Paleoantropologia
La p., o paleontologia umana, è una scienza storica: fornisce ricostruzioni più o meno articolate del processo evolutivo riguardante la nostra specie e cerca di interpretarlo. I segnali paleontologici - che provengono dal tempo profondo sotto forma di resti fossili, di manufatti preistorici e di dati paleoambientali - vengono presi in esame facendo ricorso a diverse competenze specialistiche: geologiche, fisico-chimiche, paleontologiche, morfologiche, preistoriche e, quando possibile, genetiche. Pertanto, attraverso un approccio tipicamente interdisciplinare, la p. è anche una disciplina di sintesi che affronta la storia naturale dell'uomo e dei suoi antenati più prossimi, riuniti nella famiglia Hominidae, o Ominidi, dell'ordine Primati, classe Mammiferi.
È peraltro emersa la tendenza a includere queste stesse forme nella sottofamiglia Homininae (suffisso -inae), o in livelli gerarchicamente ancora inferiori, per destinare al rango di famiglia (suffisso -idae) l'insieme costituito da uomo e scimmie antropomorfe africane, scimpanzé e gorilla, vista la grande affinità genetica (circa il 98%) fra noi e loro. Tuttavia, appare discutibile che le cosiddette distanze genetiche - in larga parte basate su materiale genetico ridondante e neutro (agli effetti della selezione naturale) - possano essere considerate la fonte d'informazione più adeguata per valutare le affinità e le differenze fra gli organismi (oggetto della sistematica e della tassonomia) che, al contrario, sono il risultato delle componenti codificante e regolatrice del genoma. Negli ultimi decenni del 20° sec. le distanze genetiche si sono comunque rivelate appropriate per indicare i tempi delle divergenze evolutive. In base a una serie di assunzioni (tra cui quella che larga parte di queste variazioni avvengano in correlazione lineare con il tempo), la diversità genetica può infatti tradursi in una valutazione del tempo intercorso a partire dall'ultimo antenato comune. A questo procedimento è stato dato il nome di orologio molecolare, in quanto si tratta di una valutazione dei tempi evolutivi basata sulla diversità genetica esaminata a livello molecolare (proteine, DNA). Poste tali premesse, si adotterà in questa sede il termine Ominidi (e non Ominini) per indicare il raggruppamento zoologico della nostra specie e delle forme estinte a essa affini, ma allo stesso tempo si utilizzeranno i dati genetici, in combinazione con quelli paleontologici, nel riferirsi ai tempi delle principali divergenze evolutive: in particolare quella tra uomo e scimmie antropomorfe africane, ipotizzata fra 8 e 5 milioni di anni fa (m.a.).
Il percorso storico della p. include fasi diverse, a partire dalla sua fondazione come scienza che si può far risalire alla metà del 19° sec., quando i primi fossili di forme umane estinte vennero scoperti, riconosciuti come tali e inseriti nel dibattito scientifico che vedeva l'affermarsi del pensiero evoluzionistico. In questo quadro, il posto dell'uomo nella natura richiedeva di riuscire a ipotizzare l'esistenza di una qualche forma estinta di 'anello mancante' tale da ricongiungere - attraverso il passato - l'uomo alle grandi scimmie antropomorfe, riconosciute come le forme viventi a noi più affini. In questa prima fase, compresa fra la metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, vennero rinvenuti numerosi resti fossili riferibili al ben noto uomo di Neandertal (dal nome della località tedesca dove, nel 1856, venne riportato alla luce il primo scheletro di questo tipo umano, attribuito alla specie estinta denominata H. neanderthalensis), a forme fossili di H. sapiens (forme che popolarono l'Europa verso la fine del Pleistocene, fra le quali i resti di Cro-Magnon, in Francia), ai Pitecantropi ubicati nell'isola di Giava in Indonesia (successivamente inseriti nella specie H. erectus). È questa l'epoca in cui furono anche descritte in Europa varie facies preistoriche - Acheuleano, Mousteriano ecc. - e alcune fra le più note testimonianze di arte paleolitica. Nel 1907 venne anche rinvenuta una mandibola presso Heidelberg, in Germania, che rappresenta l'olotipo (reperto di riferimento) della specie H. heidelbergensis, ripresa in considerazione come la forma umana che avrebbe dato origine sia al Neandertal sia all'umanità moderna.
Una seconda fase della storia della p. copre esattamente un cinquantennio, se la si include fra due scoperte entrambe africane e particolarmente conosciute di Australopithecus (genere ominide estinto), rispettivamente nel 1924 in Sudafrica a Taung, e nel 1974 in Etiopia ad Hadar, con la scoperta dei resti del celebre scheletro soprannominato Lucy (AL 288-1). In questa fase - pur in presenza di nuove importanti scoperte sia in Europa (per es., i fossili neandertaliani di Saccopastore e del Monte Circeo in Italia) sia in Asia (per es., il campione fossile del sito di Zhoukoudian presso Pechino, in Cina) - il continente africano diventa protagonista delle ricerche effettuate sull'origine degli Ominidi e, fra essi, del genere Homo. In un primo momento i rinvenimenti si concentrarono nel territorio dell'attuale Sudafrica, per poi espandersi a tutta la fascia orientale del continente, caratterizzata dalla presenza della grande frattura tettonica nota come Rift Valley, e ad altri territori dell'area subsahariana.
Furono riconosciute distinte varietà di Ominidi 'preumani', raggruppate con il progredire delle conoscenze in due tipi fondamentali di Australopithecus: la forma cosiddetta gracile (A. africanus) e quella robusta (riferita anche al genere Paranthropus, distinta in tre specie: P. aethiopicus, P. boisei e P. robustus). Nel 1964, sulla base di resti provenienti da Olduvai, in Tanzania, venne inoltre denominata la più antica specie del genere Homo, H. habilis, associata alle prime produzioni di manufatti paleolitici e nota soprattutto grazie a reperti rinvenuti nell'area del lago Turkana in Kenya. In quegli anni datazioni assolute basate su metodi di decadimento radioattivo hanno anche iniziato a fornire una griglia cronologica a cui riferire la maggior parte dei rinvenimenti paleontologici e preistorici in Africa orientale come altrove.
Verso la fine degli anni Settanta era dunque disponibile un quadro ancora in parte condivisibile dell'evoluzione umana. In sintesi, era così concepito: la specie A. afarensis (che include i resti di Hadar) veniva interpretata come ancestrale alla biforcazione fra le successive varietà di Australopithecus (diffuse in Africa meridionale e orientale) e quelle del genere Homo (poi diffuse anche nelle fasce tropicale e temperata dell'Eurasia, oltre che in Africa); a queste ultime veniva affiancata la produzione di manufatti del Paleolitico, in relazione con un incremento della componente carnivora della dieta e con la diffusione geografica anche extraafricana di una forma umana arcaica (H. erectus) prima, e di quella moderna (H. sapiens) in seguito. Le origini degli Ominidi venivano identificate nell'ambito della radiazione delle antropomorfe nel Miocene (tra 23,5 e 5,2 m.a.), mentre la comparsa del genere Homo si faceva risalire alla transizione fra Pliocene e Pleistocene (intorno a 2 m.a.). Adattamenti ritenuti fondamentali per lo svolgimento di questo percorso erano e sono ancora considerati i seguenti (in orientativa successione cronologica): importanti cambiamenti a carico della dentatura, con espansione relativa di premolari e molari rispetto a incisivi e canini; acquisizione della locomozione bipede in postura eretta; espansione di aree corticali del sistema nervoso centrale, con il raggiungimento di elevati volumi endocranici (encefalizzazione); relativo affrancamento dalle pressioni ambientali e graduale prevalere dell'evoluzione culturale - mediata dalla produzione di manufatti e, con H. sapiens, dallo sviluppo di un linguaggio articolato e simbolico - su quella biologica.
Ferma restando la validità essenziale di questo scenario, ma a fronte di un bagaglio di evidenze che si è notevolmente accresciuto e alla luce di nuovi paradigmi teorici, la p. può dirsi profondamente rinnovata nelle ipotesi, nei metodi di studio e nel quadro informativo che ne risulta. Ci si limiterà qui ad aggiornamenti relativi alla sola p. stricto sensu. In primo luogo, si è passati da un modello pressoché lineare dell'evoluzione umana a scenari molto più complessi e articolati, nei quali vengono riconosciute fino a circa venti specie di Ominidi, riunite in una mezza dozzina di generi, che nel loro insieme sono compresi fra 7 m.a. e il presente. Per alcune di queste (oltre che in H. sapiens) è possibile uno studio della variabilità intraspecifica, sia nello spazio sia nel tempo, e in rari casi anche di quella intrapopolazionistica (da siti come Dmanisi, in Georgia, o Atapuerca SH, in Spagna); inoltre, la disponibilità di reperti fossili appartenenti ai diversi distretti scheletrici, come pure la possibilità di esaminare anche individui in età di accrescimento, ha spostato l'attenzione dei ricercatori da un approccio eminentemente descrittivo a un'analisi più propriamente morfofunzionale e adattativo-ecologica.
Oltre a una riconsiderazione attenta dell'applicazione del concetto di specie in paleontologia e delle nozioni di biologia evoluzionistica al caso particolare dell'uomo e dei suoi antenati più prossimi, in questo quadro si sono sviluppati nuovi metodi d, che includono: la codifica e la disamina accurata dei caratteri morfologici e del loro significato; l'applicazione di tecniche di ordinamento e di analisi dei dati secondo le diverse impostazioni statistiche (multivariate), fenetiche e cladistiche; la quantificazione e la visualizzazione delle forme biologiche in relazione agli sviluppi della morfometria geometrica; l'introduzione nonché i rapidi progressi nell'impiego della tomografia computerizzata e di altre tecniche radiografiche per l'acquisizione dei dati, per la ricostruzione virtuale dei reperti e per lo studio altamente innovativo anche di strutture interne; l'analisi delle microstrutture ossee e dentarie e l'applicazione di modelli matematici per conoscere le modalità e i tempi di accrescimento e sviluppo nelle specie estinte; l'introduzione della genetica e della biologia molecolare usate per individuare i tempi di divergenza evolutiva e di insorgenza di alcune caratteristiche del fenotipo.
Inoltre, sono stati scoperti una gran quantità di nuovi reperti fossili che hanno consentito, fra l'altro, di individuare molte specie di Ominidi sconosciute in precedenza. In particolare (seguendo la cronologia e non la storia delle scoperte): tre nuovi generi compresi fra circa 7 e 4 m.a. (Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus), per i quali tuttavia non tutti gli autori sono concordi su una sicura attribuzione alla nostra linea evolutiva, sia per l'aspetto scimmiesco di molti caratteri cranio-dentali sia per l'incerta acquisizione della locomozione bipede; la più antica specie di Australopithecus (A. anamensis), datata intorno a 4 m.a., e altre più ipotetiche varianti dello stesso genere (A. bahrelghazali, A. garhi); un nuovo possibile e controverso ominide (Kenyanthropus platyops), datato a circa 3,5 m.a., ovvero in parte contemporaneo di A. afarensis; distinte varietà attribuite dalla maggior parte degli autori a Homo, che si sono affiancate per cronologia e posizione filogenetica a H. habilis come primo rappresentante del nostro genere, sia in Africa orientale (H. rudolfensis, H. ergaster) sia in Medio Oriente (H. georgicus); la specie (H. antecessor) ritenuta responsabile della prima colonizzazione del continente europeo intorno a 1 m.a., possibile antenato comune fra le specie più derivate del nostro genere - H. neanderthalensis e H. sapiens - e a cui potrebbe anche appartenere il cranio di Ceprano, rinvenuto in Italia.
I tempi e le modalità della diffusione geografica extraafricana del genere Homo sono stati riconsiderati ed estesi a coprire un intervallo cronologico molto antico (fra 2 e 1,5 m.a.) e a riguardare Ominidi ben più arcaici di quanto ritenuto in precedenza; da questi si sarebbe caratterizzata in Estremo Oriente la specie H. erectus, mentre in Africa continuava a evolvere una forma umana in parte differente, denominata H. ergaster.
L'estrazione di frammenti di DNA mitocondriale da alcuni fossili neandertaliani ha consentito di valutare i tempi della probabile origine di questo tipo umano a circa 250 mila anni fa e quelli della separazione evolutiva dello stesso Neandertal con la linea filetica di H. sapiens a circa 600 mila anni fa. In base al medesimo criterio (orologio molecolare), ma su dati riguardanti la variabilità umana attuale, le origini di H. sapiens sono state fissate in Africa verso i 200-150 mila anni fa, in buona concomitanza con i più antichi fossili umani anatomicamente moderni, rinvenuti appunto in Africa orientale e meridionale e riferibili a datazioni comprese fra 190 e 130 mila anni fa.
Le traiettorie e i tempi della diffusione extraafricana di H. sapiens - iniziata almeno 100 mila anni fa e poi ulteriormente incrementatasi verso 50 mila anni fa - vengono tuttora indagati in dettaglio, fornendo un quadro coerente che combina dati archeologici, genetici e paleontologici. In questo contesto si inserisce anche il confronto sul piano adattativo tra le forme anatomicamente moderne in diffusione e le ultime popolazioni di varietà arcaiche del genere Homo ancora distribuite in Africa ed Eurasia (come per es., in Europa, la specie H. neanderthalensis).
La scoperta di resti umani, particolarissimi e assai recenti, nell'isola indonesiana di Flores ha condotto infine alla sorprendente identificazione di una forma umana di dimensioni corporee assai ridotte (H. floresiensis), che si sarebbe evoluta per centinaia di millenni indipendentemente dalla restante parte del genere Homo.
bibliografia
Encyclopedia of human evolution and prehistory, ed. E. Delson, I. Tattersall, J.A. Van Couvering et al., New York 2000; The human evolution source book, ed. R.L. Ciochon, J.C. Fleagle, Upper Saddle River (NJ) 20062.