PAKISTAN
(App. II, II, p. 485; III, II, p. 343; IV, II, p. 717)
Circa il 40% del territorio è costituito dalla pianura drenata dall'Indo e dai suoi affluenti; questa pianura è chiusa da montagne sia a Nord che a Ovest, e da un altipiano a Sud-Ovest, il Balūčistān. La barriera montuosa settentrionale è parte del complesso sistema della catena himalayana; la pertinenza di questa estesa regione montana − 222.236 km2 complessivamente − indicata come Jammu e Kaśmir resta ancora indecisa: qui il confine fra P. e India si attesta provvisoriamente sulla linea di cessazione del fuoco del 1949. La linea, lunga 660 km, lascia al P. un terzo del paese (Āzād Kaśmir, Gilgit, Baltistān) con circa un quarto della popolazione.
L'alta pianura, per il convergere dell'Indo con i suoi cinque principali affluenti (Jhelum, Kenab, Ravi, Beas, Sutlej), viene indicata appunto come Panjab, cioè cinque acque. A sud della località di Mithankot, vale a dire a valle della confluenza con l'ultimo grande tributario, l'Indo assume proporzioni gigantesche e scorre attraverso una pianura alluvionale costituita da terreni più recenti, il cosiddetto Sind. L'apporto di terreni alluvionali è molto abbondante e in qualche tratto il fiume corre pensile sul piano, protetto da argini.
Una stima relativa al 1991 indicherebbe un totale di 115.520.000 abitanti. La capitale Islāmābād al censimento del 1981 contava poco più di 200.000 abitanti. Il coefficiente annuo di accrescimento demografico (34ı) rimane uno dei più elevati del mondo, con un indice di natalità pari al 43,3ı (1990). La speranza di vita è di 59 anni. Nel gennaio 1990 erano presenti in P. circa 3,8 milioni di rifugiati afghani, concentrati soprattutto nella provincia della Frontiera nord-occidentale, ma si stima che 1,5 milioni siano rientrati in patria nel 1992.
Il prodotto nazionale lordo per abitante è molto basso (400 dollari USA nel 1991), ma comunque superiore a quello dell'India (330 dollari USA). Inoltre il paese è pesantemente indebitato con l'estero: secondo le fonti della Banca mondiale nel 1991 l'indebitamento complessivo sfiorava i 23.000 milioni di dollari USA. Il 65% della popolazione è ancora analfabeta (la percentuale sale al 79% tra la popolazione femminile). La popolazione urbana risultava nel 1991 pari al 32% del totale, con un indice un po' superiore a quello dell'India. Come in tutti i paesi in via di sviluppo, urbanesimo e industria non sono interconnessi: il proletariato rurale affluisce in massa verso le città anche senza speranza di trovare lavoro.
In occasione del censimento del 1981 tre città risultarono ''milionarie'' e una ventina registrarono più di 100.000 abitanti. L'autentica metropoli del paese è Karāchī (5,2 mil. di ab. nel 1981), grande porto e primo centro industriale, finanziario e commerciale. La città ha avuto uno sviluppo sorprendente; si calcola che quasi la metà degli abitanti sia costituita da musulmani e da discendenti di musulmani rifugiati dall'India in conseguenza della partizione. Al secondo posto dopo Karāchī figura Lahore, capoluogo del Panjab, situata sulla sinistra del fiume Ravi; al terzo si pone Fayṣalabād, pure nel Panjab.
L'insediamento rurale nel P. è per lo più rappresentato da villaggi compatti, la cui la struttura e la generalmente notevole dimensione sono imputabili a ragioni di sicurezza e anche alla scarsità di acqua.
Condizioni economiche. - Il P. è un paese arido e semiarido, dove le possibilità di vita dipendono essenzialmente dall'irrigazione. Fortunatamente la grande pianura è percorsa in tutta la sua lunghezza dal fiume Indo, il quale − insieme con gli affluenti − alimenta un prezioso e capillare sistema irriguo.
In conformità all'Indus Water Treaty del 1960, ratificato con la collaborazione di esperti internazionali, P. e India si sono accordati per l'utilizzazione dei fiumi del Panjab: l'acqua dell'Indo e dei due tributari occidentali, Jhelum e Kenab, spetta al P., mentre l'intero deflusso dei tre fiumi orientali (Ravi, Beas e Sutlej) può essere utilizzato dall'India. In pratica, l'acqua per irrigazione si ottiene o mediante canali o pozzi o, in misura molto inferiore, mediante tanks. Naturalmente la parte di gran lunga maggiore delle acque irrigue proviene dai canali. I più importanti derivano l'acqua direttamente dall'Indo, che − come tutti i fiumi della regione − ha un regime molto irregolare, alternando mesi di magra, d'inverno, a mesi in cui l'azione combinata delle piogge monsoniche e dello scioglimento delle nevi provoca piene e inondazioni. L'Indo presenta cinque sbarramenti (Jinnah, Taunsa, Gudu, Sukkur, Ghulam) da cui derivano cinque canali principali, ciascuno suddiviso a sua volta in numerose e progressive ramificazioni atte a portare l'acqua ai campi.
L'agricoltura occupa la metà della popolazione attiva e contribuisce per il 26% alla formazione del PNL. Le condizioni climatiche incidono notevolmente sulle produzioni delle principali risorse, quali il grano, il riso, la canna da zucchero e il cotone, alternando annate in cui si verifica la necessità di ricorrere all'importazione ad annate di abbondanti raccolti. Negli ultimi anni il P. ha raggiunto l'autosufficienza nelle produzioni di frumento (145 milioni di q nel 1991), riso (49 milioni di q) e zucchero (20,8 milioni di q di zucchero nel 1991, oltre a 11,5 milioni di q di zucchero non centrifugato). Tra le colture commerciali il primo posto spetta al cotone, coltivato soprattutto nella piana dell'Indo: la produzione di fibra è ingente (oltre 21 milioni di q nel 1991), pari a circa l'8% della produzione mondiale.
Altra voce importante del settore primario pakistano è quella dell'allevamento, molto vasto quanto a numero di capi (17,8 milioni di bovini nel 1991, 30,2 milioni di ovini e 36,7 milioni di caprini), ma di resa ancora modesta per la mancanza di validi metodi di conduzione. Un discreto sviluppo ha la pesca, soprattutto nella regione marittima e deltizia (446.400 t di pesce nel 1991).
Le risorse minerarie (uranio, cromite, gesso, calcare, manganese) non hanno avuto ancora un adeguato sfruttamento. La produzione di petrolio dei campi di Meyal, Tut, Balkassar, Joya Mair e Dhullian ha raggiunto i 3,4 milioni di t nel 1991, mentre i giacimenti di gas naturale, collegati con gasdotti a Karāchī, a Fayṣalabād e a Islāmābād, hanno avuto nel 1991 una produzione di 14 miliardi di m3. Il settore manifatturiero, dominato dall'industria per la trasformazione dei prodotti agricoli, dal settore della filatura e tessitura del cotone e dalla produzione di beni di consumo, occupa 3.914.000 persone e contribuisce per il 20% alla formazione del PNL. In particolare, l'industria cotoniera non solo copre il fabbisogno locale, ma permette pure una considerevole esportazione: cotone greggio, filati e tessuti rappresentano le voci più importanti dell'esportazione. Del resto anche il consumo interno è tutt'altro che trascurabile, perché si calcola che ogni abitante necessiti in media di circa 12 m di cotonate all'anno.
Bibl.: P. Faggi, M. Ginestri, La rete dei bazar nell'alta valle dell'Indo, in Rivista geografica italiana, settembre-dicembre 1977; B. C. L. Johnson, Pakistan, Londra 1979; F. Scholz, Bewässerung in Pakistan, in Erdkunde, settembre 1984; M. Rahman, Agriculture in Pakistan, Budapest 1988; K. M. Khan, Wirtschaftspolitik und Wirtschaftsentwicklung in Pakistan, in Orient, 32 (1991), 3, pp. 429-48; N. Ahmad, Choice of location and mobility behaviour of migrant households in a Third World city, in Urban studies, 29 (1992), 7, pp. 1147-57.
Storia. - Nel decennio 1978-88 non si registrano sostanziali cambiamenti nella vita politica (guidata ininterrottamente dal gen. Zia-ul-Haq), anche a causa della scarsa capacità di coesione delle opposizioni. Nell'agosto 1983 Zia annunciò elezioni provinciali e nazionali per il 1985, senza tuttavia riuscire a placare il dissenso del MRD (Movement for the Restoration of Democracy), fondato nel 1981 da diversi partiti. La campagna di disobbedienza civile lanciata dal MRD ebbe esiti esplosivi nel Sind, ove, grazie anche al sostegno di alcuni grandi proprietari terrieri e pīr (religiosi assai venerati), minacciò di tramutarsi in un'insurrezione di massa. Sedata a prezzo di decine di morti, costò al MRD un forte calo di popolarità. Il gen. Zia, che già nel 1979 aveva avviato un processo d'islamizzazione con l'introduzione di leggi penali e misure economiche conformi al diritto islamico, alla fine del 1984 annunciò a sorpresa un referendum nazionale per il 19 dicembre su due temi: l'approvazione della sua politica d'islamizzazione e la sua elezione alla carica di presidente per cinque anni.
L'alleanza di 11 partiti di opposizione invitò a boicottare il referendum, ritenendolo una farsa, ma la campagna lanciata dal gen. Zia in nome dell'Islam ebbe facile presa sull'elettorato, specie nelle zone rurali. I ''sì'' furono il 97,7% su una percentuale di votanti del 64%. Alle elezioni nazionali e provinciali rispettivamente del 25 e 28 febbraio 1985, condotte su base non-partitica e con il divieto di comizi e dimostrazioni, partecipò una percentuale di votanti superiore al 50%, nonostante l'appello del MRD al boicottaggio. Il gen. Zia, alla vigilia del suo insediamento come presidente, affermando l'intenzione di abolire la legge marziale e di promuovere gradualmente il ritorno a un sistema di governo costituzionale, ripristinò la Costituzione del 1973, introducendovi però alcuni emendamenti che conferivano al presidente importanti poteri, tra cui quello di sciogliere la legislatura e di nominare il primo ministro, i governatori provinciali e i tre capi delle forze armate.
Assunta la carica il 25 marzo, il gen. Zia nominò primo ministro M.Kh. Junejo, politico proveniente dalle file del Pakistan Muslim League (PML)-Pagara Group, affermatosi nelle recenti elezioni come partito di maggioranza. Tra i suoi primi atti, Junejo annunciò l'intenzione di abrogare la legge marziale e di aprire il dialogo con le opposizioni, assicurando che tutti gli esuli volontari avrebbero potuto rientrare in patria senza alcun rischio. Dietro la pressione insistente delle Assemblee provinciali e del MRD, Junejo dovette accelerare i tempi, e in agosto annunciò che la legge marziale sarebbe stata revocata entro l'anno. Compito dell'Assemblea nazionale fu in questo frangente la nuova regolamentazione della vita politica.
L'accordo fu raggiunto con un compromesso dell'ultimo minuto, che introduceva nella nuova legislazione la cosiddetta clausola di convalidamento, ossia la ratifica di tutti gli atti del regime marziale in cambio di alcune limitazioni ai poteri discrezionali del presidente. Fu imposta ai partiti una registrazione subordinata al possesso di determinati requisiti e si proibì il cambiamento nelle alleanze tra membri di gruppi e partiti in seno alle Assemblee, nazionale e provinciali. Il 30 dicembre 1985 furono finalmente aboliti la legge marziale e lo stato di emergenza, che durava ininterrottamente dal 1969.
Nell'aprile del 1986 il ritorno in patria di B. Bhutto, figlia del presidente Z.A. Bhutto deposto e condannato a morte dal regime militare, segnò una svolta nelle attività dell'opposizione. Assunta la direzione del Pakistan People's Party (PPP), B. Bhutto cercò innanzitutto di rinnovare la classe dirigente del partito e promosse una campagna per l'allontanamento di Zia ed elezioni nazionali in autunno. Inizialmente poco disponibile alle alleanze, venne a una convergenza col MRD, posticipando i termini nella richiesta di nuove elezioni, e con l'appoggio del MRD organizzò manifestazioni di protesta per il 14 agosto, giorno dell'Indipendenza. Le manifestazioni si tennero nelle maggiori città nonostante il divieto del governo, che ordinò l'arresto di B. Bhutto e di molti altri membri del MRD. Nel corso del 1986 e 1987 il governo dovette fronteggiare gravi crisi, determinate dall'acuirsi di conflitti etnici e separatistici, superate anche grazie al successo di misure economiche, che avevano rafforzato la credibilità del governo. Alle elezioni locali del novembre 1987 il PML, sostenuto dal governo, ottenne la maggioranza, mentre il PPP conquistò il 20% dei seggi. In seguito a crescenti conflitti di attribuzioni tra Zia e Junejo, nel maggio 1988 Zia sciolse l'Assemblea nazionale, le Assemblee provinciali e il Gabinetto dei ministri, con l'accusa di corruzione e inefficienza, e assunse la guida di un governo di emergenza (con controllo diretto sul Sind, dove le violenze etniche avevano raggiunto proporzioni allarmanti), annunciando l'ampliamento del programma d'islamizzazione ed elezioni su base non partitica per il novembre successivo.
Il 17 agosto Zia, l'ambasciatore degli USA e diversi capi militari perivano a Bawalpūr in un incidente aereo su cui si avanzarono sospetti di sabotaggio; fu imposto lo stato di emergenza e si formò un governo provvisorio sotto la guida del presidente del Senato, Gh. Ishaq Khan, che s'impegnò a condurre il paese alle elezioni entro i termini stabiliti. In settembre la magistratura dichiarò incostituzionale lo scioglimento delle assemblee legislative da parte di Zia, e rimosse le ultime restrizioni ai partiti, che avevano già ottenuto in giugno l'abrogazione della registrazione. Riammessi tutti i partiti alla competizione elettorale, si ridisegnarono rapidamente strategie e alleanze: il PPP abbandonò il MRD, dichiarando che l'alleanza non era mai stata di carattere elettorale, mentre nove partiti della destra islamica, compreso il PML, si unirono nella Islamic Democratic Alliance (IDA). Alle elezioni di novembre il PPP guadagnò una maggioranza relativa, riuscendo a formare governi di coalizione sia nell'Assemblea nazionale, sia in quelle provinciali del Sind e della Frontiera nord-occidentale, mentre l'IDA ottenne la maggioranza in Panjab.
Il 1° dicembre 1988 B. Bhutto venne nominata primo ministro e fu revocato lo stato di emergenza. Con il sostegno del PPP e dell'IDA, venne nominato presidente Ishaq Khan. B. Bhutto annunciò immediatamente l'attuazione di riforme democratiche, e si adoperò, senza tuttavia ottenere la maggioranza qualificata richiesta, per abrogare gli emendamenti alla Costituzione che erano stati adottati nel 1985.
Le alleanze di governo entrarono presto in crisi, e il PPP fu accusato di scarsa volontà di cooperazione. Il sostegno dei partiti alleati si trasferì alle opposizioni, e il 1° novembre 1989 una mozione di sfiducia presentata all'Assemblea nazionale contro il suo governo costrinse B. Bhutto a manovre di persuasione e compromessi che, se le evitarono di subire la sfiducia, la resero politicamente più vulnerabile e incrinarono ulteriormente la sua credibilità, già minata da alcune sconfitte riportate nei confronti del presidente Ishaq Khan. Nel maggio 1990 scoppiarono in Sind gravi disordini, innescati da un'operazione di polizia volta a snidare armi illegali e presunti terroristi, in seguito a ripetute violenze e rapimenti di esponenti politici. Ci furono scontri sanguinosi tra la popolazione e le forze di polizia che produssero un centinaio di morti, e nel clima di violenza generatosi, di cui furono vittime anche donne e bambini, si rinfocolarono le tensioni etniche. Sul piano della politica economica e sociale, il conflitto insanabile tra le opposizioni aveva prodotto una generale stagnazione, nociva soprattutto all'immagine del PPP, presentatosi come il partito delle riforme democratiche. La tensione sociale, specie in Sind, si era aggravata, crescevano la pressione del fisco e l'inflazione, e su molti nomi di spicco della politica e dell'amministrazione gravavano accuse di corruzione.
Sulla scorta di tali motivazioni, il 6 agosto 1990 il presidente Ishaq Khan scioglieva l'Assemblea nazionale e deponeva B. Bhutto dalla carica di primo ministro, imponendo lo stato di emergenza e indicendo nuove elezioni in ottobre. Il primo ministro ad interim, Gh.M. Jatoi, incaricò tribunali speciali di procedere contro B. Bhutto e altri politici, molti dei quali furono arrestati. Anche il marito di B. Bhutto, A.A. Zardari, fu arrestato in ottobre sotto l'accusa di omicidio, rapimento, estorsione e abusi finanziari commessi sfruttando la carica della moglie. Fu un duro colpo per il PPP, che per le elezioni di ottobre si vide costretto a un'alleanza con tre partiti minori, ribattezzata People's Democratic Alliance (PDA); la nuova formazione ottenne solo 54 seggi, contro i 106 dell'IDA, e un'analoga ripartizione emerse dalle elezioni provinciali svoltesi a breve distanza, e da quelle per il Senato nel febbraio del 1991. Fu eletto primo ministro M. Sharif Khan, che immediatamente rimosse lo stato di emergenza e si appellò, senza successo, alla collaborazione da parte dell'opposizione.
Superata una crisi dovuta a polemiche sull'intervento nella Guerra del Golfo nel gennaio del 1991, il governo ottenne buoni successi diplomatici, soprattutto grazie agli accordi con i governi provinciali su due controverse questioni d'importanza vitale: la distribuzione delle acque dell'Indo e la divisione delle risorse finanziarie. Altra questione sul tappeto era il conferimento di uno status legale all'adozione della Šarī῾a, la legge islamica, che il governo s'impegnò a rendere operante con una serie di misure amministrative e legali concernenti il diritto, il sistema educativo, la moralità pubblica e l'economia, quest'ultima la più difficile da adeguare. La Corte federale della Šarī῾a, appositamente istituita, ingiunse al governo di eliminare da tutti i settori dell'economia, a partire dal 30 giugno 1992, ogni forma d'interesse, dichiarato usura illegale; ma il governo si appellò alla Corte suprema, contestando una decisione ritenuta incompatibile con il vigente sistema economico. La Carta delle riforme, approvata nel maggio 1991 tra lo scontento di un'opposizione progressista capeggiata da B. Bhutto, che la riteneva pericolosamente fondamentalista, e di un'opposizione integralista che la giudicava troppo morbida, resta comunque il più importante atto di legislazione varato dal 1973.
Sul fronte dell'ordine pubblico, gravemente turbato dagli endemici conflitti etnici e da ricorrenti episodi di terrorismo, il governo di Sharif Khan non riuscì a ottenere risultati incoraggianti, nonostante un'intensa operazione di polizia messa in atto nel corso del 1992 nel Sind, peraltro aspramente contestata dal Muhajir Qaumi Movement (MQM), partito comunalista assai forte nel Sind, che accusava il governo di servirsene per epurare l'opposizione. Sharif Khan, di fronte a una crescente quanto variegata opposizione, tentò nuovamente di aprire il dialogo con B. Bhutto, che pose però come condizione il ritiro delle accuse rivolte contro lei stessa, suo marito e i suoi ministri, e intensificò nel contempo la sua campagna nelle piazze per riguadagnare quel consenso di massa che avrebbe reso più forte il suo potere di contrattazione col governo. Quest'ultimo rispose con una serie di misure repressive, ma in dicembre i rapporti tra le parti parvero migliorare.
Nel gennaio 1993 B. Bhutto assunse la carica di segretario della Commissione permanente degli affari esteri, e poco dopo suo marito fu scarcerato. Intanto gli storici conflitti fra i due ruoli minavano i rapporti tra il presidente Ishaq Khan e il primo ministro Sharif Khan, producendo nel gruppo dei ministri schieramenti e dimissioni che rendevano sempre più difficile la sopravvivenza del governo. Il 18 aprile il presidente sciolse l'Assemblea nazionale e revocò il mandato a Sharif Khan; fu varato, ad interim, un nuovo governo in cui fu chiamato a partecipare il marito di B. Bhutto, Zardari, ma il 26 maggio, con un verdetto inaspettato, la Corte suprema ordinò il reinsediamento del deposto governo e la cancellazione delle elezioni previste per il 14 luglio. I conflitti fra Ishaq Khan e Sharif Khan raggiunsero l'apice tra giugno e luglio 1993, allorché Ishaq Khan si oppose al tentativo di Sharif Khan d'imporre l'amministrazione federale sul Panjab, la provincia più popolosa e politicamente più influente, che entrambi a turno avevano cercato di controllare.
I riflessi dell'instancabile lotta di potere sull'amministrazione erano così pesanti che, in seguito a forti pressioni del comandante delle Forze armate e dell'opposizione, il 18 luglio 1993 il presidente e il primo ministro rassegnarono le dimissioni. Furono indette nuove elezioni, nazionali e provinciali, rispettivamente per il 6 e 9 ottobre; il PPP, sostenuto da una frazione dissidente del PML, ottenne la maggioranza relativa all'Assemblea nazionale e in quelle provinciali del Sind e del Panjab, che aveva costituito la base del potere di Sharif Khan. B. Bhutto fu eletta primo ministro, mentre uno dei suoi più fedeli collaboratori, F. Leghari, assunse la carica di presidente.
In campo internazionale, il P. ha seguito generalmente una politica di avvicinamento agli Stati Uniti, fornitori di sostanziosi aiuti economici e militari, più volte sospesi o messi in forse dal controverso programma nucleare del P., che non aderisce al Trattato di non-proliferazione. Tuttavia nella geografia politica disegnatasi sulla contrapposizione dei due blocchi USA-URSS, in special modo a seguito dell'invasione sovietica dell'Afghānistān nel 1979, il P. ha avuto grande importanza strategica, che ha indotto gli USA a una certa flessibilità, ridottasi dopo il ritiro dell'URSS dall'Afghānistān nel 1988 e il suo crollo nel 1990. I rapporti con l'Afghānistān risentono dell'annosa questione del Pakhtūnistān, lo stato indipendente che i Pathani della Frontiera nord-occidentale rivendicano con l'appoggio dell'Afghānistān, e del sostegno che il P. ha fornito a sua volta ai Muǧāhidīn, sia durante gli anni dell'invasione sovietica, sia nel corso della costante guerriglia che ha condotto al rovesciamento del regime di Kābul nel 1992. Tema dominante della politica estera pakistana sono le relazioni con l'India, che hanno spesso influenzato quelle con gli altri paesi.
I principali punti di discordia tra India e P. sono le rispettive installazioni nucleari, e in misura forse maggiore la disputa sul Kaśmir, che dal 1949 è stato diviso tra India e Pakistan. Mentre il P. chiede che la sovranità dell'uno o dell'altro stato sulla regione sia decisa con un referendum, secondo quanto stabilito da una risoluzione dell'ONU, l'India invoca negoziati bilaterali. Il disaccordo rischiò di tramutarsi in vero e proprio conflitto quando, alla fine del 1989, il Jammu and Kashmir Liberation Front (JKLF) e altri gruppi musulmani intensificarono nel Kaśmir indiano atti di terrorismo, scioperi e agitazioni per l'indipendenza o l'annessione al P.; il governo indiano intervenne militarmente, e nei primi mesi del 1990 si registrarono scontri a fuoco che produssero decine di morti, in maggioranza civili. In P. vi fu un'ondata di scioperi di protesta, mentre truppe indiane si ammassavano lungo il confine, ove l'esercito pakistano fu messo in stato di allerta. In un clima siffatto anche un banale incidente avrebbe potuto innescare una guerra, evitata anche grazie all'intervento degli USA; tra i due paesi si stabilirono degli accordi che tuttavia, lasciando insoluto il problema, non evitarono il ripetersi di scaramucce fra le truppe ammassate lungo il confine nel corso del 1991, 1992 e 1993.
A lato della questione kashmira, altre acrimonie e sospetti turbano i rapporti tra i due paesi. L'India ha più volte accusato il P. di sostenere, oltre al terrorismo kashmiro del JKLF, il secessionismo sikh nel Panjab; le accuse, benché smentite vigorosamente, nel gennaio 1993 hanno valso al P. la minaccia da parte degli USA di essere incluso nella lista degli stati terroristici, assieme alla Corea del Nord, la Libia e l'Iran. Il ritiro della minaccia in luglio è stato contestato dall'India, che accusa il P. di responsabilità dirette in tre devastanti attentati dinamitardi compiuti a Bombay e Calcutta nel marzo 1993 con un bilancio di oltre trecento morti e più di mille feriti.
A partire soprattutto dal 1982, con l'apertura del Khunjerab Pass sul Karakoram Highway e la creazione di una commissione economica congiunta, sono divenuti più intensi i rapporti con la Cina, con cui il P. ha firmato nel 1986 un trattato di cooperazione per l'uso pacifico dell'energia nucleare. L'acquisto di forniture militari dalla Cina, in particolar modo di missili M-11, è stato oggetto di sanzioni da parte degli USA nell'agosto 1993, contestate dal governo pakistano, che afferma di aver bloccato il programma nucleare, ma di non potervi rinunciare fin quando l'India non avrà fatto altrettanto.
Il P. intrattiene inoltre buoni rapporti con vari paesi islamici; nel 1992 è stata riattivata la Economic Cooperation Organization (ECO), comprendente P., Turchia e Iran, cui dovrebbero aderire le sei repubbliche islamiche centro-asiatiche dell'ex URSS. Nel 1989, dopo il ritiro del veto da parte dell'India, il P. è rientrato nel Commonwealth, abbandonato nel 1972 per protesta contro la politica del Regno Unito durante la crisi del P. orientale, ed è dal 1992 membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Bibl.: B. Bhutto, Daughter of the East, Londra 1988; E. Duncan, Breaking the Curfew: a political journey through Pakistan, ivi 1989; Pakistan under the Military: Eleven years of Zia ul-Haq, a cura di S.J. Burki e C. Baxter, Boulder (Colorado) 1991; Culture, class and development in Pakistan, a cura di A.M. Weiss, Lahore 1991; S.A. Zaidi, Regional imbalances and national questions in Pakistan, ivi 1991; T. Jan, Issues in Pakistani politics, Islamabad 1992; R.A. Khan, Forty years of Pakistan-United States relations, Karachi 1992.
Letterature. - Nell'attuale territorio pakistano, a parte l'inglese, esistono cinque lingue letterarie: urdū, panjābī, paštū, sindhī e balūčī. L'urdū è la lingua ufficiale del paese ed è compresa e parlata praticamente da tutti i suoi abitanti. Le altre sono le lingue regionali delle province pakistane: il panjābī del Panjab, il paštū della provincia della Frontiera nord-occidentale, il sindhī del Sind e il balūčī del Balūčistān. Tutte utilizzano per la scrittura i caratteri dell'alfabeto arabo-persiano con l'aggiunta di alcune lettere per rendere i suoni caratteristici del subcontinente indiano. Dal punto di vista glottologico appartengono alla famiglia delle lingue indoeuropee. L'urdū, il panjābī e il sindhī derivano storicamente da vari tipi di prakriti, parenti stretti del sanscrito classico. Il paštū e il balūčī sono rappresentanti della grande famiglia indoiranica.
L'urdū nacque con ogni probabilità nel Panjab dell'11° secolo da una lingua franca indù dell'India settentrionale, mista a panjābī, sulla quale si inserirono elementi arabo-persiani. La lingua precedette di molto il suo nome, che risulta attestato per la prima volta in senso linguistico in un documento del 1782.
Le prime opere in urdū, nella variante deccana, sono a carattere religioso, dovute a ṣūfī desiderosi di divulgare le proprie dottrine. Alle corti di Golconda e Bijapur, tra 16° e 18° secolo, fiorì poi una poesia elegante e vivace, che fonde stile persiano classico ed elemento locale indiano. Il primo esempio di prosa urdū, scritto a Golconda da Mullā Waǧhī intorno al 1630, è una favola allegorica basata su un originale persiano affine per tema al Roman de la Rose. Il padre della poesia urdū vera e propria, Walī (1688-1744), nativo del Deccan, si trasferì nella capitale imperiale, Delhi, divenendo l'anello di congiunzione tra la letteratura deccana e la scuola di Delhi. La letteratura urdū, divenuta strumento espressivo della cultura muġal, raggiunse altissimi vertici nel 18° secolo con poeti quali Dard (1720-1784), Sawdā' (1713-1781), e Mīr (1733-1810). Ma le tormentate vicende politiche della capitale imperiale indussero gran parte dei letterati a trasferirsi a Lucknow, nel più tranquillo regno di Awadh. Qui sorse un'altra scuola poetica, e nacque, nel 19° secolo, il genere drammatico, con l'Indar Sabhā di Amānat (1815-1858). L'ultima fase della scuola di Lucknow raggiunse i suoi vertici con i poeti Anīs (1802-1874) e Dabīr (1803-1875), che eccelsero nell'epica martirologica. La scuola di Delhi tornò a brillare con una galassia di poeti, tra i quali spicca Ġālib (1796-1869), considerato il massimo poeta urdū e, con le sue lettere, l'iniziatore della prosa moderna.
Il dominio britannico determinò influssi occidentali che sono riscontrabili sia nella poesia che nella prosa, che venne del tutto rivoluzionata dagli scritti del modernista Sayyid Aḥmad H̱ān (1817-1898). Estesissima, da allora in poi, è stata la produzione di saggi, anche di tipo teologico, e così pure quella di romanzi e novelle. Il poeta più importante del periodo moderno è senz'altro Muḥammad Iqbāl (1875-1938), che influenzò tutta quanta la produzione successiva, nella quale spicca l'opera del contemporaneo Fayẓ Aḥmad Fayẓ.
Il panjābī, già parlato nell'11° secolo, divenne nel 16° lingua letteraria grazie al fondatore del sikhismo, Gūrū Nānak. La letteratura sikh diverge ben presto da quella musulmana, differenziata anche nella scrittura. I primi documenti letterari panjābī risalgono al 17° secolo e comprendono trattati teologici e giuridici in prosa rimata e poemi di tema amoroso. Il massimo poeta panjābī, Wāriṯ Šāh, del 18° secolo, è autore di una bella versione della leggenda amorosa di Hīr e Ranǧha. Nella sua epoca la letteratura panjābī inizia ad accettare influenze urdū, che s'intensificheranno nei secoli successivi. Limitata a temi mistici e amorosi, la produzione letteraria risente dell'atteggiamento degli abitanti del Panjab, che non considerano il panjābī lingua colta e preferiscono l'urdū.
Il sindhī, parlato e scritto come lingua popolare, ha stretti legami storici con il persiano. Canti popolari, poemi epici e storie di rivalità tribali esistono a partire dall'11° secolo, e a partire dal 15° compaiono anche versi di tipo religioso. Essenzialmente mistica è la produzione dei secoli 16° e 17°. Il 18° secolo è l'età d'oro della letteratura sindhī, che esprime il suo massimo poeta, Šāh 'Abd al-Laṯ(non ha il trattino, ma due puntini sotto)īf (1689-1751), mistico eclettico dal bellissimo simbolismo. Poesia amorosa ed epica martirologica prevalgono nel periodo che si conclude a metà dell'Ottocento con la conquista britannica. D'allora in poi, il sindhī è stato sempre più influenzato dall'urdū, fondendo lo stile moderno di questa lingua con la sua antica tradizione popolare.
Il paštū, lingua vicina al pahlavī, iniziò a mutuare termini dall'arabo nel 9° secolo, e in quelli successivi fece propri i generi persiani del panegirico e dell'epica martirologica. La produzione letteraria è soprattutto poetica, con una prevalenza delle ballate epiche. Non mancano, tuttavia, esempi di tematica amorosa e opere di tipo religioso e mistico. Il maggior poeta paštū, Ḥušḥal H̱ān H̱aṭak (1613-1689), pur trattando il tema amoroso, eccelse nella drammatizzazione della guerra secondo gli ideali della virilità e della cavalleria. La prosa è costituita soprattutto da compilazioni storiche fino alla seconda metà del 19° secolo, quando nasce il genere novellistico. Nel 20° secolo il paštū si aprì agli influssi occidentali e nacque una letteratura con tematiche sociali e politiche. Più vivace della letteratura dotta è sempre stata quella popolare, che trova espressione in canti storico-epici, canzoni, leggende e innumerevoli canti d'amore.
Il balūčī si divide in due dialetti: il sulaymānī del nord e nord-est, e il makrānī dell'ovest e sud-ovest. In entrambi la poesia è solo orale, tramandata da poeti-cantori di professione. La tematica è amorosa, talvolta religiosa e didattica, ma soprattutto epica, con ballate eroiche incentrate sulla storia tribale. La produzione in prosa è scarsa, costituita da opere di tipo religioso o da storie d'amore.
Bibl.: Le indicazioni sono limitate alle opere di carattere generale, disponibili in lingue occidentali: Th. H. Thornton, The vernacular literature and folklore of the Punjab, in Journal of the Royal Asiatic Society, 17 (1850), pp. 373 ss.; J. Garcin de Tassy, Histoire de la littérature hindoue et hindoustanie, 3 voll., Parigi 1870-712; M. Longworth Dames, Popular poetry of the Baloches, 2 voll., Londra 1907; G.A. Grierson, Linguistic survey of India, Calcutta 1916, voll. viii, ix e x; T. Grahame Bailey, A history of Urdu literature, ivi 1932; W. Lentz, Sammlungen zur Afghanischen Literatur und Zeitgeschichte, in Zeitschrift der Deutschen Morgenländische Gesellschaft (1937), pp. 711-32; R.B. Saksena, A history of Urdu literature, Allahabad 1940; A. Bausani, Letterature islamiche, in Islamologia, a cura di F.M. Pareja, Roma 1951, pp. 594 ss.; U.M. Daudpota, Sindhi literature, Karachi 1951; A. Bausani, Sguardo alle letterature del Pakistan, in Oriente Moderno, 37 (1957), pp. 400 ss.; Id., Storia delle letterature del Pakistan, Milano 1958; M. Sadiq, A history of Urdu literature, Londra 1964; A. Ahmad, An intellectual history of Islam in India, Edimburgo 1969, pp. 91-126; A. Schimmel, Classical Urdu literature from the beginning to Iqbal, in A history of Indian literature, 8, parte i, fasc. 3, Wiesbaden 1975; G.C. Narang, Modern Urdu literature, in A history of Indian literature, ibid., fasc. 4, ivi 1976; M. Sardar Khan Baluch, A literary history of the Baluchis, Quetta 1977.
Archeologia. - Le più antiche vicende relative al popolamento umano sono state illustrate da rinvenimenti di materiali paleolitici nelle valli del Soan e Jhelum, nel P. settentrionale, che sembrano risalire ad almeno 400.000 anni or sono. Ma sono stati gli scavi francesi nel sito di Mehrgarh, in Balūčistān, a fornire le testimonianze di maggiore consistenza per la preistoria: qui la lunga sequenza culturale inizia con un insediamento neolitico aceramico di eccezionale importanza, databile al 7°-6° millennio a.C.
La principale civiltà protostorica dei territori corrispondenti al moderno P., quella dell'Indo o harappana, è oggi meglio nota grazie alle ricerche condotte sia nei suoi centri principali (Mohenjō-darō, Haṛappā) sia nelle aree periferiche (Makrān, Čōlistān); nello stesso tempo si vanno delineando i rapporti con le culture che l'hanno preceduta (Koṭ Diǧī, Saray Khola, Gumla, Rahman Ḍherī, Sheri Khan Tarakai). Di particolare interesse è l'individuazione da parte di una missione italiana a Mohenjō-darō di grandi piattaforme in mattoni crudi su cui sorgeva la città, al riparo dal mutevole corso dell'Indo. Non si è invece ancora giunti a una decifrazione della scrittura harappana, anche se la teoria propugnata da A. Parpola e da altri studiosi, secondo i quali i segni nasconderebbero una lingua dravidica, sembra dare già alcuni risultati.
L'età del Bronzo e quella del Ferro nel Nord del paese sono note soprattutto per gli scavi italiani nello Swāt (v. in questa Appendice) e per quelli pakistani nel Dīr: alla denominazione di Gandhāra grave culture si propone oggi di preferire quella di north-western culture. I recenti scavi di Haṭhial presso Taxila contribuiscono a illuminare i rapporti tra le aree di montagna e la pianura dell'Indo.
Per il periodo storico, oltre alle ricerche nello Swāt, le nuove scoperte riguardano soprattutto il settore dell'architettura buddhistica. Nel Gandhāra si segnalano gli scavi giapponesi nell'importante complesso sacro di Rānīgat, non lontano da Swabī, mentre presso Attock è stata portata alla luce dal dipartimento di Archeologia del P. un'area sacra di minori dimensioni. In Sind, un'indagine condotta sul cosiddetto stūpa di Mohenjō-darō ha messo in risalto le numerose particolarità costruttive che distinguono questo monumento dallo schema comune agli stūpa del sub-continente indiano e che farebbero pensare al riadattamento di un monumento precedente.
Di particolare rilievo sono le scoperte compiute da una missione congiunta pakistano-tedesca nella regione dell'alto Indo e nel resto delle northern areas del P. (Čilās, Gilgit, Hunza, Baltistān).
Qui sono stati individuati e documentati migliaia di graffiti e iscrizioni rupestri, distribuiti lungo le vie di comunicazione e spesso concentrati nei punti di attraversamento dei fiumi. I soggetti più antichi mostrano una marcata affinità con l'arte animalistica delle steppe centroasiatiche del 1° millennio a.C.; nel periodo storico, dal 1° al 7° secolo d.C., sono i soggetti religiosi a costituire il nucleo più consistente, soprattutto quelli buddhistici, che oltre a immagini isolate comprendono anche scene narrative dai jātaka. Le iscrizioni sono in genere costituite da nomi propri e da brevi dediche religiose: non si limitano alle lingue e alle scritture usate dalle genti locali o delle aree limitrofe, ma comprendono anche lingue di regioni lontane, quali il sogdiano o il cinese, a testimonianza della portata del transito di viaggiatori e di merci.
La prima islamizzazione del paese è testimoniata dagli scavi della città di Manṣūra, la seconda fondazione araba nel Sind (8°-13° secolo), di poco posteriore a Banbhōre. La città, cinta da mura con bastioni semicircolari con quattro porte, ha un impianto ortogonale; la Grande Moschea, di pianta rettangolare, ne rappresenta il centro attorno a cui si accorpano il mercato, la scuola teologica e la residenza del governatore, non diversamente da quanto attestato per le più antiche moschee della regione mesopotamica.
Bibl.: Per la preistoria e la protostoria: J.-F. Jarrige, M. Lechevallier, Excavations at Mehrgarh, Baluchistan; their significance in the prehistorical context of the Indo-Pakistani borderlands, in South Asian Archaeology 1977, a cura di M. Taddei, Napoli 1979, pp. 463-535; B. B. Lal, S. P. Gupta, Frontiers of the Indus civilization, Nuova Delhi 1984; Interim reports I-III. Reports on the field work carried out at Mohenjo-Daro..., a cura di M. Jansen, G. Urban, M. Tosi, Aquisgrana-Roma 1984-88; R. W. Dennell, H. M. Rendell, M. A. Halim, New perspectives on the Palaeolithic of northern Pakistan, in South Asian Archaeology 1983, a cura di J. Scohtsmans, M. Taddei, Napoli 1985, pp. 9-19; J. R. Knox e altri, Explorations and excavations in Bannu District, North-West Frontier Province, Pakistan, 1985-1988, "British Museum Occasional Papers, 80", Londra 1991.
Per il periodo storico: A. A. Farooq, Excavations at Mansurah: 13th Season, in Pakistan Archaeology, 10-22 (1974-86), pp. 3-35; Zwischen Gandhara und der Seidenstrasse (Catalogo), Magonza 1985; A. H. Dani, The historic city of Taxila, Tokyo 1986; Gandhāra 1,2. Preliminary reports on the comprehensive survey of Buddhist sites in Gandhāra, 1983-1985, Kyoto 1986-89; G. Verardi, Preliminary report on the Stūpa and the Monastery of Mohenjo-Daro, in Interim reports II, a cura di M. Jansen, G. Urban, Aquisgrana 1987, pp. 45-58; Antiquities of Northern Pakistan. 1 Rock inscriptions in the Indus Valley, a cura di K. Jettmar, Magonza 1989; The crossroads of Asia. Transformation in image and symbol (Catalogo), Cambridge 1992.
Architettura. - A seguito della creazione dello stato islamico del P. (1947), furono messi in opera molti progetti per fare in modo che Karāchī passasse dal ruolo di capoluogo regionale a quello di capitale della nuova repubblica. Malgrado ciò, quando Ayub Khan prese il potere (1958), l'idea di una nuova e più bella Karāchī fu abbandonata in favore della creazione di una nuova capitale: Islāmābād, situata nelle adiacenze di Rāwalpindi, ai piedi delle montagne del Kaśmir. Il prestigioso incarico di progettare Islāmābād, nonché la città satellite di Korangi, nelle vicinanze di Karāchī, fu affidato nel 1959 allo studio di architettura e urbanistica Doxiadis and Associates.
Nel 1960 C.A. Doxiadis e i suoi collaboratori progettarono per la nuova capitale 5000 abitazioni, adottando il principio delle case in linea a più piani, lungo file di uguale lunghezza da ambo le parti della strada senza marcate personalizzazioni dello schema (1960-65). Alla costruzione di Islāmābād lavorarono numerosi altri architetti, sia provenienti da diverse parti dell'Europa sia pakistani.
Nel settore G7, G. Bridgen e C. Franklyn realizzarono (1965) unità abitative articolate intorno a un mercato coperto, con spazi comuni, bar e sale da tè, che ricordano la struttura dei bazar persiani. Allo stesso Bridgen e a D. Lovejoy si deve il progetto del Government Hostel (1986), che, situato nella zona riservata a edifici importanti, presenta una pianta ad atrio con spazi porticati e cortili allietati da fontane secondo la moda mediorientale. La Moschea, nel settore G6, è opera dell'architetto pakistano Khaja Zaheer ud Din, interessato al mantenimento delle forme islamiche (1965). Lo studio Ponti, Fornaroli e Rosselli ha lavorato al progetto del Secretariat (1963), edificio enorme che ricorda vagamente un caravanserraglio; l'opera migliore dello stesso studio è l'Hotel Sherazad (1979-81). Il progetto della National Library, rimasta incompiuta, è dello studio inglese di R. Matthew e S. Johnson Marshall.
Nel 1962 L. Kahn fu incaricato di progettare un centro amministrativo e culturale per la seconda capitale del P. orientale: la zona destinata alla nuova capitale era Ayub Nagar, distante alcune miglia dal vecchio centro britannico di Dacca, con i suoi edifici di mattoni rossi e pietra da taglio. Kahn presentò le sue proposte nel 1964 e i primi edifici furono completati nel 1967, quattro anni prima della formazione del nuovo stato del Bangla Desh, di cui Dacca divenne capitale.
Kahn lavorò a Dacca fino al 1974, anno della sua morte, e in questo periodo mise a punto le teorie sviluppate nei precedenti venticinque anni di attività. La sua opera più importante, punto focale di un insieme di edifici a destinazione amministrativa, diplomatica e residenziale, è il National Assembly Building, iniziato nel 1964: consiste in una sala ottagonale circondata da gallerie e spazi deambulatori. Come in tutti gli edifici progettati da Kahn, elemento molto importante è il modo in cui è sfruttata la luce del sole per impreziosire le forme architettoniche; a questo fine sono destinate le aperture circolari nel tetto, che portano la luce nel cuore della costruzione, e, secondo le parole dello stesso Kahn, "trasformano la stanza sottostante in un tesoro di ombre". Alla stessa estetica si rifanno i Secretariat Hostels e gli Hostels for members of the National Assembly (1968).
Negli anni Settanta e Ottanta le opere di architetti pakistani come H. Fida e Y. Lari a Karāchī e Quetta mostrano l'alto grado di preparazione della classe professionale locale, che ormai si rivolge all'Occidente solo per consulenze specialistiche, capovolgendo quindi le tendenze del passato. Ne sono esempi il Burma Pakistan Oil Building (1976) e l'hotel Taji Mahal (1981), rispettivamente di Fida e Lari. Degli statunitensi Payette Associates, in collaborazione con l'iraniano Mohzan Khadem, è il progetto dell'Agha Khan Hospital di Karāchī, completato nel 1984 con il finanziamento dell'Agha Khan Trust: in questo edificio, uno dei più notevoli recentemente costruiti in P., è stata raggiunta una soluzione che ha consentito di usare con successo forme e linguaggi locali, unendoli a schemi e mezzi tecnici contemporanei.
Bibl.: R. Giurgola, J. Mehta, Louis Kahn, Boulder-Zurigo 1965; C.A. Doxiadis, Ekistics. An introduction to the science of human settlements, Londra 1968; S. Nilsson, The new capitals of India, Pakistan and Bangladesh, ivi 1982; C. Correa, The new landscape, Bombay 1985; B. Fletcher, A history of architecture, Londra 198719.
Cinema. - Dopo la sua indipendenza dall'India (1948), il P. si è trovato nella condizione di dover ricreare anche le strutture della cinematografia, avendo perduto, con la separazione dall'India, apparati tecnici, maestranze, teatri di posa. La possibilità di riprendere la produzione di film non si presentò che nei tardi anni Cinquanta, periodo in cui vennero girati circa quaranta film all'anno, per lo più melodrammi o ricostruzioni storiche: uno standard men che mediocre, dal quale si distaccano soltanto alcune opere particolarmente significative, come Kismet (1957) di N. Ajmeri e Day shall dawn (1959) di A. Kardar. Negli anni successivi la cinematografia pakistana non ha mostrato alcun segno di evoluzione nei temi e nei soggetti generalmente trattati; questa situazione di stallo ha fatto sì che pochi registi − tra i quali M. Pervez e A. Bashir − abbiano avuto l'opportunità di mettersi in luce, tanto più che alle precarie condizioni dell'industria ha fatto da contrappunto una censura politica vigile e severa. Lo stesso Kardar ha dovuto attendere il 1978 per il suo secondo film, Of human happiness.