PALEOANTROPOLOGIA (XXVI, p. 1; App. II, 11, p. 486)
La preominazione (preumani e non preumani). - Nuove scoperte di primati fossili e la revisione del materiale già conosciuto hanno portato in primo piano il problema delle forme che hanno preceduto quelle umane o che con queste avrebbero potuto avere rapporti di parentela (filetici). Ai tipi già indicati come preominidi si vorrebbero ora aggiungere altri reperti fossili che estenderebbero nel tempo e nello spazio le forme che precorrono quelle umane o che le rappresenterebbero nelle loro prime fasi di evoluzione.
Il problema dibattuto nell'ultimo decennio, 1950-60, riguarda la posizione sistematica di quei fossili, che per alcuni sarebbero da escludere dalla serie della ominazione, per altri invece, se inclusi nella serie, o costituirebbero tipi più prossimi alla soglia del processo della ominazione o dovrebbero averla già varcata e sarebbero da considerare come veri ominidi.
Si porta qui l'attenzione, in particolare, su tre fossili che sono oggetto di controversia: l'Oreopithecus, il Gigantopithecus e lo Zinjan thropus.
Oreopithecus bambolii è il nome di una scimmia fossile descritta per primo da P. Gervais (1872) da alcuni resti trovati nelle ligniti di Monte Bamboli (Grosseto) del Miocene superiore, attribuita da G. Schwalbe (1915) alla famiglia degli Oreopitecidi. J. Hürzeler ha ripreso l'esame del fossile, aggiungendo uno scheletro di recente (1958) recuperato nella miniera di Baccinello (Grosseto), e ha messo in evidenza caratteristiche che riguardano in particolare i denti, tra cui: la lunghezza media della serie dei denti mandibolari e mascellari che segue l'ordine tipico degli ominidi, dal quale però si distacca per il terzo molare che è il più lungo, così come nel Parantropo, l'Australopithecus, che è incluso da alcuni negli ominidi, il primo premolare bicuspidato e non caniniforme, come di regola negli antropoidi; l'assenza del diastema scimmiesco nelle due arcate dentarie.
Secondo Hürzeler (1958), nel tempo in cui visse l'Oreopiteco, la ominazione sarebbe, "almeno somaticamente", non soltanto al suo inizio ma in via di sviluppo. L'Oreopiteco sarebbe talmente differenziato nella direzione dell'ominide da poter essere indicato con quest'ultimo nome per i suoi caratteri peculiari umani, già in pieno svolgimento. Sarebbe una forma di ominide, da porre già nella filogenesi umana, che si troverebbe così individuato sul finire del Miocene, da circa dodici milioni di anni. Questa concezione è contrastata dalla maggior parte dei paleontologi; soltanto G. Heberer si è avvicinato ad essa ponendo l'Oreopiteco in una sottofamiglia di Oreopitecini nel suo sistema della famiglia degli Hominidae, nella quale include l'uomo come sottofamiglia di Euhominidae. Esso sarebbe una forma primitiva della fase subumana della filogenesi umana e costituirebbe una prova che già nel terziario, tra il Miocene ed il Pliocene il tronco degli ominidi era distinto, cioè un documento dell'esistenza di ominidi subumani circa dieci milioni di anni fa.
Nuovi elementi concreti per un giudizio sul fossile sono forniti da A. Schultz, dopo osservazioni recenti da lui compiute sullo scheletro di Oreopiteco, raccolto da Hürzeler a Baccinello (Grosseto). Lo Schultz rileva nell'Oreopiteco che la posizione eretta non era presente o più avanzata che negli antropomorfi e che le proporzioni dello scheletro degli arti, particolarmente del femore molto corto e degli arti superiori molto allungati, si possono avvicinare a quelle del gorilla, il quale più di frequente cammina sui quattro arti ed ha poco sviluppata la funzione della brachiazione. La speciale combinazione dei caratteri delle mascelle e dei denti con quelli dello scheletro distinguerebbe l'Oreopiteco dagli ominidi e da tutti i gruppi delle scimmie superiori, per cui, conclude Schultz, esso deve essere considerato il campione della famiglia distinta degli Oreopithecinae, come già aveva fatto G. Schwalbe nel 1916 e, di recente, J. Kälin (1955). Si esclude, quindi, che l'Oreopithecus sia un ominide e che abbia partecipato alla filogenesi umana.
Gigantopithecus blacki. - Così G. von Koenigswald ha indicato un grande primate, documentato da tre enormi denti fossili da lui acquistati ad Hongkong e provenienti dalla Cina Meridionale. Sulla morfologia scimmiesca dei denti furono concordi W. K. Gregory e M. Helmann (1936), R. Broom (1939) ed A. Remane (1950) contrariamente a F. Weidenreich, che li attribuiva ad un ominide gigantesco che avrebbe raggiunto la statura di fin quattro metri e mezzo, giudizio emesso soltanto sulla conoscenza dei tre grandi denti del fossile, di cui era ignorata, al tempo del Weidenreich, qualsiasi altra documentazione. Questi rilevava allora nel Gigantopithecus una strana combinazione di caratteri primitivi e di caratteri avanzati e lo poneva nell'ascendenza del Sinantropo, sviluppando una sua teoria dell'evoluzione umana da forme giganti.
Secondo von Koenigswald, la dentatura dell'uomo attuale ripete le caratteristiche dei molari del Gigantopithecus nei suoi più minuti particolari ed egli vede in esso l'ultimo sopravvissuto di uno stock asiatico che si svolge in una linea più o meno parallela a quella umana.
Dopo venti anni di discussione, molti dubbi sono stati chiariti dal paleontologo cinese Pei Wen-chung con il rinvenimento di tre mandibole (1956-1958) di dimensioni eccezionali, trovate in una grotta e corrispondenti geologicamente all'età del Sinantropo. Il Gigantopithecus ci appare con queste mandibole quale un grande pongide asiatico e non come preominide, come ancora si vuole ammettere da G. Heberer che lo colloca (1959) in una sua radiazione di Prehomininae, a fianco delle radiazioni dei gruppi di Australopitecidi, la radiazione del gruppo Gigantopithecus. Viene in questo modo prospettata dallo Heberer, in uno schema di radiazioni, l'evoluzione degli Hominidae, a partire da ominidi subumani, aggiungendo che "per il momento sono solamente possibili soluzioni speculative".
Connessa con quella del Gigantopithecus, si affaccia la questione del gigantismo di forme fossili preumane ed umane. Il problema è sorto con il rinvenimento della mandibola del Meganthropus palaeojavanicus di Giava (von Koenigswald), così denominato per le dimensioni dei denti e del frammento di mandibola ad essi unito.
Oggi viene negato che la particolare grandezza dei denti (megadontia) e della mandibola (megagnatia) che l'accompagna sia correlata con una corrispondente enorme dimensione corporea, cioè con una eccezionale megasomia. Il megadontismo del Meganthropus palaeojavanicus è uguagliato e superato dal megadontismo del Paranthropus crassidens di Swartkrans (J. Robinson). Ma le dimensioni di quest'ultimo non poterono essere maggiori di quelle dell'uomo recente, perché l'osso dell'anca del Parantropo, che è conservato, uguaglia in dimensioni quello di un uomo attuale. Questo fatto è sufficiente a dimostrare che il Megantropo di Giava, come il Parantropo, non possedeva un corpo di dimensione eccezionale o gigantesco. Riguardo le presunte dimensioni eccezionali del Gigantopiteco, del quale ora si conoscono le mandibole ed i cui denti hanno un volume maggiore di quelli del Megantropo e del Parantropo, esse non potevano essere di molto superiori a quelle del Gorilla. Sarebbe stato un ramo terminale dei Pongigli asiatici che avrebbe raggiunto una forma estrema delle sue dimensioni, preannunziatrici dell'estinzione del tipo nella sua fase di declino o di paracme.
Zinjanthropus boisei è il nome dato da L. S. B. Leakey a un nuovo fossile raccolto nella gorgia di Oldoway (Tanganica), nel 1959. Esso è rappresentato dai resti di un cranio composto di diversi frammenti di cui sono meglio conservati i mascellari con tutti i denti e parte della volta. Per i suoi caratteri appartiene ad un tipo di Australopitecide molto simile al Parantropo di Swartkrans (Transvaal). Possiede molari e premolari molto grandi, canini ed incisivi molto ridotti, una cresta sagittale sulla volta come nel Parantropo, grandi apofisi mastoidi tra le quali si estende una forte cresta trasversale. Leakey crede che il nuovo fossile debba essere distinto dal Parantropo e costituisca un nuovo genere che ha chiamato zinjanthropus boisei (da Ziny, nome antico egiziano dell'Africa orientale e da Charles Boise, finanziatore dello scavo). J. Robinson, invece, ritiene che non si debba separare dal genere Paranthropus e sia da considerare soltanto una specie distinta dal Parantropo sudafricano: Paranthropus boisei. Il cranio fu rinvenuto in uno strato (villafranchiano) attribuito da Leakey al Pleistocene più antico, ad un livello dove si trovavano elementi attribuiti ad una industria litica su ciottoli, prechelleana, cioè la più antica dell'Africa, già denominata dal Leakey di Oldoway.
Per Leakey, lo Zinjanthropus è un ominide, l'artefice dell'industria oldowana, e sarebbe più antico dei resti più antichi del Pitecantropo di Giava, per la sua giacitura geologica. Fino alla data della scoperta del cranio di Oldoway, al quale Leakey associa la cultura primitiva oldowana, la massima parte degli autori ha negato che questa cultura sia da attribuire agli Australopitecidi ed ha ritenuto che essa sia dovuta ad altri organismi più progrediti, ad uomini contemporanei di quelli. La sua attribuzione agli Australopitecidi, attualmente in discussione, è per lo meno prematura: occorrono ulteriori documentazioni sul giacimento e nuove indagini. Lo Zinjanthropus non è ancora un ominide, ma un preominide, anche se si potesse dimostrare che esso è l'autore dell'industria oldowana. Il termine preominide è più appropriato nel senso che è sulla via dell'ominide.
I tre fossili menzionati, provenienti ciascuno da un diverso continente del mondo antico (Africa, Asia, Europa), come si è rilevato, non hanno ancora un posto definitivamente stabile nella nomenclatura delle classificazioni. La loro posizione sistematica, ancora discussa e non conclusa, oscilla ed è dibattuta per le differenti opinioni contrastanti sulle situazioni filogenetiche da attribuire ai singoli fossili di fronte al processo della ominazione: se essi debbano cioè essere considerati fuori della fase della ominazione, come qui si è concluso per l'Oreopithecus e per il Gigantopithecus, o se invece debbano essere inclusi nella medesima come preominidi od ominidi, secondo l'opinione di altri; se debbano considerarsi preominidi, come si è ritenuto per lo Zinjantropo, o siano già ominidi, come altri vogliono.
Tali difficoltà sono determinate dalle diverse concezioni sulle quali è impostata la nomenclatura. Si ricordi che Heberer include nella famiglia Hominidae le sottofamiglie Oreopithecinae, Australopithecinae ed Eithomininae. In quest'ultima sono compresi i veri (= eu) uomini. Questa divisione, secondo Heberer, ha carattere speculativo e deve ritenersi provvisoria. Noi crediamo che la famiglia Hominidae debba comprendere soltanto le forme umane riconosciute come tali e non le forme precorritrici o presunte tali nella filogenesi più o meno lontana. Per queste, anche in una classificazione provvisoria, vi è largo posto in un gruppo di preominidi.
I Protoantropi. - Nuove scoperte.- Le ultime fasi preparatorie della ominazione, rappresentate dai Pitecantropi, trovano la loro conclusione nell'antico Pleistocene con l'apparizione degli ominidi che li seguono, a partire dalle loro origini, in serie successive di cicli morfologici. Il più antico è il ciclo dei Protoantropi cui segue quello dei Paleantropi, ambedue rappresentati da forme estinte. In fine succede il ciclo dei Fanerantropi o forme attuali (Homo sapiens).
I resti più antichi dell'uomo, certamente uomo, da tutti riconosciuti, appartengono: 1) all'uomo di Heidelberg, l'Euranthropus, protoantropo europeo; 2) all'uomo di Pechino, il Sinanthropus, protoantropo dell'Asia orientale; 3) all'uomo di Ternifine (Orano), l'Atlanthropus, protoantropo dell'Africa settentrionale, scoperto di recente (1954). L'Africanthropus njarasensis dell'Africa Orientale, già ritenuto protoantropo africano, è oggi da considerare (S. Sergi), sempre con riserva, un paleantropo africano affine al paleantropo di Saccopastore.
L'Atlanthropus di Ternifine: Protoantropo africano. - Nel 1954, C. Arambourg rinvenne due mandibole umane molto primitive nel giacimento preistorico di Ternifine (Orano, Algeria) associate con fauna caratteristica dei livelli più antichi del quaternario e con industria litica rappresentata da un centinaio di amigdale di tipo molto arcaico. Le due mandibole di individui adulti, una maschile ed una femminile, sono in gran parte conservate. Le loro misure assolute eguagliano ed anche superano quelle del Sinantropo. La loro morfologia trova pure in questo le maggiori corrispondenze, come il grado di sfuggenza della regione mentoniera. I denti per la loro macrodontia e per le loro proporzioni appaiono quasi identici a quelli del Sinatropo, i molari, il primo e il secondo, possiedono sei cuspidi. Nella mandibola maschile, quasi completa, la lunghezza e la larghezza bicondiloidea superano i massimi di quelle del Sinantropo e dell'Eurantropo. Il trigono mentale è accentuato come nel Sinantropo. Una terza mandibola completa di adulto e del medesimo tipo delle altre due fu rinvenuta nello stesso giacimento nel 1955, insieme con un osso parietale umano.
L'Arambourg ritiene che gli Ominidi di Ternifine appartengano ad uno stadio di evoluzione che egli chiama pitecantropiano, ma non si identifichino con i Pitecantropi ed i Sinantropi, con i quali hanno maggiore affinità, e li designa con il nome di Atlanthropus Mauritanicus. Secondo S. Sergi, questo si deve ascrivere al ciclo dei Protoantropi ed appartiene ad un tipo distinto di Protoantropo africano. Con le scoperte dell'uomo di Ternifine, si conferma la politipia dei primi uomini (Protoantropi) dei tre continenti del mondo antico e viene portata nuova luce sul problema delle culture più diffuse ed antiche del Paleolitico inferiore. Il Protoantropo nordafricano è, infatti, l'artefice di una industria litica amigdaliana che non è molto dissimile da quelle rinvenute in varie località in Italia, nel Pleistocene inferiore, come nell'isola di Capri, a Terranera di Venosa in Basilicata, a Quinzano presso Verona e, di recente, a Torre in Pietra, località distante 26 chilometri da Roma. Secondo il Sergi, l'artefice di questa industria in Italia è stato un protoantropo che ha abitato la penisola durante il Paleolitico più antico. Di esso, fino ad ora, non si sono trovati i resti fossili con i quali si può identificare il tipo umano a cui attribuirli e che, verosimilmente, potrebbe essere il medesimo al quale si deve la stessa industria rinvenuta in Europa.
Nel febbraio 1961 è giunta notizia che Leakey ha trovato nella gorgia di Oldoway (Tanganica), associata ad una cultura chelleana, la parte cerebrale di un cranio di grande capacità che presenta somiglianze con il Sinantropo. Dalle illustrazioni sembrerebbe un protoantropo (Nature, febbraio 1961).
La mandibola premusteriana di Mont Maurin. - H. V. Vallois ha descritto (1955) una mandibola umana trovata nel 1949 nella grotta di Mont Maurin (Haute-Garonne) insieme con fauna calda ed una industria premusteriana, attribuita al Riss-Würm. Ben conservata, colpisce per l'assenza assoluta del mento. La faccia anteriore è sfuggente come in quella dell'Eurantropo. Le fosse digastriche occupano in totalità il margine inferiore e raggiungono lateralmente il livello dei primi molari. Le branche montanti sono molto larghe, ma meno di quelle di Heidelberg. Molti sono i caratteri che ricordano i Paleantropi europei. I condili sono più lunghi e più larghi di quelli degli uomini attuali. Le superfici articolari guardano in alto e sono ovali come nell'Eurantropo e non appiattite come nei Paleantropi europei. Il condilo si proietta molto in fuori. I molari presentano caratteri arcaici. Il secondo molare è un poco meno grande del primo, ma il terzo è più lungo di tutti. Il diametro mesio-distale dei tre molari è nettamente superiore al diametro vestibolo-linguale. La mandibola, nel complesso, presenta un insieme di caratteri che la pongono a fianco dei Paleantropi neandertaliani e di Heidelberg: per la forma generale rassomiglia di più ai primi mentre per un certo numero di caratteri si accosta di più all'Eurantropo. Questa mandibola interessa perché dimostra la presenza di un tipo intermedio tra Protoantropi e Paleantropi europei che accenna a probabili rapporti genetici tra le due forme appartenenti ai due cicli.
Estinzione dei Paleantropi neandertaliani e origine dei Fanerantropi. Profanerantropi. - I Paleantropi neandertaliani si estinguono nell'ultimo glaciale, il Würmiano, e sono seguiti dagli uomini attuali, i Fanerantropi. Questa sequenza comporta il problema che riguarda la scomparsa dei primi e l'apparizione dei secondi, e le relazioni tra gli uni e gli altri: cioè, quando e come appaiano i Fanerantropi e quando e come scompaiano i Paleantropi.
Sono state prospettate due opinioni diverse: 1) che i Fanerantropi non si trovino nella linea filetica dei Paleantropi e siano fin dall'origine separati da questi; 2) che i Fanerantropi siano in relazione filetica con i Paleantropi. Oggi non si hanno documenti sufficientemente validi a favore della prima tesi, mentre in favore della seconda si riconosce che non si può negare la continuità dell'umanità paleantropica con la fanerantropica. Circoscrivendo l'attenzione sui Paleantropi neandertaliani, questa continuità è concepita diversamente secondo il concetto che si ha del tipo di Neandertal. Per il passato si sono identificate con i neandertaliani tutte le forme del ciclo paleantropico e si ammetteva la continuità di esse con l'uomo attuale senza discriminazioni. Oggi, dopo la conoscenza del paleantropo di Saccopastore e del paleantropo del Circeo (S. Sergi), si sono distinti due gruppi di Paleantropi europei: 1) i tipi più antichi, i Paleantropi prewürmiani, vissuti durante l'ultimo interglaciale (Riss-Würm) ed anche prima di questo periodo; 2) il gruppo dei Paleantropi würmiani che è seguito nel periodo glaciale (Würm), che comprende le forme terminali e costituisce nel senso più ristretto il tipo classico neandertaliano, rappresentato dalla calotta di Neandertal e dalle forme congeneri contemporanee. Con queste premesse si ricorda che tutti i Paleantropi che precedono i tipici neandertaliani del Würmiano europeo presentano forme e tipi distinti in Europa, Asia, Africa e non sono da confondere tra loro.
Ad evitare ogni equivoco, e circoscrivendo unicamente l'attenzione sui tipi dei Paleantropi europei, si rende necessario ed opportuno di chiarire, con una nomenclatura adeguata (S. Sergi), la differenza morfologica e cronologica che distingue il gruppo dei prewürmiani da quello dei würmiani e di indicare con il nome di Paleantropi preneandertaliani il primo, che precede il tipo di Neandertal nel tempo e per le affinità con questo, e con il nome di Paleantropi neandertaliani il secondo, al quale appartiene esclusivamente il tipo classico di Neandertal. I Paleantropi preneandertaliani sono caratterizzati da una grande politipia che li separa l'uno dall'altro: così Saccopastore (S. Sergi), Ehringsdorf (F. Weidenreich), Krapina (K. Gorianovic-Kramberger), Steinheim (F. Berckhemer-W. Gieseler), ai quali sono ora da aggiungere: Ehringsdorf (G. Behm-Blancke), Ganovce (E. Wlcek, Cecoslovacchia), Arcy-sur-Cure (A. Leroi-Gourhan, Francia). Dalla loro politipia risulta che i prewürmiani europei possiedono caratteri che li collegano con i Neandertal classici e altri caratteri che li avvicinano ai Fanerantropi, di modo che fileticamente si debbono considerare partecipi sia del processo di neandertalizzazione classica dei Paleantropi neandertaliani del Würmiano, sia del processo di evoluzione alle forme fanerantropiche, cioè a quelle dell'Homo sapiens. Tra i Paleantropi preneandertaliani che oggi risultano, secondo gli ultimi rinvenimenti, più diffusi in Europa di quanto si conosceva in passato, si trovano nel loro vario polimorfismo le indicazioni per una continuità con le forme attuali umane mentre si spegneva il gruppo che si era realizzato da essi con il classico Neandertal. Il tipo classico neandertaliano Circeo-La Chapelle-La Ferrassie, vissuto nell'ultimo glaciale, è rappresentato da Paleantropi che si assomigliano straordinariamente per la loro morfologia e per il volume del cervello. La loro somiglianza si estende a tanti particolari morfologici e dimensionali, come è confermato dalle più recenti osservazioni sulle mandibole Circeo II e Circeo III, quali raramente si trovano tra singoli crani in serie numerose, appartenenti ad una stessa razza. Questo gruppo, con la riduzione progressiva della sua variabilità, raggiunse una grande uniformità e, quindi, uno stadio di fissità estrema che segnò la fine della specie. In questo stadio il cervello si accrebbe enormemente raggiungendo volumi che sono superiori anche alla media di razze umane attuali, meglio fornite. Questi neandertaliani dell'ultimo glaciale avevano raggiunto precocemente un grande sviluppo cerebrale, mentre quello complessivo del cranio fu modificato assumendo un aspetto particolare dei varî elementi che lo compongono ed in modo speciale della faccia, mentre la flessione della base conserva una condizione più primitiva. Più notevole è la differenza dell'architettura facciale, che distingue i neandertaliani non solo dai preneandertaliani, ma da tutte le forme umane che li precedono e dalle forme attuali. Nei Paleantropi preneandertaliani di Saccopastore e di Steinheim come nel protoantropo asiatico, il Sinantropo, e come nell'uomo attuale, il Fanerantropo, la faccia anteriore del mascellare si presenta ripiegata in misura maggiore o minore secondo i tre profili, l'orizzontale (incurvatio horizontalis), il laterale (incurvatio sagittalis) e il frontale (incurvatio inframalaris frontalis). Invece il mascellare dei Paleantropi neandertaliani Circeo, La Chapelle, La Ferrassie, differisce perché è piano e non ricurvo nel profilo orizzontale ed in quello frontale ed appare rigonfio, oncognato, nel profilo laterale. In definitiva, l'origine della fossa canica già si trova nelle forme più antiche e primitive dell'umanità (Protoantropi) insieme con la incurvatio inframalaris, e s'incontra nelle forme più antiche dei Paleantropi preneandertaliani in grado più o meno completo. Invece nelle forme tipiche neandertaliane würmiane il mascellare ha una forma ad estensione che si distingue dalla forma a flessione che caratterizza i tipi umani cronologicamente precedenti. L'umanità attuale possiede queste caratteristiche dell'umanità più antica. Con l'esame radiografico S. Sergi ha di recente (1959) confermato e chiarito quanto fu già da lui rilevato (1948) con l'ispezione anatomica, che la morfologia facciale del tipo classico dei neandertaliani del Würm, Circeo, La Chapelle, La Ferrassie, si distingue profondamente da quella dei Paleantropi dell'interglaciale Riss-Würm (Saccopastore). Le caratteristiche differenziali riguardano il seno del mascellare ed il processo del medesimo, da cui la speciale forma del naso del Circeo e di La Chapelle. Tutto il massiccio facciale maxillo-nasale del vero tipo di Neandertal non trova riscontro in altro tipo umano estinto ed attuale. Questa architettura si può spiegare come un adattamento funzionale delle prime vie respiratorie alle condizioni climatiche (temperatura, umidità, ecc.), che hanno caratterizzato l'ultimo glaciale: l'adattamento interessò i seni mascellari e le fosse nasali, le cosiddette sentinelle respiratorie di François-Franck. Il tipo di Neandertal in fase di paracme, cioè di declino, si estingueva mentre con le sue caratteristiche morfologiche si veniva ad organizzare un adattamento all'ambiente per la sua sopravvivenza.
I Profanerantropi. - Per il passato, a più riprese, di tempo in tempo, alcuni rinvenimenti fossili, ritenuti contemporanei di quelli paleantropici, sono stati attribuiti a forme fanerantropiche, cioè a forme dell'uomo attuale. Tutti sono stati scartati, quale per una ragione, quale per un'altra, tra cui ultimo, famoso, quello di Piltdown perché prodotto di una mistificazione. Nel momento attuale (1960), soltanto due reperti sono presi in seria considerazione, sia per la loro posizione stratigrafica, che li trova contemporanei dei Paleantropi, sia per la loro morfologia che viene da taluni assimilata a quella dell'uomo attuale, all'Homo sapiens, per cui sono stati riuniti da H. V. Vallois in un gruppo detto Praesapiens e da altri sono da questo distinti e s'interpongono tra i Paleantropi e i Fanerantropi: essi costituiscono i Profanerantropi di S. Sergi. Questi due reperti sono: 1) quello di Swanscombe, nel Kent (Inghilterra), appartenente secondo i geologi inglesi all'interglaciale Mindel-Riss e, secondo R. Vaufrey, che lo vuole meno antico, all'interglaciale Riss-Würm. Associato con selci lavorate di tipo acheuleano, l'uomo di Swanscombe appare un rappresentante della cultura acheuleana. Esso è costituito da un occipitale umano, trovato nel 1935, e da due parietali ritrovati a moltissima distanza di tempo l'uno dall'altro; 2) quelli di Fontéchevade (Charente), costituiti da frammenti di due cranî di cui il più completo è Fontéchevade II, rappresentato dal parietale sinistro, dalla metà superiore di quello destro e dalla parte superiore del frontale. È attribuito all'interglaciale Riss-Würm ed è accompagnato dall'industria litica di tipo tajaciano. Secondo Vallois, è il reperto umano più antico ritrovato in Francia.
Swanscombe e Fontéchevade sono i documenti più antichi che maggiormente si accostano alle forme attuali perché presentano caratteristiche che partecipano di una morfologia che li avvicina a alquanto quella dei Fanerantropi, senza poterli identificare con questi, cui potrebbero essere geneticamente imparentati. Attualmente alcuni studiosi, H. V. Vallois e altri, li considerano appartenenti a una linea filetica indipendente da tutto il complesso paleantropico. In contrasto con questa veduta, è necessario considerare le caratteristiche paleantropiformi rilevate nell'esame di quei resti e che possono far pensare alla relazione di parentela con i Paleantropi, secondo l'opinione di S. Sergi, condivisa, per Swanscombe, da E. Breitinger e, più di recente, da W. Gieseler (1957). Ma non si può dire, per la loro incompletezza, in che misura possono considerarsi forme intermedie fra le protoantropiche e paleantropiche, da una parte, e le fanerantropiche, dall'altra, né esse possono considerarsi, a loro volta, forme indipendenti da queste ultime. La situazione di queste forme può ritenersi simile a quella dei Paleantropi della Palestina i cui caratteri fanerantropici sono combinati con caratteri paleantropici. I Paleantropi palestinesi sono contemporanei di quelli europei, come questi delle forme in discussione. Cioè tutto questo complesso di tipi appartiene a un grande momento geologico del Pleistocene cui corrisponde una fase di grande ricchezza di forme e, quindi, di grande polimorfismo dell'ominazione, che si afferma con la diversità di linee di sviluppo e di modalità.
Sguardo generale sul processo dell'ominazione. - Le molteplici trasformazioni del Periodo paleantropico non seguirono un ordine unico. La politipia dominante era il risultato di modificazioni simultanee, che insorgevano e si organizzavano come adattamenti reciproci di variazioni differenti dei singoli complessi morfologici. Queste variazioni diverse si costituirono e si manifestarono in alcuni tipi più celermente, in altri più lentamente, seguendo in ciascuno di essi una propria particolare cronologia, donde acceleramento o ritardo del processo di formazione con effetti differenti.
La vitalità delle nuove insorgenze morfologiche fu diversa, ora labile ora di lunga durata, in rapporto alle attitudini funzionali che si vennero a costituire, secondo che queste furono più o meno compatibili con tutte quelle condizioni dell'ambiente nelle quali si svolsero. Così accadde che in qualche tipo alcuni complessi morfologici fecero una apparizione anticipata convergendo con quelli che più tardi si stabilirono e dominarono in altri tipi (furono cioè manifestazioni che alcuni direbbero profetiche), mentre altri invece, costituendosi più lentamente e tardivamente, si avviarono verso una stabilità e fissità estrema, che preannunziava la loro definitiva estinzione. La variabilità dei tipi si rivela così non solo nella eterocronia delle insorgenze delle loro caratteristiche, ma insieme nella fluttuazione, concentrazione, combinazione e distribuzione dei loro attributi.
Conforme al principio dinamico del concetto di specie, che non è un'unità statica, ma uno stadio di un processo in continuo divenire (T. Dobzhansky), non è possibile una rigida distinzione in categorie (generi, specie, varietà) delle popolazioni paleantropiche.
I tipi in questione dei Paleantropi europei sono da considerare quali manifestazioni di una fluttuazione emergente, con cui si esplicò la dinamica di sviluppo della specie e delle sue varietà, cioè la loro diversità sembra debba avere coinciso con l'insorgere di mutazioni locali di centri più o meno circoscritti. La molteplicità e varietà delle forme favorì la conservazione e diffusione della specie nel periodo della sua massima fioritura. La vitalità esuberante e quindi evolutiva di essa si manifestò seguendo direzioni divergenti. Il processo non fu regolarmente continuo perché soggiacque all'azione di fattori contrastanti, differenti e variabili, per cui i caratteri nel trasmettersi nella discendenza o si combinarono nel modo più diverso, o si ridussero, o scomparvero, o restarono come sommersi, latenti, per riapparire in altre associazioni. La originaria molteplicità delle singole forme del tipo, dotate di particolari attributi di vitalità, condizionò l'evoluzione delle medesime fin dal loro apparire. La variabilità risultò così tanto più estesa quanto più potente originariamente fu la capacità iniziale di adattamento nel suo costituirsi e nella sua distribuzione spaziale (geografica).
Alquanto prima che la serie terminale del ciclo paleantropico a variabilità estremamente ridotta si estinguesse, già erano in atto le serie di un terzo ciclo umano a cui corrispondono le forme attuali (Fanerantropi). Ancora si ignora, e non può essere individuato allo stato attuale dei documenti che si possiedono, il momento dell'insorgere e dove trovino inizialmente origine e sviluppo le serie fanerantropiche. Non sono chiarite le relazioni genetiche di queste, insorte in momenti differenti, con le forme estinte, relazioni di cui ancora sembra che si conservino tracce in qualche gruppo etnico vivente, che se non sono espressione d'un processo d'ibridazione potrebbero pure essere gl'indici della loro antichità; esse potrebbero individuarsi in residui senescenti di tipi come l'australiano e l'eschimese, prodotti ed esponenti di due biotipi perfettamente diversi.
Lo straordinario sviluppo nel postglaciale del ricco complesso fanerantropico, che sembra sorgere quasi improvviso, coincide con l'estinzione totale dei Paleantropi, mentre una fase di preparazione la cui durata non è precisabile aveva già in precedenza segnato l'avvento del ciclo dei Fanerantropi, i quali infine raggiungono il pieno apogeo nell'Olocene.
L'ominazione, così come è stata prospettata in tutto il tempo della sua lunga storia, sembra che abbia soggiaciuto a leggi che hanno regolato il suo svolgimento con fasi evolutive alterne di acceleramento e di rallentamento, le quali sono individuate nei diversi momenti rispettivamente ora da fenomeni particolarmente intensi e profondi dei processi di differenziazione, ora da fenomeni di riduzione o di stasi di tali processi. Fasi di risvegli e rigoglio con ricchezza e varietà di forme caratterizzano uno di questi momenti dei tipi in evoluzione (specie). Fasi di arresto, o quasi, con povertà di forme caratterizzano l'altro momento, il quale segna la morte di una gran parte di esse, mentre le sopravvissute in stato quasi di latenza conservano e cumulano il potenziale energetico che prepara l'esplosione di nuove forme.
Non tutte le serie di ogni ciclo della ominazione partecipano dunque all'avvento del seguente, ma solo qualcuna, mentre la maggior parte si estingue in stadî diversi sia neotenomorfi sia gerontomorfi. Le leggi del ritmo ciclico con cui si seguono le serie di evoluzione umana crediamo che riflettano le diversità dei varî biotopi ed ecotopi dell'Ecumene, quali si determinano dalle alternanze dei glaciali e degli interglaciali. I periodi glaciali hanno il loro riflesso nell'evoluzione delle culture di pari passo con l'evoluzione morfofisiologica degli ominidi. L'evoluzione somatica e psichica dell'umanità, nei suoi più diversi aspetti, sarebbe da ritenere quindi subordinata alle vicende geologiche del Pleistocene. Vedi tav. f. t.
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