PALEOANTROPOLOGIA (XXVI, p. 1; App. II, 11, p. 486; III, 11, p. 348)
Le numerose scoperte relative a resti ossei appartenenti ad antichissimi Ominidi, che si sono succedute con ritmo crescente in alcune regioni dell'Africa dal 1959 a oggi, hanno portato contributi fondamentali allo studio del problema delle origini umane, la cui storia - fra ipotesi, teorie e polemiche - lentamente ma incessantemente si va facendo più chiara, anche se ancora è ben lontana dall'essere completa. Ai resti già noti degli Australopiteci dell'Africa meridionale (Taung, Sterkfontein, Kromdraai, Makapansgat, Swartkrans) si sono aggiunti non solo altri rinvenimenti provenienti dalle stesse località, ma anche quelli ben più numerosi e di straordinaria importanza scoperti in Africa orientale (Tanzania, Etiopia, Kenya), i quali provano che questi antichissimi rappresentanti della famiglia degli Hominidae vissero in Africa per un periodo di alcuni milioni di anni che va dalla fine del Pliocene al Pleistocene medio.
Australopiteci dell'Africa meridionale: rinvenimenti recenti e considerazioni attuali. - Gli Australopiteci sono conosciuti fin dal 1924, anno della scoperta nel Transvaal dei resti attribuiti da R. A. Dart a un primate denominato Australopithecus africanus. Successivamente a questi rinvenimenti ne sono seguiti altri che sono stati indicati con nomi diversi quali Plesianthropus transvaalensis, Paranthropus robustus, Australopithecus prometheus, Paranthropus crassidens, Telanthropus capensis. Dopo il 1960 le scoperte più importanti si debbono a P. V. Tobias e A. R. Hughes, i quali nel 1966 a Sterkfontein portarono alla luce nuovi resti di Ominidi riferibili all'Australopithecus africanus. A Swartkrans, sempre nel 1966, C. K. Brain rinvenne un calco endocranico naturale (SK 1585) in ottimo stato di conservazione e altri resti che si possono attribuire all'Australopithecus robustus. Dal calco è stato possibile ottenere la capacità cranica che è risultata di 530 cm3. Da notare che questo è il primo dato veramente sicuro sulla capacità cranica dell'Australopithecus robustus dell'Africa meridionale.
Postura e capacità cranica. - Premesso che la postura eretta e la deambulazione bipede degli Australopiteci, anche se probabilmente non ancora del medesimo grado di quelle dell'Uomo attuale, sono ormai praticamente accettate da tutti i paleoantropologi, ulteriori studi (R.L. Holloway, 1970 e 1972) sulla capacità cranica dell'Australopithecus africanus hanno portato a nuovi risultati. A Sterkfontein la capacità media relativa a 4 crani adulti è scesa da 486 a 444 cm3; nell'esemplare (MLD 37/38) di Makapansgat è passata da 480 a 435 cm3 mentre, infine, in quello di Taung da 540 a 440 cm3.
Industria. - In alcuni dei depositi considerati sono stati raccolti ciottoli appena scheggiati, ma questi non sono stati trovati mai in stretta associazione ai resti di Australopiteci, per cui non si può dire se questi Ominidi furono dei veri e propri tool-makers. Si deve comunque pensare che gli Australopiteci fecero certamente uso di armi di ogni genere per poter sopravvivere in un ambiente non certo favorevole.
Omogeneità dei reperti provenienti dai singoli depositi. - In ciascuna delle cinque località sopra menzionate sono stati rinvenuti resti di Australopiteci appartenenti a un solo tipo (africanus o robustus), a eccezione di Swartkrans in cui sono presenti l'Australopithecus robustus e il Telanthropus capensis. L'ipotesi di E. Aguirre (1970) relativa all'attribuzione di alcuni resti di Sterkfontein e di Makapansgat (MLD 2) all'Australopithecus robustus non ha ancora avuto conferma. Il Telanthropus, pur se rappresentato da pochi resti con caratteristiche simili a quelle degli Australopiteci, può essere già considerato come una forma più evoluta, riferibile a un tipo primitivo del genere Homo.
Estensione geografica e ambiente. - La presenza degli Australopiteci è oggi documentata non solo in Africa meridionale, ma anche in altre regioni di questo continente. Per i resti, invece, del Meganthropus di Giava che secondo J. T. Robinson, per alcune identità morfologiche e metriche dentarie, dovrebbero essere compresi tra gli Australopiteci, non c'è ancora un accordo generale. Contrariamente alle scimmie antropomorfe adattatesi alla foresta tropicale, gli Australopiteci vissero in un ambiente che era costituito essenzialmente da praterie aperte o da savane scarsamente alberate.
Cronologia. - L'età geologica degli Australopiteci dell'Africa meridionale è di difficile determinazione soprattutto perché i depositi da cui provengono i resti mancano di una vera e propria stratigrafia. Anche le indicazioni cronologiche fornite dalle associazioni faunistiche hanno dato risultati incerti. K. P. Oakley aveva proposto per tali giacimenti uno schema cronologico da molti accettato. I depositi di Taung, Sterkfontein e Makapansgat venivano considerati contemporanei e databili al Villafranchiano superiore, mentre quelli di Swartkrans e Kromdraai sarebbero stati più recenti. Nuovi dati, basati sui radioisotopi e sul paleomagnetismo, hanno dato risultati che, pur non definitivi, dovrebbero essere presi in considerazione anche se soltanto in via provvisoria. Secondo questa cronologia per Makapansgat e Sterkfontein viene indicata un'età geologica di 3-2,5 milioni di anni, per Swartkrans di 2 milioni di anni, per Kromdraai di 2-1,5 milioni di anni, per Taung di o,8 milioni di anni.
Classificazione. - Il problema tassonomico degli Australopiteci non trova ancora una soluzione che possa essere accettata senza riserve. P. V. Tobias, B. Patterson e altri ritengono che questi debbano essere riuniti in un solo genere Australopithecus rappresentato da due specie: africanus e robustus. La prima avrebbe avuto mole corporea più piccola, costruzione scheletrica più leggera e morfologia più fine; la seconda, con sviluppo marcato sul cranio di rilievi e creste ossee, sarebbe stata più grande e di costruzione scheletrica più pesante e grossolana. W. E. Le Gros Clark accettò questo punto di vista mentre E. Mayr ha incluso gli Australopiteci nel genere Homo (Homo transvaalensis).
Gli Ominidi della Tanzania. - Dal 1959 l'interesse degli studiosi si è spostato dal Transvaal all'Africa orientale, con particolare riguardo alla Tanzania e ad alcune regioni dell'Etiopia e del Kenya. Nella Tanzania settentrionale si estende, da occidente a oriente, la gola di Olduvai, la cui parte più profonda è situata a circa 100 m dalla superficie della pianura. La gola scavata in epoca recente dalle acque torrenziali durante le stagioni delle piogge, presenta pareti nettamente stratificate che poggiano su una base di basalto che risale a circa 2 milioni di anni. Gli strati che si succedono dal basso in alto, in numero di quattro, sono comunemente denominati "Beds". Il Bed I, che può raggiungere lo spessore di 36 metri e che è stato datato col metodo K/A fra 1.850.000 e 1.700.000 anni, è costituito da una parte inferiore di materiale di origine effusiva e da una parte superiore formata da argille lacustri e da tufi vulcanici. Al Bed I si sovrappone il Bed II, formato da depositi lacustri comprendenti materiali vulcanici di entità e significato trascurabili, che può raggiungere uno spessore massimo di 27 metri. Studi cronologici basati sulla stratigrafia e sul paleomagnetismo attribuiscono i livelli più alti di questo strato a un periodo compreso tra 1.000.000 e 700.000 anni circa. I resti scheletrici degli Ominidi, il cui studio è di fondamentale importanza per ricostruire l'origine dei primi rappresentanti del genere Homo, provengono da questi due strati nei quali sono stati anche rinvenuti numerosissimi utensili litici che vanno da pietre probabilmente soltanto usate a veri e propri manufatti. Gli utensili provenienti dal Bed I e dalla parte inferiore del Bed II sono rappresentati da ciottoli appena ritoccati o soltanto usati, che M. Leakey ha distinto in poliedri, discoidi, sferoidi, raschiatoi e, rarissime, protoamigdale. Tale industria che utilizzò essenzialmente la quarzite, il basalto, il quarzo e il feldspato è stata denominata "industria olduvana". Dalla parte media del Bed II a questa industria si aggiungono manufatti di tipo chelleano primitivo a volte separati, a volte invece mescolati con la prima.
La scoperta dei primi resti ossei di Ominidi, ad opera di M. e L. Leakey, avvenne nel luglio del 1959 (sito FLK-I). Tali resti, assai frammentari ma numerosi, furono attribuiti a un primate denominato Zinjanthropus boisei il quale, in un primo momento, fu ritenuto l'autore dell'industria olduvana. Successivamente, nel novembre del 1960 e nel febbraio del 1961, a qualche centinaio di metri dal sito FLK-I, nello stesso Bed I ma a un livello inferiore (sito FLKNN-I), da L. Leakey furono rinvenuti altri resti (frammenti del cranio, una mandibola, svariati denti, numerose ossa del piede sinistro e alcune della mano) che furono denominati Preziniantropi perché appartenenti a individui vissuti più anticamente. Fu subito evidente che tali resti si differenziavano da quelli dello Zinjanthropus per una capacità cranica più elevata, compresa fra 600 e 700 cm3 (Zinjanthropus 530 cm3) e per altre caratteristiche che li avvicinavano maggiormente al genere Homo. Altri resti riferibili anch'essi a questo nuovo ominide furono rinvenuti, sempre da M. e L. Leakey, in livelli ancora più antichi (Ominide 4: sito MK-I) e contemporanei a quelli dello zinjanthropus (Ominide 6: sito FLK-I), nonché in più livelli del Bed II (Ominidi 13,14 e 15: sito MNK-II; Ominide 16: sito FLK-II).
Nel 1964 L. Leakey, in collaborazione con Tobias e J. R. Napier, incluse lo zinjanthropus tra gli Australopiteci (oggi viene classificato come Australopithecus robustus boisei) e gli altri resti di Ominidi provenienti dal Bed I e gran parte di quelli del Bed II nel genere Homo, in una nuova specie denominata habilis. Sarebbe stato quindi non più lo Zinjanthropus, ma l'Homo habilis l'artefice delle pietre lavorate rinvenute a Olduvai. Non tutti hanno accettato però tale definizione di specie e l'attribuzione a questa dei detti resti di Ominidi di Olduvai. Alcuni studiosi fra cui Le Gros Clark e, in un primo momento, Robinson hanno ritenuto quanto meno azzardata tale attribuzione e hanno sostenuto che tali resti debbano essere riferiti agli Australopiteci. J. Piveteau asserisce che non c'è alcuna ragione per considerare questo primate un Homo; tutt'al più è da ritenere, per la sua capacità cranica più elevata, una forma impegnata nella via dell'ominazione.
Gli Ominidi dell'Etiopia e del Kenya. - Dal 1966 le ricerche si sono spostate dalla gola di Olduvai a varie località dislocate in prossimità del lago Rodolfo. In realtà l'esistenza di antichi depositi lacustri nel basso bacino del fiume Omo (Etiopia meridionale) e in zone limitrofe avevano attirato l'attenzione dei paleontologi già dalla fine del secolo scorso, ma le difficoltà di accesso in questa regione e l'ostilità delle popolazioni locali ritardarono di molto l'esplorazione scientifica di questi giacimenti fossiliferi. Fu soltanto nel 1932 che una spedizione francese, comprendente fra gli altri anche C. Arambourg, poté effettuare una campagna di scavi. Furono raccolte quasi 4 tonnellate di ossa di vertebrati fossili, dei quali furono fatti conoscere nuovi tipi e fu dimostrato che la serie alluvionale dell'Omo appartiene al Pleistocene più antico.
Malgrado l'importanza dei risultati, il deterioramento della situazione politica nel corso degli anni che seguirono rese impossibile il proseguimento delle ricerche. Fu nel 1965 che Ḫāyla Sellāsē, conosciuto L. Leakey durante una visita a Nairobi, acconsentì al progetto di una spedizione internazionale che doveva comprendere una équipe anglo-keniota con L. Leakey e il figlio Richard, una équipe americana diretta da F. C. Howell e una équipe francese con Arambourg, Y. Coppens e J. Chavaillon. Il governo etiopico delegò due suoi rappresentanti e fornì una scorta armata. Data la notevole estensione dei giacimenti fossiliferi le tre équipes operarono in località diverse. Già fin dalle prime campagne di scavo i risultati ottenuti relativamente ai resti di Primati di tipo Ominide superarono ogni previsione. Il materiale raccolto in questi scavi e in quelli successivi, effettuati tutt'intorno al lago Rodolfo, ha fornito numerosi resti di antichissimi Australopiteci e di altri Ominidi.
Data la brevità del tempo intercorso dalle scoperte, essendo i dati ancora frammentari o incompleti, vengono qui riportati soltanto i depositi più noti e alcuni risultati preliminari sui resti ossei e sulla loro cronologia. Nel basso bacino del fiume Omo le due formazioni fossilifere più importanti sono quelle di Shungura, che va da 3.750.000 a 1.840.000 anni, e quella di Usno datata a 2,6-2,5 milioni di anni. I resti degli Ominidi estratti consistono essenzialmente in numerosi denti isolati e in frammenti del cranio; lo scheletro post-craniale è poco rappresentato. A un primo esame sembrerebbe che i resti geologicamente più antichi debbano essere attribuiti all'Australopithecus africanus, mentre quelli più recenti apparterrebbero all'Australopithecus robustus. Alcuni frammenti, inoltre, potrebbero essere compresi nel genere Homo. Gli esemplari più antichi, rappresentati da qualche dente, possono essere datati a 3,5 milioni di anni. Da notare, infine, che negli stessi depositi sono stati rinvenuti manufatti litici riferibili a 3 milioni di anni. I resti di Koobi Fora e di Ileret (Kenya settentrionale, "East Rudolf"), appartenenti a ominidi vissuti fra 3 e i milione di anni, sono molto più numerosi e comprendono sia lo scheletro del cranio, che quello del tronco e degli arti. Questi rinvenimenti possono essere compresi non solo nel genere Australopithecus (africanus da 3 a 1 milione di anni; robustus da 2 a 1 milione di anni), ma anche nel genere Homo (KNM-ER-1470). I più antichi rappresentanti degli Ominidi finora conosciuti provengono dai giacimenti fossiliferi di Lothagam (5,5 milioni di anni) e di Kanapoi (4,5-4 milioni di anni), dislocati nel Kenya nord-occidentale anch'essi in vicinanza del lago Rodolfo. Si tratta di pochi frammenti portati alla luce da Patterson e che sembra possano essere attribuiti all'Australopithecus africanus.
Nel corso di quattro anni (1972-75), da una spedizione internazionale della quale per la sezione paleontologica hanno fatto parte M. Taieb, D. C. Johanson e Y. Coppens, sono stati effettuati scavi a NE di Addis Abeba, nella depressione dell'Afar. Nel 1973, dal sito dell'Hadar, sono stati estratti un osso temporale e quattro frammenti di femore e di tibia, i quali hanno confermato che la postura eretta era posseduta dagli Ominidi vissuti 3 milioni di anni fa. Nel 1974 sono stati rinvenuti frammenti di mascellare con denti attribuiti al genere Homo. Infine viene menzionata la scoperta (Johanson e B.T. Gray) di varie parti dello scheletro appartenente a un ominide vissuto circa 3 milioni di anni fa (metodo K/A), attribuito a un individuo di sesso femminile la cui statura doveva essere di circa I metro. I giacimenti dell'Afar, particolarmente estesi e molto fossiliferi, sono paragonabili ai più grandi siti plio-pleistocenici delle altre regioni dell'Africa orientale.
Come si vede, queste nuove testimonianze sono così importanti che suggeriscono una revisione delle varie classificazioni degli Ominidi e delle datazioni in precedenza accettate. Non è ancora possibile né conveniente, però, trarre conclusioni definitive dato che gli studi relativi al materiale già a disposizione sono ancora incompleti e che gli scavi continuano ininterrottamente. Per gli Ominidi del Plio-Pleistocene dell'Africa, Tobias, sulla base delle attuali conoscenze, ha voluto prospettare un possibile albero genealogico che può essere preso in considerazione soltanto in via provvisoria e con qualche riserva. L'autore sostiene che l'Australopithecus africanus sia derivato da una forma di ominide "gracile" discendente dal Ramapithecus. A un dato momento, riferibile a oltre 3 milioni di anni, alcuni gruppi si distaccarono e divergendo dalla linea Australopitecide acquisirono una più grande capacità cranica, una maggiore complessità strutturale e la capacità di fabbricare utensili. In tal modo si trovarono impegnati in quella particolare linea evolutiva del genere Homo con tre specie in tre tempi successivi: Homo habilis, Homo erectus e Homo sapiens. Da quel momento l'Australopithecus africanus sopravvisse probabilmente per altri 2 milioni di anni prima di estinguersi. L'origine dell'Australopithecus robustus, a partire da una forma ancestrale di Australopithecus, è da riferire a circa 3 milioni di anni. L'Australopithecus robustus, che presto si differenziò anche in una seconda forma denominata Australopithecus robustus boisei, si estinse dopo oltre 2 milioni di anni. Australopithecus africanus, Australopithecus robustus e Homo habilis furono dunque contemporanei per un periodo di almeno 2 milioni di anni.
Homo erectus. - Il problema dell'Homo habilis, comunque lo si voglia considerare, ha portato a una nuova classificazione del genere Homo. Gli Ominidi vissuti dalla fine della glaciazione di Günz (quasi 1 milione di anni) fino ai primissimi tempi della glaciazione di Riss (circa 200.000 anni) possono essere compresi in una specie detta erectus anche se, come dice R. Parenti, soltanto come ipotesi di lavoro. A questa specie appartengono: in Asia i Pitecantropi di Giava, che S. Sergi e altri consideravano Proantropi, e i Sinantropi della Cina; in Europa la mandibola di Mauer (Germania), l'occipitale di Vertesszöllös (Ungheria) e, probabilmente, i resti di Prezletice (Cecoslovacchia); in Africa i resti dell'Algeria e del Marocco attribuiti all'Atlantropo e quelli di Olduvai (Tanzania) provenienti dai livelli superiori del Bed II (Uomo chelleano) e dal Bed IV.
Per i Pitecantropi, a parte nuovi resti scoperti soprattutto nell'area di Sangiran dopo il 1960 appartenenti al Pitecanthropus erectus, si può dire che recenti studi sulla loro cronologia fanno ritenere come probabile la datazione dell'orizzonte geologico di Djetis, dal quale proviene anche il Pitecanthropus robustus, a circa 900.000 anni, mentre quella dell'orizzonte di Trinil, che ha restituito i resti del Pitecanthropus erectus, a 600-700.000 anni. Nel 1964 a Lantian (Cina nord-occidentale) sono state scoperte, in due località diverse, una mandibola e un cranio attribuiti al Sinanthropus lantianensis. Tali resti, che manifestano caratteristiche più primitive degli altri Sinantropi, sarebbero stati probabilmente contemporanei delle forme più antiche dei Pitecantropi del livello Djetis con i quali presentano caratteristiche morfologiche simili.
Dei reperti europei riferibili all'Homo erectus si deve ricordare l'occipitale di Vertesszöllös scoperto nel 1963 nelle vicinanze di Budapest insieme con numerosi manufatti su ciottolo (industria di Buda) e a tracce di fuoco. Tale reperto, che è stato datato a poco meno di 500.000 anni, presenta insieme con caratteristiche primitive (spessore notevole, torus trasverso robusto, forte angolazione fra la squama e il piano nucale, semplicità delle suture) tratti più evoluti rappresentati soprattutto da una certa curvatura della squama la quale è anche molto elevata. A. Thoma, che lo ha studiato, ritiene che ciò sarebbe dovuto a un brusco aumento della capacità cranica (1300 cm3). Dei rinvenimenti dell'Homo erectus di Olduvai (1960 e 1971) la calotta proveniente dai livelli superiori del Bed II (600-700.000 anni), accompagnata da manufatti di tipo chelleano, presenta una capacità cranica fra 1100 e 1200 cm3, tori sopraorbitali e occipitale trasverso robusti, mastoidi piccole e tutti gli altri caratteri di questo gruppo.
Homo sapiens. - Gli Uomini vissuti dalla seconda metà dell'interglaciale Mindel-Riss fino alla prima metà del Würm (da 250.000 a 40-35.000 anni) e già considerati da A. Sergi come Paleantropi e Profanerantropi, possono essere compresi nella specie sapiens.
In Europa i resti più antichi di sapiens sono quelli di Steinheim (Germania) e di Swanscombe (Inghilterra), entrambi datati alla fine del grande interglaciale Mindel-Riss. I resti di Tautavel, rinvenuti in Francia (1969-71) e datati all'inizio del Riss, presentano caratteristiche simili alle più antiche forme di Homo sapiens. Questi uomini europei del MindelRiss e del Riss possono avere avuto come antenato l'Uomo di Vertesszöllös. Certamente da forme simili a queste, anche se ancora non è possibile dire con quali modalità, si sono evolute da un lato la linea neandertaliana destinata a estinguersi (intorno a 40-35.000 anni), dall'altra la linea che porterà alle prime forme di Homo sapiens sapiens (Fanerantropi di S. Sergi). La prima aumentò la propria capacità cranica, per un'espansione postero-laterale del cranio, mantenendo la fronte sfuggente e la volta appiattita (platicefalia), la seconda - individualizzatasi forse nel vicino Oriente (Asia anteriore) - aumentò la capacità cranica, per una spinta verticale del cervello, innalzando la fronte e la volta.
In Palestina esistono documenti che confermano la contemporanea presenza di forme con caratteristiche predominanti neandertaliane (Tabun), di forme assai primitive di Homo sapiens sapiens (Qafzeh) e di forme, infine, che presentano insieme caratteri neandertaliani e attuali conseguenti forse a un meticciamento fra i due gruppi precedenti (Skhül).
L'Uomo sapiens di forme attuali (Homo sapiens sapiens) in Europa compare fra i 40 e i 35.000 anni. I reperti principali sono quelli noti con i nomi di Cro-Magnon, di Chancelade, di Predmost, di Grimaldi, di Combe Capelle e di Obercassel. Fuori d'Europa, oltre ai documenti sempre più numerosi provenienti dall'Africa e dall'Asia, sono da menzionare quelli più recenti dell'Australia e dell'America i quali, pure se discussi e criticati, attestano comunque che l'Homo sapiens sapiens in questi due nuovi continenti era già presente, probabilmente, molte migliaia di anni prima di quanto non si sia finora ritenuto.
In definitiva si può dire che i resti di questi rappresentanti fossili dell'Uomo attuale, estesi a diverse regioni del Vecchio e del Nuovo Mondo, sono caratterizzati da intensa politipia e documentano, alla fine del Pleistocene, l'iniziale diversificazione che porterà nel corso dell'Olocene alla grande varietà degli odierni gruppi umani.
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