia centrale che erano familiari ai conquistatori kuṣāṇa, con una forma all'incirca di parallelogramma. Le mura di cinta che difendevano la città erano in pietra nella caratteristica tecnica di grossi blocchi fermati e circondati da scaglie, che si diffonde a Taxila con il 1° sec. d. C. Accanto ai nuclei urbani veri e proprî possiamo ricordare un numero cospicuo di monumenti minori, soprattutto buddhisti, tra cui per antichità ed importanza particolarmente significativo il Dharmarājikā Stūpa che, fondato da Aśoka verso la metà del 3° sec. a. C., ha continuato a vivere in fasi successive fino al 5°-6° sec. d. C.
Ma nonostante la grande importanza di Taxila e dei numerosi rinvenimenti fattivi, sculture, monete, vasi, oggetti di bronzo, di rame, di pietra, d'osso e d'avorio, che rappresentano spesso dei capisaldi per le nostre conoscenze, i dati monumentali per un periodo che va all'incirca da età indogreca a quella tardo-kuṣāṇa, cioè dal 3° sec. a. C. al 4° d. C., ci sono offerti anche da altre località del P. occidentale, come il grande complesso del monastero buddhista di Takht-i-Bāhī, o i quartieri indogreci e kuṣāṇa di Chārsadda, l'antica Peucelaotis, sul corso inferiore dello Swāt, e di Mardan da dove provengono alcune delle più belle sculture dell'arte del Gandhāra e dove recenti scavi di una missione giapponese hanno meso in luce un grande monastero buddhista.
Resta da accennare all'eccezionale importanza archeologica di una regione situata agli estremi confini nord-occidentali del P., lo Swāt, dove gli scavi della missione archeologica italiana tuttora in corso hanno offerto e stanno offrendo risultati di grande interesse storico e artistico. I due centri fino ad ora esplorati sono quello di Udegram, la Ora che Arriano ricorda conquistata da Alessandro Magno, e di Mingora nella località di Butkara. Ad Udegram si può parlare di una continuità di vita, attraverso successivi contigui stanziamenti, dal 3° millennio fino al 14° secolo. Si è infatti messo in luce un quartiere di abitazioni da collocarsi tra il 4° sec. a. C. ed il 4° d. C., svoltosi attraverso otto livelli successivi; un altro quartiere che, sorto sopra stanziamenti di età protostorica, ha vissuto fino al 1° sec. d. C.; i già ricordati graffiti su roccia ed infine una imponente costruzione a metà altezza della collina che sovrasta la città, una specie di acropoli dove la vita può essere documentata dal 6° al 14° sec. d. C., quando esigenze di sicurezza consigliarono di scegliere luoghi naturalmente muniti.
Presso Mingora (quasi certamente la Mêng chie li di Hsüan tsang), in località Butkara, è stata parzialmente posta in luce una area sacra buddhista ricca di stūpa e di sculture di arte del Gandhāra: un complesso il cui periodo di vita può essere fissato fra il 2° sec. a. C. e il 6°-7° d. C.
Al centro dell'area è un grande stūpa a pianta circolare che mostra diverse fasi. La prima è rappresentata da una costruzione di ciottoli assai accurata, senza apparente separazione tra il tamburo cilindrico e la "cupola" e con faccia vista priva di qualsiasi traccia di rivestimento, tanto che non è assurdo supporre che si tratti di un semplice nucleo anziché di uno stūpa vero e proprio. Successivamente il monumento è stato ampliato con aggiunta di rivestimenti costruiti con lastre di scisto nero, con modanature (fasi II, III e IV). Un ultimo ampliamento corrisponde alla fase V, che vede lo stūpa arricchirsi d'un ambulacro circolare (pradaksinapatha) con pavimentazione di lastre di scisto verde e zone di pasta vitrea azzurra evidentemente reimpiegata. Successivamente il pavimento originario fu ricoperto da più mani di stucco che ne rialzarono il livello originario, al tempo stesso che alle pareti dello stūpa e del pradaksinapatha venivano addossate sculture di stucco, attestanti il passaggio alla seconda fase dell'arte del Gandhāra. È questo il periodo di maggior sviluppo dell'area sacra, che vede accrescersi il numero già cospicuo di stūpa minori affollantisi intorno allo stūpa principale. Improvvisamente la vita del santuario si interruppe per un evento naturale che causò il crollo di tutti i monumenti. È dal materiale di questo crollo che proviene la maggior parte delle numerosissime sculture di scisto, per solito verde, rinvenute a Butkara. Esse rappresentano il risultato più importante dello scavo perché - a parte quelle rinvenute da Sir John Marshall a Taxila - è questo il primo cospicuo gruppo di sculture del Gandhāra provenienti da uno scavo stratigrafico in territorio pakistano. Sulle macerie appena sistemate in superficie fu elevato l'ultimo stūpa (VI fase), assai rozzo, con tecnica costruttiva caratterizzata da abbondante materiale di reimpiego. Il crollo dell'ultimo stūpa segna la fine della vita del santuario e probabilmente, con essa, anche la fine del buddhismo in tutta la regione.
Una minore possibilità di documentazione offre fino ad oggi l'archeologia del P. per il periodo compreso tra l'invasione degli Unni bianchi e le prime incursioni arabe fino alla conquista ghaznavide. Uno scavo che colma questa lacuna è quello di Bambore, a circa 40 km da Karachi, presso le foci dell'Indo, un notevole scalo marittimo anche in periodi più antichi, ma soprattutto fiorente nei primi tempi dell'espansione islamica dal 7° all'11° secolo. Gli scavi condotti dall'Archaeological Department of Pakistan sono tuttora in corso. Vedi tav. f. t.
Bibl.: Per le più antiche testimonianze: W. A. Fairservis, Excavations in the Quetta Valley, New York 1956; F. A. Khan, Before Mohenjo Daro: Kot Diji, in Illustrated London News, XXIV (1958), p. 5. Per la civiltà della valle dell'Indo: J. Marshall, Mohenjo Daro and the Indus civilization, Londra 1931; R. E. M. Wheeler, Harappa 1946, in Ancient India, 1947; id., The Indus civilization, Cambridge 1953. Per Taxila: J. Marshall, Taxila, voll. I-III, Cambridge 1951. Gli scavi giapponesi e quelli italiani nello Swāt sono tuttora inediti; per questi ultimi si veda una breve notizia in: Attività archeologica italiana in Asia. Mostra dei risultati delle missioni in Pakistan e in Afghanistan 1956-1959, Torino-Roma 1960, a cura di Giorgio Gullini, Torino 1960. Per i problemi archeologici dell'antico Uḍḍiyāna (Swāt) si veda: G. Tucci, Preliminary report on an archaeological survey in Swāt, in East and West, IX (1958).