PALEOANTROPOLOGIA
. Il rapido susseguirsi in questi ultimi anni delle scoperte sull'uomo fossile, cioè sull'uomo di tempi geologici anteriori all'attuale, nelle diverse parti del mondo, ha accresciuto fortemente il patrimonio della paleoantropologia, di quel ramo scientifico che più espressamente se ne occupa, in guisa che riesce difficile darne un'idea sufficientemente chiara in breve spazio, dovendosi fare ricorso, insieme, a fatti e teorie morfologiche. Ma maggiori difficoltà risultano dalla necessità, in una tale esposizione, di riferimenti geologici, paleontologici e archeologici. I primi, com'è noto, sono strettamente connessi agli eventi del Glaciale, sopra i quali si hanno concezioni assai diverse, di cui nessuna si può dire ancora definitiva. Gli ultimi, i fatti archeologici, non solo non sono in grado, per la loro stessa natura, di darci una cronologia, ma ancora si può dire siano conosciuti scarsamente e, nelle linee generali, solo per due continenti, Europa e Africa, talché accanto ai classici tipi d'industria, stabiliti nel non lontano tempo di Gabriel de Mortillet, si sono venuti stabilendo e si stabiliscono sempre nuovi tipi che hanno complicato assai il quadro delle industrie umane paleolitiche. A ciò si aggiunga, per l'aspetto più strettamente antropologico, che si va facendo strada l'idea che le difficoltà d'interpretazione di certi fossili (come quello, ad esempio, di Piltdown) dipendano dal fatto che le idee morfologiche generali attualmente prevalenti vanno per lo meno corrette, se non addirittura cambiate.
Nelle più note esposizioni dei fossili umani si dà la massima importanza alla razza di Neanderthal e ai fossili europei in genere. Le recenti scoperte africane di L. S. B. Leakey hanno portato l'attenzione massima sull'Africa e sempre meglio dimostrato la tardività della razza di Neanderthal, contribuendo ancora a confermare l'esattezza del concetto di H. Breuil, che l'Europa sia stata nel passato un fondo di sacco, in cui siano arrivate in ritardo le ondate culturali e umane provenienti dall'Africa e dall'Asia. Abbiamo perciò creduto opportuno iniziare la nostra esposizione dall'Africa, in guisa che l'Europa viene solo al terzo posto.
Riguardo alla cronologia del Quaternario, crediamo di dovere aderire alla concezione tetraglaciale di A. Penck e E. Brückner. Ricordiamo che un archeologo di straordinaria esperienza, H. Breuil, ha fatto completa adesione alla teoria tetraglaciale, inquadrando in essa oltre ai fatti archeologici da tempo conosciuti e accertati da altri autori, anche quelli da lui stabiliti in questi ultimi anni, con l'introduzione di nuovi tipi industriali, fra cui importantissimi ci sembrano il Clactoniano e il Levalloisiano.
Del resto la nuova teoria di W. Soergel con undici fasi glaciali, che viene detta armonizzare con la teoria di Köppen-Wegener sulle oscillazioni della radiazione solare, si concilia abbastanza bene con la teoria tetraglaciale, ammettendo che ognuno dei quattro grandi glaciali di Penck consista di più acmi. D'altra parte, come nota H. Weinert, la teoria di Soergel è praticamente, per gli scopi antropologici, al giorno d'oggi, poco applicabile. Come è noto, Penck stabilì una correlazione delle industrie litiche note al suo tempo (1910) col suo sistema glaciale, per la quale le industrie più primitive, note allora, lo Chelleano (meglio da chiamarsi Abbevilliano) e l'Acheuleano (o industrie bifacciali), erano poste nel grande interglaciale Mindel-Riss, il Mousteriano si faceva iniziare col Riss. A questa concezione era opposta quella di M. Boule, cui aderirono la gran parte degli archeologi e per la quale tutto lo svolgimento industriale del Paleolitico antico era collocato nel terzo interglaciale (Riss-Würm), il Mousteriano continuandosi nel Würm. Al sistema del Boule, che ha prevalso a lungo, sono stati portati due grandi colpi, l'uno da parte del Breuil, con la sua sistemazione (del 1932) delle industrie del Paleolitico antico, che qua sopra riportiamo, semplificata, per la quale egli oltrepassa persino la concezione del Penck nell'invecchiamento delle industrie bifacciali; l'altro colpo dai risultati raggiunti dal Leakey e dai suoi colleghi geologi inglesi, con la correlazione cronologica delle industrie del Kenya (v. oltre). Se le correlazioni fra industrie e climi africani, affermate dal Leakey, si dimostreranno stabili, non è detto che debbano applicarsi, senz'altro, all'Europa. Questa certamente, secondo il Sera, deve essere stata in ritardo. Ma ciò che risulta evidente fin da ora, per molte considerazioni oltre che per i risultati del Breuil, è che la concentrazione di tutte le fasi industriali in quell'unico terzo interglaciale non è ormai più accettabile, e questo ha importanti conseguenze per l'antropologia. Per ciò che riguarda la cronologia del Paleolitico superiore europeo, basterà ricordare che, a giudizio dei più, i termini archeologici successivi di Aurignaciano, Solutreano, Magdaleniano, Aziliano si distribuiscono all'ingrosso dopo l'acme del Würm fino alla fine dello stadio Bühl.
A chiarimento di quanto segue, diremo che si è preferito esporre continuatamente, a differenza di quanto è stato fatto da altri, tutti i dati, sia quelli relativi al Paleolitico antico, sia quelli del superiore e questa esposizione è stata eseguita non per continenti, ma per le grandi zone comprese nei continenti. In tal maniera le connessioni fra le forme della stessa zona e di zone prossime risulteranno più chiare.
Africa.
Kanam e Kanyera. - Nel 1931 L. S. B. Leakey trovò nelle due località ora citate presso Kendu al NE. del Lago Vittoria dei resti umani, più sotto specificati, accompagnati da fauna e da prodotti industriali. Per la grande importanza dei reperti e per evitare critiche e dubbî, che in simili occasioni sono assai frequenti (e soprattutto sono facilmente avanzati da coloro che ne giudicano a distanza di tempo e di spazio), il Leakey convocò a Cambridge nel marzo del 1933 ventotto studiosi, per giudicare dei fatti. Furono così costituiti quattro comitati: uno geologico, uno archeologico, uno paleontologico e un ultimo antropologico. Dagli apprezzamenti di questi comitati risultò in primo luogo che i due reperti sono diversi per le loro conclusioni complessive. Il comitato paleontologico stabilì che a Kanam la fauna è caratterizzata soprattutto da un Deinotherium, assai grande, da un Mastodon, da due Rinoceronti che ancora vivono nella regione, e da un Ippopotamo. In seguito a ciò, la fauna dovrebbe esser datata almeno quale appartenente al Pleistocene inferiore, dato che le due prime forme sono caratteristiche del Pliocene superiore. La fauna che accompagna il reperto di Kanyera è molto più giovane: Elephas antiquus, due Antilopi, Phacochoerus, Hipparion, Equus. Tuttavia esso non sarebbe posteriore al medio Pleistocene. Il comitato geologico stabilì che i resti ossei umani appartengono veramente agli stessi orizzonti faunistici e che la stratigrafia permette d'affermare che entrambi i reperti precedono un periodo di forti movimenti e piegamenti tellurici nella regione. Il comitato archeologico credette opportuno entrare nella questione della corrispondenza tra l'industria africana e l'europea. Ecco in breve le conclusioni: a Oldoway (vedi oltre) vi è un deposito stratificato continuo, che può servire di modello. Nello strato I esiste una semplice industria "a ciottoli lavorati", cui si aggiungono, nello strato II, forme amigdaloidi e rostroidi, che si svolgono nelle parti superiori dello stesso strato. Nello strato III uno Chelleano evoluto passa in un Acheuleano molto evoluto, che infine nello strato IV arriva a un Acheuleano completamente evoluto. Sebbene raschiatoi, amigdale rotonde e utensili su scaglia siano presenti, essi non sono mai dominanti. A G. Sera quest'evoluzione fa l'impressione di uno svolgimento sopra la sola linea amigdaloide, con pochi contatti con altre industrie. L'industria a ciottoli non ha corrispondenti in Europa. Quella dello strato II corrisponde all'industria europea del Pleistocene basale e l'industria superiore dello strato IV corrisponderebbe a quella delle ghiaie del Tamigi con Acheuleano.
La mandibola di Kanam è accompagnata da ciottoli lavorati e quindi corrisponde allo strato I di Oldoway, i resti di Kanyera da strumenti chelleani e quindi corrisponde allo strato II. Il resto umano del reperto di Kanam consiste in un frammento di mandibola che comprende la sinfisi. Il comitato anatomico, soprattutto per la conformazione del mento, stima che il frammento appartenga all'uomo recente (Homo sapiens), cioè a forma che non ha nulla a che fare con l'uomo di Neanderthal (vedi oltre). Solo trova lo spessore della sinfisi un po' forte, ma A. Keith e il Lawrence ritengono si tratti di un sarcoma ossificante, e quindi il detto spessore non sarebbe un carattere tipico raziale. I resti umani di Kanyera consistono in un cranio incompleto (N. 1) femminile, altri frammenti appartenenti a un altro cranio (N. 3) maschile, associati a un pezzo di diafisi femorale. I due cranî sono stati ricostruiti dal Leakey e permettono di stabilire la loro appartenenza alla stessa forma stretta e lunga (indice 67-68). Benché l'uno di essi presenti uno spessore delle ossa assai rilevante, anzi eccezionale, non presentano sviluppo né ispessimenti sopraorbitarî, in guisa che è esclusa ogni somiglianza con l'uomo di Neanderthal. Questo fatto, data la grande antichità delle due forme, e data la provenienza africana, è di notevole importanza per l'idea che ci dobbiamo fare intorno alla detta razza, come poi si dirà. Dobbiamo però anche osservare, e pur troppo questo varrà in molti altri casi, che, mancando la faccia, nulla si può dire per questi reperti, sul loro tipo raziale.
Reperti del Kenya. - Allo stesso Leakey dobbiamo una serie di altri reperti, realizzati durante gli scavi nel territorio del Kenya, nelle campagne archeologiche del 1926-27 e 1927-28. Queste campagne furono eseguite più precisamente nel territorio compreso fra i tre laghi, Nakuru, Elmenteita e Naivasha. Oltre all'industria e alla fauna, furono trovati parecchi resti umani. Questi reperti però sono di date assai posteriori a quelli precedentemente ricordati.
Il merito maggiore del Leakey e dei suoi collaboratori, il geologo J. D. Solomon, il meteorologo G. E. P. Brooks, è d'aver dato una sistemazione delle corrispondenze climatiche e industriali dell'Africa orientale con quelle dell'Europa occidentale, durante il Pleistocene, il che è di una grande importanza per la comprensione di tutte le questioni antropologiche del Quaternario, anche relativamente all'Europa, benché la detta sistemazione non si possa ancora dire assolutamente sicura.
Secondo questa sistemazione, a ragione della latitudine assai diversa, ai grandi periodi glaciali europei corrisponderebbero, nell'Africa equatoriale, periodi pluviali; ai due primi grandi glaciali europei (Günz e Mindel) corrisponderebbe il primo grande pluviale africano o Kamasiano (in cui forse sono da fare divisioni), ai due ultimi grandi glaciali europei, Riss e Würm, corrisponderebbe il periodo pluviale Gambliano, distinto a sua volta in due fasi, separate da un periodo moderatamente secco. Ma si troverebbe in Africa anche un termine pluviale corrispondente allo stadio Bühl, che viene chiamato Makaliano e un ultimo detto Nakuriano, di data assai recente (850 a. C.). Il Leakey pone nel periodo Kamasiano l'evoluzione delle industrie chelleo-acheuleane. Nel grande interglaciale Mindel-Riss egli pone un'industria da lui detta Nanyukiana, a bifacce piatte, cordiformi od ovali e ad altri utensili, che le dànno un aspetto di mousteriano a tradizione acheuleana. Il dato più interessante, forse, trovato dal Leakey, per l'aspetto archeologico, è che durante il Gambliano e fino dai suoi inizî (Riss) si presentano due industrie, l'una mousteriana e l'altra aurignaciana, allo stato indipendente e spesso alternantisi, che solo più tardi si fondono. La prima sembra più frequente nelle alluvioni, la seconda nelle grotte. Avremmo così in Africa condizioni diverse da quelle dell'Europa, ove l'Aurignaciano segue sempre il Mousteriano. Nella grotta di Gamble, insieme con l'Aurignaciano superiore si sarebbero inoltre trovati frammenti di una ceramica mal cotta. Anche nel declinare del Würm la facies Stillbay (Mousteriano svolgentesi verso il Solutreano) e il tardo Aurignaciano sarebbero contemporanei.
Nella fase umida postmakaliana si avrebbero due industrie contemporanee e di carattere mesolitico, l'una che l'autore chiama Elmenteitano, che corrisponde tipologicamente all'Aziliano di Europa e che contiene abbondante ceramica; l'altra che corrisponde al Wilton dell'Africa meridionale (vedi oltre). Le industrie ulteriori stabilite dal Leakey non interessano più il quadro di questa trattazione, riferendosi esse al Neolitico. La grotta di Gamble fornì al Leakey quattro livelli di occupazione da parte dell'uomo. Sotto il secondo livello, cronologicamente parlando (ma detto terzo, per riferirsi all'ordine delle scoperte di essi livelli), furono trovati due scheletri, l'uno maschile e l'altro femminile. Essi non sono stati ancora descritti dal Leakey, ma di essi si sa abbastanza per escludere che siano del tipo di Neanderthal. Siccome dobbiamo attribuire, stando alla sistemazione del Leakey, lo strato in cui furono trovati gli scheletri almeno alla fase di regresso del secondo pluviale, il fatto che questi cranî presentano i caratteri dell'uomo attuale è di una grande importanza. Anche i tre cranî dell'Elmenteitano (A, D1, F1) sono affatto di tipo morfologico attuale, ciò che del resto non sorprende, data l'epoca a cui appartengono. Stando a A. Keith, il cranio maschile dell'Aurignaciano superiore del Kenya somiglierebbe assai al cranio di Oldoway.
Oldoway. - In questa località, poco distante dalle precedenti, nel 1913, H. Reck di Berlino scoprì uno scheletro completo giacente in antichi terreni di origine pluviale a tre metri circa sotto la superficie del suolo, in strati intatti. I depositi d'origine pluviale di questa regione, al nordovest del lago Eyasi, sono molto potenti (oltre 100 m. in qualche punto) e contengono ceneri vulcaniche e tufi calcarei, che sono molto adatti per la conservazione dei resti fossili. Una corrente ha tagliato in questi depositi una gola e i fianchi di questa presentano così sezioni naturali degli strati. Il Reck vi raccolse una grande quantità di mammiferi fossili, di specie in buona parte ormai scomparse. Il Dietrich, in base all'esame dei resti di elefanti, attribuì i depositi al medio e superiore Pleistocene. Il Leakey e H. T. Hopwood, accompagnati dal Reck stesso, rivisitarono i depositi di Oldoway nell'ottobre del 1931. Il primo viene alla conclusione che i quattro primi strati stabiliti dal Reck appartengono al periodo Kamasiano. Si è visto in precedenza quali siano le loro facies industriali. Giacendo lo scheletro nello strato II saremmo condotti a un'antichità equivalente al Pleistocene inferiore. Sennonché alcune circostanze del reperto (scheletro completo in tutte le sue ossa, con arti strettamente ripiegati, in guisa da far pensare che essi siano stati legati intorno al corpo), avevano fatto supporre a W. Gieseler e T. Mollison, che descrissero i resti umani, una sepoltura intenzionale avvenuta in età indeterminata. Il Leakey e il Hopwood hanno sostenuto che lo scheletro fu seppellito nello strato II prima della formazione degli strati III, IV, V. Ma un esame litologico e mineralogico dei resti del materiale, che era associato direttamente allo scheletro, anzi contenuto nel torace, ha dimostrato a P. H. G. Boswell la presenza di elementi appartenenti agli strati III, IV, V e quindi egli affermò che lo scheletro è di età post-aurignaciana. Infine però, essendosi riconosciuta l'identità degli elementi litici industriali, sia alla base sia alla cima del livello V, come aurignaciani superiori, tutti gli autori precedenti, compreso il Boswell, si sono messi d'accordo per ritenere che lo scheletro fu sepolto nel livello II in un'epoca in cui esso, in seguito a un'erosione completa dei livelli III, IV, era in superficie, cioè quando si formava il livello V, alla cui base furono trovati strumenti aurignaciani superiori.
Gieseler e Mollison diedero solo una nota preliminare intorno a questo scheletro, dato che lo stato di conservazione di esso rendeva necessario un lungo lavoro di ricostruzione, non ancora finito. Dal radio destro, completo, il Gieseler desume, in base alle tabelle del Manouyrier, una statura di cm. 180 e press'a poco la stessa statura si desume dall'ulna destra, incompleta, ma la cui lunghezza è apprezzabile con approssimazione. La tibia destra presenta platicnemia; l'indice pilastrico del femore sinistro raggiunge l'altissimo valore di 131. Il cranio, malgrado lo stato di disfacimento, specialmente della metà sinistra, fu soddisfacentemente ricomposto dal Mollison, in guisa che esso permette di stabilirne i caratteri essenziali. È stretto e lungo (indice 66) ortocefalo (indice v. l. 68), ha faccia stretta e alta. Indice nasale però non molto basso, perché l'altezza nasale non è notevole; orbite alte. Il Mollison riconobbe in queste le caratteristiche dei Masai, cioè di una popolazione cosiddetta camitica, che oggi abita in territorio prossimo. Tuttavia il Mollison dà sempre un'età magdaleniana allo scheletro e solo dice che l'antichità del tipo camitico in Africa (nell'ipotesi che questo venga da fuori, come pare credere l'autore) potrebbe essere assai grande. Per i caratteri della regione fronto-naso-lacrimale, abbastanza bene conservata, il cranio appartiene al tipo etiopico-caucasiano del Sera.
Passando ora all'Africa del sud, bisogna cominciare col dichiarare che, mentre le sue facies industriali, la loro successione, sono abbastanza bene conosciute (e divise, per il Paleolitico, in tre parti, corrispondenti a quelle dell'Europa, tipologicamente parlando), la cronologia di esse è ancora da stabilire su basi sicure. Recentemente (1932) il generale Smuts ha compiuto un saggio di cronologia, basato sulle correlazioni stabilite dal Leakey per il Kenya. Egli colloca nel Kamasiano (v. sopra) l'industria di Stellenbosch (Paleolitico antico), nel Gambliano quella del Paleolitico medio (Glen Grey, Howieson Port, Pietersbay e Still Bay), nel Makaliano e dopo quelle del Paleolitico recente (Smithfield e Wilton).
Boskop. - Il reperto di Boskop è rimasto famoso, perché fu il primo dell'Africa meridionale. In realtà, come disse il Boule, è una scoperta incompleta e d'interpretazione difficile, anzi pericolosa. Anche M. R. Drennan, l'anatomico di Città del Capo, ammonisce a non trarne illazioni eccessive. Il reperto consiste in una calotta incompleta, un temporale destro, un frammento di mandibola e frammenti di diafisi di ossa lunghe. Le ossa, molto mineralizzate, furono trovate a circa m. 11/2 di profondità, senza industria certa e senza fossili. Tuttavia lo stesso Boule, molto guardingo di solito, tende ad ammetterne l'età pleistocenica. La calotta è di grandi dimensioni. Secondo Keith, essa misura 205 mm. di lunghezza, 154 di larghezza (indice 75) e un'altezza soprauricolare di 115 (indice 56); è perciò un ultraplaticefalo. Ma alcuni caratteri di questa calotta (fronte relativamente stretta, bozze parietali sporgenti, appiattimento sopraoccipitale, solcatura della sutura fra parietali) fanno pensare che non sia esente da fatti subpatologici, almeno, se non patologici e che l'estrema platicefalia sia, in parte, di valore individuale. In complesso però il tipo è platicefalico. È da ricordare l'enorme spessore dei parietali, che arriva a 15 mm. ma che però verso la periferia diminuisce, costituendo così un altro fatto subpatologico. L'enorme capacità attribuita unanimemente a questo cranio (Haughton, 1832; Elliot Smith, 1900; R. Broom, sul modello della cavità endocranica, 1900; Keith, 1700) è certo un fatto individuale; ma altri cranî, trovati in altri luoghi, fra cui la caverna di Tsitsikama, vicino a Port Elisabeth, e attribuiti a questo tipo, presentano pure forti capacità. Questi reperti hanno dato luogo alla creazione di una razza di Boskop, di cui il Drennan dice, con ragione, che analogamente a quanto avvenne per la razza di Cro-Magnon (v. oltre) si prestò a coprire una quantità di tipi diversi fra loro. È opinione di molti studiosi dell'Africa meridionale, condivisa dal Keith, che l'uomo di Boskop sia il progenitore del gruppo boscimano-ottentotto, ma il Sera osserva che un cranio femminile della grotta di Tsitsikama, studiato dal Dart e che conserva la parte superiore della faccia, stando alla figura che ne dà il Dart e stando alle sue esplicite dichiarazioni, presenta una salienza tale dei nasali e dell'apofisi ascendente, che non s'accorda affatto con tale ipotesi. Il reperto poi di Fish Hoek, che ha chiare affinità col gruppo boscimano-ottentotto, non presenta nella parte cerebrale somiglianze con Boskop.
Bushveld (Springbok). - I resti di questo nome furono trovati nel gennaio 1929, facendo una trincea per una strada, negli Springbok Flats, a 80 miglia al nord di Pretoria. Sotto circa un mezzo metro di terreno di superficie erano circa due metri di tufi calcarei. I resti giacevano alla metà di questo secondo strato. Le ossa erano fortemente impregnate di calcare. Insieme con queste, furono trovati resti di un bufalo ora estinto (Bubalus Baini) e d'una grande antilope, pure estinta. Per la cronologia dei reperti, si noti che a Hagenstad, con la fauna a B. Baini e con due grandi antilopi estinte, è associata un'industria dell'età della pietra media.
Il cranio cerebrale era rotto in molti frammenti, di cui un quarto mancante. La ricostruzione è stata difficile e appare in realtà un po' dubbia per la connessione insufficiente dei frammenti. Della faccia, solo i malari sono presenti. La mandibola è quasi completa. Dello scheletro quasi tutte le ossa lunghe sono presenti, ma senza estremità epifisarie. La ricostruzione dà al cranio la lunghezza di 195 mm., la larghezza di 144. Questa seconda misura però non è rigorosa come la prima. Indice orizzontale 74. Fronte eretta, stretta secondo il Broom, che ne dà il valore di 106, quale misura, che però non è certo la frontale minima. La mandibola è lunga, massiccia e spessa nella sinfisi (17,5 mm.) con mento ben formato. Anche l'angolo è molto spesso. Il tipo facciale di questo cranio non si può determinare con esattezza, data la condizione della faccia. Con dubbio si può presentare una diagnosi del quarto tipo facciale del Sera (negritoide). Le ossa degli arti sono grandi e poderose. Lunghezza omerale circa 330 mm.; del femore circa 500; quest'osso sarebbe assai simile a quello di Broken Hill. È fortemente incurvato. Diametri sottotrocanterici 37 e 28. La tibia misura circa 435 mm. con diametri della sezione, al foro nutritizio, di 40 e 30 mm. Il Broom avvicina lo scheletro a quello di Cro-Magnon, ma dice che l'altezza dei parietali nel cranio è piccola, in confronto di quello di Cro-Magnon. La piccola altezza sarebbe un carattere primitivo. Somiglierebbe poco invece a Boskop, da cui differisce per lo spessore piccolo delle ossa (sempre minore di 9 mm.), per l'assenza di bozze parietali, e per i denti piccoli. Le ossa di Boskop sono più mineralizzate e quindi più antiche. Il Broom vede nel tipo di Bushveld il progenitore degli attuali Korana (Ottentotti).
Fish hoek. - Il reperto in questione è il più importante, morfologicamente parlando, di quanti finora siano stati fatti nell'Africa meridionale. Si tratta di uno scheletro completo, in buono stato di conservazione, che fu trovato nella grotta di Skildergat, nel territorio di Fish Hoek, a quindici miglia al sud di Città del Capo. In questa grotta, sotto un deposito di conchiglie marine, attribuito agli Strandloopers (Boscimani-Ottentotti della costa, ora estinti), si trovò un livello contenente industria del tipo Still-Bay. In questo livello era sepolto, al di sotto di uno strato lenticolare, contenente industria di tipo Howieson Port, lo scheletro in parola. La maggior parte degli autori riferisce lo scheletro all'industria prima nominata; al Sera ciò non sembra sicuro, potendo darsi che sia da riferirsi proprio allo strato lenticolare suddetto. In breve, si può dire che la faccia di questo scheletro è affatto di tipo boscimano, anzi forse più fine, dice M. R. Drennan; la parte cerebrale ne differisce però profondamente. La regione sopraorbitaria è piuttosto prominente, il profilo frontale non è così verticale, come nei Boscimani, ma sfugge all'indietro, mentre le dimensioni nel piano orizzontale sono assai più grandi di quelle boscimane (200 × 151, onde l'indice di 76), l'altezza basilo-bregmatica è più piccola (123), onde un indice di estrema platicefalia; la capacità è di 1500, forte dunque, ma non come in Boskop, più forte però che nei Boscimani (1300) e negli Ottentotti attuali (1380). È invece uguale a quella degli Strandloopers (Shrubsall). La statura calcolata dal Drennan è di 157,5.
Cape flats. - A piccola distanza da Fish Hoek, una striscia di terra a basso livello sul mare, i Cape Flats, diede alcuni resti ossei. Una sabbia eolica copre ivi l'antica superficie. Una cava di questa sabbia la pone allo scoperto. Fra i detriti di sfruttamento della cava il Drennan trovò resti ossei appartenenti a due cranî, uno dei quali fu possibile ricomporre abbastanza bene. Manufatti litici, trovati ancora fra questi detriti, furono determinati dal Goodwin come appartenenti ai tipi Still-Bay (medio Paleolitico) e Wilton (Paleolitico superiore). Vi è quindi incertezza sull'industria che accompagna il cranio.
La parte cerebrale è quasi completa, ma non altrettanto si può dire della faccia, di cui restano solo un mascellare destro e il corpo della mandibola. Mancano malari e nasali. Quest'assenza, unita all'incompletezza dell'apofisi ascendente del mascellare, lascia completamente, o quasi, ignorare la costituzione della regione più importante della faccia, per la sicura assegnazione del tipo raziale. La ricostruzione della faccia, per dichiarazione dello stesso Drennan, è provvisoria. Il cranio cerebrale presenta forti ispessimenti sopraorbitarî, fronte sfuggente, il contorno nella norma sagittale si eleva assai più alto che nel cranio precedente. Lunghezza massima 191, larghezza massima 132, indice 69. Altezza basilobregmatica 129, indice v. l. 67. Proiettando questi valori col sistema del Sera (v. cefalici, indici) si ha un cranio di tipo dolicoipsicefalico. Il cranio cerebrale è perciò affatto diverso da quello di Fish Hoek, malgrado l'apparente somiglianza data dagl'ispessimenti sopraorbitarî e dalla fronte sfuggente. L'ipsicefalia, l'aspetto carenato della vòlta, la direzione quasi sagittale del tratto residuo dell'apofisi ascendente del mascellare, la dimensione assai notevole dei denti, la capacità piccola (1230) rendono probabile la diagnosi fatta dal Drennan di un vero cranio australoide.
Broken Hill (Rhodesia). - Nel giugno del 1921 fu trovato nella miniera di zinco e di piombo di Broken Hill, nella Rhodesia, dapprima un cranio e, a distanza di un metro circa, nella stessa giornata, una tibia sinistra, poi, di seguito, in condizioni non bene determinate, ma sembra in mucchi di residui di lavorazione, altre ossa, o meglio frammenti, che potrebbero appartenere a più individui. Il cranio però, la tibia e due frammenti di femore sinistro con probabilità sono da attribuire allo stesso individuo maschio adulto. Ciò è ammesso da W. P. Pycraft e dal Keith. Sennonché, come al solito, vi sono opinioni diverse in proposito, ma questa volta, più che dalle condizioni di fatto del reperto, esse sorgono dalla sua morfologia. E così, è soprattutto da parte di A. Hrdlička (il quale crede necessario, per ammettere l'antichità di un fossile, una morfologia neanderthaliana) che sono state opposte difficoltà all'appartenenza delle suddette ossa dello scheletro al cranio. Per le stesse ragioni morfologiche, G. Bonin fa opposizione alla reciproca appartenenza dei suddetti resti. Le condizioni di reperto della tibia e il fatto che il femore "porta scritto in fronte" - come dice il Bonin - per i suoi caratteri, la sua appartenenza alla tibia, rendono sicuro, per chi non abbia pregiudizî, che almeno i segmenti cranio, femore, tibia si corrispondano. Il cranio fu trovato in una nicchia di una grande cavità naturale, senza apertura all'esterno, ripiena di ossa di animali frammentate. Questi animali sono forme però recenti e manca ogni traccia d'industria. Il significato di questo reperto è nella sua morfologia, ma ciò non pertanto esso non è mediocre.
Il cranio, per lo sviluppo della regione sopraorbitaria molto spessa, più che prominente verso l'innanzi, per la fronte estremamente sfuggente, per la sua platicefalia, presenta, secondo i più, i caratteri della razza di Neanderthal. La tibia e il femore, al contrario, come le altre ossa, che qua non si vogliono del resto considerare, sono invece affatto del tipo delle razze attuali. Secondo il Sera però, i caratteri del cranio non sono quelli precisamente che si trovano negli esemplari più completi e tipici della razza di Neanderthal. Il Sera osserva che la regione sopraorbitaria, più che prominente, è spessa nel senso dell'altezza, il cranio è assai più platicefalico, la sua sezione nel piano mediano sagittale si può dire veramente lenticolare; infine e soprattutto, in questo cranio, malgrado le sue forti dimensioni (210 × 145) nel piano orizzontale, malgrado il piccolo spessore delle ossa, abbiamo una capacità di solo 1300. Questo fatto è dovuto certo alla forma lenticolare. L'esame del modello della cavità encefalica (modelli che dànno un'idea delle qualità di forma esterna dell'encefalo) ha dato all'altissima competenza specifica dell'Elliot Smith un risultato assai interessante. Questo autore afferma che la grande deficienza in sviluppo delle aree frontale inferiore, parietale e temporale inferiori chiaramente differenziano l'uomo della Rhodesia dall'uomo di Neanderthal e lo fanno più primitivo. Tuttavia l'Elliot Smith lo pone sempre vicino all'uomo di Neanderthal, mentre il concetto del Sera su quest'ultimo punto è assai diverso. Alla detta posizione non fanno difficoltà i caratteri recenti delle ossa lunghe.
Asselar. - In vicinanza del posto militare di Asselar (Sudan Francese), nella valle del Tilemsi, fu scoperto nel 1927 uno scheletro umano di adulto quasi completo, incluso in sabbie a molluschi fossili di acqua dolce e pesci di grandi dimensioni. Lo strato è attribuito al Pleistocene superiore, quando le condizioni climatiche del luogo erano ben differenti dalle attuali, cioè molto migliori. Il cranio è dolicocefalico alto, la faccia è corta e larga, profatnica, il naso è largo e basso, ma la radice nasale non è depressa. La mandibola è piuttosto leggiera, ma con branca ascendente bassa e larga, il mento ben marcato. Gl'incisivi mediani superiori erano stati strappati durante l'infanzia, secondo il costume che ancora vige in certe popolazioni africane. Le ossa dello scheletro indicano una statura alta, arti inferiori lunghi e avambraccio proporzionalmente lungo. Tutti questi caratteri sono chiaramente negroidi. Il Boule e il Vallois, che hanno descritto lo scheletro, dicono che esso si approssima ai Negri Bantu del sud-ovest dell'Africa e agli Ottentotti, più che agli attuali Negri del Sudan. Alcune rassomimiglianze coi Negroidi di Grimaldi (v. oltre) darebbero a questo scheletro una posizione intermedia fra i Negri tipici e i detti Negroidi. Le somiglianze con gli Ottentotti, sono, in realtà, più che dubbie, per i caratteri della faccia più essenziali.
Afalu-bu-rummel. - In questa grotta del litorale algerino, all'est di Bugia, fu posto in luce in scavi eseguiti nel 1928 e 1929 un vero ossario, appartenente al Paleolitico superiore e, per l'industria, al Capsiano. I resti corrispondono a 50 individui, e ben 9 scheletri hanno potuto essere ricostituiti bene. Una notizia preliminare ne è stata pubblicata dal Boule e dal Vallois. Ecco i caratteri principali di questa serie: cranio assai robusto, pentagonale, mesocefalo, o dolicocefalo, ortocefalo, fronte piuttosto sfuggente, stretta, ispessimenti sopraorbitarî forti, faccia bassa e larga, orbite basse, apertura nasale platirrina e mesorrina, senza prognatismo, mento saliente; ablazione degl'incisivi nell'infanzia; statura elevata e segmenti distali degli arti piuttosto lunghi. Gli autori dicono che questo tipo non risulta nuovo nell'Africa settentrionale, esso era stato segnalato in depositi di età in genere più o meno bene determinata, generalmente considerati neolitici.
Molte opinioni sono state manifestate sulle affinità di questi reperti precedenti, ma nessuna sembra agli autori giustificata. Questi uomini del Capsiano d'Africa sarebbero diversi dagli altri uomini del Paleolitico superiore d'Europa e d'Africa e costituirebbero un tipo, cui spetta il nome di razza di Mekta.
Asia.
Galilea. - Nel 1925, l'archeologo inglese Turville-Petre, praticando scavi in una caverna detta dei Ladroni, nella vicinanza del Lago di Tiberiade, in Palestina, trovò frammenti di un cranio incompleto e rotto in uno strato paleolitico definito per mousteriano dall'industria che vi era presente.
La fauna studiata da D. Bate diede fra l'altro Rinoceronte bicorne, Ippopotamo, Orso bruno, Lama, Bue, Cavallo, fauna che indica che il clima del tempo era più favorevole dell'attuale nel luogo. L'interpretazione corrente è che l'orizzonte corrisponda al Mousteriano europeo e sia quindi würmiano; ma, secondo il Sera, la cosa non è certa. I frammenti del cranio sono: un frontale completo, con parte dei nasali e dell'apofisi ascendente del mascellare, il malare destro e la metà destra dello sfenoide. La prima determinazione lo diede per un tipico Neanderthal, ma successivamente il Keith inclina ad ammettere una speciale varietà di Neanderthal e ciò soprattutto a ragione della vòlta alta e stretta. Il Sera osserva che, orientato il cranio (e ciò è possibile fare con una certa approssimazione), si constata che la prominenza della regione sopraorbitdria non è tanto verso l'innanzi quanto verso l'alto. Il cranio poi doveva essere certo stretto e alto, ma ciò, secondo il Sera, non si può conciliare con una diagnosi di appartenenza al tipo di Neanderthal, in quanto la platicefalia in questo tipo è un elemento essenziale. La forma delle orbite, quadrangolare, la direzione quasi sagittale del piccolo tratto superstite dell'apofisi ascendente fanno supporre al Sera una forma che egli riconnette al suo tipo atlanto-indico, in un basso gradino gerarchico, in breve un vero e proprio australoide.
Mughāret es sukhūl. - Sul Monte Carmelo, in Palestina, l'esplorazione di una caverna detta dei Capretti (Mughāret es sukhūl) diede in uno strato mousteriano, dapprima, nel 1921, lo scheletro di un bambino e poi di altri nove individui (1932). T. D. Mac Cown in base all'esame di tre cranî ben conservati, assicura che essi hanno gli stessi caratteri del cranio di Galilea.
Trinil. - E. Dubois dal 1890 al 1895 conduceva scavi a Giava, per trovare tracce dell'essere intermediario (il pitecantropo o scimmia-uomo) fra l'uomo e l'antropomorfo, che Haeckel aveva preconizzato sarebbe dovuto comparire un giorno alla luce. Il Dubois lo cercava fra i resti di una fauna fossile di vertebrati (di cui erano stati trovati in precedenza esemplari) nel declivio meridionale di una serie di colline basse, i Kendeng, nella parte centrale dell'isola. Questi fossili sono contenuti in letti di tufo vulcanico cementato, consistenti di materiale argilloso, sabbioso e di lapilli che, contenendo resti di animali di acqua dolce, dimostrano un'origine fluviale. Questi strati, che raggiungono localmente più di 350 m. di spessore, riposano, in discordanza, su letti marini di età pliocenica. La suddetta fauna di vertebrati è omogenea, e siccome le specie appartengono quasi esclusivamente a generi viventi (soli estinti sono il genere Leptobos e i sottogeneri Stegodon e Hexaprotodon) deve esser più recente di quella famosa di Siwalik in India (Pliocene superiore) e press'a poco coincidente con quella di Narbada (Pleistocene inferiore). Negli strati suddetti il fiume Solo (o Bengawan) ha scavato un canale, profondo da 12 a 15 metri, vicino a Trinil. In vicinanza di questa località (donde il nome che si dà spesso ai reperti), sulla riva sinistra del fiume, durante il settembre-ottobre 1891, si trovarono un terzo molare e, a un metro di distanza, una calotta, quindi, dopo la ripresa degli scavi nel maggio 1892, fu nell'agosto trovato allo stesso livello ma alla distanza di 15 m., un femore sinistro quasi completo e poi nell'ottobre un secondo molare.
Ma ricordiamo subito che in precedenza nel 1890 sul fiume Brubus, a 40 km. da Trinil, il Dubois aveva trovato un frammento di mandibola, di cui egli non tenne conto, nella sua prima relazione e nel lavoro del 1894; ricordiamo ancora che un premolare fu trovato a Trinil parecchi anni dopo. Si deve subito porre in evidenza, come abbiamo accennato in principio, che questi reperti non furono casuali, giacché il Dubois aveva lasciato l'Europa, nel 1887, con l'esplicita intenzione di trovare documenti delle origini umane. È interessante ricordare che in un primo rapporto parziale, del 1891, il Dubois interpretava la calotta come quella di un grosso scimpanzè. Nel 1894 compariva il lavoro fondamentale sui resti fino allora scoperti (ad eccezione della mandibola). In esso i resti stessi erano sottoposti a un esame accurato e ad alcune misurazioni. Riguardo alla calotta, il Dubois diceva che essa s'avvicina all'uomo, per le sue dimensioni approssimative, mostrando tuttavia rassomiglianze con quella dello Scimpanzè e del Gibbone, per la forma. In base al femore, l'essere in questione doveva avere un'attitudine completamente eretta, anche nella deambulazione, ciò che presuppone una completa libertà delle braccia e delle mani. La forma relativa, per l'uno o l'altro carattere della calotta e del femore, soprattutto, non poteva essere ascritta né al gruppo Simiidae (antropomorfi) né agli Hominidae, ma richiedeva la costituzione di una nuova famiglia Pithecanthropidae, con un nuovo genere Pithecanthropus, concepito come una forma intermedia fra l'uomo e le scimmie elevate (antropomorfi). I resti, portati in Olanda, dove frattanto il Dubois era ritornato, furono visti e studiati da numerosi scienziati e furono presentati al congresso internazionale zoologico di Leida, nel settembre 1895 e poi, nel dicembre dello stesso anno, a Berlino. Comparvero subito, a partire dallo stesso anno 1895, numerose memorie sul soggetto, le principali delle quali dovute a Manouvrier, Cunningham, Turner, Krause, Virchow. Nel 1899 comparve una memoria dello Schwalbe, limitata però allo studio della calotta. Per quanto la scoperta suscitasse generale interesse, si era ben lungi dall'accettare senz'altro le conclusioni del Dubois e s'iniziarono quelle controversie, che ancora oggi, a distanza di quarant'anni, non sono ancora chiuse col prevalere di un'opinione, controversie anzi che hanno dato a più d'uno la convinzione che non sia possibile una conclusione accettabile, fino a che una nuova scoperta più completa non abbia portato maggior luce. Le controversie vertevano e vertono sopra tre punti principali: la data geologica dei fossili; l'appartenenza di essi allo stesso individuo; l'interpretazione di ognuno di essi. Sopra il primo punto hanno portato una certa luce i risultati delle ricerche della spedizione, fatta nel 1906, a Trinil dalla Selenka e dal Blankenhorn, allo scopo di trovare nuovi resti del Pitecantropo. Solo un dente fu potuto riportare in Europa (che del resto fu giudicato dal Dubois appartenere a un bianco dell'Attuale), ma furono raccolti numerosi e importanti dati geologici e paleontologici. ll Dubois aveva considerato gli strati a fauna terrestre dei Kendeng come appartenenti al Pliocene superiore e gli strati marini sottostanti al Miocene, contenendo essi solo il 53% delle specie attuali. I geologi e paleontologi della suddetta spedizione, invece, ritengono che gli strati marini siano del Pliocene superiore e gli strati a Pitecantropo quaternarî. In realtà la questione è assai difficile a risolvere, dato che, a quella latitudine, non sono molto evidenti i cambiamenti climatici e faunistici, che in Europa e nelle regioni nordiche si estrinsecano coi fenomeni delle quattro grandi glaciazioni, fenomeni che costituiscono così dei validi punti di repere per un'esatta cronologia. Secondo Elbert gli strati a Pitecantropo apparterrebbero a un antico periodo pluviale (Günz?).
Le ricerche di L. I. C. Van Es (1931), se sicuramente stabiliscono che gli strati in questione sono più recenti del Pliocene, non stabiliscono con altrettanta sicurezza la data del Pleistocene antico. Siccome quegli strati sono ricoperti dai cosiddetti strati di Natopur, che sono del Pleistocene superiore, non possono appartenere a questa data. Dunque, sembra di poter dedurre che gli strati di Trinil potrebbero anche appartenere al Pleistocene medio. Questa conclusione non è senza importanza per l'interpretazione dei fossili, perché essa esclude (come del resto già rende dubbia la data del Pleistocene antico) che si possa trattare di una forma che sia veramente nell'ascendenza dell'uomo e non una persistenza tardiva di una forma primitiva. Sul secondo punto controverso, si può dire che, in complesso, l'idea dell'appartenenza reciproca dei diversi pezzi ha piuttosto guadagnato terreno e che in questo senso si sono pronunciati paleontologi di professione e con buona esperienza di scavi (Nehring, Dames, Jaekel), mentre i dubbî, sempre facili a essere avanzati, provengono per lo più da studiosi teorici.
Riguardo al terzo punto delle controversie, mentre in complesso le opinioni personali sull'interpretazione del femore in grande maggioranza inclinarono a considerarlo come umano, quelle sulla calotta si divisero in tre gruppi: il primo rappresentato da molti anatomici inglesi, che lo considerò come umano, se pure di una forma gerarchicamente assai bassa. Così si espressero Turner, Cunningham, Keith, Lydekker, Martin, Mair. Il secondo gruppo, composto in prevalenza di anatomici tedeschi, lo considerò come antropoidico: sono di questa opinione: Virchow, Krause, Waldeyer, Ranke, Bumüller, Ramstrom. Fra i sostenitori della natura intermediaria del fossile troviamo, oltre al Dubois, Manouvrier, Haeckel, Schwalbe, Klaatsch.
Fra i diversi studî merita di essere ricordato quello dello Schwalbe del 1899, sulla calotta, nel quale, in base a una metodica nuova (di cui si dirà oltre e che possiamo ritenere valida a sufficienza per la differenziazione di questa calotta dall'uomo recente, ma che non è, nel nostro giudizio, valida per l'uomo di Neanderthal, come si dirà) il detto autore arriva alla conclusione che il Pitecantropo non ha niente a che fare col Gibbone, né con gli altri antropoidi, ed è separato affatto dall'uomo recente. Nel loro monumentale lavoro del 1919 sopra il femore, K. Pearson e J. Bell si sono naturalmente occupati anche del femore del Pitecantropo, applicando ad esso l'intensivo metodo di analisi della scuola biometrica inglese, di cui il Pearson è capo. Essi concludono il loro esame, basato su quaranta caratteri, dicendo che il femore di questa forma è di tipo umano recente, per alcuni di questi caratteri esso diverge verso il femore di Gibbone, ma non di più di quello che non facciano altri femori certamente umani. Queste conclusioni ci sembrano assai importanti. Dopo un lungo silenzio, nel 1924, il Dubois riprese l'intera questione, avendo nel frattempo liberato interamente dal magma la calotta e avendone ottenuto un calco della superficie endocranica. Egli diede inoltre una buona iconografia di tutti i resti, a eccezione del femore. Nell'insieme, dice il Dubois, la forma della calotta non è umana, e non rappresenta neppure una forma di transizione, è la stessa forma del cranio di un Gibbone delle piccole specie. Malgrado ciò, in base ai suoi studî sulla cefalizzazione delle forme, cioè sui rapporti ponderali fra massa encefalica e massa corporea, il Dubois ritiene che non si possa parlare di un antropoide, perché, dato il volume della calotta (900 cmc.), il peso somatico dovrebbe essere di circa 300 kg. Ciò che è contraddetto dalle dimensioni del femore. Il Pitecantropo avrebbe così un cervello due volte più forte di quello degli antropomorfi e due volte inferiore a quello dell'uomo. Sul calco endocranico il Dubois constata la presenza di un solco frontale inferiore, per quanto semplice, tuttavia umano. Il frammento di mandibola che per la prima volta discute e attribuisce con sicurezza al Pitecantropo, per quanto mutilato, gli concede di riconoscerne la forma quasi completamente umana, forma che attribuisce anche ai denti. Egli chiude il suo lavoro con la conclusione, divergente dalla sua prima del 1894, che il Pitecantropo è un genere distinto, ma appartenente alla famiglia degli Hominidae.
Dopo il 1924, però, il Dubois è ritornato alla sua prima posizione. Non gli si deve far torto di questa oscillazione. Veramente il problema, sulla base dei dati odierni, non è risolubile con sicurezza, mentre il fossile, nella calotta almeno, per la sua natura si presta al prodursi di queste differenze di apprezzamento, anzi è proprio nell'esistenza di queste differenze la giustificazione migliore dell'opinione che di esso fa un essere intermediario. Si noti tuttavia che qui si dice giustificazione e non verità di tale opinione. Il migliore studio sul femore da parte del Dubois, in data del 1926, e quelli in base ai nuovi reperti, del 1932 e 1934, ma soprattutto i risultati dei suoi studî sulla cefalizzazione nella serie dei Vertebrati e in specie dei Mammiferi, iniziati nel 1897 e continuati sempre, hanno ricondotto il Dubois alla sua posizione del 1894. Egli ritiene che due caratteri (del resto già da lui notati in precedenza) distinguano assolutamente il femore di Trinil dalle altre forme. L'uno consiste nel fatto che la superficie poplitea di esso (la superficie a forma triangolare col vertice in alto, sita subito sopra ai condili, nell'aspetto posteriore dell'osso), invece di essere piana come è quasi universalmente, è convessa; l'altro consiste nel fatto che il grande trocantere, invece di essere rivolto alquanto verso l'innanzi, è disposto verticalmente. Questi due caratteri il Dubois attribuisce a cause statiche e meccaniche, dovute in sostanza all'abitato e alle abitudini di vita che doveva avere il Pitecantropo. L'abitato di esso non doveva essere esclusivamente terrestre, anzi neppure principalmente terrestre, bensì arboreo. La locomozione quasi eretta sul terreno poteva però essere rapida, se l'animale possedeva lunghe braccia, che gli servivano come stampelle. Queste lunghe braccia gli potevano servire anche per l'arrampicamento, non opponendo però più l'alluce alle altre dita, come nelle scimmie, bensì ponendo il piede lateralmente ai tronchi da scalare, come fanno gli Australiani, che rimediano poi alla cortezza delle braccia mediante una corda che passano sulla parte opposta del tronco. Altri tre femori, che da frammenti ossei liberati dal magma che li ricopriva e nascondeva il loro vero essere, erano stati ricostruiti in questi ultimi anni, permisero al Dubois (1932) di poter asserire con sicurezza che i due caratteri del femore poc'anzi ricordati non sono caratteri rari e individuali, come fra gli altri Manouvrier e Hepburn avevano affermato, ma caratteri specifici. Un quinto femore trovato recentemente (1934) con la sua particolare struttura fibrillare della sostanza ossea, resa manifesta da una corrosione della superficie, avrebbe consolidato le deduzioni del Dubois sui meccanismi locomotorî proprî del Pitecantropo. Esso non avrebbe avuto ancora liberate completamente le mani dalle funzioni locomotorie, quindi non sarebbe stato uomo, dato che carattere essenziale di questo è la liberazione dell'arto anteriore da ogni funzione locomotoria. Ma il concetto stesso di forma intermediaria ha subito profonde modificazioni nel pensiero del Dubois, specialmente in seguito ai suoi studî sulla cefalizzazione. Ogni specie ha un distinto grado di cefalizzazione, che non è dato dalla capacità cranica pura e semplice, a determinare la quale entrano altri fattori, fra cui la grandezza corporea e la proporzione dei tessuti nobili (muscolari) in confronto dei tessuti connettivo e adiposo. Ma l'acquisto di un determinato gradino di cefalizzazione non si fa a poco a poco, ma per salti, discontinuamente. In un certo senso non esistono forme intermediarie, che vanno dall'una all'altra, perché ogni forma realmente esistente ha certe determinate e ben limitate condizioni di vita. Il Pitecantropo rappresenta l'anello mancante fra lo stadio antropoidico e lo stadio umano di evoluzione cerebrale, ciò che non significa affatto, secondo il Sera, che esso sia veramente la forma ancestrale dell'uomo. Dobbiamo aggiungere in fine che H. Weinert, nel 1928, dopo uno studio degli originali, portò molte precisazioni sopra punti particolari, ma le sue conclusioni non ci portano molto innanzi. Egli nega la parentela col Gibbone, fondandosi sulla presenza di seni frontali e sul valore secondario di essi, il quale valore è lungi dall'essere però dimostrato. Avvicina la forma al gruppo Gorilla-Scimpanzè-Uomo, di cui farebbe parte anche l'uomo di Neanderthal, avvicinandosi perciò all'idea dello Schwalbe (v. oltre). Esso sarebbe già un uomo, precedendo quello di Neanderthal.
Diamo in breve le caratteristiche principali dei pezzi più importanti: la calotta e il femore. La calotta appare immune da deformazioni postume. È in buono stato di conservazione per tutta la vòlta, malgrado l'erosione della lamina esterna qua e là, erosione che rende inevitabile un apprezzamento approssimativo di certe misure. La parte inferiore del cranio cerebrale è completamente assente. Sulla linea mediana, il profilo, a partire dalla glabella, arriva integro fino a 3 cm. sotto l'opistokranion. Il bregma appare ben determinato malgrado le contestazioni che hanno avuto luogo da parte di alcuni e lo stesso si dica del lambda. La lunghezza massima della calotta è 184, la larghezza 131, l'altezza soprauricolare (calcolata) 94, l'indice orizzontale 71,20, l'indice verticale 51,07; la capacìtà 900 cmc. Il femore è ben conservato. Nella sua parte interna superiore, sotto il piccolo trocantere, presenta un'esostosi o produzione ossea di natura patologica, ma che non ha nessuna importanza per il nostro punto di vista. Lunghezza in posizione fisiologica 451 mm. Diametro sagittale della diafisi nel mezzo 29, diametro trasverso id. 28; angolo di torsione 19°.
Da questo esame cui si è voluto dare, intenzionalmente, uno spiccato carattere storico, risulta che le opinioni sono piuttosto divergenti formalmente, ma, in sostanza, esse confermano chiaramente l'interpretazione del Dubois, "per quanto riguarda il lato morfologico, del grado di evoluzione cerebrale di questa forma".
Ma si deve anche riconoscere che non è ancora possibile farsi un'idea concreta e veramente zoologica di questo essere che rimane alquanto nel vago e nel generico, sia per il suo aspetto, sia per la sua biologia in generale. Mancano ancora troppe parti importanti di questo essere, come la faccia e l'arto anteriore, per poterci fare un'idea abbastanza concreta e positiva di esso, e dobbiamo considerare tutta la serie di ricerche e di lavori cui esso ha dato luogo, come la conseguenza e insieme la prova della scarsezza dei documenti che lo riguardano.
Ngadong (Solo). - Durante scavi eseguiti per incarico della istituzione olandese per la nuova cartografia di Giava, furono trovati nel 1931-32 a Ngadong, località non distante da quella del Pitecantropo, resti ossei, per la maggior parte calotte, di ben cinque individui. Questi reperti provengono da una terrazza sita 20 m. sul livello del fiume Solo, terrazza che riposa su marne plioceniche e che è sicuramente pleistocenica, verosimilmente, dice l'Oppenoorth, dell'interglaciale Riss-Würm.
Gl'individui sono stati indicati dall'autore con le cifre romane I-VNessuno dei pezzi presenta la parte facciale. L'esemplare I, femmina di età avanzata, conserva la maggior parte della teca cerebrale, mantenutasi meglio nel lato destro. Il cranio permette di prendere il profilo sagittale, che, secondo il Sera, è molto simile a quello di Gibilterra, a cui ancora assomiglia per la norma occipitale. Il cranio presenta platicefalia teromorfica. L'ispessimento sopraorbitario è sensibile, ma non estremo. È molto forte invece il toro occipiiale, di guisa che risulta una forte somiglianza con Broken Hill. Indice cefalico 72,3. Ngadong II è un frammento, infantile. Ngadong III è un frammento di adulto. Ngadong IV è una calotta che comprende tutta la vòlta dalla glabella alla sutura lambdoidea ed è un adulto. Ngadong V, che è una calvarie alquanto schiacciata per la pressìone degli strati che la coprivano, è di fortissime dimensioni. È stata ricostituita e la sua capacità determinata in soli 1300 cmc. Questo, malgrado le sue forti dimensioni, che dipendono certo dal forte sviluppo del toro sopraorbitale e occipitale. Indice cefalico 65,2. L'Oppenoorth arriva alla conclusione che questa serie dimostri di essere in uno stadio di evoluzione uguale a quello di Neanderthal, ma, per le differenze che pure esistono, crede autorizzata l'assunzione di un nuovo genere umano: Javanthropus. Il Sera, in base alla forma della sezione sagittale, alla somiglianza con Broken Hill e Gibilterra, alla piccola capacità, esclude affinità coi Neanderthal, mentre crede che veramente il tipo craniense australiano attuale possa essere provenuto da questo tipo di Ngadong.
Wadjak. - Il reperto è costituito da due cranî incompleti, trovati nel 1889 e 1890 a Wadiak nella parte meridionale e orientale di Giava; appena nel 1920 il Dubois ne diede una completa descrizione, accompagnata però soltanto da diagrammi e disegni schematici. Furono trovati in una breccia nella quale erano fossili di specie tuttora viventi. Tuttavia essi apparterrebbero sempre al Pleistocene (superiore). Il Dubois credette di potere attribuire a questi due cranî un tipo australiano, anzi protaustraliano. Ma una forte obiezione a quest'idea è rappresentata dal fatto che l'uno di essi (I) ha una capacità di almeno 1550 e l'altro (II) una di 1650 cmc. Ora è noto che gli Australiani attuali hanno una capacità media maschile di 1300. L'ipotesi del Keith che vi sia stata una perdita di capacità encefalica è poco probabile. Il Sera osserva che i caratteri facciali di Wadjak I, per ciò che si può giudicare dal diagramma,. e il giudizio certamente non è sufficiente, non sono quelli degli Australiani, come pure i caratteri dell'arcata dentaria, larga e corta, non corrispondono a questa interpretazione. La presenza di qualche carattere australiano raddolcito fa pensare a forme di miscela con un altro tipo a più grande capacità, tipo che resta da determinare.
Pechino. - In seguito a scavi praticati dal geologo austriaco Zdanski, nel 1923, in un deposito fossilifero di grotta, sito in una collina a nord del villaggio di Ciu-ku-scian, presso Pechino, fu trovato un dente di aspetto umano e successivamente un altro, reperti che diedero la fondata speranza che si potessero trovare resti umani più importanti nel suddetto deposito. Con sovvenzione della fondazione Rockefeller, furono iniziati nel 1927 gli scavi, condotti dallo svedese Bohlin. Alla fine della stagione 1927 solo un dente molare inferiore sinistro era stato trovato, che tuttavia diede modo, più tardi, al Davidson Black, di fondare già su di esso, con un certo ardimento, un nuovo genere umano Sinanthropus. Nella stagione 1928 furono trovati numerosi altri denti con una mandibola giovanile (Locus B) quasi completa e un'adulta incompleta (Locus A). Per farsi un'idea della portata del lavoro di scavo, basta ricordare che 6000 mc. di materiale furono scavati nella campagna 1927-28. Da questa campagna sorse la necessità della fondazione di uno speciale laboratorio per le ricerche sul Cenozoico, che non solo doveva continuare gli scavi di Ciu-ku-scian, ma estenderli altrove nella Cina, per portare luce su tutti i problemi che i reperti fino allora raggiunti avevano fatti sorgere, e non soltanto riguardo al Quaternario. Nel 1929, i lavori ripresi in un altro luogo della stessa caverna (Fessura inferiore), diedero luogo alla scoperta di altri denti (Locus C e D) e finalmente di un cranio quasi completo di adolescente (Locus E). Nel 1929 e 1930 avendo luogo in altri siti in Cina molte altre esplorazioni, per gli scopi sopraccennati, l'esplorazione a Ciu-ku-scian fu ripresa solo nel giugno 1930 e, nel settembre, numerosi frammenti di un nuovo cranio furono trovati nel materiale già scavato nel 1929, nel Locus D, onde fu possibile restaurare la più gran parte d'una calotta di adulto (calotta Locus D). Alla fine dell'autunno fu trovata una nuova mandibola frammentaria (Locus F). Nell'aprile del 1931, per difficoltà di terreno sorte nella Fessura inferiore e per poter raggiungere i livelli più bassi del deposito, s'iniziarono gli scavi in un terzo punto, la grotta Kot-ze-tang. In questa fu trovato larghissimo materiale industriale (orizzonte 2 a quarzo o zona culturale C, zona culturale più antica) e con esso tracce di fuoco e due frammenti di mandibola (G1 e G2), una clavicola e frammenti di cranî. Nell'aprile del 1932, essendosi acquistata la presunzione che l'apertura dell'antica grotta (il cui tetto era stato eroso ed era quindi scomparso) si doveva aprire verso est, si scavò in una nuova zona, nella, parte est del deposito principale. Quest'ultimo scavo diede solo artefatti litici dei livelli superiori del deposito. Un frammento di radio sembra provenire da una diversa località (3) e da scavi eseguiti nel 1927. Oltre che nella suddetta località (1) nei dintorni di Ciu-ku-scian furono scavate altre dieci località, ma i resti umani furono trovati solo nella località 1. Dappertutto però si rinvenne una fauna simile per cui la formazione ad essa relativa, formazione Ciu-ku-scian, per lo più presente in fessure del calcare ordoviciano, si presenta come un'unità stratigrafica ben chiara. Il deposito, lungo da est a ovest circa m. 175, per una larghezza di 50, si approssima localmente a un'altezza di ben 50 m. Nel deposito sono stati descritti undici strati, distinti soprattutto da caratteri litologici. Per noi è d'interesse notare soltanto, senza entrare in altri particolari, che i due cranî furono trovati negli strati più profondi cioè in corrispondenza degli strati 10 e 11: il cranio di adolescente maschio del Locus E; nello strato 9 quello adulto del Locus D. Ma gli altri resti si distribuiscono su tutti i livelli, come del resto è per l'industria. Questa è evidentemente progressiva dalla zona culturale C alla A; dapprima solo costituita da quarzo, poi da silice. Le forme sono considerate dagli autori, Pei e Teilhard de Chardin, come di un tipo paleolitico antico, mostrante analogie superficiali col Mousteriano. L'abate Breuil in un viaggio che fece in Cina, nell'ottobre del 1931, poté confermare l'esistenza di focolari, che egli giudicò essere stati probabilmente tenuti accesi di continuo per periodi assai lunghi. Egli dice che è vano cercare d'applicare all'industria litica di Ciu-ku-scian le classificazioni occidentali. Questa industria non è né acheuleana né chelleana, né clactoniana, né levalloisiana; è accidentale anche la rassomiglianza col Mousteriano. Ma ancora più importanti sono i risultati degli studî sulla paleontologia del Cenozoico della Cina allo scopo di stabilire l'età della formazione Ciu-ku-scian. Teilhard, Young e Pei distinguono cinque cicli faunistici ben caratterizzati. I due primi, corrispondenti al Pontiano (Pliocene antico) e al Pliocene medio, interessano poco. Il terzo ciclo è il cosiddetto Sammeniano e il quinto appartiene certamente al periodo del löss. Il quarto ciclo è appunto quello della formazione Ciu-ku-scian, in cui sono delle forme di Mammiferi, che appartengono al Sammeniano e altre che appartengono al Löss.
Il Sammeniano è fatto corrispondere col periodo cronologico che, in Europa, va dal Günz al Mindel, per la più gran parte. Siccome il löss, come in Europa, appartiene al Würm, così il Ciüku-scian, che è un periodo a clima umido e temperato, è fatto corrispondere all'ultima fase del Mindel. Gli stessi autori, però, ammettono che molti antropologi potrebbero farlo corrispondere, per varie ragioni, al Riss e pare che ciò, per il momento almeno, sia più prudente. Comunque, risulta dimostrato che il Sinanthropus è cronologicamente anteriore all'uomo di Neanderthal, che è würmiano. Più d'uno è stato sorpreso dal fatto che i resti del Sinanthropus siano quasi esclusivamente dati da parti del cranio (calotte, mascellari, denti) ed è stata fatta la supposizione che uomini a caratteri più recenti fossero i veri abitatori della grotta, i quali davano la caccia al Sinanthropus e ne portavano come trofei le teste nelle loro grotte. Tutte le evidenze però tendono a escludere quest'ipotesi. G. Schmidt (1932) d'altra parte ha ricordato un fatto etnografico relativo agli Andamanesi, che spiega perfettamente la fatta constatazione. Nel loro culto dei morti infatti gli Andamanesi hanno cura soprattutto delle teste scarnificate dei defunti, mentre le ossa restanti vengono abbandonate.
Considerando brevemente i caratteri dei fossili, cominciamo con i denti. Essi sono, per la corona, del tipo Dryopithecus (v. antropomorfi: Gli antropomorfi fossili), ma poco distanti dal tipo moderno. Il terzo molare superiore manifesta segni evidenti di riduzione, che non sono sempre evidenti nell'inferiore. Nei molari è fortemente sviluppata la cavità della polpa, in corrispondenza della corona. Questa condizione primitiva è detta megafanismo, in contrapposizione al taurodontismo della razza di Neanderthal. Eccetto che nella sinfisi, l'aspetto generale della mandibola è neoantropico. Forma dell'arcata dentaria e regione condiliena come nell'uomo moderno. La sinfisi è piuttosto inclinata e di tipo antropoidico. Mento assente.
La conoscenza del cranio di Sinanthropus è sinora basata soprattutto sul cranio dell'adolescente, non essendo stato studiato a fondo ancora l'altro, che è però meno completo. Ciò, come si vedrà subito, ha gravi inconvenienti. Il Davidson Black trova che il cranio differisce da quello delle razze odierne, come da quello della razza di Neanderthal e della Rhodesia, e da quello degli antropoidi attuali. Esso rassomiglia invece, secondo lui, strettamente al cranio di Pitecantropo per la forma, le dimensioni però essendo più sensibili nel cranio del Locus D. Tuttavia esso differisce dal cranio di Pitecantropo per più caratteri, in guisa che si giustifica l'assunzione di un genere a sé. Il Davidson Black crede tuttavia che anche il Pitecantropò presenterebbe una specializzazione che è però molto arcaica, mentre quello del Sinanthropus presenterebbe una generalizzazione arcaica, che permette di porlo per lo meno assai vicino al tronco progenitore. Buona parte di queste conclusioni sono fondate sui caratteri dell'osso temporale del cranio di adolescente. Questa regione il Davidson Black trova di un carattere generalizzato e primitivo. Su di essa è ritornato in particolare il Weidenreich recentemente (1932). Egli trova in essa fra l'altro che: l'asse della rocca petrosa è formato di due parti, angolate fra loro, invece di essere unico; l'orificio uditivo è preceduto da una sorta di vestibolo a tetto basso. Il Sera crede che la regione timpanica di questo cranio presenti disposizioni infantili, che potrebbero dimostrare, almeno in parte, un arresto di sviluppo. Il cranio in parola presenta, secondo il Sera, una forte platibasia, cioè un appiattimento di tutta la faccia basilare, bene evidente nelle figure che ne dà il Davidson Black, platibasia che dimostra che esso non è normale. Tale opinione coincide singolarmente con quella espressa recentemente (1933) dal Dubois, sul modello dell'encefalo, ricavato dal cranio. Alcune particolarità di questo modello fanno credere al Dubois, competentissimo in materia, che questo adolescente avesse un encefalo sviluppato in modo imperfetto per ragioni patologiche; il piccolo volume di questo cranio, 900 cmc. circa, non sarebbe perciò un valore tipico raziale. Il Dubois crede che l'altro cranio abbia una capacità di circa 1150 e, trattandosi di una femmina come dice il Davidson Black, egli deduce una capacità di 1300 per il Sinanthropus maschio. Quindi il Dubois ritiene che il Sinanthropus potrebbe appartenere all'uomo di Neanderthal o a un'altra nuova razza. La capacità stessa di 1300 cmc., il toro sopraorbitale non molto sviluppato e alquanto diverso da quello dei Neanderthal, la forma lenticolare del contorno del cranio, fanno ritenere al Sera che il Sinanthropus ha, per la parte cerebrale, una posizione analoga a quella del cranio di Gibilterra (vedi oltre), cioè ha una platicefalia teromorfica.
È probabile che la parte facciale fosse però affatto diversa. È interessante notare che i nasali del cranio Locus D sono detti negroidi. Le poche ossa dello scheletro manifestano caratteri neoantropici. Ciò è di una grande importanza, come verrà detto più oltre.
Europa.
Piltdown (Eoanthropus). - Una prima serie di resti, appartenenti quasi con certezza a uno stesso cranio, fu trovata da operai che scavavano uno strato di ghiaia, per ricoprirne la vicina strada, in prossimità di Piltdown nel Sussex. Il cranio era forse intero, perché gli operai lo descrissero poi come una "noce di cocco". Rottolo, ne gettarono via i frammenti. Essendone stato dato un frammento al geologo Dawson, questi fece ricerca degli altri. Il recupero dei pezzi ora esistenti si estende forse dal 1909 al 1913. Il frammento di mandibola e il canino furono trovati però, nella ghiaia, dietro ricerche apposite, negli strati indisturbati. La seconda serie di resti fu trovata a circa 3 km. di distanza da Piltdown, nel 1915, in seguito a ricerche, determinate dall'interesse destato dal fossile.
Con la prima serie furono trovati fossili non in situ, ma rotolati fortemente, evidentemente tolti dalle acque a formazioni plioceniche precedenti (Mastodon, Stegodon, Rhinoceros) altri fossili di età pleistocenica antica (Ippopotamo, Castoro, Alce) manufatti litici assai primitivi e un manufatto in osso di elefante. Lo Smith-Woodward, il paleontologo che prima si occupò del reperto, in base ai dati brevemente esposti, ritenne e ritiene sempre che l'essere, al quale appartenevano le due serie di resti e che egli chiama Eoanthropus (uomo dell'aurora), non poté essere più antico della prima metà del Pleistocene e che probabilmente visse in una fase calda di esso. Quest'opinione è generalmente ammessa. Solo l'Osborn tenderebbe a farlo pliocenico.
La prima serie di resti è composta di 9 frammenti, che si ricomposero però bene in 4 pezzi del cranio cerebrale, e cioè: 1. una gran parte del parietale sinistro, praticamente parlando, completo, e a questo aderente un pezzo, l'esterno, del frontale, con l'apofisi malare; 2. il temporale sinistro la cui parte squamosa è assente, ma che per il restante è completo; 3. una buona parte del parietale destro, con la sutura squamosa; 4. una grande porzione, prevalentemente destra, dell'occipitale, che può essere connessa col parietale destro. Disgraziatamente, salvo che sull'occipitale, in questi pezzi non è determinabile con evidenza la linea mediana sagittale. In base a questi quattro pezzi, lo Smith-Woodward tentò una ricostruzione del cranio cerebrale, che dava a questo una vòlta molto bassa. Questa ricostruzione fu criticata dal Keith, in base a una personale determinazione del bregma e del lambda, che, secondo lui, vanno spostati alquanto verso destra sul primo dei quattro pezzi suddetti; anche la connessione dell'occipitale col parietale destro venne portata più in basso, sul margine posteriore del frammento del parietale. Da queste modificazioni e dalla ricostruzione relativa, risultò un cranio di tipo affatto moderno e con capacità forte, che, nel suo secondo tentativo di ricostruzione, il Keith ridusse a 1377 cmc., mentre la capacità della prima ricostruzione di Smith Woodw. ard era di 1070. A parziale modifica della ricostruzione di questo ultimo, ma in sostanza prossima ad essa, l'Elliot Smith arrivò nel 1927 a una ricostruzione, per la quale la capacità è portata a 1170 cmc. Ma ancora più forti controversie suscitavano intanto la mandibola e il canino. Waterston nel 1913, poi più decisamente Miller (1915), quindi Ramstrom (1919), Boule (1923), negavano il carattere umano di essa e quindi l'appartenenza al cranio, che, per quanto primitivo, è però sempre umano, a giudizio di tutti gli osservatori. Mentre gli autori inglesi rimanevano fermi, senza eccezioni, nell'opinione dell'appartenenza reciproca del cranio e della mandibola, anche chi come il Keith, ammetteva il carattere assai evoluto del cranio cerebrale (supponendo un'anticipazione di sviluppo filetico del cervello sull'apparecchio di masticazione), altrove si tendeva ad ammettere che la mandibola appartenesse a uno scimpanzè pliocenico. Vi fu perciò un vero progresso quando il Hrdlička, nel 1925, dopo un esame a fondo dei caratteri della mandibola e dei denti, arrivò alla conclusione che prevalgano i caratteri umani e che in realtà anche la mandibola sia di Homo, per quanto primitivo. Ma la discussione è tutt'altro che chiusa. Nel 1932 il Frederichs, in base a una nuova determinazione del bregma, che sorpassa anche quella del Keith per lo spostamento di esso a destra, è arrivato a una ricostruzione, per cui la capacità sarebbe in media (cioè per una media fra le cifre desunte dall'applicazione della formula del Lee e Pearson e quella del Froriep) di 1508 cmc. Naturalmente anch'egli separa la mandibola dal cranio, attribuendo alla prima una somiglianza con Orango, che in realtà nessuno aveva fino allora vista. Il lavoro del Frederichs fu condotto però su modelli e in verità si può essere d'accordo col Weinert, quando dice che, dopo venti anni di discussioni e di ricerche non è possibile fare avanzare la soluzione del problema, con uno studio basato su modelli, invece che sugli originali. Al Weinert dobbiamo lo studio più recente dell'intero problema dell'Eoanthropus, condotto sugli originali stessi e con piena conoscenza diretta e locale delle condizioni della scoperta. Orbene, egli arriva alla conferma della giustezza della ricostruzione di Elliot Smith, ma, per quanto non tutti i caratteri del cranio cerebrale siano dell'uomo attuale, egli ammette l'appartenenza all'Homo Sapiens. Ma il risultato più interessante è la dichiarazione del Weinert che, per quanto egli fosse prevenuto contro l'opinione degli scienziati inglesi, pure la sua conclusione attuale è che cranio e mandibola si appartengono reciprocamente. Non menzionando l'ipotesi speciale che il Weinert ha fatto per spiegarsi quest'unione di caratteri, dovremo concludere che il problema di Piltdown rimane ancora aperto. Questo reperto più d'ogni altro ci fa supporre che le idee generali morfologiche ora predominanti potrebbero non essere aderenti alla realtà naturale. Un particolare sul quale poco è stata fermata l'attenzione è la forma singolare dei nasali, affatto diversa da quelli della razza di Neanderthal.
Mauer (Heidelberg). - Nell'ottobre 1907, due operai che lavoravano in una cava di sabbia a Mauer, presso Heidelberg, trovarono la mandibola che è ora nota sotto entrambi i nomi. Essa fu cavata fuori dal terreno con cura e ben conservata, perché lo Schötensack, nella speranza di trovare fossili umani interessanti, aveva prevenuto il proprietario della cava della possibilità di trovare fossili. Essa fu trovata a 24 metri di profondità dalla superficie, in depositi sabbiosi del fiume Elsenz, depositi che si estendono su tutto il Quaternario. Il fiume passa ora a due chilometri dal luogo. Allo stesso livello e a livelli più alti furono trovati resti di Elephas antiquus, Rhinoceros etruscus, Felis leo, e altre specie estinte. Vi è accordo generale nel ritenere che la data sia Pleistocene antico, la maggior parte però ritiene che si tratti dell'interglaciale Mindel-Riss.
Il fossile è molto più grosso e robusto di qualsiasi altro umano. Il ramo ascendente è straordinariamente largo, con incisura poco profonda. Il processo coronoide è spesso, largo e sensibilmente everso. I condili sono alquanto allungati dall'innanzi all'indietro, contrariamente all'abituale. Il mento sfugge all'indietro fortemente. Visto dall'innanzi, il bordo inferiore della regione del mento è arcuato a concavità inferiore, carattere questo assai raro. Il forame mentoniero è largo. Il corpo ha la sua maggiore altezza al livello del primo molare. La sinfisi presenta una sezione ovalare, diversa perciò da quella degli antropoidi. In complesso si può dire che, se la mandibola fosse stata trovata senza denti, essa sarebbe stata attribuita a un antropoide; secondo il Sera essa è simile alla mandibola di Orango, per la parte ossea. Il Sera nel 1918 indicò che essa trova qualche approssimazione fra individui di razze mongoliche. Il Hrdlička (1930) la rassomiglia a quella degli Eschimesi. I denti sono grandi, ma non superiori a quelli di alcune razze macrodonte. I loro caratteri sono perfettamente umani. I canini non sono più grossi che nell'uomo attuale. Il terzo molare è bene sviluppato. Molti autori hanno assegnato alla mandibola di Mauer una posizione preneanderthaloide.
Razza di Neanderthal. - Esiste ormai una serie numerosa e abbastanza omogenea di reperti che, per alcuni caratteri costanti del cranio e delle ossa dello scheletro, sono stati attribuiti a una razza, detta di Neanderthal, perché il primo reperto scientificamente studiato di questo gruppo è appunto quello di Neanderthal. È assai discutibile se si possa parlare di razza. Il Hrdlička (1930) ha parlato di famiglia (non in senso zoologico tuttavia) di Neanderthal e di fase neanderthaliana. Queste espressioni, per un certo rispetto, sono forse più appropriate, ma ad ogni modo rivelano come il concetto biologico di questo gruppo sia ancora incerto. Molto probabilmente l'idea tradizionale che se ne ha va radicalmente modificata, la sua interpretazione essendo assai più complessa di quello che paresse al tempo dell'illustrazione migliore che abbiamo di un esemplare del gruppo, quella del Boule (1913) sul reperto di La Chapelle-aux-Saints. Dato il numero dei reperti, è ormai opportuno fare una descrizione collettiva di essi, dopo avere accennato, nelle linee sommarie, la storia dei principali e più sicuri rappresentanti.
Nel 1856 alcuni operai trovarono, scavando la grotta Feldhofer (sita in una gola, Neanderthal, sul cui fondo scorre la Düssel, fra Düsseldorf ed Elberfeld), una calotta e uno scheletro quasi completo, sebbene danneggiato. Il Fuhlrott e poi lo Schaffhausen videro subito l'importanza dei caratteri di questa calotta, che attribuirono a una razza umana primitiva, che avrebbe conservato caratteri scimmieschi. Ciò fu confermato dal Huxley, ma negato da R. Virchow, che considerò la calotta come patologica. Nella discussione, che sorse vivissima, furono emesse le più strane opinioni e in sostanza prevalse a lungo, presso la maggioranza, l'idea che si trattasse di un caso eccezionale o aberrante. Fino al 1892, la cosiddetta razza di Neanderthal poteva esser trattata di "creazione della fantasia", da scienziati eminentissimi. La scoperta delle mandibole di Arcy-sur-Cure (1859) di La Naulette (1866), di Šipka (1881), non erano naturalmente tali da potere modificare l'opinione scientifica: la quale però cominciò ad essere scossa nel 1885 dalle scoperte di Spy nel Belgio. Qui, a differenza della scoperta di Neanderthal, sono bene assicurate le condizioni stratigrafiche, assicurata è la presenza di una fauna che contiene Elephas primigenius, Rhinoceros tychorhinus, e la presenza di selci di tipo mousteriano. Insieme con ciò abbiamo due cranî, in uno dei quali (2) la parte cerebrale è quasi completa e l'altro (1) ha inoltre parti della faccia e la mandibola; esistono poi molte parti ossee costituenti lo scheletro di due individui. I caratteri dei cranî e delle ossa lunghe, molto simili a quelli dello scheletro di Neanderthal, scossero molti increduli. In guisa che quando un anatomico tedesco, lo Schwalbe, riprese lo studio della calotta di Neanderthal (1901) e poté dimostrare che i fatti patologici indicati dal Virchow non erano, almeno in parte, tali e che la forma generale della calotta e delle ossa doveva essere tipica, questa opinione si poté ben presto stabilire. Altra cosa è però l'ammettere la tipicità dei fatti presentati dallo scheletro di Neanderthal (cioè la non eccezionalità o anomalia), cosa di cui tutti possono convenire, altro è ammettere l'interpretazione che, sulla base di un nuovo sistema di misure, stabilito dallo Schwalbe e che vedremo, questo autore diede di tale tipicità. Occorre perciò non esagerare la portata dell'intervento dello Schwalbe, anche per ciò che riguarda il riconoscimento di detta tipicità, preparato dalla scoperta di Spy, come si fa da taluni e da talune scuole, ché anzi questo intervento ha irrigidito la ricerca entro certe linee che dobbiamo dire non schiettamente naturalistiche. La scoperta di Krapina (1897), illustrata minuziosamente da Gorjanović-Kramberger nel 1907, portò alla conoscenza di un larghissimo materiale osseo, che si ritiene ora appartenere almeno a venti individui, ma tutto in condizioni di cattiva e spesso assai cattiva conservazione. Solo due cranî infantili, uno di un giovine (C), e un altro di adulto (D), poterono essere parzialmente ricostituiti. Per i caratteri dell'industria (premousteriana), della fauna, non fredda, e per la stratigrafia, gli studiosi tedeschi e austriaci ritengono che la stazione di Krapina appartenga almeno all'ultimo periodo dell'ultimo Interglaciale, Riss-Würm, e non al Würm, come di solito si ha per gli autentici reperti, appartenenti all'uomo di Neanderthal. Intorno a questo reperto, a cui il Klaatsch dava molta importanza (perché giunto dopo la riabilitazione del Neanderthal propriamente detto fatta dallo Schwalbe) come il documento più diffuso della razza di Neanderthal, si possono presentare molte osservazioni.
Lo stesso illustratore sostenne sempre fino alla sua morte la presenza di due razze distinte nel materiale. Il Hrdlička poi, uno di coloro che ammettono una larga variazione nella cosiddetta razza, ritiene (1930) che i resti dimostrino una tendenza piuttosto progressiva. Il Sera ritiene che tutto il complesso dei fatti geologici, paleontologici e morfologici non permetta un'attribuzione dei resti ossei a un tipico uomo di Neanderthal; ma non è possibile qui entrare in particolari sull'argomento. Il reperto di gran lunga più importante per la caratteristica di questo tipo è quello di La Chapelle-aux-Saints, avvenuto nel 1908. In questa località, sita nel Corrèze, in una grotta, fu trovato uno scheletro quasi completo e in condizioni che permisero una buona ricostruzione. La fauna trovata insieme è quella fredda: Rhinoceros tychorhinus, Rangifer, capra ibex; l'industria è mousteriana. Il Boule fece uno studio assai accurato e largamente comparativo di questo scheletro, studio che rimane ancora oggi il migliore che si abbia in proposito. Altri reperti da attribuire con certezza al tipo sono: Le Moustier (1909), scheletro di un giovane; La Ferrassie, con uno scheleiro maschile, in cui il cranio è quasi completo, uno femminile e due di fanciulli (1910-1912), dei quali tutti però manca ancora una buona illustrazione; La Quina (1911) dove, in scavi continuati per lunghi anni a partire dal 1905, H. Martin trovò resti scheletrici appartenenti a molti individui, ma solo nel 1911 un cranio adulto in condizioni abbastanza buone e facente parte di uno scheletro e nel 1915 un cranio di fanciullo neanderthaliano, che è di grande importanza per la forma posseduta dal tipo nei primi anni di vita.
Esponendo in breve le caratteristiche morfologiche principali del tipo possiamo così riassumerle: cranio a capacità piuttosto forte, arrivando nel La Chapelle a ben 1626 cmc., di forma assai bassa, platicefalico, ad indice orizzontale variabile, ma non mai così basso come si riscontra nell'umanità attuale, in certi tipi primitivi. Ciò è tanto più notevole data la presenza del toro sopraorbitario e del toro occipitale (si dice toro sopraorbitario una forte prominenza delle arcate sopracigliari, o archi mediali, e sopraorbitarie, o archi sopraorbitali, che si fondono in una sola formazione continua, sporgente verso l'innanzi e delimitata dietro, verso il frontale, da una fossa trasversale). Il primo è veramente la caratteristica più saliente del tipo. A rendere la forma della calotta craniense, lo Schwalbe immaginò di prendere a linea di base la distanza che passa fra la glabella e l'inion (linea di Schwalbe); la posizione dei punti antropologici principali (bregma, lambda, opistion) e di altri architetturali (per es., il punto di massima altezza) è misurata dallo Schwalbe con angoli o con rapporti fra distanze, i cui valori servono a distinguere la forma del cranio del tipo di Neanderthal da quello dei tipi recenti.
I più importanti elementi analitici sono i seguenti: 1. l'indice della calotta, che è il rapporto della distanza (altezza) dal punto più alto del profilo sagittale alla linea base; 2. l'angolo del bregma o angolo che la linea glabella-bregma fa con la linea di Schwalbe; 3. l'angolo del lambda, che è l'angolo che la linea inion-lambda fa con la linea base. I valori di questi elementi, e di altri che non citiamo, nei diversi Neanderthal, isolerebbero la variazione del gruppo da quella delle forme recenti. A tutto ciò sono da fare molte osservazioni; in primo luogo l'estensione della metodica dello Schwalbe a un maggior numero di forme recenti ha permesso di diminuire l'intervallo suddetto, ma in secondo luogo e soprattutto, obbiezione essenziale questa, il Sera ha osservato che la glabella-inion nei Neanderthal non esprime più una dimensione della totalità del cavo del cranio cerebrale, in quanto in essa entrano come costituenti sviluppi di puro valore locale ed esterno al cranio, come sono la massa glabellare e la cresta occipitale; in terzo luogo poi lo sviluppo del toro sopraorbitale nei Neanderthal non è affatto omologabile per la sua topografia e per i suoi caratteri a quello degli antropomorfi. La differenziazione stabilita dallo Schwalbe del tipo di Neanderthal e il suo ravvicinamento alla forma cranica degli antropomorfi sono, per il Sera, in buona parte risultato artificiale della scelta, non buona, della glabella-inion come linea di base. Anche la forte capacità è perfettamente in contrasto con l'interpretazione corrente della bassezza della calotta, cioè che essa sia un carattere antropoidico. La mandibola ha la regione del mento rivolta all'indietro, corpo massiccio, ma piuttosto basso e lungo, branca ascendente larga, angolo d'innesto piuttosto largo, non cioè retto. È da menzionare ancora il carattere del cosiddetto taurodontismo, attribuito spesso alla razza di Neanderthal. Esso consiste in una tendenza alla fusione delle radici dentarie e a un ampliamento della cavità della polpa a carico delle stesse radici. Non è tuttavia sicuro che questo carattere le appartenga sempre, né che appartenga solo ad essa razza. Nello scheletro i processi spinosi delle ultime cervicali si proiettano all'indietro, piuttosto diritti, le costole sono grosse, l'osso iliaco è, secondo il Weidenreich, completamente umano. Ciò significa una stazione completamente eretta, contrariamente all'opinione del Boule; le ossa lunghe dell'arto superiore non sono molto massicce, ma corte; quelle dell'arto inferiore sono molto massicce e corte. Scarse o nulle, platilenia, platimeria, platicnemia; linea aspera del femore poco pronunciata, ossa del carpo, metacarpo, tarso e metatarso massicce.
La concezione tradizionale e classica, dopo lo Schwalbe, della cosiddetta razza di Neanderthal è che essa rappresenti una specie distinta, Homo Neanderthalensis, che con i suoi caratteri soprattutto del cranio, presenta affinità antropoidiche. Per l'opinione prevalente questa specie sarebbe scomparsa nella lotta per l'esistenza, dopo l'apparizione nel Paleolitico superiore dell'Homo sapiens. Tuttavia alcuni di coloro che pur sostengono la prima opinione, non dividono la seconda e ritengono che l'uomo attuale sia derivato dall'uomo di Neanderthal.
In realtà questa scomparsa è biologicamente assai poco verosimile e anche per l'analogia con i fatti storici, relativi all'uomo moderno, assai poco accettabile. A questa opinione classica fa contrasto la concezione del Sera, per cui l'uomo di Neanderthal non è che l'uomo del Glaciale. Alla stessa stregua per cui l'Elefante primigenio, il Rinoceronte ticorino sono l'Elefante e il Rinoceronte del Glaciale e sono forme derivate e non primitive, così l'uomo di Neanderthal per i suoi caratteri più manifesti e più appariscenti non è una forma primitiva, ma di specificazione assai inoltrata e da influenza dell'ambiente glaciale. Inoltre il Sera fa rilevare che gli esemplari più tipici e sicuri del tipo di Neanderthal, che cioè ne posseggono, fuori di ogni dubbio, tutte le caratteristiche, non attenuate, sono stati trovati accompagnati da fauna fredda. Il posto, che dai più si concede al tipo di Neanderthal, per il possesso di caratteristiche antropoidiche, è occupato, secondo il Sera, da altri tipi fossili, come il cranio di Rhodesia, il cranio di Gibilterra, il Sinanthropus e, più in basso, dal Pitecantropo. Del resto l'importanza della razza di Neanderthal per la filogenesi dell'uomo è stata assai esagerata, come ora si comincia a vedere da più d'uno chiaramente, mentre altri fossili meritano considerazione molto maggiore.
Gibilterra (Gibraltar). - Questo importante fossile fu trovato nel 1848 da operai in uno scavo, ma solo nel 1868 fu introdotto nella scienza dal Busk. Cadde nell'oblio, fino a che il Sollas ne fece soggetto di uno studio accurato, cui ne seguì un altro del Sera. Non si hanno dati né faunistici, né archeologici del tempo a cui rimonta il ritrovamento, ma recentemente fu trovato, in nuovi scavi eseguiti a Gibilterra dal Garrod, un cranio giovanile accompagnato da industria mousteriana e dalla fauna che nell'Europa meridionale accompagna questa industria, fauna che non è mai fredda. La maggior parte degli antropologi ancora annettono il cranio del 1848 al tipo di Neanderthal. Il Sera ne lo ha separato e gli attribuisce caratteristiche primitive antropoidiche, in particolare scimpanzoidi. Sono caratteri antropoidici: la forma della sezione sagittale della parte cerebrale, che è lenticolare; la scarsissima altezza, onde un indice molto più basso di quello che si può dare al tipo di Neanderthal; la forma della norma occipitale, assai depressa; la forma del timpanico, l'enorme sviluppo dell'apertura nasale, ecc., tutti caratteri per cui esso differisce assai dai Neanderthal. All'opinione del Sera hanno aderito esplicitamente il Büchner, il Giuffrida-Ruggeri, il Morselli e, apparentemente, l'Osborn.
Saccopastore. - Nel 1929 fu trovato a Saccopastore, località prossima a Roma, da operai in una cava di breccia, e fu portato all'istituto di antropologia della università di Roma, un cranio umano in discreto stato di conservazione e ravvolto ancora nella ganga del materiale, in cui era stato trovato. Erano insieme con esso resti fossili di Elephas antiquus, Rhinoceros Mercki, Hippopotamus maior, fauna calda quindi. Le ghiaie e sabbie del luogo sono ricche di elementi vulcanici e sembra si possano attribuire all'interglaciale Riss-Würm. Da S. Sergi il cranio è stato detto essere un tipico Neanderthal; egli però dice che la parte cerebrale di esso ha stretta somiglianza col cranio di Gibilterra, ciò che sembra giustificato. Questo essendo, pare al Sera dubbia la detta attribuzione. Il Sergi ha dato del cranio finora solo brevi note preliminari, onde è da attendere l'illustrazione completa, prima di dare un giudizio definitivo. A ogni modo è già evidente che i caratteri fisionomici facciali proprî della regione fronto-naso-lacrimale, sono assai diversi da quelli di Gibilterra.
Razze del Paleolitico superiore. - Passando al Paleolitico superiore, dobbiamo in primo luogo fare l'osservazione generale che, se pure i reperti sono qui più numerosi, pur tuttavia non abbondano straordinariamente. Molte razze che sono state costruite, lo furono, inizialmente almeno, sopra uno o due esemplari. Questi, in realtà, talvolta possono presentare note di tale specificazione, da autorizzare alla creazione di una razza, ma ciò non si verifica di solito. Se, come ne abbiamo già molti indizî, nel Paleolitico medio il fatto della miscela etnica si era già verificato, nel Paleolitico superiore questa è assai intensiva. L'opera di distinzione delle razze in questo periodo si presenta perciò particolarmente difficile e le opinioni degli autori divergono fortemente, non soltanto nell'assunzione di esse, ma anche nell'attribuzione dei singoli esemplari a ciascuna, onde l'uno autore attribuisce a una razza un dato esemplare che un altro autore attribuisce a un'altra. Le razze del Paleolitico superiore sono state studiate negli ultimi tempi da J. Szombathy (1925) e da K. Saller (1926) con risultati alquanto divergenti. Evidentemente non abbiamo ancora elementi sufficienti per potere arrivare a diagnosi sicure. Diciamo qualcosa degli aggruppamenti che sembrano più sicuri.
Razza di Grimaldi. - Nel 1901 il canonico Villeneuve, esplorando una delle grotte dei Balzi Rossi, presso Grimaldi (provincia di Imperia), quella detta dei Fanciulli, trovò nello strato più profondo due scheletri, uno di adolescente maschio, l'altro di vecchia. Lo strato in cui furono trovati conteneva fauna relativamente calda, con Rhinoceros Mercki, che però è dei tre mammiferi tipici quello che più a lungo si è mantenuto, allorquando il clima divenne più fresco. Lo strato era caratterizzato anche da un'industria mousteriana. Ma il Boule, rilevando che i due scheletri erano seppelliti in una fossa, arrivò alla conclusione che essi dovettero appartenere a un'epoca successiva, primissimo Aurignaciano. Egli ritiene tuttavia che il tempo della loro esistenza non può essere molto diverso dal Mousteriano, se pure non si confonde con esso. La situazione meridionale del luogo del resto ci spiega bene i fatti. I detti due scheletri sono conosciuti con il nome di Negroidi di Grimaldi (dal nome dei principi di Monaco). Nel cranio, sia nella parte facciale, sia nella cerebrale, sono delle note che avvicinano questo tipo alle razze negre. La statura è poco superiore alla media. Come nei Negri avambraccio e gamba sono piuttosto lunghi, in confronto del braccio e della coscia. L'estremità inferiore è relativamente lunga, il bacino stretto e alto.
Razza di Cro-Magnon (Les Eyzies). - Nel 1868 alcuni operai, eseguendo opere di scavo, trovarono nella località di Cro-Magnon, presso Tayac (Dordogna), sotto una roccia facente riparo, i resti di cinque scheletri, sopra tracce di focolari che contenevano ossa di animali, selci tagliate e conchiglie marine. Il geologo L. Lartet poté subito recarsi sul luogo, determinare con rigore tutte le condizioni del reperto e continuare lo scavo. Pare che si tratti di una regolare sepoltura. La fauna che accompagnava differisce poco da quella precedente, würmiana, giacché durante il Post-würmiano, attraverso la successione degli stadî glaciali finali, vi è un incremento della fauna di steppa e artica, culminante subito dopo il Bühl, per poi retrogradare fino alla fine del Daun, che ne segna la scomparsa. L'industria è aurignaciana. Le prime descrizioni dei caratteri fisici di questa razza sono dovute a Broca e Prüner-Bey (1868). Il cranio è grande, dolicocefalo (73,7) nel cosiddetto "vecchio di Cro-Magnon" (che è piuttosto però un esemplare estremo, per i suoi caratteri, fra cui anche la statura), pentagonoide nella norma superiore, basso. La piccola altezza della testa (platicefalia) è caratteristica del tipo. La fronte è piena. Le arcate sopraorbitarie poco prominenti, la faccia bassa e larga, le orbite basse, il naso stretto, ma non alto: è presente un discreto grado di profatnia. Le ossa lunghe dimostrano una conformazione robusta e statura vantaggiosa. L'assunzione di questo tipo come razza a sé è dovuta a De Quatrefages e Hamy (1882). Ma a questo tipo sono stati attribuiti una quantità di reperti paleolitici e posteriori, che spesso hanno poco a che fare con esso (Giuffrida-Ruggeri), onde sarebbe necessaria una rigorosa revisione di tutto il materiale. Scavi eseguiti nel 1923-24 nella stazione di Solutré, da Déperet, Mayet e Arcelin, hanno confermato il fatto, assodato già da Breuil, che i livelli inferiori di questa stazione sono aurignaciani e hanno posto in luce più scheletri che presentano le caratteristiche della razza di Cro-Magnon, ma il cui cranio tende fortemente verso forme brachicefaliche. Questa scoperta è di grande importanza, per la questione dell'origine della brachicefalia e delle razze del Mesolitico e Neolitico, tendendo essa a dimostrare l'origine locale, e dalla dolicocefalia, della brachicefalia e l'antichità di quest'ultima, che del resto, sotto la forma del cranio basso, già esisteva a Krapina, nel Riss-Würm. Molto si è discusso sulla origine di questa razza, che alcuni, soprattutto nei primi tempi della scoperta, volevano fare discendere da quella di Neanderthal, e altri più recentemente provenire dall'Oriente europeo e non avere nulla in comune con quella di Neanderthal. La discussione, però, di questa questione per quanto interessante, uscirebbe dal quadro di questa trattazione.
Předmost (Bruna). Il Sera ritiene più opportuno il nome di razza di Predmost, perché alcuni cranî conosciuti fino ad ora però solo attraverso fotografie e modelli, di questa provenienza, essendo più completi, permettono una caratterizzazione assai più sicura. Il cranio di Bruna I, poi, secondo il Sera, non apparterrebbe neppure a questa razza, per ciò che si può giudicare. K. J. Maška, in scavi condotti nelle vicinanze di Předmost, in Moravia (dietro scoperte precedenti di Wanckel, che aveva trovato, in strati di löss, resti di elefante primigenio e artefatti litici), scoprì una vera e propria tomba collettiva, alla profondità di oltre m. 2,5. Essa aveva una forma ovale e dimensioni di m. 3 di lunghezza per oltre m. 2 di larghezza ed era delimitata da scapole e mandibole di Mammut. In questa tomba erano i resti di venti individui, di cui dodici adulti. Per dieci di essi era presente l'intero scheletro. Purtroppo però questi resti sono assai scarsamente conosciuti e si attende ancora dopo quarant'anni la promessa illustrazione di essi.
Il cranio è dolicocefalico. Predmost III ha un indice di 72. Esso è ortocefalico, a differenza della razza di Cro-Magnon. La fronte è sfuggente. La sporgenza sopraorbitale forte ma tuttavia distinta in due segmenti, gli archi cioè sopracigliari e i sopraorbitarî. La parte preauricolare del cranio è fortemente sviluppata in lunghezza, in confronto della postauricolare. La faccia è alta e larga, il naso ben prominente alla radice, piuttosto stretto, la sinfisi mandibolare è assai alta. In complesso è evidente nel tipo una fisionomia australoide. Lo scheletro, secondo Szombathy, sarebbe piuttosto delicato e quindi differente da quello del tipo di Cro-Magnon.
In questo gruppo è da porre, forse un po' a parte però, il cranio di Combe-Capelle, di cui anche è stato posto in rilievo il carattere australoide. Alcuni autori hanno distinto ancora una razza di Chancelade, dal reperto di uno scheletro trovato nel 1888, in questa località, presso Périgueux, in un livello maddaleniano. Il Testut che lo studiò, affermò delle somiglianze con gli Eschimesi attuali, quindi con razze mongoliche. Tali affinità sono state discusse. Certo esse non sono evidenti, né sul cranio in questione, né sui pochi altri certo appartenenti all'epoca maddaleniana. Esse sono negate completamente dal Keith, ma alcuni caratteri lasciano il dubbio che un elemento mongoloide sia intervenuto in Europa, diluendosi fortemente, durante il maddaleniano.
Uomini del Mesolitico. - I tipi umani di Grenelle e Furfooz, stabiliti da De Quatrefages e Hamy, non si ammette più appartengano al Paleolitico. Con certezza però vi appartengono i reperti di Ofnet in Baviera, di Mugem nel Portogallo, di Tevies nel Morbihan (Francia).
In un deposito di età aziliana, a Ofnet, furono trovate, nel 1907 e 1908, due fosse contenenti, fra masse di ocra rossa, un considerevole numero di cranî, disposti in un certo ordine, sicuramente rituale. Erano 27 cranî nella grande fossa e 6 nella piccola. Di questo materiale però, secondo lo Scheidt, solo quattro cranî maschili e sei femminili sono realmente utilizzabili. Questi pezzi dimostrano una grande eterogeneità. Si dividerebbero in un gruppo, più numeroso, di meso-brachicefali e uno (di soli due individui) dolicocefalo. I due cranî dolicoidi sono dallo Scheidt ravvicinati rispettivamente alle razze di Cro-Magnon e di Předmost (Bruna); i meso-brachicefali alla razza di Grenelle. Tuttavia, egli dice che doveva esistere una forte mescolanza raziale. Secondo un'opinione assai diffusa, nel Mesolitico si dovette avere la prima comparsa dei brachi in Europa. Abbiamo visto che essi comparvero fra gli aurignaciani di Solutré e che forse si produssero nel suolo stesso di Europa. Una simile conclusione permettono forse anche i risultati dello studio del Vallois (1931) sui resti di Mugem. Egli mette in dubbio la presenza dei brachi in questa serie, già da tempo affermata, avendo constatato nei diversi brachi deformazione postuma. Egli dice perciò trattarsi di mesocefali, che riunisce ai dolicocefali, di cui rappresenterebbero una variazione. Riporta gli uni e gli altri alla razza di Cro-Magnon, ma certo il Vallois ha di questa una concezione troppo ampia, ammettendo che essa possa accogliere cranî alti e bassi. Le due variazioni di altezza, dove è constatabile un buon isolamento geografico di gruppi, sono sempre distinte.
America.
Le questioni relative all'antichità dell'uomo in America sono ancora le più controverse, in confronto a tutti gli altri continenti. Persino i reperti di utensili litici in situ, cioè negli strati geologici diversi e non in superficie o rimaneggiati, paiono rari e quei pochi anche sono fortemente discussi per la loro età. Di resti ossei attribuiti all'uomo ne sono stati trovati molti in realtà, ma parecchi di essi non sono buoni documenti. Tuttavia si può dire che non possa essere giustificato lo scetticismo eccessivo con cui il Hrdlička, l'antropologo americano più in vista, ha scartato tutti i reperti umani finora fatti nell'America Settentrionale e Meridionale, come non aventi diritto ad essere considerati autentici. Per consenso ormai di molti studiosi (Sera, Boule, Aichel, Fischer, Freudenberg) la posizione assunta dal Hrdlička non è sostenibile, in quanto egli dichiaratamente scarta da una considerazione scientifica tutti quei pezzi che non presentano certi caratteri a cui soltanto egli dà valore di primitività, cioè i caratteri neanderthaliani. Questo autore arriva in tal maniera a dare un giudizio di valore cronologico, in base a fatti anatomici, mentre il procedimento del paleontologo è perfettamente l'inverso. Esistono certo alcuni reperti che hanno diritto a essere presi in considerazione, sia perché cronologicamente accertati, sia perché la loro morfologia molto singolare è da sola sufficiente a staccarli da altri documenti fossili e dalle forme attuali.
Natchez. - Intorno al 1846, nelle vicinanze di Natchez, duecento miglia a monte del delta del Mississippi, in una terrazza alta di lehm di origine dell'ultima parte del Glaciale, fu trovato da operai un iliaco umano dello stesso aspetto fisico di fossili di mammiferi pleistocenici. Lyell, il famoso geologo inglese, che venne sul posto, non credette in un primo tempo di potere attribuire al pezzo una così grande antichità, essendo esso completamente isolato. Sembra che poi sia ritornato sulla sua opinione. A ogni modo il frammento, esaminato dal Leidy, nel 1889, presenta caratteristiche non dissimili da quelle recenti.
Trenton. - In ghiaie di rimaneggiamento della morena dell'ultimo Glaciale o Wisconsin = Wu̇rm) e in cui l'Abbott (che per quarant'anni vi fece ricerche) aveva trovato gran copia di manufatti in quarzite di tipo paleolitico, il Volk trovò un frammento di parietale e un frammento di femore umani. Queste ossa hanno caratteri "recenti", ma ciò non deve sorprendere, perché, dati i fatti geologici sopra accennati, l'uomo di Trenton ha, rispetto al continente americano, la stessa posizione che il tipo di Cro-Magnon ha per l'Europa, cioè rappresenta il tipo umano a caratteri moderni che esisteva nella fase di decrescenza dell'ultimo Glaciale.
Lansing. - Una calotta, delle altre ossa di tipo "moderno" furono trovate a Lansing nel Kansas, a oltre sette metri di profondità. Sembrano appartenere all'ultimo Interglaciale (Jowan). Quello che è ad ogni modo certo è che sinora non sono stati scoperti nell'America cranî di un tipo simile a quello di Neanderthal. Ma per ciò che riguarda l'America Settentrionale, occorre far presente che l'estensione enorme dei ghiacciai, durante le acmi del Glaciale, dovette lasciare ben poco spazio disponibile all'uomo. È più probabile che scoperte simili alle europee si abbiano a verificare nel sud-ovest dell'America Settentrionale.
Passando all'America Meridionale, cominciamo con l'incontrare grandi difficoltà per stabilire un'esatta cronologia degli orizzonti geologici, che ivi s'incontrano. Sono noti i caratteri speciali della fauna fossile e attuale di questo continente, che costituisce perciò una regione speciale, la neotropica. Sembra che qui le faune antiche abbiano avuto una più lunga esistenza, onde una tendenza degli stratigrafi, che si basano sulla paleontologia, a invecchiare gli orizzonti in confronto degli stratigrafi che si basano sui fatti geologici. Inoltre sono solo degli ultimi anni i tentativi di raccordare i terreni più alti della serie dell'America Meridionale con i fenomeni glaciali (I. Frenguelli), cosa di somma importanza per una rigorosa cronologia.
Fra i numerosi reperti dovuti in buona parte allo zelo dell'Ameghino e cioè Carcaraña, Frias, Saladero, Fontezuelas, Baradero, Arrecifes, La Tigra (Miramar), Samborombón, Monte Hermoso Chocori, Ovejero, Siasgo, Mala Cara (Moro), Necochea, menzioniamo specialmente quelli di Monte Hermoso e di Necochea.
Monte Hermoso. - L'atlante che costituisce il reperto di questo nome proviene probabilmente (ma non con assoluta sicurezza) da strati appartenenti all'Hermoseano di Ameghino e quindi, secondo questo autore, al Miocene superiore. La cronologia di quest'orizzonte è però data in maniera assai diversa, dai più, come almeno pliocenico. Il Lehmann-Nitsche, che per primo fece uno studio accurato del fossile, lo attribuisce al Pliocene superiore. Dall'Ameghino assegnato a un precursore dell'uomo (Tetraprothomo), è dal Lehmann-Nitsche e dal De Urquiza attribuito all'uomo (H. neogaeus). Il pezzo è di dimensioni piuttosto piccole e ha perduto i processi laterali. È piuttosto massiccio specialmente nei lati e nell'arco posteriore; anche piuttosto piccolo è il forame mediano a ragione di un certo sconfinamento verso l'interno delle parti posteriori delle superficie articolari superiori. Queste, in altri termini, non sono così convergenti verso l'innanzi, come è di solito nell'uomo. L'arco posteriore ha una curvatura meno forte che di ordinario nell'uomo. Ma i restanti caratteri sono certamente umani.
Necochea. - Nel 1909 furono trovati a Necochea, località costiera dell'Argentina, i resti di tre individui almeno (i cui reperti sono indicati coi numeri 1, 2, 3) in strati giudicati dall'Ameghino appartenenti all'Ensenadano cuspidale e quindi, secondo lui, pliocenici, secondo altri, assai più recenti, secondo il Frenguelli, di Quaternario medio.
Necochea n. 1 consiste di un frammento di calotta e di pochi resti ossei. La calotta sembra simile a quella di Necochea 2, i frammenti delle ossa lunghe permettono di assegnare al tipo una statura piuttosto piccola. Il Necochea 3 non è stato descritto sinora. Necochea n. 2 consiste in un cranio con la faccia e con la parte cerebrale di destra abbastanza ben conservate e in altri frammenti scheletrici, male conservati. Il cranio fu bene studiato e descritto da A. Mochi. È lungo (188) e molto stretto (118). Indice 63,4. Indici di altezza (ricostruiti) v. t. 108, 15; v. l. 68,8.
La fronte è molto stretta (84 mm.). Nella norma laterale il cranio assume una figura triangolare, dato che il profilo, per oltre una metà a partire dalla glabella, ha una curvatura assai scarsa e, per il restante, una un poco più forte, ma i due tratti sono ben distinti l'uno dall'altro, e chiaramente confluenti al vertice. Questa conformazione non deve far pensare a una deformazione, perché in America e in Polinesia si presenta spesso, senza alcuna traccia di questa. La deformazione è stata affermata però dal Hrdlička, ma negata assolutamente ed esplicitamente dal Mochi, che pure studiò il pezzo sul posto. Del resto anche il modello non permette di constatare sul frontale residuo nessuno degli appiattimenti caratteristici della deformazione. L'ametopismo, o assenza di fronte, di questo pezzo si deve perciò giudicare affatto proprio al tipo. Con ciò si accorda il fatto delle piccole dimensioni di esso (modulo di Schmidt 144). Il cranio è un po' a tetto, visto di dietro. Assenza completa d' ispessimenti sopraorbitali. Apparentemente il frontale acerebrale è assai piccolo. Niente quindi in questo cranio che lo approssimi al cranio di gorilla o scimpanzè. Sotto alla glabella il profilo non ritorna indietro, come succede ordinariamente. La faccia è grande, di aspetto piramidale, ciò essendo dovuto da una parte alla forte larghezza bizigomatica, di ben 13 millimetri superiore alla larghezza del cranio cerebrale e dall'altra alla strettezza della fronte. Leptoprosopia forte. Il prognatismo è assai moderato. Di profilo si constata che il margine inferiore del malare è posto assai all'innanzi, ma lo stesso non si può dire del margine esterno, onde una platopia (faccia piatta) piuttosto inferiore che superiore. I malari sono piuttosto grandi, inclinati verso l'esterno. Le orbite sono molto grandi e soprattutto assai alte (indice 106,6) di forma pentagonoide, per formazione di un angolo soprannumerario che divide in due il lato inferiore. Il naso è assai alto e, malgrado una larghezza non piccola (25,4), è leptorino. La radice nasale non è infossata e il profilo dei nasali, di cui sussistono le parti superiori, continua direttamente quello della fronte. Le apofisi ascendenti sono disposte quasi sagittalmente; tutto ciò indica che la radice nasale doveva essere nel vivente bene saliente, a differenza di quello che è nella maggior parte degli Eschimesi, a cui il Mochi ravvicina questo cranio. Gli Eschimesi, come i Mongoli, non presentano tale carattere e la loro platopia è anche in genere superiore. La mandibola è molto alta, anche nella sinfisi ed esiste un certo grado di mento. Per il Sera tutti i caratteri accennati indicano che si tratta di una forma appartenente al primo tipo facciale (tibeto-polinesiano) in una fase o stadio di grande primitività, e perciò il Sera dà a questo pezzo un'importanza assai grande dal punto di vista morfologico e filetico. È anche assai importante l'affermazione del Mochi, che molti dei caratteri presentati da questo pezzo lo riavvicinano ad Hapalidae, le scimmie più primitive.
Punin. - Nel 1923, in un deposito ossifero pleistocenico della regione andina dell'Ecuador, a Punin, fu trovato un cranio femminile adulto. Nello stesso orizzonte erano resti del Cavallo delle Ande, estinto, del Cammello e del Mastodonte, entrambi pure estinti. Il cranio è stato detto australoide, dal Keith, ma questa denominazione può essere accettata solo in un senso assai largo, non presentando esso caratteri molto diversi da quelli del tipo andino attuale per la faccia, né diversi, anche per la parte cerebrale, dai cranî recenti di Paltacalo, nello stesso Ecuador, descritti dal Rivet. Un reperto simile, per le sue condizioni geologiche e paleontologiche, parrebbe dovesse essere quello rilevato dall'Aichel, nel 1929, nella collezione del Museo di Santiago nel Chile. Si tratta di due cranî trovati in un deposito gessoso presso Catapilco, accompagnati da Mastodon e da Equus cuvidens. Non sono stati però ancora illustrati.
Australia.
Talgai. - Questo reperto fu noto al mondo scientifico solo nel 1914, ma esso rimonta al 1884. Si tratta di un cranio che fu trovato nel detto luogo (Queensland meridionale) e si è potuto con sicurezza stabilire, malgrado la distanza di tempo dal ritrovamento, che esso fu trovato in un deposito pleistocenico di argilla, che contiene ossa di grandi Marsupiali ora estinti. Il deposito è molto probabilmente di età würmiana.
Il cranio appartiene a un giovinetto di 14 o 15 anni. Esso era molto incrostato di concrezioni e schiacciato: ha permesso tuttavia di stabilire la sua appartenenza al tipo australoide, ma molto più rozzo che non sia attualmente. Ciò è dimostrato dal grande sviluppo e dalla forma singolare del palato, in cui le due serie dentarie sono quasi parallele, come negli antropomorfi, e dal forte sviluppo dei canini e dei molari.
Cohuna. - Nel 1925, scavandosi un canale d'irrigazione, fu scoperto a Cohuna, nello stato di Victoria, un cranio che presenta grandi somiglianze con quello di Talgai. Nessun dato cronologico poté essere stabilito in modo sicuro. Il cranio appare fortemente mineralizzato. Successivamente, dietro scavi appositi, furono trovati i resti di altri quattro individui. Il primo cranio è di un maschio adulto. Esso presenta l'enorme distanza di 140 mm. dal porion al prosthion. Presenta fortissimi ispessimenti sopraorbitarî. In breve esso dimostra ancora più esageratamente di quello che sia al presente la bestializzazione del tipo australiano. I canini sono assai grossi, mm. 12,5 di diametro anteroposteriore. I molari hanno la larghezza di ben 14,5 mm. L'area palatale è, secondo Keith, la più grande conosciuta in un cranio umano. Il cranio è lungo, relativamente stretto. Lo spessore delle ossa craniche, ben 12 mm. La capacità è calcolata 1260 cmc.
Conclusioni generali.
Volendo trarre qualche conclusione generale dai fatti e dalle conclusioni parziali, esposte in ciò che precede, dobbiamo immediatamente constatare la grande difficoltà di arrivare a proposizioni nette e stabili a sufficienza. Il presente momento della paleontologia umana ha naturalmente carattere di transitorietà. Ciò risulterà chiaro dalle seguenti considerazioni:
1. Qualora sia confermata l'appartenenza ad Homo sapiens dei resti di Kanam e Kanyera e l'antichità loro attribuita, risulterà dimostrata la supposizione, già da molti avanzata, che Homo sapiens abbia persino preceduto l'uomo di Neanderthal.
2. L'associazione che si constata in Sinanthropus di uno scheletro a caratteri recenti, cioè di Homo sapiens, non neanderthaliani, con un cranio a piccola capacità e a platicefalia teromorfica, in una epoca almeno rissiana, è una ripetizione di quanto si constatò alla fine del sec. XIX con la scoperta del Pitecantropo. Ma siccome in Sinanthropus la natura schiettamente umana è dimostrata dall'industria e dall'arte del fuoco ed esso non può certo essere interpretato come una forma intermediaria, non solo si è autorizzati a pensare che Pitecantropo sia anch'esso un uomo, con tutti i suoi attributi, ma che la detta associazione sia stata un fatto comune in tempi remoti (pliocenici) o, in altri termini, che gli acquisti nel volume del cervello siano stati affatto recenti, quaternarî, e persino del Quaternario tardivo, mentre l'acquisto della stazione eretta manifestantesi coi caratteri "attuali" dello scheletro, sia cosa assai più antica e veramente caratterizzante l'uomo, assai più che non lo faccia il volume del cervello. È da ricordare ancora che Rhodesia presenta la stessa associazione, aumentando così la forza della argomentazione.
3. Abbiamo già parecchi documenti (Piltdown, Sinanthropus, Krapina, Saccopastore, Necochea) che permettono di constatare (conservando essi più o meno della regione fronto-naso-lacrimale) che la differenziazione raziale (che è dimostrata principalmente da detta regione) s'iniziò in epoche assai lontane, anteriori, almeno, al Würmiano. Ciò complica assai lo schema di discendenza da costruire, conforme ai fatti positivi già risultati.
4. L'enigma di Piltdown, con l'associazione di una mandibola con certi caratteri assai bassi, a un cranio che viene giudicato neoantropico, in fondo solo perché non ha fronte sfuggente e ispessimenti sopraorbitali (il quale giudizio può essere anche errato), è tale da fare legittimamente pensare che non ci si possa rendere conto dei fatti, solo a ragione delle correnti concezioni morfologiche.
5. Un esame naturalistico e spregiudicato dei caratteri della razza di Neanderthal è contrario all'interpretazione che essi siano antropoidici. Le recenti scoperte africane (Kanam e Kanyera) sono contrarie a detta interpretazione e poco favorevoli all'ipotesi, cara a molti studiosi, dell'origine africana della razza di Neanderthal.
6. I reperti dell'America Settentrionale e Meridionale sono stati esaminati, salvo poche eccezioni, con criterî falsati da pregiudizî esplicitamente dichiarati dagli stessi autori.
Le considerazioni esposte, che sono soltanto le principalissime fra quelle che lo stato dei fatti consente, permettono di affermare che la concezione fondamentale tradizionale della paleontologia umana non è più accettabile.
Secondo questa concezione, che ebbe il suo massimo vigore intorno al 1900, ed esponendola in poche parole, la linea della discendenza umana partirebbe dal Pitecantropo e si continuerebbe, direttamente o indirettamente, nella razza di Neanderthal; da questa, direttamente o indirettamente, la differenziazione delle razze umane attuali sarebbe avvenuta in tempi assai prossimi a noi. Le più recenti scoperte invece hanno reso probabili, almeno, prospettive assai diverse: 1. che il Pitecantropo sia essenzialmente un uomo; 2. che la razza di Neanderthal, nei suoi caratteri più appariscenti almeno, non sia affatto primitiva, come del resto è indizio la sua data 3. che la differenziazione raziale è un evento antico. Il quadro dei fatti recentemente acquisiti alla paleantropologia non entra più perciò nella cornice della detta concezione tradizionale, ma quale sia quella da sostituire ancora non risulta. Occorreranno ancora nuovi reperti paleontologici e nuovo lavoro di osservazione e di meditazione su di essi, per potere pervenire a una nuova sistemazione.
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